Lettera di Gramsci ad Alfonso Leonetti

Vienna, 28 gennaio 1924

Da "La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924", op. cit. pp. 182-184.



   Caro Ferri,

   la tua lettera mi è stata molto gradita perché mi ha dimo­strato che non sono solo ad avere certe preoccupazioni e a ritenere necessarie determi­nate soluzioni dei nostri problemi. Condivido, quasi completamente, l'analisi che tu hai fatto. Purtroppo però la situazione è molto più grave e difficile di quanto tu possa immaginare e perciò ritengo necessaria una certa prudenza. Sono persuaso che Amadeo è capace di giungere ai più gravi estremi se vede che la situazione del partito diventa difficile per causa sua. Egli è fortemente e recisamente convinto di essere nel vero e di rappresentare gli interessi più vitali del movimento proletario italiano e non indietreggerà neanche dinanzi alla eventualità di una sua espulsione dall'Internazionale. Ma qualche cosa bisogna pur fare e dovrà essere fatto da noi. Non condivido il tuo punto di vista che si debba rivalorizzare il nostro gruppo di Torino formatosi intorno all'ON. In questi due anni ho visto come la campagna fatta dall'Avanti! e dai socialisti contro di noi abbia influenzato e lasciato profonde tracce anche tra i membri attuali del nostro partito. A Mosca gli emigrati erano divisi in due campi su questo punto e qual­che volta le liti giungevano fino alla rissa e alla collutta­zione. D'altronde Tasca appartiene alla minoranza avendo condotto fino alle estreme conseguenze la posizione assunta fin dal gennaio 1920 e culminata nella polemica fra me e lui. Togliatti non sa decidersi com'era un po' sempre nelle sue abitudini; la personalità «vigorosa» di Amadeo lo ha fortemente colpito e lo trattiene a mezza via in una inde­cisione che cerca giustificazioni in cavilli puramente giuri­dici. Umberto credo sia fondamentalmente anche più estremista di Amadeo, perché ne ha sorbito la concezione, ma non ne possiede la forza intellettuale, il senso pratico e la capacità organizzativa. In che cosa dunque potrebbe rivivere il nostro gruppo? Sembrerebbe nient'altro che una cricca raccoltasi intorno alla mia persona per ragioni burocratiche. Le stesse idee fondamentali che hanno caratterizzato l'atti­vità dell'ON sono oggi o sarebbero anacronistiche. Apparen­temente, almeno oggi, le questioni assumono la forma di problemi di organizzazione e soprattutto di organizzazione del partito. Apparentemente, dico, perché di fatto il problema è sempre lo stesso: quello dei rapporti fra il centro dirigente e la massa del partito e fra il partito e le classi della popola­zione lavoratrice.

   Nel 1919-20 noi abbiamo commesso errori gravissimi che in fondo adesso scontiamo. Non abbiamo, per paura di es­sere chiamati arrivisti e carrieristi, costituito una frazione e cercato di organizzarla in tutta Italia. Non abbiamo voluto dare ai Consigli di fabbrica di Torino un centro direttivo au­tonomo e che avrebbe potuto esercitare un'immensa influenza in tutto il paese, per paura della scissione nei sindacati e di essere troppo prematuramente espulsi dal partito socialista. Dovremmo, o almeno io dovrò, pubblicamente dire di aver commesso questi errori che indubbiamente hanno avuto non lievi ripercussioni. In verità se dopo la scissione di aprile avessimo assunto la posizione che io pure pensavo necessaria, forse saremmo arrivati in una situazione diversa alla occu­pazione delle fabbriche e avremmo rimandato questo avve­nimento ad una stagione più propizia. I nostri meriti sono molto inferiori a quello che abbiamo dovuto strombazzare per necessità di propaganda e di organizzazione; abbiamo solo, e certo questo non è piccola cosa, ottenuto di suscitare e organizzare un forte movimento di massa che ha dato al nostro partito la sola base reale che esso ha avuto negli anni scorsi. Oggi le prospettive sono diverse e bisogna accurata­mente evitare di insistere troppo sul fatto della tradizione to­rinese e del gruppo torinese. Si finirebbe in polemiche di carattere personalistico per contendersi il maggiorasco di un'eredità di ricordi e di parole.

   Praticamente io penso di influire in questo modo nella situazione. Se verrà pubblicato il manifesto della cosiddetta sinistra comunista, e forse a quest'ora è già pubblicato nel primo numero del risorto Stato Operaio, scriverò un articolo o una serie di articoli per spiegare il perché la mia firma non vi appaia e schizzare un progettino di compiti pratici che il partito deve risolvere nella situazione attuale. Se verrà pre­parata una conferenza del partito e la discussione si svolgerà per vie interne, con solo un minimo di pubblicità, farò una specie di memoriale per i funzionari di partito e i capi grup­po nel quale sarò più esplicito e più diffuso. In ogni caso ritengo indispensabile evitare di inasprire la polemica. Ho visto come sia facile, col nostro temperamento e con lo spi­rito settario e unilaterale proprio degli italiani, arrivare ai peggiori estremi e alla rottura completa fra i vari compagni.

   Ti sarò grato se vorrai scrivermi ancora per comunicarmi le correnti principali che prevalgono nel partito e l'atteggia­mento dei compagni che io conosco, specialmente di quelli di Torino.