Fronte unico
di tutte le forze nazionali

Da La Nostra Lotta, aprile 1944, n. 7-8. Ripreso da P.Secchia, op.cit., pp.161-171.



  Il Partito comunista italiano deve innalzare la ban­diera nazionale tradita dal fascismo e dai gruppi al potere, ha detto il compagno Togliatti. «È combat­tendo con tutte le forze che la classe operaia adempie alla sua funzione liberatrice e progressiva. Essa deve combattere con tutte le sue forze per una unità larga e solida di tutte le forze nazionali per la guerra di liberazione».

   È dunque alla classe operaia ed alla sua avan­guardia, il partito comunista, che spetta il compito di realizzare «una unità larga e solida di tutte le forze nazionali per la guerra di liberazione».

   Non basta essere in prima linea nella lotta, non basta organizzare gli scioperi, le brigate Garibaldi, i distaccamenti dei G.A.P. Da questo punto di vista il nostro partito ha in questi mesi esplicato una note­vole attività, ha ottenuto degli innegabili successi, anche se molto rimane ancora da fare. Ma per poten­ziare la condotta della guerra contro la Germania, per portare un contributo decisivo alla sconfitta ed all'an­nientamento del nazifascismo, è necessaria la partecipazione dell'Italia tutta alla guerra di liberazione. Per creare un esercito di liberazione nel Mezzogiorno ed un più vasto esercito partigiano nell'Italia centrale e settentrionale, è necessario riuscire ad unire e mobi­litare non solo la classe operaia, non solo gli strati più avanzati delle masse popolari, non solo le forze attive dei partiti tradizionalmente antifascisti, ma tutte le forze sane nazionali del nostro paese.

   In questa direzione la nostra attività è stata sino ad oggi insufficiente e deficiente. Noi ci siamo pre­occupati più della «direzione» delle forze in lotta che non di realizzare in primo luogo l'unità di tutte le forze nazionali e sinceramente patriottiche. Se è vero che non vi può essere un movimento, un esercito par­tigiano forte se non si assicura ad esso una salda e sicura direzione, è ancora più vero che senza l'unità di tutte le forze vive e sane della nazione non si crea un esercito nazionale, non si mobilita tutto il paese per la guerra di liberazione.

   Spesso, velatamente o apertamente, corrono ancora tra i compagni espressioni di questo genere; se gli altri patrioti non marciano, marceremo noi; se allo scio­pero gli altri partiti non aderiscono, lo faremo noi; se le formazioni militari sono «attesiste» e se ne stanno in montagna ad aspettare tempi migliori, se realizzano taciti e pattuiti compromessi con i tedeschi, ebbene noi organizzeremo distaccamenti modello e brigate d'as­salto che saranno di sprone e di esempio a tutte le formazioni.

   Tutto questo era bene ed è bene farlo ; ma è solo una parte del nostro compito. Noi comunisti non assolveremo alla nostra funzione se dietro all'avanguardia non riuscissimo a trascinare l'intiera classe operaia, se la classe operaia non riuscisse a trascinare alla lotta altri strati della popolazione, se con la parte più ardita del popolo italiano non riuscisse a mobilitare tutte le forze sane del paese.

   Quello che a noi occorre non è la lotta per la lotta, i colpi isolati se pure frequenti, la guerra di minoranze audaci. Tutto questo è bene, è positivo, ammirevole, ma non basta. Noi dobbiamo realizzare la guerra totale di tutto il popolo italiano contro il nemico nazi­fascista.

   Il problema di unire e mobilitare tutte le forze sane del paese deve essere oggi al centro dell'attività del nostro partito.

   Come realizzare l'unità di tutto il popolo italiano per la guerra di liberazione? Innanzi tutto, in ogni località, i comitati federali devono esaminare concreta­mente quali sono le forze politiche e militari esistenti nella loro provincia, e se esse sono politicamente e militarmente attive, se sono rappresentate nel C.L.N. e, all'infuori di esso, in qualche altro organismo.

   Non è sufficiente, ad esempio, che in una provincia esista e funzioni il C.L.N. composto dai rappresentanti dei sei partiti, se alcuni di questi hanno scarse basi e limitato seguito in questa provincia. In tal caso signi­fica che in questa località vi sono forze politiche e sociali che non sono rappresentate nel C.L.N. o co­munque con esso collegate.

   Noi non dobbiamo limitarci ad unire attorno ai C.L.N. dei rappresentanti di partiti, ma dobbiamo unire delle forze reali, dobbiamo unire e mobilitare le masse che seguono quei partiti. Se in questa o quest'altra provincia vi sono movimenti, strati sociali, parti del nostro popolo animate da spirito patriottico ed anti­tedesco, ma non rappresentate nel C.L.N., bisogna trovarne le cause, i motivi, ed eliminare al più presto questa situazione di debolezza.

   Se queste parti del popolo italiano non sono rappre­sentate nei C.L.N. perché nessuno dei sei partiti rap­presenta la loro posizione politica e religiosa, bisogna dare ad essa il modo di essere rappresentata. E se questa corrente politica non volesse saperne di aderire al Comitato di liberazione nazionale perché il suo orientamento non concorda con quello dei partiti che oggi danno una particolare fisionomia e caratteristica al Comitato di liberazione nazionale, ebbene, bisogna far sì che il comitato stesso riesca a realizzare con questa corrente degli accordi e dei legami particolari.

   Né il problema va visto solo in rapporto ai cosid­detti badogliani. È questa senza dubbio una forza che noi dobbiamo portare a collaborare attivamente col Comitato di liberazione nazionale, e con la quale è necessario stabilire dei rapporti politici e militari orga­nici e permanenti.

   Ma non è la sola. Vi sono, per esempio, province a carattere prevalentemente agricolo, nelle quali i con­tadini non sono rappresentati o non lo sono in misura sufficiente da nessuno dei partiti che costituiscono il Comitato di liberazione nazionale.

   È necessario che i contadini, che rappresentano una forza essenziale nella guerra di liberazione nazionale, siano legati organicamente ai comitati di liberazione. Laddove nessun partito rappresenta le masse conta­dine, bisognerà costituire dei comitati contadini i quali eleggeranno i loro rappresentanti al Comitato di libe­razione nazionale.

   Vi sono località in Italia ove, ad esempio, i sinda­calisti hanno una discreta influenza e tradizione di lotta. In nessun comitato di liberazione nazionale i sindacalisti sono rappresentati. Non si tratta di au­mentare in ogni città il numero dei membri dei C.L.N., immettendovi artificialmente un delegato che si chia­merà il rappresentante dei sindacalisti. In molte re­gioni e province il sindacalista - vecchio o giovane che sia - non rappresenta più nulla all'infuori della propria persona, sparuti nuclei senza seguito ed in­fluenza; in questo caso sarebbe puro artificio e senza alcuna utilità portare nel Comitato di liberazione na­zionale un delegato in più, che non rappresenterebbe nessuno.

   Ma in quella località dove i sindacalisti rappresen­tassero una forza, devono essere portati a collaborare attivamente contro il nazifascismo.

   In una parola, non vi devono essere in nessuna pro­vincia, in nessuna regione delle forze sane animate da spirito e volontà di lotta contro i tedeschi ed i fascisti che siano trascurate, lasciate inattive, che non siano portate a fare parte del largo fronte unico nazionale per la liberazione della nostra patria.

   In secondo luogo, è necessario dare la più grande attenzione ai nostri rapporti con le formazioni militari badogliane, ed in generale con tutte le formazioni che lottano e che vogliono lottare contro i tedeschi ed i fascisti, siano esse aderenti o no al Comitato di libe­razione nazionale.

   Noi dobbiamo organizzare un potente esercito par­tigiano, espressione di tutto il popolo italiano, espres­sione della patria in lotta per la sua salvezza ed indi­pendenza.

   La forza di questo esercito deve essere data innanzi tutto dalla sua unità e dalla sua coesione. Noi dob­biamo tendere a sviluppare l'emulazione, ma non la concorrenza, tra le diverse formazioni partigiane.

   Ogni formazione militare che lotta effettivamente contro i tedeschi ed i fascisti, quali che siano le opi­nioni politiche o religiose che animano i suoi compo­nenti, deve sentirsi parte di un tutto, deve sen­tirsi un'unità del grande esercito partigiano che lotta per la liberazione e l'indipendenza della nostra patria.

   Nessuna formazione militare che lotta effettivamente contro i tedeschi e contro i fascisti deve essere «iso­lata», abbandonata a se stessa, deve essere estranea al grande esercito partigiano.

   Le brigate d'assalto Garibaldi devono stringere saldi e permanenti legami organici con tutte le formazioni partigiane, si dicano badogliane o no, che sono sul terreno della lotta e che sono suscettibili di essere conquistate alla lotta. Questi rapporti devono essere di collaborazione militare e politica, e devono espri­mersi non solo in collegamenti e comitati comuni, ma soprattutto nella coordinazione della lotta e delle azioni, nell'aiuto reciproco in uomini, viveri ed armi, nell'aiuto reciproco per la difesa e per l'offesa, nella creazione di un comando unico.

   Non di rado accade che singole formazioni parti­giane, confinanti con altre, vengano attaccate isolata­mente, ad una ad una, dal nemico nazista e sosten­gano da sole la lotta senza che le altre entrino in azione in loro aiuto, anche quando questo sarebbe possibile e necessario.

   Noi saremmo assai più forti se tutte le formazioni partigiane esistenti fossero unite non solo nell'obiet­tivo comune, ma di fatto, nella lotta e nelle azioni di ogni giorno.

   Solo attraverso l'unità dell'azione può realizzarsi l'unità nell'azione: l'unità nella lotta è il presupposto per la realizzazione dell'unità di direzione. Non sempre questo problema è stato visto in modo giusto e largo. Talvolta la preoccupazione della «direzione» ha preso il sopravvento sulla necessità preminente di realizzare l'unità di tutte le forze.

   Se noi restringiamo il blocco delle forze, se limi­tiamo questo blocco, se volutamente noi escludiamo dal fronte unico nazionale determinate forze, può essere forse più facile conquistare la «direzione» di questo blocco, ma non possiamo dire per questo di avere la direzione del fronte nazionale, non possiamo dire di essere alla testa di tutto il movimento nazionale.

   Non è per noi sufficiente poter dire di avere la dire­zione di alcune brigate d'assalto, quando accanto a queste ne esistono altre che non solo si muovono sotto influenze e direzioni diverse e agiscono per conto loro, ma che non hanno con le brigate da noi influenzate neppure dei rapporti, che non si sentono parte di un solo esercito, dell'esercito della libertà.

   Essere contro tutto ciò che indebolisce la lotta contro la Germania significa innanzi tutto essere contro le divisioni, le rivalità, i gruppi concorrenti, significa essere contro l'esistenza di tante formazioni isolate, viventi ognuna per conto proprio, di bande a carat­tere feudale o comunale. Essere contro tutto ciò che indebolisce l'azione, significa lottare per l'unità soprat­tutto nel campo militare, per l'unità e la collabora­zione sul terreno dell'azione.

   Lotta per l'unità non vuol dire rinunciare alla nostra ferma opposizione ad ogni tentativo degli ele­menti attesisti e capitolardi di controllare ed imbot­tigliare il movimento partigiano. La lotta contro l'at­tesismo e la capitolazione non indebolisce, anzi raf­forza la guerra contro la Germania.

   Ma contro gli ufficiali ed i comandanti attesisti, passivi, capitolardi, traditori, si lotta non isolando le loro formazioni e rompendo ogni contatto con esse, bensì stabilendo e rafforzando i legami con gli elementi sani di queste unità, svolgendo tutta l'azione atta a convincere i veri patrioti ad allontanare gli attesisti ed i capitolardi, riuscendo, in una parola, a portare queste formazioni sul terreno dell'azione.

   Inoltre, non bisogna mai dimenticare che se vi sono stati e vi sono degli ufficiali attesisti, capitolardi, traditori, vi sono anche ufficiali animati da sincero spirito patriottico e da volontà di lotta contro il ne­mico nazista. La collaborazione di questi ufficiali deve essere bene accetta e sollecitata.

   Tutti i combattenti per la libertà e l'indipen­denza della nostra patria devono sentirsi oggi sol­dati di un esercito solo, uniti per la vita e per la morte in un blocco d'acciaio che schianterà il nazi­fascismo.

   Questa è l'unità che noi dobbiamo saper creare.

   Quando, ad esempio, in una regione esistono tre brigate che si battono bene, ma vi sono anche altre cin­que unità militari con le quali non siamo riusciti a sta­bilire dei rapporti e che agiscono per conto loro, indi­pendentemente, non possiamo ritenerci soddisfatti, non possiamo dire che le cose vanno bene. Accade ancora di sentir dire: «Nel tal posto andiamo bene», perché esaminiamo solo i successi delle forma­zioni nostre (nostre nel senso restrittivo, di parte). Dobbiamo allargare il nostro orizzonte, dobbiamo creare una situazione nella quale dobbiamo sentire come «nostre» tutte le formazioni che si battono per la salvezza e l'indipendenza della patria. No, le cose non vanno bene laddove alcune brigate si battono con valore, mentre le altre sono passive o del tutto indi­pendenti e agiscono per conto loro, senza alcun legame con noi. Quand'è così, vuol dire che ci siamo rinchiusi in casa nostra, che vediamo il nostro campanile, la setta, non la nazione. Significa che non esiste un eser­cito nazionale partigiano, ma tante bande concorrenti, quasiché ognuna si battesse per una patria diversa.

   In quelle zone ed in quelle vallate ove esistono diverse formazioni militari partigiane aventi ognuna una propria indipendenza ed autonomia, è necessario tendere a creare un comando unico, che deve essere realizzato di comune accordo dai delegati di queste diverse formazioni.

   Ancora una volta, giova ripeterlo: la classe operaia adempie alla sua funzione liberatrice e progressiva non in quanto sa mettersi alla testa di certe forze d'avan­guardia, ma in quanto sa mettersi alla testa di tutte le forze nazionali per la guerra di liberazione.

   In terzo luogo, è necessario che nella nostra lotta contro gli attesisti, i capitolardi, i collaborazionisti, non mettiamo tutti in un solo sacco. In generale collabo­rano con i tedeschi i grandi industriali, i grandi finan­zieri, i grossi capitalisti. In questo momento non si possono fare delle schematiche distinzioni di classe, e mettere tutti gli appartenenti ad una classe o ad un ceto sociale al di qua o al di là della barricata. Vi sono anche degli industriali, dei commercianti, dei capitalisti che non collaborano con i tedeschi e che sono sinceramente antitedeschi. Questi non devono essere respinti: per questi vi è e vi deve essere posto nel largo fronte di tutti gli italiani.

   Né la distinzione deve farsi solo nel linguaggio, nelle parole, negli scritti; la distinzione deve soprat­tutto farsi nella pratica. Mentre nei confronti di tutti quelli che collaborano col nemico nazifascista vi deve essere lotta aperta, lotta a morte, con tutti coloro che invece sono sinceramente antitedeschi e antifascisti, compresi industriali e capitalisti, noi dobbiamo pren­dere contatti, stipulare accordi per la guerra che dob­biamo condurre in comune contro la Germania. «A questo dovere primordiale - ha detto il compagno Togliatti - non vi è partito, gruppo, classe sociale che possa sottrarsi». Ed ha aggiunto: «Nelle file dei pa­trioti vi è posto per tutti gli italiani animati da amore per il loro paese, dal desiderio di liberarlo, da odio comune per il nemico». A queste parole deve corri­spondere la nostra azione. Solo organizzando l'unità di tutte le forze sane della nazione nei comitati di liberazione nazionale e sotto la loro guida, noi avanze­remo sulla via dell'insurrezione nazionale contro i te­deschi ed i fascisti.