Il passaggio storico del VII Congresso
dell'Internazionale comunista

Premessa

Preparare i partiti comunisti ad affrontare la nuova guerra imperialista e battere il fascismo come nemico principale. Questi sono i due obiettivi su cui si concentra la discussione di quello che poi risulterà essere l'ultimo congresso dell'Internazionale comunista. Ma al momento in cui il congresso si riunì non si parlava affatto di scioglimento bensì di come prepararsi alle nuove sfide.

Il VII congresso dell'IC è stato presentato nel dopoguerra come un evento dedicato soprattutto all'unità antifascista. Esso mostra invece come i partiti comunisti e l'URSS si stavano preparando a una prova storica da cui non solo uscirono vittoriosi - la bandiera rossa sul Reichstag ne fu il simbolo - ma che avrebbe modificato i rapporti di forza a livello mondiale, facendo del movimento comunista un punto essenziale dell'equilibrio internazionale.

La versione 'antifascista' degli avvenimenti rappresenta perciò una distorsione dei fatti in quanto il vero risultato della vittoria sul fascismo fu lo sviluppo della rivoluzione socialista in aree sempre più estese del mondo. Non solo l'URSS, che si riprese le terre sottratte dagli imperialisti dopo la rivoluzione d'ottobre, ma anche lo sviluppo della rivoluzione cinese e di quella coreana, vietnamita e dei paesi dell'Est europeo, mentre sulla scia di questi risultati si sarebbe aperta un'altra fase epocale delle rivoluzioni anticoloniali.

Le decisioni che si stavano prendendo a Mosca al VII congresso erano il preludio di quello che sarebbe successo con la seconda guerra mondiale e con la vittoria sul fascismo che rappresentava il volto più feroce e più aggressivo dell'imperialismo secondo la definizione che il congresso ne diede.

Riportiamo [qui] una breve sintesi dei lavori del Congresso, tratta dall'opera degli storici russi Lejbzon e Širinja. Le relazioni centrali sulle prospettive e i compiti del movimento comunista furono quelle di Palmiro Togliatti, 'La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista' e quella di Georgi Dimitrov 'L'offensiva del fascismo e i compiti dell'Internazionale comunista nella lotta per l'unità della classe operaia contro il fascismo'.

La relazione di Togliatti, di cui riportiamo [qui] la prima e l'ultima parte, dà il senso complessivo dell'analisi che i comunisti facevano della situazione. In essa si parla poco di fascismo (su questo sarà Dimitrov a parlare) e si mettono invece al centro le contraddizioni interimperialiste e le nuove prospettive di guerra a cui bisognava prepararsi.

Diceva in premessa Togliatti : "Del sistema di Versailles non restano oggi in piedi altro che le frontiere europee del dopoguerra e la ripartizione delle colonie e dei mandati coloniali, vale a dire non resta in piedi se non ciò che può essere distrutto soltanto con la forza delle armi, con i mezzi della violenza e della guerra".

Da che cosa proviene tutto questo? Dal fatto, sostiene Togliattti, che esiste "... un caos monetario che si può soltanto paragonare a quello dei peggiori anni dell'immediato dopoguerra, toglie ogni stabilità ai rapporti economici internazionali, cambia la fisionomia tradizionale dei mercati, crea artificialmente nuove correnti di traffico, distrugge le posizioni più solide, provoca gli spostamenti più repentini. In questo modo si crea in tutto il mondo un vero stato di guerra economica, premessa e preparazione alla guerra combattuta con le armi".

Consci di questa prospettiva siamo sicuri, concluderà Togliatti, che tutte le sezioni dell'Internazionale comunista, temprate in sedici anni di lotta contro la borghesia, contro la socialdemocrazia, contro l'opportu­nismo di destra e di 'sinistra' sapranno affrontare validamente le nuove prove.

A Georgi Dimitrov spetta la relazione [qui] sul fascismo, sulle sue caratteristiche e il modo di affrontare lo scontro. Il dibattito su questo - su cui riportiamo [qui] le considerazioni degli storici già menzionati - è acceso e approfondito. Acceso perchè bisognava dare ormai una definizione chiara della natura del fascismo. Sosteneva Dimitrov nella sua relazione: "nelle nostre file si è avuta una sottovalutazione intollerabile del pericolo fascista, sottovalutazione che ancora oggi non è sormontata dappertutto". Per questo egli ribadiva che il fascismo è la dittatura aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario.

La conclusione che si andava traendo da questa analisi era che il movimento comunista doveva individuare le contraddizioni nuove, sia a livello interno di ciascun paese che a livello internazionale. Sul piano interno bisognava tener conto che la dittatura fascista schiacciava non solo le organizzazioni comuniste e operaie, ma per raggiungere i suoi scopi eliminava dalla scena politica i parlamenti e tutte le organizzazioni partitiche dei regimi democratico borghesi. Spagna e Francia diventano il banco di prova di una nuova esperienza tattica dei partiti comunisti nella nuova fase.

Ma la partita più grossa si gioca sul piano internazionale e protagonista di questa partita non poteva essere che l'URSS. Il fascismo era il nemico principale, ma lo scontro avveniva all'interno di contraddizioni interimperialistiche la cui base non poteva essere riassunta col discorso democrazie contro dittature fasciste. Lo si sarebbe sperimentato in Spagna col comportamento di Francia e Inghilterra nei confronti della sedizione franchista. Rispetto dunque alla preparazione della nuova guerra, in partenza, non esisteva un fronte democratico internazionale opposto all'asse costituito da Germania, Italia, Giappone. Il disegno delle potenze 'democratiche' era quello di orientare il revanscismo tedesco e i suoi alleati contro l'URSS, come era avvenuto con il Giappone e con la Finlandia. Fu Stalin che riuscì a sventare i propositi anglo-francesi e a utilizzare le contraddizioni interimperialistiche rendendo possibile la creazione di un fronte internazionale antifascista, condizione per la vittoria. La grande prova fu quindi superata, ma essa mutò, nel corso stesso della seconda guerra mondiale anche le condizioni oggettive in cui il movimento comunista internazionale operava.

Nei fatti l'IC smette di operare alla vigilia della seconda guerra mondiale e si limita ad alcune prese di posizione relative alla situazione spagnola e cinese e a documenti celebrativi (1° maggio e rivoluzione russa).

Quando, nel 1943, avviene la svolta nella guerra contro la Germania e i suoi alleati e si delinea un cambiamento epocale in previsione della vittoria sul nazismo, arriva, il 10 giugno, la decisione dello scioglimento della III Internazionale. La dichiarazione in tal senso è del presidium del Comitato Esecutivo, dopo la proposta alle sezioni il 15 maggio e la loro approvazione. La discussione e la valutazione di questa scelta non è oggetto di questa nostra ricostruzione storica. Però è importante leggerla alla luce delle parole, citate da Lejbzon e Širinja, che Manuilskij pronunciò il 5 agosto nella sua relazione al VII Congresso, dedicata al 40° anniversario della morte di Engels ('Engels nella lotta per il marxismo rivoluzionario'):

"Sbaglia chi pensa che la rivoluzione debba svilupparsi seguendo una linea retta, una traiettoria come quella di una freccia lanciata da un arco, che nel processo di maturazione non vi saranno intoppi, interruzioni, ripiegamenti. Sbaglia chi crede che la tattica di un partito rivoluzionario deve costruirsi non sul rapporto di forze esistente, ma su quello che vorremmo che fosse. Sbaglia chi crede che per un partito proletario, sia nel corso della preparazione della rivoluzione, sia nel corso del suo sviluppo, basti appoggiarsi sulle forze di avanguardia e non sulla maggioranza della classe operaia. Sbaglia chi crede che si possa preparare e attuare una rivoluzione senza mettere a profitto le contraddizioni nel campo nemico, senza compromessi parziali o temporanei con le altri classi e gruppi che si avvicinano alle idee rivoluzionarie, e con le loro organizzazioni politiche".

Engels, sottolinea Manuilskij nella sua relazione riportando le parole di Lenin, dimostra "una profondissima comprensione dei fini rinnovatori fondamentali del proletariato e determina in modo straordinariamente flessibile i corrispettivi compiti di tattica, dal punto di vista di quei fini rivoluzionari e senza fare la minima concessione all'opportunismo e alla frase rivoluzionaria".

Questo ci sembra il migliore viatico alla comprensione della storia dell'Internazionale comunista.