Palmiro Togliatti

Contro le false analogie
tra situazione tedesca e situazione italiana

Da un intervento in una riunione del Comitato esecutivo della Internazionale. Pubblicato in Stato operaio, a. VI, n. 9, settembre 1932, da Palmiro Togliatti, Sul movimento operaio internazionale, Editori Riuniti, 1964, pp. 63-82


La situazione tedesca sta da parecchio tempo al centro del­l'attenzione del proletariato e del movimento comunista mon­diale. La Germania è uno dei paesi dove la crisi economica ha preso forme più acute, essa è uno dei nodi delle contraddizioni che lacerano il mondo capitalistico e spingono gli Stati impe­rialisti alla preparazione accelerata di una nuova guerra mon­diale, essa rappresenta uno degli anelli più deboli della catena dell'imperialismo. In Germania si compie oggi in modo più celere e più evidente che in qualsiasi altro paese capitalistico quel processo di polarizzazione delle forze di classe che venne descritto a questo modo nelle tesi dell'XI plenum della Inter­nazionale [1]:

«Il crescente malcontento delle grandi masse, l'influenza del comunismo in continuo aumento, l'accresciuto prestigio del paese della dittatura del proletariato, tutto ciò, da un lato, spinge la borghesia a utilizzare sempre più apertamente l'ap­parato di violenza della dittatura, e, dall'altro lato, conduce a una spinta rivoluzionaria crescente, alla maturazione, in certi paesi, delle premesse di una crisi rivoluzionaria».

Fra i paesi cui accenna in questo passo la risoluzione poli­tica dell'XI plenum, lo stesso plenum poneva in prima linea proprio la Germania. E, dall'XI plenum in poi, lo sviluppo della situazione tedesca è stato conforme alle analisi e alle pre­visioni della Internazionale e del partito tedesco. Il movi­mento fascista, approfittando di alcuni elementi della situazione tedesca, e in particolare delle condizioni create alla Germania dal trattato di Versailles, è riuscito a estendersi e rafforzarsi, ha fatto dei grandi passi in avanti, sorretto da una ondata nazionalistica che tocca, in misura più o meno grande, quasi tutti gli strati della popolazione. Sotto la spinta del movi­mento fascista, sotto la spinta della crisi economica che ha portato a un vero sfacelo della economia del paese, il pro­cesso di fascistizzazione dello Stato, il processo di instaura­zione di una dittatura fascista aperta ha fatto esso pure e sta facendo rapidi, impressionanti progressi. La socialdemocrazia ha favorito questo processo con tutta la sua politica, sforzan­dosi di portare il disorientamento e la disgregazione nelle file della classe operaia, di diffondere tra di esse, con la sua teoria del «minor male», la passività, di impedire con ogni mezzo la creazione di un fronte unico di lotta rivoluzionaria di classe contro la offensiva economica e politica della borghesia, con­tro la reazione, contro il fascismo. Ma, in pari tempo e mal­grado tutto, il proletariato rivoluzionario ha proceduto esso pure con un ritmo abbastanza celere alla mobilitazione delle sue forze; il partito comunista si è sviluppato e si è consoli­dato, ha esteso i suoi legami con le masse, è riuscito a ripor­tare nelle lotte elettorali (pure attraverso a qualche sbalzo, ine­vitabile in una situazione complicata e difficile come quella tedesca) delle vittorie estremamente importanti, le quali signi­ficano che esso incomincia a fare una breccia nelle file della socialdemocrazia, conquistando strati non indifferenti di ope­rai socialdemocratici.

È comprensibile che, in questa situazione, i compagni si interessino nel modo più vivo di ciò che accade in Germania, della situazione tedesca e delle sue prospettive, della situazione del partito tedesco e dei suoi compiti. Ed è pure com­prensibile la tendenza a cercare delle analogie nella situazione del nostro paese, dove il fascismo è andato al potere, dieci anni fa, in condizioni che a prima vista (ma solo a prima vista, e a chi non sappia condurre a fondo una analisi oggettiva) rassomigliano a quelle attuali della Germania. Ma è proprio nella ricerca e nel tentativo di fissare queste analogie che si commettono troppo spesso dei gravi errori, degli errori tali che impediscono di comprendere a fondo quale è il significato e quali sono le prospettive degli avvenimenti tedeschi. Non sarà male che da parte nostra si intervenga, sulla base della nostra esperienza, per mettere le cose a posto.

Molti, nelle file del movimento comunista internazionale, parlano del fascismo italiano, e molti sono coloro che dicono, a proposito del fascismo italiano, delle cose profondamente sbagliate. La causa di ciò è da cercare nel fatto che, spesso, le fonti cui si ricorre per lo studio del fascismo italiano sono fonti borghesi e socialdemocratiche, e gli autori borghesi e socialdemocratici o idealizzano il fascismo, oppure si limitano a descriverne lo sviluppo in modo episodico e aneddotico. Vi è chi scopre, ogni tanto, il fascismo italiano, e sulla base di un aneddoto, di un particolare, di un episodio talora insigni­ficante [2] costruisce delle analogie e teorie inconsistenti, le quali ostacolano la retta comprensione della realtà. Il processo di fascistizzazione dello Stato borghese non è un processo astrat­to, ma concreto, storico, il quale non può venire compreso se non lo si esamina in rapporto con le condizioni del periodo in cui esso si svolge e con la situazione oggettiva del paese in cui esso si compie. Lo sviluppo del movimento fascista mostra in tutti i paesi degli elementi comuni, ma, per quanto sia grande la importanza di questi elementi comuni, essi non sono sufficienti a determinare in ogni paese un eguale succe­dersi di tappe e di avvenimenti. La conoscenza degli elementi comuni è la migliore guida per comprendere la sostanza del fascismo e i suoi obbiettivi, ma le vie concrete della evolu­zione del movimento fascista in ogni paese, il modo e le forme in cui gli obbiettivi del fascismo si realizzano in ogni paese non possono essere compresi e meno ancora possono essere determinati sulla base di un qualsiasi schema ricavato, per via di analogia, dalla esperienza italiana.

Bisogna quindi anche andare cauti nel parlare del fasci­smo italiano come di un fascismo «classico». È necessario stabilire esattamente che cosa si intende con questa espres­sione. Il fatto che il fascismo italiano si sia sviluppato e affermato prima che uno sviluppo analogo si compisse in qualsiasi altro paese non è segno sufficiente di «classicismo». L'espressione può essere impiegata solamente per indicare determinati risultati che sono stati raggiunti dal fascismo nella organizzazione dello Stato come dittatura aperta della borghesia, completamente indipendente dal sistema dei partiti e dal parlamento. In questo senso l'espressione viene usata nelle tesi del VI Congresso mondiale, dove si dice che «il fascismo italiano... è riuscito, negli ultimi anni, ad attenuare le conseguenze della crisi politica ed economica interna, e ha creato un tipo classico di regime fascista».

Se, in questo senso, è giusto parlare del fascismo italiano come fascismo «classico», sarebbe però egualmente errato ar­rivare alla conclusione che una dittatura fascista esiste solamente quando questo tipo «classico» di Stato fascista si è realizzato e non esiste quando questo tipo di Stato non è rea­lizzato oppure è realizzato solamente in parte. Questa prima considerazione ha una certa importanza in rapporto al giudizio che si dà della situazione tedesca. In Italia esisteva un regime fascista, una dittatura fascista prima che venisse realizzato il tipo «classico» di Stato fascista. Esisteva una dittatura fa­scista nel 1923, quando Mussolini era il capo di un governo di coalizione di partiti, con partecipazone dei cattolici e dei democratici. Il governo fascista del 1923 aveva una maggio­ranza nel parlamento, ma non si appoggiava su questa maggio­ranza, e nessuno può dire che fosse un governo parlamentare. Lo stesso si può dire, con qualche differenza, del governo di Brüning, che esistette in Germania sino alla metà del 1932. Par datare il mutamento nelle forme di governo della borghe­sia tedesca dal giorno in cui Brüning venne messo alla porta, basandosi esclusivamente sul fatto che Brüning aveva nel Reichstag una maggioranza e i suoi successori non l'hanno più, è evidentemente un errore, il quale porta a negare o a svalutare gli elementi di dittatura fascista che vi erano già nello stesso governo di Brüning. Per tornare all'esempio italiano, vi era una dittatura fascista in Italia, nel 1925, quando il nostro par­tito era ancora legale e poteva ancora servirsi della tribuna del parlamento e anche nella prospettiva della situazione italiana non si può affatto escludere che in un determinato momento, sotto la spinta di una situazione acuta e sotto la minaccia di un movimento di massa potente, il fascismo cerchi di tornare, in qualche modo, sui suoi passi, e dia una certa «libertà», sulla base di un compromesso politico, a determinati gruppi di opposizione, per riuscire, mediante l'azione di questi gruppi, a frenare lo spostamento delle masse popolari sul terreno dell'azione rivoluzionaria di classe. L'esistenza in seno alla social­democrazia italiana di una corrente (Barro) che sostiene la inevitabilità e la necessità del compromesso con il fascismo, e tutto l'atteggiamento della socialdemocrazia italiana contribui­scono a rendere verosimile questa prospettiva. Naturalmente, una prospettiva simile è legata a quella della maturazione di tutti gli elementi di una situazione rivoluzionaria in Italia, ma è bene avere accennato ad essa per sottolineare meglio che anche il tipo «classico», italiano, di dittatura fascista non può essere considerato come qualcosa di fisso, di rigido, di immu­tabile. Anche la dittatura fascista più feroce può fornicare, se le conviene e se le circostanze la costringono, con le forme del regime parlamentare e con il sistema dei partiti.

Ma un errore assai più grave è quello che consiste nel par­tire dalla definizione del fascismo italiano come fascismo «clas­sico» per concludere che deve essere considerata come «clas­sica», cioè obbligatoria in ogni caso e in ogni paese, la linea di sviluppo che il fascismo italiano ha seguito per giungere alla conquista del potere e dopo di essa. Una simile conclu­sione non può avere altra conseguenza che di limitare e per­sino di paralizzare completamente la capacità di comprendere lo sviluppo della situazione in quei paesi dove il fascismo è o sta per diventare il fattore politico predominante, e la capa­cità di adattare a questo sviluppo la nostra politica, le nostre parole d'ordine, la nostra azione. Questa idealizzazione della linea di sviluppo del fascismo italiano è la sorgente di tutte le false analogie tra la situazione tedesca odierna e la situazione italiana del 1922. Bisogna sbarazzare il terreno di queste false analogie; bisogna sostituire, al metodo errato delle analogie esteriori e ingannatrici, il giusto metodo marxista dell'analisi esatta di tutti gli elementi della situazione e del modo come essi si intrecciano e si muovono.

Chi ha toccato il colmo delle sciocchezze, ostinandosi a voler giudicare gli avvenimenti tedeschi secondo uno schema astratto, ricavato da una certa interpretazione - che poi non è nemmeno giusta - dello sviluppo del fascismo italiano e della sua marcia al potere, è Trotski. Trotski è ipnotizzato da quel caratteristico colpo di Stato fascista - per metà plebeo, per metà dinastico e militare, - che fu la marcia su Roma. Sino a che non vi è «marcia su Roma» non vi è dittatura fascista: ecco tutta la saggezza del trotskismo. La «marcia su Roma» segna il capovolgimento qualitativo della situazione, la linea di demarcazione tra il non fascismo e il fascismo. Tutta la politica comunista deve essere orientata secondo que­sto schema. La «marcia su Roma» è il momento che decide tutto.

Questo modo di giudicare, che ricorda, per le conseguenze politiche che se ne traggono, i vecchi errori trotskisti del 1917 e del 1923, sulla rivoluzione «a data fissa», deriva per gran parte dal fatto che viene attribuita una funzione prevalente e determinante, nello sviluppo del fascismo, al movimento piccolo-borghese e alle sue forme esteriori. Trotski ripete l'errore che venne compiuto, nella valutazione del fascismo, dalla de­stra del partito polacco. Il movimento di piccola borghesia e degli strati di spostati che formano la base di massa delle organizzazioni fasciste non può essere considerato né come un elemento indipendente né come l'elemento determinante la evoluzione del fascismo e la sua marcia verso il potere. L'ele­mento determinante è dato, in ogni caso, dal grande capitale finanziario e dagli strati dirigenti della borghesia, dagli scopi immediati e lontani che questi gruppi dirigenti perseguono, dai loro spostamenti, dai contrasti che si sviluppano nel loro seno sotto la spinta della situazione oggettiva. L'esperienza italiana è, a questo proposito, assai istruttiva. Il movimento fascista incominciò ad avere una parte decisiva nella vita poli­tica italiana solamente alla fine del 1920, quando i gruppi decisivi del capitalismo industriale e finanziario ebbero deciso di porsi, senza più nessuna esitazione, sulla via della repres­sione violenta, aperta, terroristica del movimento rivoluzionario delle masse operaie e contadine. I fatti di Palazzo d'Accursio tennero dietro di poche settimane alle riunioni delle associa­zioni padronali in cui erano state tracciate le direttive di que­sta repressione. Da allora e per tutta la successiva evoluzione del movimento e del regime fascista, se, in alcuni momenti, l'elemento plebeo e piccolo-borghese sembra prevalere, ciò è soltanto nelle forme, nella esteriorità, nella teatralità, nella demagogia, mentre la sostanza è sempre data dalla realizza­zione senza scrupoli della politica reazionaria della grande borghesia che esercita in pieno, in regime fascista, la propria dittatura. La stessa marcia su Roma non la si può compren­dere se non si tiene presente che essa fu preceduta non solo dalla distruzione quasi completa delle organizzazioni operaie alla base, ma dall'accordo esplicito dei fascisti con le maggiori banche del paese, con gli agrari, con gli strati decisivi dell'in­dustria, con il Vaticano e con una parte dello stato maggiore dell'esercito [3]. Quando il re e Mussolini dettero il segnale del raccoglimento a Roma delle bande fasciste essi, in sostanza, non fecero che sanzionare l'esito di un processo che già si era compiuto per grande parte e che doveva trovare il suo coronamento nei successivi sviluppi del regime fascista.

La idealizzazione del processo di sviluppo del fascismo ita­liano e della sua marcia al potere è alla base della propaganda di panico, di disfattismo, di provocazione di cui Trotski ha lanciato la parola e che la stampa trotskista conduce da alcuni mesi a proposito della situazione tedesca. Dopo avere, a par­tire dal 1926, profetizzato e annunciato, di sei mesi in sei mesi, il Termidoro e la controrivoluzione in Russia, Trotski profetizza e annuncia oggi, di settimana in settimana, la «mar­cia su Roma» del fascismo tedesco e la disfatta del proleta­riato e del suo partito. Per parare a questa disfatta egli non trova più altro e non trova di meglio che invocare... l'inter­vento dell'Esercito rosso in Germania.

Ancora più caratteristica è la incapacità di Trotski di comprendere quale è la sostanza del regime attuale in Germania, il carattere di dittatura fascista, anche se non ancora di dittatura fascista «classica», perfetta, del governo di von Papen. «Un tale governo - scrive Trotski - non cessa di essere il commesso dei possidenti. Ma il commesso è seduto sulla schiena del padrone, gli ferisce la nuca e non si fa scrupolo, se occorre, di passargli i suoi stivali sulla faccia»; esso è «indi­pendente dalla società». Una definizione analoga del governo di von Papen viene data oggi dalla stampa fascista tedesca, la quale ha interesse, per alimentare la propria demagogia, di applicare al governo attuale la dottrina schiettamente fascista dello Stato superiore alle classi. La realtà è che il governo attuale è un governo di tipo fascista, che si appoggia sugli strati decisivi della industria, della proprietà fondiaria e della finanza, sulla forza armata della Reichswehr e degli elmi d'acciaio e sulle squadre d'assalto fasciste, che è giusto dire che esso tiene «in riserva». La realtà è che la base politica e so­ciale di questo governo è data essenzialmente dalla offensiva spietata che esso conduce contro i diritti politici e contro il livello di esistenza della classe operaia. Esso conduce una cam­pagna di riduzione dei salari, smobilita il sistema delle assi­curazioni sociali e contro la disoccupazione, e si sforza di co­prire questa sua politica antioperaia brutale con una maschera di demagogia sociale che sembra essere ricalcata su quella di Mussolini e dei suoi gerarchi. Per rappresentare la situazione del governo tedesco attuale il signor Trotski non trova di me­glio che il confronto con un tappo il quale si regge in equili­brio sulla punta di uno spillo perché sono state infitte in esso due forchette, una da una parte e una dall'altra, simmetrica­mente. Confondere con una punta di spillo la punta delle cen­tomila baionette della Reichswehr e delle centinaia di migliaia di elmi d'acciaio e di fascisti è veramente un colmo, anche per un rinnegato del marxismo e del comunismo.

Bisogna quindi essere pienamente d'accordo con l'afferma­zione che, se si vuole riuscire a comprendere bene quali sono i tratti caratteristici della situazione tedesca odierna, non solo non si può partire dalle analogie esteriori con la situazione ita­liana del tempo della marcia su Roma, ma bisogna invece sottolineare le differenze tra queste due situazioni. Per gli scopi che mi propongo, sarà sufficiente indicare alcuni punti, i principali.

La prima differenza, la più importante, quella che salta agli occhi immediatamente, è quella che passa tra il periodo in cui si è compiuta la marcia su Roma e il periodo attuale. Allora eravamo alla fine del primo periodo del dopoguerra e alla vigilia dell'inizio del periodo di stabilizzazione relativa del capitalismo. Oggi siamo nel cuore del terzo periodo, nel cuore di una crisi economica di ampiezza e di profondità non mai vedute, di una crisi che ha avuto e ha le sue manifestazioni più gravi precisamente nella Germania. Oggi la stabilizzazione relativa del capitalismo è finita, il mondo capitalistico si avvia con un ritmo accelerato verso un nuovo periodo di conflitti armati e di urti violenti di classe, di guerre e di rivoluzioni. Non sono necessari ragionamenti molto lunghi per spiegare come questa differenza nella caratteristica generale del periodo che si attraversa ha come conseguenza una profonda diversità nello sviluppo degli avvenimenti e nella loro prospettiva.

In secondo luogo è necessario fermare l'attenzione sulla linea di sviluppo del movimento delle masse. Spesse volte si sente ripetere, anche oggi, l'affermazione che il proletariato italiano non si è battuto per contrastare il passo al fascismo prima della marcia su Roma. Questa affermazione è storicamente falsa. Basta pensare che per due anni di seguito, dai fatti di Palazzo d'Accursio sino alla vigilia della marcia su Roma, i movimenti di massa contro il fascismo si succedet­tero in ogni regione, in ogni città, che non vi fu centro im­portante dell'Italia nel quale non si sia risposto alle violenze fasciste con uno sciopero politico generale, che in parecchie località (Firenze, Roma, Bari, Parma, Sarzana, Ancona, ecc. ecc.) gli scioperi generali contro le violenze fasciste ebbero un aperto carattere insurrezionale, per comprendere quanto que­sta affermazione sia falsa e quanto sia falsa la rappresenta­zione di un proletariato italiano che non si sarebbe battuto contro il fascismo. La verità è che questi scioperi di massa - ognuno dei quali era incomparabilmente più vasto e più importante di tutti gli scioperi politici contro il fascismo che hanno avuto luogo sino ad ora, ad esempio, in Germania - si compivano sopra una linea discendente del movimento ope­raio e mentre non esisteva ancora un partito comunista il quale avesse la capacità politica e organizzativa di unificare e dirigere tutta la lotta del proletariato contro il fascismo. Malgrado ciò, ancora due mesi prima della marcia su Roma, tutta l'Italia fu scossa da uno sciopero generale, durante il quale il partito comunista riuscì a esercitare una influenza decisiva so­pra le masse in intiere regioni. Ma questo sciopero generale fu l'ultimo, per cui si può dire che quando il fascismo prese il potere i combattimenti decisivi della guerra civile erano or­mai dietro di noi. In Germania invece, oggi che la dittatura fascista è già a un punto avanzato della sua realizzazione, sia­mo ancora alla vigilia della guerra civile: i combattimenti decisivi stanno ancora davanti a noi, e il movimento delle masse si sta sviluppando, sopra una linea ascendente, nella direzione di questi combattimenti decisivi. Tutto lo schiamazzo disfattista di Trotski è una conseguenza del fatto che egli ripete oggi l'errore che egli stesso rimproverava a Brandler nel 1923: egli confonde il davanti con il didietro della rivo­luzione.

Ma, oltre a questi due, è necessario sottolineare tutta una serie di altri elementi, per cui le condizioni politiche della Germania di oggi differiscono abbastanza profondamente dalle condizioni in cui si trovava l'Italia alla vigilia della marcia su Roma. Il raggruppamento delle forze della borghesia italiana attorno al fascismo incominciò, come abbiamo detto, ben pri­ma della marcia su Roma. Al tempo della marcia su Roma esso aveva già raggiunto un certo grado. Malgrado ciò, i passi decisivi nella fascistizzazione dello Stato ebbero luogo sola­mente dopo la marcia su Roma e solo dopo la marcia su Roma il processo di raggruppamento delle forze dirigenti borghesi si compì, entro i quadri della dittatura fascista. Al tempo della marcia su Roma, l'apparato dello Stato era ancora per grande parte in stato di decomposizione. Una grande parte dei vecchi uomini di Stato della borghesia erano profondamente demoralizzati. La situazione, cioè, era molto diversa da quella che esiste oggi in Germania, dove il processo di fascistizzazione dello Stato è incominciato e dura da anni, dove alcune parti fondamentali dell'apparato statale sono ancora solide e resi­stenti, dove il governo di Brüning giustamente ha potuto essere definito un governo che applicava la dittatura fascista e l'attuale governo di von Papen, pur non potendo ancora essere considerato come una dittatura fascista completa, è però, senza alcun dubbio, un governo fascista, un governo che realizza la dittatura fascista con un ritmo accelerato. Queste differenze sono naturalmente legate a tutte le diversità che esistono fra la struttura sociale e politica dei due paesi, al peso diverso che vi ha la classe operaia, alle sue forme di organizzazione, alla misura nella quale la socialdemocrazia si è essa stessa fascistizzata ed integrata nel sistema dello Stato reazionario e fascista. Esse sono inoltre collegate, nel modo più stretto, alla posizione internazionale della Germania, di cui bisogna tenere conto ogni volta che si parla dello sviluppo della situazione tedesca.

In tutte queste differenze tra il modo come è avvenuto in Italia e il modo come avviene in Germania il raggruppamento delle forze dirigenti della borghesia deve essere ricercata la causa del fatto, apparentemente contraddittorio, che il fasci­smo italiano, il quale non ha mai posseduto una forza di massa nemmeno lontanamente comparabile con quella del fascismo tedesco, è andato al potere attraverso un colpo di Stato di carattere plebeo, dinastico e militare, mentre in Germania la instaurazione della dittatura fascista si compie in modo assai più complicato, per via «secca» come dicono i tedeschi, attra­verso una serie di colpi di Stato di tipo burocratico e militare, e non può essere esclusa la prospettiva di una realizzazione completa della dittatura fascista senza che intervenga un fatto simile alla marcia su Roma.

Da ultimo è necessario soffermarsi a esaminare brevemente quale è la composizione sociale del movimento fascista nei due paesi. Naturalmente bisogna anche qui tener conto della dif­ferente struttura sociale dei due paesi e della diversità del pe­riodo, il che determina diversi movimenti di classe. Ma la massa fondamentale, è tanto in un caso come nell'altro, pic­colo-borghese. La particolare situazione internazionale in cui si trova la Germania consente al fascismo tedesco di sviluppare un'ampia campagna sciovinista, la quale contribuisce notevol­mente ad accrescere la solidità del movimento fascista, soprat­tutto per il successo che essa ha nella massa della borghesia piccola e media. Se si considera però quale è, oggi, il program­ma economico dei gruppi dirigenti della borghesia tedesca si vede che la inflazione è un elemento fondamentale di questo programma. Il fascismo italiano, al potere, ha fatto, in un momento per esso estremamente grave (1926-27), una politica di deflazione, la quale ha contribuito ad accontentare deter­minati strati di piccola e media borghesia. L'attuale governo tedesco si è già messo, invece, sulla via dell'inflazione, e su questa via dovrebbe tenersi, probabilmente, anche un governo fascista «puro» che gli succedesse. Le conseguenze che que­sta politica può avere sulla solidità della base che il fascismo ha nella piccola e media borghesia urbana sono evidenti. Se guardiamo alla piccola borghesia rurale, un fatto di estrema importanza salta immediatamente agli occhi. La base di massa del fascismo italiano, nelle campagne, era prevalentemente data da contadini ricchi e da contadini medi in via e in cerca di arricchimento, ma per i quali la prospettiva dell'arricchi­mento dipendeva dal fatto che fosse recato un colpo decisivo al movimento rivoluzionario degli operai agricoli e dei conta­dini poveri. Il fascismo vibrò questo colpo decisivo, spezzò la forza organizzata e lo slancio rivoluzionario degli operai agri­coli e dei contadini poveri e in questo modo aprì la strada al­l'affermarsi di nuovi strati di piccola borghesia campagnola. Esso, in una parola, dette qualche cosa alla massa di contadini medi e ricchi che lo sosteneva nelle campagne. Ben diversa è la situazione della Germania, dove il fascismo raccoglie attorno a sé, nelle campagne, degli strati di contadini in via di impoverimento, rovinati dalla crisi e dalle imposte, semiprole­tarizzati, cioè degli strati sociali cui esso non è in grado di dare nessuna soddisfazione economica, che sono anzi destinati a subire sempre più fortemente, nel prossimo avvenire, le conseguenze della crisi. Se passiamo alla classe operaia, mentre il fascismo italiano non aveva tra gli operai né tra i disoccupati alcuna base di massa, una simile base possiede il fascismo tede­sco, in misura relativa nelle officine, ma in misura non indif­ferente tra i disoccupati. E anche qui sorge la questione. Alla lunga, che cosa potrà dare il fascismo a questi elementi operai che oggi lo seguono? Per tutti questi motivi il movimento fascista tedesco, con i suoi tredici milioni di elettori, appare, in questo momento, interiormente più debole di quanto non fosse agli inizi il movimento fascista italiano, e le prospettive di una sua disgregazione interiore si presentano in modo più favorevole di quanto non si presentassero in Italia al tempo della marcia su Roma.

Il problema della composizione sociale del movimento fa­scista e delle prospettive di una sua decomposizione interna è di estrema importanza per la soluzione del problema gene­rale delle prospettive di tutta la situazione tedesca. Le pro­spettive che vengono tracciate in questo momento dalla Inter­nazionale e dal Partito comunista di Germania sono giuste. In particolare è giusto affermare e sottolineare che la nostra prospettiva è essenzialmente quella dello sviluppo del movimento delle masse. Lo sviluppo del movimento delle masse condizio­nerà la misura e il modo in cui il governo attuale riuscirà a realizzare i propri piani, e condizionerà tutta la ulteriore evo­luzione del fascismo.

Due osservazioni è però necessario fare, onde precisare il senso di questa affermazione fondamentale. La prima è che lo sviluppo del movimento delle masse, se da un lato ostacolerà la realizzazione dei piani del governo attuale, avrà pure un effetto opposto. La reazione sviluppa le forze della rivoluzione, e lo sviluppo delle forze della rivoluzione, a sua volta, spinge allo sviluppo e al raggruppamento delle forze della reazione. Il movimento delle masse, sviluppandosi in modo impetuoso, potrà accelerare, in certi momenti e in condizioni determinate, il processo di instaurazione di una dittatura fascista completa. Anche in Italia questo processo si è compiuto per balzi suc­cessivi, sotto la spinta delle difficoltà obbiettive. Il Partito comunista tedesco deve tenere presente, nel determinare la sua tattica e nella organizzazione del suo lavoro, che esso si troverà senza dubbio ancora di fronte a sviluppi molto rapidi, a brusche svolte della situazione, a rotture di continuità. Per­ciò esso è oggi, tra i partiti della Internazionale, quello cui occorre maggiore fermezza ideologica, più grande capacità di analisi esatta e di comprensione della situazione oggettiva e un massimo di spirito di lotta e di iniziativa.

La seconda osservazione riguarda il modo come è necessa­rio intervenire per sviluppare il movimento delle masse. All'infuori delle forze che già si raccolgono dietro al partito comunista esistono oggi in Germania due grandi campi di forze di massa, da una parte le masse operaie socialdemocratiche e cattoliche, dall'altro lato le masse eterogenee che il fascismo è riuscito a raccogliere e trascinare dietro a sé. Tutto lo sviluppo della situazione dipende dalla rapidità con la quale l'uno e l'altro di questi due campi si disgregheranno e dalla profondità della disgregazione. L'azione del nostro partito deve consistere nell'accelerare con tutti i mezzi questo processo, sforzandosi di sviluppare, in un campo e nell'altro, i contrasti e la lotta aperta di classe. Non vi è dubbio che la eliminazione di fatto del parlamento dalla vita politica del paese e la offensiva con­tro il salario degli operai, per la revisione di tutti i contratti di lavoro collettivi e per la smobilitazione del sistema delle assicurazioni sociali avranno come conseguenza immediata di rendere la massa dei lavoratori più attiva per la lotta fuori del parlamento, per la difesa del suo interesse immediato. Una «vivificazione», in un certo senso, delle organizzazioni sin­dacali riformiste e cattoliche alla base non può essere esclusa. Certa è l'attivazione delle masse che fanno parte di queste organizzazioni. Perciò il lavoro nei sindacati riformisti deve essere posto dal partito tedesco in primo piano. In quale mi­sura e con quale rapidità riusciremo a rompere il fronte della socialdemocrazia, a staccare le masse operaie socialdemocrati­che e cattoliche dai loro dirigenti, a realizzare con esse un fronte unico di combattimento di classe? In che misura riu­sciremo a portare e sviluppare la lotta di classe nel seno stesso delle organizzazioni fasciste, e con quale rapidità? Ecco i pro­blemi dalla soluzione dei quali dipende lo sviluppo della situa­zione e la soluzione dei quali dipende essenzialmente da noi, dalla nostra buona politica, dal nostro lavoro.

Quali esperienze ha fatte il nostro partito, il Partito comu­nista d'Italia, nella lotta contro il fascismo? Il tema, come si comprende agevolmente, è molto ampio e richiederebbe grandi sviluppi. Vi sono però tre punti principali, che ritengo neces­sario toccare, perché sono direttamente collegati con i proble­mi di cui mi sono occupato sopra. Si tratta, in sostanza, di tre errori fondamentali, che il nostro partito ha compiuto nel corso della sua lotta contro il fascismo, e che hanno forte­mente influito sulle sorti di questa lotta.

Il primo errore riguarda il modo di applicare, nella lotta contro il fascismo, la tattica del fronte unico. Il nostro partito non ha saputo applicare la tattica del fronte unico in modo corrispondente alle esigenze della lotta contro il fascismo, quali esse derivavano dalla situazione e venivano sentite dalle masse. I più gravi errori in questo campo vennero compiuti prima della marcia su Roma e contribuirono grandemente a modi­ficare il corso del movimento delle masse, le quali mostra­vano di possedere ancora delle enormi possibilità di resistenza e controffensiva. Gli sforzi eroici compiuti dalle masse lavora­trici italiane in questo periodo rimasero senza direzione, senza guida, senza coordinazione. La storia della lotta del proleta­riato italiano contro il fascismo, prima della marcia su Roma, è una storia di combattimenti staccati, che non riescono a fon­dersi insieme, nel corso dei quali il proletariato non riesce a unire tutte le sue forze in un unico fronte organizzato. È vero che noi eravamo un piccolo partito di 30.000 membri, appena uscito da una scissione, ben lontano dal possedere e persino dal comprendere bene quali sono le qualità e quali sono i compiti di un partito bolscevico. Il Partito comunista di Ger­mania è oggi un partito di centinaia di migliaia di membri, che si è temprato in ogni genere di lotte, che ha già fatto grandissimi passi sulla via della sua bolscevizzazione. Il problema si presenta quindi, per esso, in termini più facili. Lo sviluppo che ha assunto negli ultimi tempi l'«azione antifascista» è un segno dei più promettenti. È giusto sostenere, come so­stiene il partito tedesco, che l'azione antifascista deve assu­mere le forme più varie, svilupparsi in tutti i campi. Ma è giusto in pari tempo insistere nell'affermare che il partito deve fare uno sforzo particolarmente grande per riuscire a unificare politicamente e organicamente la lotta delle masse contro il fascismo. Ciò non si potrà ottenere se non mediante la pro­paganda e l'agitazione della parola d'ordine dello sciopero po­litico di massa e dello sciopero generale. Queste parole d'or­dine non debbono cadere all'improvviso, sulla testa delle mas­se, quando ci si trova a una svolta brusca della situazione. Il partito deve preparare lungamente, attraverso tutto il suo la­voro di massa, attraverso il suo lavoro politico e di organizza­zione, attraverso lo scatenamento di tutta una serie di lotte parziali, economiche e politiche, la realizzazione della parola dello sciopero generale. Il fatto che esso riesca a realizzare questa parola d'ordine potrà avere, nei prossimi sviluppi della situazione, una importanza decisiva nei momenti decisivi.

Il secondo punto sul quale voglio attirare l'attenzione è relativo alla funzione del partito stesso nella lotta contro la dittatura fascista. Quando il fascismo ebbe preso il potere (e ho già spiegato che la presa del potere fu solamente uno dei momenti della instaurazione della dittatura fascista), nelle file del nostro partito si diffuse la concezione che la funzione del partito fosse ormai quella di aspettare, approfondendosi nella illegalità il momento di nuove lotte decisive. Il partito non comprendeva che queste lotte decisive non potevano giungere se non come conseguenza di un lavoro continuo, tenace, svolto dal partito tra le masse per spingerle e dirigerle, in qualsiasi situazione, alla lotta contro il fascismo partendo dalle loro ri­vendicazioni immediate economiche e politiche. L'errore del nostro partito era un errore opportunista di destra, che si ma­scherava spesso di sinistrismo e che portò il partito a rinchiudersi in se stesso, a divenire una setta. Legata a questo errore erano la concezione della illegalità del partito come un semplice mezzo di difesa e di conservazione, la tendenza all'eccessivo «illegalismo» la incapacità di battersi sino all'ultimo sul ter­reno legale, di difendere, sino all'ultimo, la legalità del nostro movimento. La conseguenza di tutte queste cose fu che il par­tito si trovò completamente sprovvisto, distaccato dalle masse e privo, quindi, di una seria capacità di azione, nel momento in cui, sotto la spinta delle sue contraddizioni interne e del malcontento generale, il regime fascista vacillò e fu perfino presso a cadere, nel 1924, dopo l'assassinio di Matteotti.

Il terzo punto riguarda la concezione stessa del fascismo e il giudizio sulle prospettive di vita e di resistenza del regime fascista. Prima della marcia su Roma e per un certo periodo dopo di essa fu abbastanza diffusa anche nelle nostre file l'opi­nione che il fascismo non avrebbe potuto governare, che una volta al governo esso si sarebbe smascherato e «svuotato» da sé, e così via. Poco dopo la marcia su Roma, appariva sulla rivista del partito un editoriale di commento degli avveni­menti, e il senso di questo scritto era su per giù questo: «La commedia continua». Il proletariato italiano e il nostro par­tito hanno provato duramente, sulle loro proprie spalle, di che razza di commedia si trattasse.

Tutti questi falsi giudizi erano legati alla falsa opinione che il fascismo avrebbe potuto disgregarsi da sé, per lo svi­luppo delle sue contraddizioni interne. Quindi anche i movi­menti di opposizione all'interno del fascismo venivano spesso giudicati erroneamente. L'esistenza di correnti di opposizione, frondiste, irrequiete, è una cosa inevitabile nelle file di un movimento di masse piccolo-borghesi. L'esistenza di queste correnti diminuisce, senza dubbio, in momenti determinati, la solidità e la compattezza del movimento, ma è un errore con­siderare che essa sia sempre e solamente un elemento di decom­posizione. La cosa è molto più complicata. In Italia, ad esem­pio, nei momenti decisivi della evoluzione del fascismo, la esi­stenza di correnti di opposizione è stata molto utile al nostro nemico. Essa è servita a impedire che il malcontento esistente negli strati della piccola borghesia fascista alimentasse una lotta aperta contro il regime, è servita a contenere questo mal­contento sul terreno stesso del fascismo. Nei momenti più gravi, le opposizioni esistenti all'interno del fascismo sono apparse e hanno operato come delle riserve del fascismo stesso. Nel 1924 il fascismo non fu salvato da Mussolini, ma da Fari­nacci, dal capo della estrema opposizione fascista, dal Goebbels del fascismo italiano. Ma perché questo ha potuto avve­nire? Uno dei principali motivi è che il nostro partito non comprese la necessità e non seppe, sin dai primi momenti e durante tutto lo sviluppo del fascismo, penetrare nelle file delle organizzazioni fasciste di massa, per seminarvi e svilup­parvi i germi della lotta di classe. Essendo noi assenti, essendo assente il lavoro organizzato di una avanguardia rivoluzionaria, le correnti di malcontento e di opposizione esistenti in seno al fascismo non sono mai riuscite, sino ad ora, a svilupparsi in modo radicale, a diventare un potente fattore di disgregazione delle forze fasciste. Per questo noi riconosciamo che è giusta l'affermazione che oggi viene fatta dai compagni tedeschi, che non è possibile battere il fascismo se non si riesce a penetrare nel fronte di Hitler. Questa affermazione è, per noi, un assio­ma. E bisogna trarre da essa tutte le conseguenze politiche e organizzative. Non basta distribuire ogni tanto dei manifestini ai fascisti. È un errore d'altra parte procedere come qualche volta abbiamo proceduto noi, cioè facendo uscire dalle file della organizzazione fascista tutti gli elementi di base che si riesce a influenzare. Questa pratica è sbagliata, perché essa si riduce, di fatto, a una epurazione delle file fasciste. E' necessario pene­trare in queste file, riuscire a svolgere in esse, a contatto con gli elementi proletari o vicini al proletariato, un lavoro conti­nuo, intelligente, paziente, sfruttando tutte le particolarità del­la vita di queste organizzazioni, tutti i loro contrasti interiori, attaccandosi a tutte le possibili rivendicazioni dei loro elementi di base onde ridestare in essi la coscienza di classe, staccarli dalla ideologia fascista, estendere all'interno stesso del fascismo il fronte della nostra lotta. Questo è, senza alcun dubbio, il punto più importante della esperienza che il nostro partito ha fatto nella lotta contro il fascismo. Ho già detto che vi è una grande differenza tra il Partito comunista di Germania e il no­stro. Noi abbiamo molto appreso dal PC di Germania e dob­biamo studiare e utilizzare a fondo la sua esperienza; ma ai compagni tedeschi, forti della esperienza nostra, possiamo dare, a nostra volta, questo consiglio: imparate, sin dai primi mo­menti, a svolgere un lavoro di massa nelle organizzazioni avver­sarie, studiate a fondo le forme, i metodi di questo lavoro. Noi abbiamo pagato molto duramente il fatto di non aver appreso questa lezione sin dai primi tempi del fascismo. Se avessimo appreso a tempo questa lezione forse non ci troveremmo oggi in una situazione di illegalità così rigorosa, così soffocante, avremmo trovato più presto e meglio la via del contatto con le grandi masse, non avremmo mai perduto questo contatto. Pos­sa la nostra esperienza non essere vana. Possa essa servire ai partiti i quali già si trovano o si troveranno in avvenire a la­vorare e combattere nelle condizioni che noi conosciamo da sì lungo tempo.


Note


[1] L'XI plenum del Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista si era svolto nell'aprile del 1931 (n.d.r.).
[2] Nel n. 16 della rivista Der rote Aufbau il compagno Wittfogel, ba­sandosi sopra un elogio di Kurt Eisner fatto da Mussolini in un articolo del 1919, scopre in Kurt Eisner una specie di padre spirituale del fa­scismo italiano, almeno per ciò che riguarda il programma del 1919. È evidente che la scoperta non ha maggior valore di tutte le altre scoperte di «precursori» e «fonti» di questo o quel movimento, che i filologi tedeschi sono soliti fare sulla base di avvicinamenti occasionali. Negli articoli di Mussolini non si trova solo Kurt Eisner, si trovano Sorel, Berg­son, Pareto, Croce, Gentile e persino Lenin e Trotski. Tutto questo è proprio di un rigattiere della cultura, come Mussolini è sempre stato. Il programma di Kurt Eisner contiene, come quello dei fasci del 1919, tutta una serie di elementi che sono comuni a tutti i programmi di «riforma sociale» che pullularono, nell'immediato dopoguerra, nel campo dei mo­vimenti piccolo-borghesi. L'avvicinamento di Mussolini a Kurt Eisner mette in luce questo elemento comune, - il quale è del resto abbastanza generico, - ma non ci fa progredire molto nella comprensione esatta di ciò che veramente è stato il fascismo italiano, di quello che è Mussolini, e nemmeno serve a farci capire bene cosa era Kurt Eisner.
[3] Per contestare la esattezza di queste costatazioni un compagno mi parlava dei «cinque minuti di fuoco» minacciati ai fascisti (secondo quanto si racconta) dal generale Badoglio. A parte la esattezza del racconto, la chiave per la comprensione della questione sta proprio nel fatto che Badoglio minacciò cinque minuti di fuoco, ma non li fece, non li potè fare.