IL PUTSCH FASCISTA IN SPAGNA
E LA RESISTENZA DEL POPOLO SPAGNOLO

Da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, Teti Editore, 1975, vol. IX, pp. 321-340.


Dal 1936 al 1939 la Spagna fu devastata da una sanguinosa lotta armata tra la democrazia e il fascismo. Iniziata come guerra civile, causata dagli sviluppi dei contrasti sociali interni nel paese, essa si trasformò, in seguito all'intervento italo-tedesco e alla connivenza delle potenze occidentali con i fascisti, in una guerra nazionale e rivoluzionaria di grande significato inter­nazionale.


L'OFFENSIVA FASCISTA.
L'AZIONE ANTIFASCISTA DELL'OTTOBRE 1934


Con la formazione, nel dicembre del 1933, del governo filofascista del radicale Lerroux, si aprì in Spagna il periodo del cosiddetto "biennio nero" (1934-1935). I posti di di­rezione nell'apparato statale passarono gradual­mente nelle mani di elementi clericali e filo­fascisti; vennero ripristinati i precedenti pri­vilegi della Chiesa, furono liquidate le con­quiste dei lavoratori ottenute nei primi anni della repubblica, e la stampa popolare fu sot­toposta a una severa censura. Anche le più innocenti manifestazioni popolari vennero schiacciate brutalmente.

L'offensiva fascista provocò la resistenza deci­sa delle larghe masse popolari. Nel febbraio 1934 si svolsero in tutta la Spagna comizi e dimostrazioni di solidarietà con gli operai austriaci per la loro lotta antifascista. Una imponente manifestazione di protesta contro l'offensiva della reazione fu lo sciopero di giugno di 100.000 salariati agricoli, nel meri­dione della Spagna, che durò 15 giorni.

Una seria resistenza alle forze della reazione offrirono i lavoratori di Barcellona e di Ma­drid, all'inizio di settembre. Oltre 200.000 operai scesero nelle strade per fare fallire una adunata di fascisti. Sempre maggiori consensi incontrarono tra le masse le parole d'ordine dei comunisti sulla creazione di un fronte unico antifascista. Migliaia di socialisti e di anarco-sindacalisti entrarono nelle file del partito comunista. All'interno del Partito operaio so­cialista di Spagna (Partido Socialista Obrero Español) si formò una forte ala sinistra, che si batté per l'unità d'azione con i comunisti. Il 12 giugno 1934 una seduta plenaria del Comitato centrale del partito comunista rivol­se al Comitato esecutivo del partito operaio socialista la proposta di creare un fronte unico. I capi socialisti risposero proponendo ai comunisti di cooperare alle alleanze ope­raie, organizzate dal partito socialista.

Il partito comunista accolse la proposta, con l'intento di allargare queste alleanze e di trasformarle in organi operaio-contadini di uni­tà delle forze antifasciste.

Il 4 ottobre 1934 entrarono a far parte del governo Lerroux i rappresentanti del partito controrivoluzionario Confederazione spa­gnola delle destre autonome (CEDA). Il fatto suscitò l'indignazione dei lavoratori e uno sciopero generale, proclamato lo stesso giorno, si estese a quasi tutto il paese, ab­bracciando Madrid, la Catalogna, la Biscaglia, le Asturie e altre regioni.

Forme acute assunse la sollevazione nelle Asturie, dove scesero in lotta spalla a spalla socialisti, comunisti e anarco-sindacalisti. Re­parti armati di minatori occuparono le fabbri­che d'armi di Oviedo e di Trubia. Le alleanze operaie, nelle quali i comunisti godevano di una grande influenza, si trasformarono in or­gani rivoluzionari, che dirigevano la lotta arma­ta e organizzavano la produzione e i rifor­nimenti.

Tutto il potere nelle Asturie passò nelle ma­ni degli operai e dei contadini, che forma­rono una propria guardia rossa.

La reazione trasferì in tutta fretta nelle Astu­rie la guardia civile, reparti marocchini e la legione straniera per soffocare l'insurrezione. Gli operai resistettero eroicamente. A Oviedo, la principale città delle Asturie, si registra­rono accaniti combattimenti. Le truppe gover­native, appoggiate dall'aviazione e dall'arti­glieria, riuscirono a soffocare nel sangue la insurrezione del proletariato nelle Asturie. Nel­la regione fu dichiarato lo stato d'assedio; i tribunali militari emisero molte condanne a morte, oltre 30.000 operai furono gettati in carcere.

I combattimenti dell'ottobre terminarono con la sconfitta degli operai per vari motivi: a Ma­drid e nelle regioni basche le azioni scissionisti­che dei capi socialdemocratici impedirono che i1 movimento degli scioperi sfociasse in insur­rezioni armate. Il proletariato delle Asturie si trovò in tal modo isolato. Il partito comunista non era ancora sufficientemente forte per diri­gere il movimento su scala nazionale. Una cau­sa importante della sconfitta fu anche l'insuf­ficiente appoggio dato dai contadini alla classe operaia.


LA VITTORIA DEL FRONTE POPOLARE


Gli avvenimenti dell'ottobre 1934 impressero una forte spinta al movimento per la forma­zione di un fronte popolare antifascista. Nel dicembre del 1935 la Confederazione genera­le unitaria del lavoro, diretta dai comunisti, si fuse con l'Unione generale dei lavoratori (Union General de los Trabajadores). Agli inizi del 1936, dopo ripetute proposte del partito comunista sulla creazione di un fron­te unico, la direzione socialista e i repub­blicani borghesi accettarono di aprire tratta­tive, che si conclusero il 15 gennaio con la firma del patto del fronte popolare, nel quale entrarono il partito comunista, il partito socia­lista, le organizzazioni giovanili comunista e socialista, la Sinistra repubblicana, l'Unione repubblicana, la Sinistra della Catalogna, l'U­nione generale dei sindacati e altri partiti di sinistra.

Il programma del fronte popolare chiedeva l'amnistia per i prigionieri politici, il proces­so dei reazionari per i crimini da loro commes­si nelle Asturie, la democratizzazione dell'e­sercito, la distribuzione delle terre ai conta­dini e ai braccianti, il ritorno al lavoro dei licenziati per attività rivoluzionaria, il ripri­stino delle libertà democratiche, la riduzione delle tasse e dei canoni d'affitto, l'aumento del salario dei lavoratori eccetera.

La direzione socialista e i repubblicani bor­ghesi consideravano il fronte popolare solo come un blocco elettorale di forze democrati­che, ma i comunisti cercarono di trasformarlo in un solido baluardo contro il fascismo. In tutto il paese si svolsero comizi a sostegno del movimento popolare, che acquistò una estensione così preoccupante da indurre il go­verno a sciogliere le Cortes e indire nuove ele­zioni. Durante la campagna elettorale il gover­no inasprì la censura, fece arrestare numerosi esponenti antifascisti, tra i quali i dirigenti del partito comunista Dolores Ibarruri e Vicente Uribe. I clericali orchestrarono un'ac­cesa propaganda contro i candidati del fronte popolare, mentre i fascisti minacciarono aper­tamente la guerra civile.

La reazione riteneva che il terrorismo, la vio­lenza e i brogli le avrebbero permesso di vin­cere le elezioni. Ma la vittoria andò, nella consultazione del 16 febbraio 1936, alle liste del fronte popolare.

Alle Cortes furono eletti 268 deputati anti­fascisti (158 repubblicani, 88 socialisti e 17 comunisti) contro 205 dei partiti di destra e del centro.

Salì così al potere un governo formato da due dei partiti del fronte popolare, la Sinistra repubblicana e l'Unione repubblicana. Presi­dente del consiglio dei ministri fu dapprima Manuel Azaña, e quando questi fu eletto pre­sidente della repubblica, l'incarico passò a Santiago Casares Quiroga.

Con la formazione del governo Azaña si creò la possibilità oggettiva di un allargamento pa­cifico della rivoluzione democratica. Il gover­no realizzò una serie di misure democratiche, liberò i prigionieri politici, riammise al la­voro i licenziati per ragioni politiche, adottò una legislazione sociale avanzata, la previden­za per gli infortuni, la pensione ai vecchi, le ferie agli operai. Esso proclamò il diritto di tutti i popoli della Spagna all'autonomia, pas­sò all'attuazione di una parziale riforma agra­ria e bloccò l'espulsione dei contadini dalle terre prese da essi in affitto.

Tutte queste misure consolidarono notevol­mente il campo democratico e migliorarono le condizioni dei lavoratori. Ma il governo repub­blicano non intraprese nessuna misura deci­siva contro le forze reazionarie, per cui la minaccia del fascismo non scomparve, la rea­zione mantenne forti posizioni nell'apparato statale e le organizzazioni fasciste proseguiro­no indisturbate la loro attività sediziosa nel­l'esercito.

Il partito comunista, nel marzo del 1936, subito dopo le elezioni, rivolse al partito so­cialista la proposta di approvare un program­ma più ampio di quello del fronte popolare, che comprendesse le esigenze fondamentali della rivoluzione democratico-borghese, senza la cui attuazione era impossibile distruggere le basi materiali della controrivoluzione fasci­sta. Il programma doveva prevedere in par­ticolare la confisca di tutte le terre dei gran­di proprietari fondiari e la loro distribuzione ai contadini poveri e ai salariati agricoli; l'an­nullamento di tutti i debiti dei contadini e il rapido miglioramento delle condizioni dei braccianti e dei contadini poveri; la nazionalizzazione della grande industria, delle banche e delle ferrovie; il radicale miglioramento del­la condizione degli operai; la democratizzazio­ne dell'apparato statale e dell'esercito. I capi socialisti respinsero le proposte del partito co­munista. Tuttavia il fronte popolare si raffor­zava sempre più, mentre crescevano rapida­mente anche la forza e l'autorità del partito co­munista, i cui aderenti aumentarono dal feb­braio al marzo del 1936 da 30.000 a 50.000; in aprile essi erano saliti a 60.000 e in giu­gno a 84.000. Grande importanza ebbe la unificazione (avvenuta il 1° aprile a Madrid) delle organizzazioni giovanili socialiste e co­muniste in un'unica organizzazione, l'Unione della gioventù socialista.

In luglio il Partito comunista della Catalo­gna, il Partito proletario catalano, l'Unione socialista di Catalogna, e la federazione cata­lana del Partito socialista di Spagna, con­fluirono in un partito socialista unificato. Le masse popolari sostennero ovunque il pro­gramma del nuovo partito socialista per il com­pimento della rivoluzione democratico-bor­ghese.


LA PREPARAZIONE DELLA RIVOLTA CONTRO IL GOVERNO REPUBBLICANO


Le forze reazionarie volevano annullare tut­te le conquiste politiche ed economiche delle masse lavoratrici ottenute nella lotta per la repubblica e restaurare i poteri e i privile­gi del grande capitale, dei proprietari fondia­ri, dell'alto clero.

A tale scopo un gruppo consistente di fa­scisti organizzò una congiura, nella quale il ruolo decisivo era assolto dai magnati della finanza, dall'aristocrazia terriera, dall'alto cle­ro, dai generali. Tra i principali capi della congiura vi erano i generali Sanjurjo, Franco, Mola e altri ufficiali superiori legati al vec­chio regime, il noto banchiere Juan March e il finanziere Urquijo, rappresentante de­gli interessi della Chiesa cattolica.

I congiurati riponevano le loro speranze nel­l'esercito e nei cosiddetti falangisti (squadre d'assalto della organizzazione fascista "Fa­lange spagnola", composte da figli di con­tadini ricchi e da elementi declassati di ogni genere). I congiurati fascisti ottennero un ap­poggio aperto dagli stati maggiori della Ger­mania e dell'Italia.

I gruppi dirigenti della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti erano anch'essi a conoscenza della preparazione della rivolta. I congiurati ricevettero un consistente aiuto finanziario dal ricco petroliere olandese Deterding.

Quando nel paese si diffusero le prime noti­zie allarmanti sulla rivolta preparata dai fasci­sti, i comunisti invitarono gli operai a inten­sificare la vigilanza. Nelle grandi città, davanti alle Case del popolo, presso le sedi delle or­ganizzazioni di partito e sindacali, nelle reda­zioni dei giornali operai, montavano la guar­dia giorno e notte picchetti di lavoratori men­tre si tenevano pronte a intervenire squadre di combattimento.

Il partito comunista chiamò il popolo a te­nersi pronto per respingere l'attacco della rea­zione e chiese al governo repubblicano e alle organizzazioni democratiche di attuare una fer­ma politica rivoluzionaria. Ma l'unità del cam­po democratico era minata dalla politica in­conseguente dei socialisti e degli anarco-sindacalisti, dalle incertezze e dalla paura dei re­pubblicani borghesi di fronte all'iniziativa ri­voluzionaria delle masse. In complesso i re­pubblicani borghesi erano su posizioni di lot­ta antifascista, ma una parte dei capi pro­pendeva per un compromesso con la reazione.


L'INIZIO DELLA RIVOLTA FASCISTA


La rivolta fascista cominciò il 18 luglio 1936. Essa era capeggiata dal generale Sanjurjo, che però morì in un incidente aereo du­rante il volo dal Portogallo in Spagna. A capo della rivolta fu allora posto un nemico altrettanto accanito della repubblica, delle li­bertà democratiche e fautore del potere ditta­toriale, il generale Francisco Franco Bahamonde. Dalla parte dei ribelli stava la maggior parte degli ufficiali, che costrinsero i loro sol­dati a marciare contro la repubblica. I capi militari reazionari seppero attirare dalla loro parte con l'inganno e le promesse le truppe marocchine. Essi avevano inoltre una notevo­le forza armata nei reparti dei falangisti e dei gendarmi.

I rivoltosi speravano di ottenere in pochi gior­ni un pieno successo. Ma contro di essi si levò tutta la Spagna, il proletariato, i con­tadini, la piccola borghesia. Migliaia di uo­mini e di donne accorsero nei reparti volon­tari della milizia popolare. Nelle fabbriche, nelle officine, nelle miniere si crearono bat­taglioni operai; le armi erano le più diverse: revolver, carabine da caccia, vecchi fucili, sac­chetti di dinamite, bombe a mano, coltelli. Tutto il peso dei primi combattimenti contro l'esercito ben armato dei ribelli fu sostenuto da questi reparti di milizia popolare, non ad­destrati e male armati. Ma essi, anche se a caro prezzo, seppero arrestare e circoscrivere la rivolta fascista.

II 19 luglio i reparti repubblicani presero d'assalto le caserme di Madrid, dove si trovavano grosse unità militari di ribelli, e la capitale della Spagna rimase così nelle mani del popolo. I progetti dei fascisti fallirono anche in molte province. In Catalogna gli operai di Barcellona, Lérida, Sabadell e di altri centri industriali disarmarono i reparti militari ribelli e i gruppi di falangisti e di monar­chici.

Combatterono eroicamente anche i minatori delle Asturie. I ribelli fascisti furono circon­dati a Oviedo, le caserme di Gijón furono prese d'assalto. L'intera provincia, a ecce­zione di Oviedo, assediata, rimase nelle mani del popolo. Lottarono eroicamente i contadi­ni e i braccianti in Andalusia e nell'Estremadura. A Siviglia si ebbero combattimenti sulle barricate, e solo dopo l'arrivo dall'Afri­ca di reparti marocchini i ribelli riuscirono a conquistare la città. Una seria resistenza in­contrarono i ribelli in Galizia. Nelle strade del­la città di La Coruña si ebbero sanguino­si combattimenti sulle barricate. Battaglie ac­canite si svolsero a Vigo, dove operai, con­tadini, pescatori si difesero fino all'ultima cartuccia.

I ribelli riuscirono a consolidarsi nel sud, nel­le province di Cadice, Huelva e Siviglia, e, a nord, in Galizia, Navarra, e in una notevo­le parte della Vecchia Castiglia e dell'Aragona. Essi formarono due raggruppamenti: quello settentrionale, diretto dal generale Mola, quel­lo meridionale al comando del generale Franco. I due tronconi dell'esercito ribelle era­no separati dalla regione di Badajoz.

In tutto il territorio della repubblica le masse popolari divennero le autentiche arbitre della situazione politica. Tutto il potere legislativo ed esecutivo, tutte le funzioni dell'apparato amministrativo vennero svolte dai comitati del fronte popolare, sorti in quasi tutte le città e località agricole della Spagna. Su iniziativa delle organizzazioni operaie vennero occupate e poste sotto il controllo dei sindacati le grandi fabbriche appartenenti ai ribelli, il par­co automobilistico e i trasporti ferroviari. In ogni azienda si crearono comitati di fab­brica, che dirigevano la produzione. Nelle cam­pagne i contadini occupavano le terre dei pro­prietari coinvolti nella rivolta. In molte lo­calità esse vennero suddivise tra i salariati agricoli e i contadini poveri.

In questo periodo burrascoso i partiti repub­blicani borghesi caddero in preda alla confu­sione. Il primo giorno della rivolta il gover­no rassegnò le dimissioni. Il presidente Aza­ña iniziò le consultazioni per la formazione di un nuovo governo e, in preda a una gra­ve incertezza, si mostrò propenso a un com­promesso con i ribelli. I comitati del fronte popolare chiedevano invece l'immediata forma­zione di un governo che garantisse le condi­zioni indispensabili per domare la rivolta. Il 19 luglio venne costituito un governo presie­duto da José Giral; esso sanzionò le misure dei comitati del fronte popolare ed espresse la sua ferma decisione di condurre una lotta implacabile contro il fascismo.

Ma di tutte le organizzazioni politiche spagno­le solo il partito comunista era veramente pre­parato alla lotta. Esso mobilitò in fretta tut­te le sue forze e passò subito alla formazio­ne di battaglioni di milizia popolare. A Ma­drid i comunisti crearono una unità militare che divenne presto famosa, il 5° reggimento. Nelle Asturie e in Catalogna si formarono i battaglioni comunisti "Karl Marx", "Maksim Gorki", "Lina Odena" (esponente del­l'Unione della gioventù socialista, caduta nel primo combattimento con i ribelli), che fu­rono tra i migliori battaglioni della milizia popolare antifascista.

Alla testa del partito comunista si trovavano José Diaz e Dolores Ibarruri. Provenienti dalle file della classe operaia e legati a essa da profonde radici, questi dirigenti si rivela­rono durante la lotta autentici capi popolari. Nelle prime settimane di lotta contro i ribel­li si manifestarono anche i lati deboli del fronte popolare, originati dalla frantumazione delle forze proletarie, dall'influenza disgrega­trice dei capi socialisti e anarco-sindacalisti, dall'insufficiente organizzazione, e talvolta an­che dal carattere spontaneo delle misure at­tuate.

Nel territorio rimasto alla repubblica esisteva­no tre governi: il governo centrale di Madrid; il governo della Catalogna, presieduto da Companys, capo della Sinistra della Catalogna; il governo delle regioni basche, presieduto da José Antonio de Aguirre, capo del Partito nazionale dei baschi.

I dirigenti del partito socialista e dell'Unio­ne degli anarco-sindacalisti, che controllavano migliaia di operai armati, che desideravano ardentemente lottare contro il fascismo, respin­sero le ripetute proposte dei comunisti di unire tutte le forze per un'azione comune contro i ribelli. La politica antiunitaria dei so­cialisti e degli anarco-sindacalisti, l'indecisio­ne dei repubblicani borghesi e la mancanza di forze armate regolari devote alla repubbli­ca permisero ai ribelli di resistere fino al­l'arrivo di aiuti dalla Germania e dall'Ita­lia; da questo momento la lotta per domare i ribelli divenne molto più difficile e alea­toria.

La Germania e l'Italia rifornirono i ribelli fa­scisti di armi (compresi carri armati e aerei), di denaro, e inviarono loro consiglieri e istruttori militari. Grazie a questo aiuto, il rag­gruppamento meridionale dei ribelli s'impos­sessò, alla metà di agosto, di Badajoz, con­giungendosi così con il raggruppamento set­tentrionale.

Agli inizi del settembre 1936 la milizia po­polare, male armata, fu costretta ad abban­donare Irùn e San Sebastiàn. La guerra ri­voluzionaria del popolo spagnolo entrò in una nuova fase: divenne una guerra popolare, ri­volta non solo contro la controrivoluzione in­terna, ma anche contro l'intervento straniero, una guerra per la libertà e l'indipendenza del­la repubblica spagnola.

In questa complessa situazione si costituì il 4 settembre 1936 un nuovo governo, nel qua­le entrarono per la prima volta tutti i parti­ti del fronte popolare, compreso il partito comunista. Presidente del consiglio dei mini­stri e ministro della guerra divenne il socia­lista Francisco Largo Caballero.


LA POLITICA DEL « NON INTERVENTO ».
L'INTERVENTO DELL'ITALIA E DELLA GERMANIA


I ribelli trassero un notevole vantaggio dal­l'atteggiamento equivoco assunto dalla Fran­cia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. La notizia dell'inizio della rivolta fu accolta dai governi di queste potenze con un misto di sol­lievo e di paura: sollievo perché essi odia­vano il fronte popolare ed erano pronti a fa­re di tutto per contribuire alla sua caduta; paura perché non sapevano come si sarebbe­ro sviluppati ulteriormente gli avvenimenti.

I gruppi monopolistici della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti erano al­larmati per la sorte dei loro capitali inve­stiti in Spagna. Il governo del fronte popo­lare garantì l'inviolabilità degli investimenti stranieri. Ma gli imperialisti temevano che lo sviluppo della rivoluzione avrebbe danneggia­to i loro interessi finanziari ed economici.

Il governo francese, presieduto da Leon Blum, nei primi giorni della rivolta in Spagna, ap­parve indeciso e dubbioso. Da un lato, essen­do un governo appoggiato dal fronte popola­re francese, doveva prestare un legittimo aiu­to al governo della repubblica spagnola; dal­l'altro, temeva che, sotto l'influenza degli av­venimenti spagnoli, anche la Francia si ponesse sulla via dell'ulteriore sviluppo e della realizzazione del programma del fronte popo­lare. Volendo evitare tali conseguenze, esso attuò quindi nei confronti della repubblica spa­gnola una politica sostanzialmente ostile, ma­scherandola con demagogiche profferte di amicizia. Pur dichiarando la propria simpatia per la lotta del popolo spagnolo contro la reazione, il governo francese, nei fatti, attuò gradatamente il blocco della repubblica spa­gnola. Il governo Blum era spinto a questa politica anche dall'esplicita dichiarazione del governo britannico che se, a causa degli aiu­ti concessi alla repubblica spagnola, la Fran­cia fosse stata coinvolta in un conflitto con la Germania e l'Italia, la Gran Bretagna non le avrebbe offerto aiuto alcuno. Dopo un breve momento d'indecisione, la Francia vietò le for­niture di armi alla repubblica spagnola, in un primo tempo da parte dello Stato, poi anche da parte dei privati.

All'inizio di agosto il governo francese d'in­tesa con quello britannico propose a tutti gli Stati europei di attenersi strettamente al­la politica del non intervento negli affari in­terni della Spagna. Il 15 agosto i governi della Gran Bretagna e della Francia s'impegna­rono a vietare l'esportazione di armi e di mate­riali bellici in Spagna.

Il 9 settembre, a seguito di un accordo in­ternazionale, nacque il "comitato del non in­tervento", nel quale entrarono i rappresentan­ti di 27 paesi europei. L'accordo prevedeva il divieto dell'esportazione e del transito di armi e di materiali bellici destinati alla Spagna e un reciproco scambio di notizie da parte dei firmatari dell'accordo sulle misure intraprese a tale scopo.

Il governo degli Stati Uniti non aderì uffi­cialmente all'accordo, ma attuò l'embargo sul­l'esportazione di armi e di materiale bellico in Spagna per tutto il periodo della guerra. L'Unione Sovietica si associò all'accordo del non intervento, ritenendo che se esso fosse stato rigorosamente osservato da tutti i parte­cipanti, i ribelli sarebbero stati sconfitti. Es­sa inoltre intendeva utilizzare il comitato co­me tribuna internazionale per smascherare gli interventisti. Ogni passo, ogni azione ostile dei nemici del popolo spagnolo venne condan­nata aspramente dall'Unione Sovietica, che si levò in difesa dei legittimi diritti della Spa­gna repubblicana.

La Germania e l'Italia risposero alla forma­zione del "comitato del non intervento" inten­sificando gli aiuti ai ribelli e organizzando l'intervento aperto. Per aiutare le truppe di Franco vennero inviate presso le coste spa­gnole le corazzate tedesche "Admiral Scheer", "Deutschland", gli incrociatori "Köln", "Leip­zig", "Nürnberg" e un gran numero di cac­ciatorpediniere.

Il 28 novembre 1936 i ribelli firmarono con l'Italia un trattato segreto di collabora­zione; un accordo analogo venne concluso il 20 marzo 1937 con la Germania. In cam­bio della fornitura di armi la Germania ot­teneva materie prime, prodotti alimentari e partecipazioni nell'industria mineraria spagno­la. L'Italia creò una serie di compagnie mi­ste italo-spagnole, dietro le quali manovrava­no i grossi monopoli italiani della Snia Vi­scosa e della Montecatini. I capitalisti italiani controllavano anche le miniere di Almadén. Nei loro piani di conquista la Germania e l'Italia consideravano la Spagna come un im­portante avamposto strategico. Appoggiando i ribelli, le due potenze fasciste non solo con­tribuivano alla diffusione del fascismo in Eu­ropa, uno dei loro principali obiettivi politici, ma ottenevano anche la possibilità di dislocare le loro truppe ai confini della Francia e le loro flotte nelle acque delle Baleari, di Gibilterra, del golfo di Biscaglia, creando una minaccia di­retta a tutto il sistema delle basi strategiche mediterranee della Gran Bretagna e della Francia.

L'aiuto in mezzi e in uomini offerto dalla Germania e dall'Italia ai ribelli fascisti spa­gnoli fu assai cospicuo. L'aiuto italiano rag­giunse durante la guerra i 14 miliardi di li­re, senza contare il costo di 1000 aeroplani. Secondo dati ufficiali, l'Italia inviò a Fran­co, oltre agli aerei, circa 2000 cannoni, 10.000 armi automatiche, 240.000 fucili, 324 milioni di cartucce, 8 milioni di proiettili, circa 12.000 automezzi, 800 trattori, 100 carri armati, 17.000 tonnellate di bombe aeree, 2 sommergi­bili e 4 cacciatorpediniere. Inoltre al fianco dei ribelli vennero inviati a combattere 150.000 italiani e 50.000 tedeschi.

La Germania e l'Italia intendevano isolare de­finitivamente la repubblica spagnola dal mon­do circostante, privandola della possibilità di ottenere da altri paesi perfino i viveri. A tale scopo gli interventisti intensificarono il blocco alle coste spagnole.

Ben presto, dopo la creazione del "comitato del non intervento", apparve chiaro che la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti usavano il non intervento solo come un pa­ravento, mentre di fatto prestavano aiuto ai ribelli: i monopoli americani, britannici e fran­cesi vendevano ai ribelli petrolio, automezzi eccetera. Così si comportarono, ad esempio, la società americana "Texas Oil", la società francese "Renault" eccetera. I finanzieri bri­tannici dal canto loro concessero prestiti a Franco.

Nella politica del non intervento un grave peso ebbero gli obiettivi anticomunisti delle classi dirigenti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia. Questa politica do­veva dimostrare agli aggressori italo-tedeschi che finché la Germania e l'Italia avessero combattuto contro il comunismo, esse avreb­bero trovato la piena comprensione del "mon­do occidentale".


L'UNIONE SOVIETICA IN DIFESA DELLA REPUBBLICA SPAGNOLA


L'Unione Sovietica offrì al popolo spagnolo un grande aiuto. Il governo sovietico si batté con coerenza contro l'invio in Spagna dei reparti militari regolari italo-tedeschi, ma­scherati da "volontari".

Quando apparve chiaro che le democrazie oc­cidentali non prendevano alcuna misura con­tro gli interventisti, anzi li incoraggiavano, il governo sovietico insistè perché la repub­blica spagnola potesse acquistare liberamente armi sul mercato internazionale. Ma gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna continua­rono a mantenere chiusi, sotto la bandiera del non intervento, i propri mercati di armi per la Spagna repubblicana, mentre Franco - attra­verso il Portogallo e i porti controllati dal suo esercito - otteneva sempre nuovi rifor­nimenti di uomini e di mezzi militari dalla Germania e dall'Italia. Allora il governo so­vietico dichiarò ufficialmente il 23 ottobre 1936 di non potersi ritenere vincolato dall'ac­cordo di neutralità più di qualsiasi altro suo firmatario. Con questa dichiarazione l'Unio­ne Sovietica si riservava piena libertà d'azio­ne per appoggiare la Spagna repubblicana nella lotta contro il fascismo e la reazione inter­nazionale.

L'Unione Sovietica prestò al popolo spagnolo un notevole aiuto materiale. Vennero organiz­zate sottoscrizioni e raccolte di mezzi a favo­re della Spagna; nel giro di pochi giorni nel luglio 1936 furono raccolti 12 milioni di ru­bli, e alla fine di ottobre la cifra era già salita a 45 milioni. Decine di navi cariche di viveri, medicinali, indumenti partirono per la repubblica spagnola. Il governo sovietico concesse alla repubblica spagnola un credito di 85 milioni di dollari e utilizzò ogni possibi­lità per rafforzarne il potenziale militare.


LE BRIGATE INTERNAZIONALI


Il movimento internazionale in difesa della repubblica spagnola unì persone di diverse tendenze politiche e convinzioni religiose. La massima manifestazione di solidarietà interna­zionale con la Spagna repubblicana fu l'or­ganizzazione delle brigate internazionali. Mi­gliaia di antifascisti di 53 paesi giunsero in Spa­gna a piedi, in treno, in aereo, per mare, legalmente e illegalmente, per accettare la sfi­da lanciata dal fascismo ai popoli amanti del­la libertà.

I volontari stranieri che combattevano a fa­vore della repubblica furono 35.000; vi erano comunisti, socialisti, cattolici, senza partito; tra essi il ruolo dirigente fu svolto dai co­munisti.

L'esempio delle brigate ebbe una grande in­fluenza nell'organizzazione dell'esercito popo­lare spagnolo. Dove combattevano le briga­te internazionali, le posizioni repubblicane era­no più sicure e le azioni militari si sviluppa­vano con successo. I battaglioni spagnoli e i reparti di milizia popolare assimilavano le loro qualità migliori e le forme della loro or­ganizzazione militare. Nella lotta caddero migliaia di combattenti antifascisti di tutto il mondo: "Gli spagnoli sanno - scrisse Ilia Ehrenburg, testimone e partecipe alla lotta an­tifascista in Spagna - che l'amore per essi fu dimostrato da noi non a parole, ma col san­gue. Vi sono eroismi, vi sono tombe che com­muoveranno e ispireranno generazioni di spa­gnoli".

Sul fronte spagnolo caddero tra gli altri il comandante della 12a brigata internazionale, lo scrittore ungherese Máté Zalka (generale Lukácz), il dirigente comunista tedesco Hans Beimler, commissario politico del battaglione "Thälmann", il comunista inglese Ralph Fox, scrittore e storico, il dirigente comunista ita­liano Nino Nanetti. Nelle file delle brigate in­ternazionali combatterono molti dirigenti co­munisti di diversi paesi: l'austriaco Stern (ge­nerale Kléber), il polacco K. Swierczewski (generale Walter), gli italiani Luigi Longo e Giuseppe Di Vittorio, il francese François Billoux. Uno degli organizzatori del 5° reggi­mento fu il comunista italiano Vittorio Vidali (Carlos Contreras). Rappresentante dell'In­ternazionale comunista in Spagna fu Palmiro Togliatti (Ercoli).

Un grande ruolo nella lotta spagnola contro il fascismo ebbero gli specialisti militari sovie­tici. In qualità di consigliere militare dell'e­sercito repubblicano fu in Spagna per lungo tempo G.M. Stern (gen. Grigorovic). Consi­gliere dell'aviazione fu J. Smučkevič (generale Douglas).


LA DIFESA DI MADRID


L'intervento militare italo-tedesco e la po­litica di non intervento della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti rafforzarono le posizioni dei ribelli. Nell'ottobre del 1936 si combatté vicino a Madrid una delle più grandi battaglie della guerra spagnola. Quat­tro colonne composte di ribelli e d'interven­tisti condussero l'attacco alla capitale spa­gnola. All'interno della città agiva una fìtta rete di spie che si dedicavano al sabotaggio, la "quinta colonna" del gen. Mola, che co­mandava l'attacco. Grazie all'iniziativa del partito comunista, la difesa di Madrid unì tut­te le forze antifasciste: repubblicani, socialisti, anarchici, comunisti.

Un altro fattore importante fu l'aiuto della Unione Sovietica e del proletariato interna­zionale. I difensori di Madrid erano animati dallo spirito dei difensori del potere sovieti­co in Russia negli anni della guerra civile. Nelle strade della capitale spagnola erano affissi enormi striscioni con la scritta: "Ciò che il popolo di Pietrogrado ha dimostrato ai bian­chi nel 1919, verrà dimostrato da Madrid al ribelle Franco nel 1936". Nelle giornate cri­tiche della difesa i combattenti della milizia popolare ottennero dall'Unione Sovietica mi­tragliatrici, carri armati, pezzi di artiglieria, aerei, viveri e medicinali.

Un posto d'onore nella difesa di Madrid eb­bero le brigate internazionali, che offrirono un esempio di grande eroismo, tenendo le po­sizioni più difficili.

L'eroica difesa poteva divenire un momento cruciale nella guerra di liberazione nazionale del popolo spagnolo. Sulle vie di accesso a Ma­drid vennero distrutti i migliori reparti dei ribelli mentre le truppe del generale Franco apparivano ormai esauste. Parallelamente si rafforzò il campo repubblicano; il nuovo esercito popolare rafforzò i suoi ranghi, l'in­dustria degli armamenti riprese la produzione, mentre si consolidava l'unità del fronte popo­lare.

La vecchia Spagna dello sfruttamento e del­l'arbitrio, la Spagna dei latifondisti, dei ban­chieri, dei generali reazionari e dell'oscuranti­smo clericale aveva subito una pesante scon­fitta. Con la sua eroica lotta il popolo creò le basi per costituire nel paese una repub­blica democratico-popolare.

Ma sul cammino della costruzione di questo nobile scopo le masse popolari spagnole si scontrarono in gravi ostacoli: la resistenza na­scosta e l'ostilità dei socialisti di destra, de­gli anarco-sindacalisti e dei repubblicani bor­ghesi.


LA POSIZIONE DEI SOCIALISTI DI DESTRA,
DEI REPUBBLICANI BORGHESI E DEGLI ANARCO-SINDACALISTI


I capi del partito socialista si opposero alle proposte di creare un'industria bellica, di epu­rare le spie della "quinta colonna" e i nemi­ci della repubblica, indebolendo in tal mo­do l'unità delle forze democratiche e dividen­do il fronte popolare.

Una politica che riduceva la capacità di re­sistenza antifascista venne condotta anche dai dirigenti anarco-sindacalisti. In Catalogna, do­ve detenevano le posizioni-chiave nella vita economica e sociale, essi avanzarono come com­pito pratico immediato l'attuazione di un "nuo­vo ordine sociale", il "comunismo anarchi­co", e "socializzarono" tutta l'industria, compresa quella piccola, e perfino i negozi di parrucchiere, le mense, i ristoranti ecce­tera. Nelle campagne essi attuarono con la forza la collettivizzazione integrale delle azien­de contadine, sebbene non esistessero le premesse economiche e politiche per il buon esito dell'operazione.

I repubblicani borghesi invece si allarmavano sempre più per la prospettiva dello sviluppo della rivoluzione. Il partito repubblicano - scrisse José Diaz - era sempre oscillante, e molti suoi esponenti, trovandosi sotto l'influ­enza dei governi della Gran Bretagna e della Francia, si trasformarono in portabandiera della capitolazione.

Nel paese agivano anche organizzazioni ostili alla rivoluzione popolare, come il "Partido Obrero de la Unificación Marxista" (POUM), di tendenza trotzkista, il Partito nazionale ba­sco e altri gruppi politici.


IL PROGRAMMA DI LOTTA DEL PARTITO COMUNISTA.
LE TRASFORMAZIONI RIVOLUZIONARIE


La complessa situazione esigeva una sempre maggiore compattezza di tutte le forze demo­cratiche, il consolidamento del fronte anti­fascista, la creazione di un governo veramen­te popolare e centralizzato, l'attuazione di tra­sformazioni economiche, politiche e militari nel paese. Per la soluzione di questi pro­blemi si batteva il partito comunista, chiaman­do il popolo a radicali trasformazioni demo­cratiche. I suoi appelli trovarono un caloroso appoggio tra le larghe masse del popolo, tra i militanti del partito socialista e fra gli stes­si gruppi anarco-sindacalisti. Perciò il gover­no Caballero dovette sanzionare le trasforma­zioni rivoluzionarie, che il popolo aveva pra­ticamente attuato.

Profonde trasformazioni si registrarono nel campo dell'industria: il 2 agosto 1936 un de­creto governativo ordinava la requisizione del­le aziende abbandonate dai loro proprietari. Quarantotto ore dopo l'approvazione del de­creto, cominciò la requisizione delle aziende. In ogni fabbrica e officina requisita venne crea­to un comitato di rappresentanti degli operai sotto la presidenza di un incaricato del governo.

L'industria repubblicana cominciò a produrre diversi tipi di armi, carri armati, aerei, can­noni. Ma la capacità produttiva delle fabbri­che era ancora insufficiente per fronteggiare le crescenti esigenze del fronte.

Una grande conquista del popolo spagnolo fu la riforma agraria. Il 7 ottobre 1936 ven­ne pubblicato un decreto firmato dal mini­stro dell'agricoltura, il comunista Uribe, sulla confisca delle proprietà agrarie dei nemici del­la repubblica. Tutte le aziende, indipenden­temente dalla loro estensione e dal loro red­dito, appartenenti prima del 18 luglio 1936 a persone che si erano schierate contro il governo legittimo della repubblica, divenivano proprietà dello Stato. Furono confiscati anche gli immobili, il bestiame, gli attrezzi, le azien­de per la trasformazione dei prodotti agri­coli eccetera. In pratica venne liquidata nel territorio della repubblica tutta la grande pro­prietà fondiaria: 376.787 famiglie di contadi­ni e di braccianti ottennero 5.423.212 ettari di terra, e tutto il bestiame e gli attrezzi agricoli dei grandi proprietari fondiari.

La riforma agraria, attuata sotto la direzione del partito comunista, portò a un rafforzamen­to del fronte popolare e dell'alleanza tra la classe operaia e i contadini. Iniziò così un largo afflusso di contadini nell'esercito, mentre le masse contadine si pronunciavano per la difesa delle conquiste rivoluzionarie della re­pubblica.

Su iniziativa e sotto la direzione del parti­to comunista venne creato l'esercito popolare della repubblica. Si trattò di un'opera diffi­cile e complessa. Il partito comunista dovet­te superare la resistenza e il sabotaggio dei socialisti di destra e degli anarco-sindacalisti, che mascherandosi dietro frasi rivoluzionarie contro la "restaurazione del militarismo" e per la conservazione dei reparti rivoluzionari della "milizia popolare", cercavano d'impe­dire l'organizzazione di un esercito regolare. Sotto la pressione dei comunisti e di migliaia di combattenti, il governo del fronte popo­lare pubblicò nell'ottobre del 1936 un decreto sulla trasformazione della milizia popolare in esercito regolare.

Fu questa una vittoria del partito comuni­sta e delle larghe masse popolari, convinte che senza un forte esercito popolare era im­possibile ottenere la vittoria. Il nucleo fonda­mentale dell'esercito popolare della repubblica fu costituito dal glorioso 5° reggimento. Nel­le sue file si erano formati migliaia di com­battenti e di comandanti dell'esercito repub­blicano, come ad esempio i colonnelli Lister, Modesto e altri. I commissari politici, no­minati in tutti i reparti dell'esercito su ini­ziativa del partito comunista, compirono un grande lavoro per l'educazione politica dei soldati e degli ufficiali.

Nei giorni difficili della guerra le masse la­voratrici ottennero altre trasformazioni demo­cratiche: furono pubblicate leggi sulla prote­zione del lavoro, sull'aumento del salario, sul­la limitazione del lavoro infantile, sulla giorna­ta lavorativa di otto ore. Grande importanza ebbe il decreto sulla parità di diritti fra donne e uomini, pubblicato il 5 febbraio 1937. Da al­lora le donne parteciparono attivamente alla vita politica ed economica del paese.

In un breve periodo di tempo vennero rag­giunti notevoli successi nell'organizzazione dell'istruzione popolare. Si formò una rete molto ampia di istituzioni culturali: l'Unione degli intellettuali in difesa della cultura po­polare, le organizzazioni culturali della gioven­tù unificata, l'Associazione degli studenti ec­cetera. Esse svolsero un'intensa attività edu­cativa sia al fronte che nelle retrovie, crea­rono centinaia di biblioteche, diedero vita a corsi speciali contro l'analfabetismo, specie nell'esercito; a Barcellona, a Valencia e a Sabadell sorsero i cosiddetti istituti operai, nei quali gli operai potevano conseguire l'istru­zione superiore. Gli studenti particolarmente bisognosi erano stipendiati dallo Stato. In 70 istituti e scuole tecniche del territorio repub­blicano studiavano circa 25.000 giovani.

Una soluzione democratica ebbe pure la que­stione nazionale. La Catalogna e le province basche ricevettero ampi diritti di autonomia. La Spagna, che all'inizio della rivolta fa­scista era una repubblica democratico-borghe­se, si trasformò in una repubblica di tipo nuovo, senza grandi capitalisti né proprieta­ri fondiari. Tuttavia, benché la classe operaia fosse la forza egemone nella rivoluzione, essa non potè, data la scissione esistente nel­le sue file e l'atteggiamento dei capi socialisti di destra e degli anarco-sindacalisti, concentra­re nelle proprie mani il potere politico. Nel go­verno e nell'apparato statale esercitavano un ruolo ancora notevole i rappresentanti della borghesia, che si battevano contro l'allarga­mento della rivoluzione democratico-popolare. Le trasformazioni rivoluzionarie nel paese av­venivano quindi lentamente.

Il partito comunista seguiva attentamente le manovre dei sabotatori, dei disfattisti, e li smascherava facendo perno sul popolo. Un grande ruolo ebbe il programma elaborato dal partito comunista e rivolto al popolo spagnolo nel dicembre 1936, sulle "otto condizioni della vittoria". I comunisti chiedevano il rafforzamento dell'esercito popolare regolare sulla base del servizio militare obbligatorio, l'epurazione nelle retrovie dei nemici della repubblica, la nazionalizzazione dei settori fon­damentali dell'industria (metallurgica, minera­ria, trasporti eccetera), la creazione di una forte industria bellica, l'istituzione del con­trollo operaio sulla produzione, l'aumento del­la produttività dell'agricoltura, l'attuazione di una effettiva rivoluzione agraria, uno sforzo dell'industria e dell'agricoltura per realizzare lo scopo primario di vincere la guerra.

Le "otto condizioni della vittoria" furono accolte dalle masse popolari con grande en­tusiasmo. Gli operai e i contadini che lavo­ravano nelle retrovie, i soldati al fronte, ap­provarono il programma del partito comuni­sta. La repubblica si muoveva sulla via del­la libertà, della democrazia e del progresso. Le forze ostili alla rivoluzione democratico-popolare perdevano di giorno in giorno le proprie posizioni. Si rafforzava il partito co­munista, divenendo il principale centro di di­rezione, di mobilitazione e di organizzazione.


LA VITTORIA DI GUADALAJARA.
LA FORMAZIONE DEL GOVERNO NEGRIN


Alla fine del 1936 e agli inizi del 1937 i ribelli e gli interventisti italo-tedeschi prepara­rono una grande offensiva nella zona di Guadalajara, concentrando oltre 50.000 soldati italiani, spagnoli e marocchini, l'aviazione te­desca, 250 carri armati e 180 pezzi d'arti­glieria. Obiettivo dell'offensiva era quello di occupare Madrid o almeno di tagliarla fuo­ri dal restante territorio della repubblica. L'8 marzo 1937 ebbe inizio la battaglia. Per quattro giorni le truppe fasciste avanzarono faticosamente. Il 13 le truppe repubblicane passarono al contrattacco, che durò otto gior­ni e terminò con la piena disfatta delle trup­pe fasciste.

In durissimi combattimenti l'esercito repubbli­cano inflisse alle divisioni italiane comandate dal generale Roatta un duro colpo e libe­rò dai ribelli un vasto territorio. Le truppe fasciste subirono notevoli perdite.

La battaglia di Guadalajara dimostrò che l'e­sercito popolare era diventato una valida for­za di combattimento. Ma il gruppo dei socia­listi di destra di Largo Caballero, che dete­neva le principali cariche di governo, e i ca­pi anarco-sindacalisti continuavano a ostacola­re il rafforzamento dell'esercito, l'organizza­zione dell'industria bellica, l'istituzione di ri­serve, l'ordine rivoluzionario nelle retrovie. Considerando la serietà della situazione, il par­tito comunista sollevò con forza il problema della necessità di liquidare gli ostacoli inter­ni alla mobilitazione di tutte le forze per la lotta vittoriosa contro i ribelli e gli in­terventisti stranieri. In numerosi comizi e assemblee, organizzati per iniziativa dei co­munisti, i lavoratori si pronunciarono in mas­sa contro la politica di Caballero.

Il generale malcontento per questa politica si intensificò dopo la rivolta controrivoluzionaria organizzata a Barcellona nei primi giorni del maggio 1937 da elementi trotzkisti e anar­chici. Per tre giorni nelle vie di Barcellona si susseguirono sanguinosi combattimenti. Al­cuni battaglioni di anarchici e di trotzkisti furono ritirati dal fronte e inviati a Bar­cellona per combattere contro le truppe re­pubblicane. La rivolta fu domata dai lavorato­ri della città sotto la direzione dei comuni­sti e del Partito socialista unificato di Cata­logna. Ma Largo Caballero rifiutò di prendere qualsiasi misura contro il POUM. Il suo ri­fiuto suscitò una vasta indignazione e i ministri comunisti uscirono dal governo; Ca­ballero, fallito il tentativo di creare un go­verno senza i comunisti, fu costretto a ras­segnare le dimissioni. Il 17 maggio venne for­mato il secondo governo di fronte popolare, presieduto dal socialista Juan Negrín.

Il nuovo governo si accinse energicamente a realizzare le rivendicazioni avanzate dal popo­lo già da molti mesi, quando era ancora in carica il governo Caballero. Furono disarmati gli elementi prima incontrollati, furono isti­tuiti un potere centralizzato per tutto il ter­ritorio della repubblica e un unico comando dell'esercito popolare, furono puniti i respon­sabili della rivolta di Barcellona.


L'INASPRIMENTO DELL'INTERVENTO.
L'ATTIVITÀ SOVVERSIVA DEI DISFATTISTI


Nel frattempo l'intervento dei fascisti italo-tedeschi assunse proporzioni minacciose. La Germania e l'Italia avevano fretta di conclu­dere la guerra in Spagna per passare alla rea­lizzazione di altri piani aggressivi.

Ai primi di giugno del 1937 le forze uni­te dei ribelli e dei fascisti stranieri sferraro­no una grossa offensiva sul fronte settentrio­nale. Essi rivolsero il primo colpo contro le province basche, dove si combatterono aspre e sanguinose battaglie; la milizia popolare basca, nonostante il tradimento dei naziona­listi borghesi, difese ogni palmo di terreno, ma sotto la pressione di forze soverchianti fu co­stretta il 20 giugno ad abbandonare Bilbao. Poco dopo i fascisti entravano anche a Santander. Alla fine di ottobre le divisioni ita­liane e reparti marocchini occuparono le Asturie.

I ribelli e gli interventisti passarono poi al­la preparazione dell'offensiva sul fronte di Te­ruel. Il governo repubblicano decise di ri­prendere l'iniziativa e di passare all'offensiva contro il nemico. Nelle difficili condizioni del­l'inverno, in zone montuose e impraticabili, i combattenti dell'esercito popolare distrussero varie divisioni scelte del nemico. Il 6 di­cembre 1937, dopo dure battaglie l'esercito re­pubblicano entrava a Teruel. Ma la Germa­nia e l'Italia inviarono in tutta fretta grossi rinforzi e dopo due mesi di combattimen­ti, sebbene con forti perdite, ribelli e fasci­sti italo-tedeschi s'impossessavano nuovamen­te, il 22 febbraio 1938, della città.

Due settimane dopo, il 9 marzo, cominciò la battaglia sul fronte aragonese. Le forze del nemico superavano di 6-8 volte quelle repubbli­cane, che furono perciò costrette a ritirarsi. Alla metà di aprile le truppe fasciste raggiun­sero il Mediterraneo. Il territorio della re­pubblica si trovò diviso in due parti: quella settentrionale, della quale facevano parte le quattro province della Catalogna, e quella sud-centrale con le province di Madrid, Valen­cia, Alicante, Murcia, Albacete eccetera.

La situazione della repubblica dal punto di vista militare e politico era notevolmente peg­giorata.

Dall'estate del 1937 i sommergibili italiani avevano cominciato a catturare e ad affonda­re nel Mediterraneo le navi inviate alla Spa­gna repubblicana. Tra le altre furono affon­date le navi sovietiche "Timirjazev e Blagojev", per cui il 6 settembre 1937 il gover­no sovietico inviò una nota di protesta alla Italia, dichiarando che su di essa ricadeva la piena responsabilità di questi atti di pirateria. Subirono l'aggressione fascista anche navi mer­cantili britanniche e francesi.

La conferenza di Nyon (Svizzera), svoltasi dal 10 al 14 settembre 1937 con la parte­cipazione della Gran Bretagna, della Francia, dell'Unione Sovietica, della Jugoslavia, della Turchia, della Grecia, della Bulgaria, dell'Egit­to e della Romania, approvò una risoluzione per la lotta contro la pirateria. Le flotte britan­nica e francese furono incaricate di garantire la sicurezza della navigazione nella zona del Mediterraneo centrale fino ai Dardanelli. Nel­le acque territoriali la difesa delle navi fu affidata alle singole potenze. Le potenze che partecipavano alla conferenza si impegnavano a non impiegare nel Mediterraneo i propri sommergibili, a non ammettere nelle proprie acque territoriali sommergibili stranieri e ad affondarli quando essi fossero stati localizza­ti in mare aperto. In seguito alle decisioni della conferenza di Nyon, l'Italia fu costret­ta a cessare le azioni di pirateria nel Me­diterraneo.

Dalla fine del 1937 la collusione degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia con gli Stati fascisti divenne ancora più palese. La situazione internazionale della repubblica peggiorò notevolmente, anche perché per di­sposizione del governo francese venne chiu­sa la frontiera franco-spagnola. Il nodo del non intervento si stringeva sempre di più. Le navi da guerra italo-tedesche, intensificando il controllo alle coste spagnole, bloccavano ogni nave che faceva rotta per i porti della re­pubblica, per cui l'arrivo di aiuti materiali dall'Unione Sovietica diveniva di giorno in giorno sempre più precario.

L'intensificarsi dell'intervento italo-tedesco fu sfruttato dai fautori del compromesso con gli aggressori. Dalla metà del marzo 1938, quan­do l'aviazione fascista iniziò massicce incursioni contro Barcellona e Valencia, gli elemen­ti capitolardi dell'ala destra del fronte popo­lare posero apertamente il problema della con­clusione della pace con i franchisti.

Il partito comunista mobilitò contro i capi­tolardi le larghe masse popolari con la parola d'ordine "Resistenza e unità nazionale, prin­cipali fattori della vittoria", sottolineando che il governo Negrín doveva divenire un vero governo di unità nazionale, capace di difen­dere la libertà, la democrazia e la sovranità nazionale della Spagna. Un'ondata d'imponen­ti manifestazioni impedì le progettate tratta­tive con Franco. Un'altra conferma della volon­tà dei lavoratori di continuare la lotta fu la campagna per la creazione di un esercito di 100.000 volontari. Nel giro di alcuni giorni accorsero nell'esercito oltre 20.000 volontari, soprattutto giovani.

L'8 aprile Negrín portò a termine un rimpasto di governo, allontanando il capo dei ca­pitolardi, Prieto, e includendovi rappresentan­ti dell'Unione generale dei lavoratori e della Confederazione nazionale del lavoro. Il 30 aprile il secondo governo Negrín pubblicò la "Dichiarazione del governo della repubblica spagnola sugli obiettivi della guerra" (no­ta anche col nome di "13 punti"). Come compito principale il governo indicava la ga­ranzia dell'indipendenza e dell'inviolabilità del paese e la liberazione del territorio spagnolo dalle forze armate straniere. Il programma ga­rantiva ai cittadini la pienezza dei loro dirit­ti nella vita civile e sociale, la libertà di co­scienza, la libera predicazione delle diverse fedi e l'esercizio dei vari culti religiosi, la realizzazione di una radicale riforma agraria allo scopo di liquidare definitivamente la vec­chia forma feudale di proprietà, l'adozione di una legislazione sociale progressista.

La repubblica disponeva però di forze in­sufficienti per continuare la lotta. Nel luglio 1938, su iniziativa del partito comunista, fu lanciata una forte offensiva sul fiume Ebro. Uno dei suoi obiettivi era di impedire l'at­tacco dei ribelli e degli interventisti stranieri contro Valencia. Le battaglie accanite sul fiu­me Ebro continuarono per 4 mesi, e in esse i ribelli persero oltre 80.000 uomini, 200 ae­roplani e ingenti quantitativi di armi. L'eser­cito repubblicano ottenne una brillante vitto­ria e Valencia fu salvata.


LA CADUTA DELLA CATALOGNA.
LA SCONFITTA DELLA REPUBBLICA SPAGNOLA


Alla fine di dicembre del 1938, dopo aver ammassato ingenti forze, i ribelli scatenarono l'offensiva sul fronte della Catalogna. L'eser­cito fascista superava quello repubblicano per l'artiglieria e i carri armati di 10 volte, per i cannoni antiaerei di 50 volte.

L'esercito repubblicano, esausto per le batta­glie sul fiume Ebro e male armato, non po­teva resistere. Nel febbraio 1939 cadeva quin­di la Catalogna. Rimanevano nelle mani delle truppe repubblicane le regioni centrali e sud-orientali del paese, un quarto circa del territorio spagnolo.

Il comando del fronte centrale, rimasto di fat­to nelle mani di traditori capeggiati dal colon­nello Casado, fece fallire l'offensiva dell'eser­cito repubblicano in Estremadura e in An­dalusia.

I circoli dominanti della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti gettarono la ma­schera del non intervento. Il 10 febbraio 1939 i fascisti italiani e tedeschi e i ribelli spagnoli, con l'apporto dell'incrociatore bri­tannico "Devonshire", occuparono l'isola di Minorca. Contemporaneamente la Gran Breta­gna e la Francia esercitarono una forte pres­sione sul governo Negrín, chiedendo la cessa­zione della resistenza al fascismo. Il 14 feb­braio il governo francese inviò al governo re­pubblicano spagnolo la richiesta ultimativa di consegnare ai ribelli Madrid e il restante ter­ritorio della repubblica. Il 27 febbraio Gran Bretagna e Francia annunciarono il riconosci­mento del governo ribelle di Franco e la rot­tura delle relazioni diplomatiche con il gover­no repubblicano.

I sostenitori di Caballero, i capi degli anar­chici, i repubblicani borghesi, i partiti nazio­nalisti della Catalogna e delle regioni basche, tutti coloro che non credevano più nella vit­toria repubblicana appoggiarono le manovre degli imperialisti.

Il socialista di destra Besteiro e il colonnello Casado prepararono una congiura antirepub­blicana a Madrid.

I comunisti chiesero che Negrín realizzasse nel­l'esercito l'epurazione dai traditori e dai con­giurati, proposero di formare reparti speciali governativi sicuri, diretti da comandanti devo­ti al popolo per impedire ogni tentativo di col­po di Stato. Sotto la pressione delle masse Negrín accolse queste richieste.

I congiurati decisero allora di accelerare la loro azione. Il 4 marzo gli ufficiali fecero sol­levare a Cartagena la flotta e il giorno suc­cessivo fecero dirottare le navi da guerra verso Biserta.

Lo stesso giorno, a Madrid, Casado e Be­steiro annunciarono per radio la deposizione del governo del fronte popolare e la costi­tuzione di una "Giunta nazionale di difesa". Essi rivolsero il colpo principale contro il par­tito comunista, avanzando la parola d'ordi­ne provocatoria: "Un governo senza i comu­nisti". Diffondendo ogni sorta di calunnie contro il partito comunista e poggiando sugli elementi trotzkisti e anarchici e sugli ufficia­li traditori, la Giunta compì arresti di comu­nisti e ritirò truppe dal fronte per attaccare le unità militari rimaste fedeli al governo le­gittimo, scatenando una guerra a Madrid, a pochi chilometri dalle trincee nemiche. Si regi­strò allora la totale disgregazione dell'eser­cito e i fascisti ebbero la strada aperta. Il 19 marzo iniziarono le trattative di armi­stizio tra la "Giunta nazionale di difesa" e Franco. Ma questi, d'accordo con gli inter­ventisti, voleva trattare con i rappresentan­ti della Giunta solo l'immediata capitolazione. Il 26 marzo cominciò l'offensiva delle truppe fasciste, e la "Giunta nazionale di difesa" si affrettò ad abbandonare il paese. Casado raggiunse la Gran Bretagna a bordo di un cac­ciatorpediniere britannico.

Il 28 marzo 1939 le truppe franchiste, affian­cate dalle divisioni italiane, entravano a Madrid.

All'inizio di aprile l'intero territorio della re­pubblica era occupato dai ribelli e dagli inter­ventisti.

La repubblica spagnola, schiacciata dall'aggres­sione fascista e dal tradimento interno, ces­sava di esistere.


IL SIGNIFICATO DELLA GUERRA NAZIONALRIVOLUZIONARIA IN SPAGNA


La causa principale della sconfitta della repub­blica spagnola stava nell'intervento armato ita­lo-tedesco e nella politica del non intervento attuata dai circoli imperialistici. Contribuì an­che alla sconfitta l'assenza della necessaria compattezza nelle file del fronte popolare. La responsabilità di ciò va addebitata ai dirigen­ti socialisti di destra, capeggiati da Largo Ca­ballero, Prieto e Besteiro, ai dirigenti anar­chici, ai capi dei partiti repubblicani borghe­si. Per tutto il corso della guerra di libera­zione nazionale questi elementi scissionisti, temendo un ulteriore sviluppo della rivolu­zione, condussero una politica di disorganiz­zazione del fronte popolare, e alla fine capi­tolarono di fronte al nemico.

La lotta eroica del popolo spagnolo ebbe un grande significato internazionale. Respingen­do per tre anni il furioso attacco della con­trorivoluzione interna e internazionale, il po­polo spagnolo dimostrò ai lavoratori di tutti i paesi del mondo che per combattere con successo contro il fascismo e la reazione era necessaria una solida unità di tutte le forze democratiche antifasciste.

Avanguardia e forza dirigente della guerra di liberazione nazionale fu il proletariato spa­gnolo, guidato dal suo reparto di avanguar­dia, il partito comunista, l'unico partito del paese che seppe lottare in modo conseguente e fino in fondo per gli interessi del popolo. La condotta eroica dei comunisti per tutta la durata della guerra di liberazione nazionale, l'opera educativa da essi svolta tra le masse nello spirito dell'internazionalismo proletario e della lotta intransigente contro il nemico di classe estesero l'influenza del partito comuni­sta tra gli operai e tutti i lavoratori spagnoli. La guerra nazionale e rivoluzionaria del popo­lo spagnolo ebbe un grande significato inter­nazionale. Essa fu condotta non solo contro le forze reazionarie interne, ma anche contro l'offensiva del fascismo in Europa. Sui campi di battaglia spagnoli la causa della democra­zia e della pace si oppose alla reazione inter­nazionale e all'aggressione fascista. La lotta eroica del popolo spagnolo fu per tre anni una barriera eretta contro le forze imperiali­ste e fasciste, che avevano per scopo di sca­tenare un secondo conflitto mondiale.