Palmiro Togliatti

La politica di unità nazionale
dei comunisti

Rapporto ai quadri dell'organizzazione comunista napoletana, 11 aprile 1944. Archivio storico del movimento operaio napoletano. Ristampato da Edizioni La Città del Sole, Napoli, 2002



Compagni, dirigenti e militanti della Federazione comunista di Napoli, operai, amici.

   Voi comprenderete facilmente come e perché il calore della vostra accoglienza, il calore del vostro saluto, l'omaggio che voi mi avete reso mi commuovono profondamente. Questa, in realtà, è la prima riunione, possiamo dire di massa, alla quale io partecipo dopo il ritorno in Italia, dopo più di diciott'anni dell'esilio al quale mi aveva condannato il fascismo; ed io sono lieto e fiero che que­sto primo largo contatto col ricostituito partito comunista e col popolo italiano abbia luogo qui e avvenga con voi, comunisti na­poletani, che, ricostruendo subito dopo il crollo del fascismo e dopo la proclamazione dell'armistizio in forma legale, il nostro partito, avete dato un esempio a tutti i lavoratori, a tutti gli ope­rai, a tutti i comunisti d'Italia. Sono lieto e fiero, inoltre, di ripren­dere contatto diretto col popolo italiano qui nella vostra città, in Napoli.

   Napoli, compagni, è stata spesse volte, nella letteratura politi­ca del nostro paese, una città calunniata. Si è detto fosse un cen­tro di disfacimento politico e persino un centro di corruzione. Ma coloro i quali lanciavano questa calunnia erano spesso gli autori stessi dei mali di cui Napoli ha sofferto nel passato e di cui soffre tuttora. I mali di cui ha sofferto la città di Napoli sono stati la conseguenza di tutte le debolezze, di tutta la struttura dello Stato italiano. Noi lotteremo contro di essi e li guariremo in pieno, quan­do riusciremo a costruire una Italia nuova nella quale non vi sia più bisogno dell'esistenza di un Mezzogiorno particolarmente oppresso e sfruttato, e artificialmente mantenuto in uno stato di decomposizione sociale, che debba servire come punto di appog­gio ai gruppi dirigenti reazionari per potere tranquillamente go­vernare il paese ai danni del popolo e facendo l'esclusivo loro in­teresse egoistico.

   Napoli non è soltanto la città abitata da un popolo forte e sano, da gente media intelligente e laboriosa. Essa è oggi per noi la città che tra le prime, in Italia, più di un secolo fa, nel 1799, levò dinanzi al mondo la bandiera della repubblica, della democrazia, della rivolu­zione popolare per la libertà. Napoli è la città nella quale, nel perio­do stesso, alla vigilia della nascita della Repubblica partenopea, si as­sistette a quella lotta di popolo contro un esercito invasore, nella qua­le, qualunque spiegazione si voglia dare di essa, è pure giocoforza ri­conoscere una manifestazione istintiva di forza nazionale e di spirito patriottico agli albori. Napoli è la città che dette all'Italia, in tutto il periodo del Risorgimento, una schiera eletta di combattenti, di mar­tiri e di eroi. Napoli è la città che, dopo l'armistizio, or sono alcuni mesi, ha scritto nella storia d'Italia, con le quattro giornate di lotta del popolo contro i tedeschi in ritirata, anzi in fuga, una delle pagine più belle della nostra storia. Napoli, liberatasi dall'invasione tedesca, vorrei dire, da se stessa, per forza propria, per forza di popolo, ha dato un esempio che ci auguriamo e vogliamo sia seguito dalle altre città italiane, nel centro e nel nord, da Roma, da Milano, da Torino, da Trieste, da tutte le città d'Italia.

   E prima di cominciare la mia esposizione, permettetemi di ri­cordarvi che oggi abbiamo avuto la notizia di una grande vittoria. Odessa è stata liberata! La grande città del Mar Nero, la città delle indimenticabili tradizioni rivoluzionarie, è libera finalmente dal giogo tedesco, grazie a una nuova impetuosa avanzata di quell'eroi­co Esercito rosso che insegna a tutto il mondo come si deve con­durre la guerra per la patria e per la libertà. Le vittorie dell'Eserci­to rosso sono anche vittorie nostre; esse sono vittorie di tutta l'uma­nità progressiva, di tutti gli uomini che vogliono vedere schiacciati al più presto l'hitlerismo ed il fascismo. Ma noi ci auguriamo e vogliamo che a queste vittorie seguano, in un futuro non lonta­no, anche le nostre vittorie. Per questo noi organizziamo il nostro partito; per questo vogliamo l'unità di tutte le forze democratiche e di tutte le sane forze nazionali; per questo combattiamo.

   Voi sapete lo scopo di questa riunione: devo spiegarvi qual è in questo momento, nell'attuale situazione politica del nostro pa­ese, la linea di condotta del nostro partito; qual è l'obiettivo più vicino a cui tendiamo; quali sono gli scopi più lontani che prefig­giamo al nostro movimento e alla nostra azione.

   Ultimamente, dopo la riunione del nostro Consiglio naziona­le, che ha avuto luogo qui in Napoli una settimana fa, abbiamo preso una iniziativa politica. Nelle sue grandi linee voi la conoscete. Essa si è concretata in una nostra risoluzione, che abbiamo pre­sentata alla discussione ed alla approvazione degli altri partiti politici democratici e antifascisti che si raccolgono nel movimento dei Comitati di liberazione e sono rappresentati nella Giunta eletta dal Congresso di Bari. Questa iniziativa politica ha già suscitato vasta eco di commenti e, in un certo senso, ha già contribuito a cambiare la situazione del nostro paese o per lo meno ha iniziato un cambiamento, che noi speriamo possa continuare e compiersi in modo felice. Siamo dunque venuti qui oggi, com'era nostro dovere, a spiegare a voi militanti del partito qual è il contenuto di questa nostra azione politica; quali sono i motivi che ce l'hanno dettata; e qual è il modo come intendiamo svilupparla.

   Voi sapete che, in conversazioni e riunioni private e anche pubblicamente, ci è stato rimproverato di aver preso una aperta posizione dinanzi al popolo e dinanzi all'opinione pubblica nazio­nale e internazionale prima di una consultazione con i dirigenti degli altri partiti. Ci è stato rimproverato di avere in questo modo fatto qualcosa che potesse turbare l'armonia e l'unità delle forze antifasciste, che potesse nuocere alla causa comune.

   A coloro che ci hanno mosso questo rimprovero io non dirò che esso non ci tocca, perché tutti i rimproveri e le critiche che ci vengono mossi da elementi responsabili dei partiti coi quali conduciamo in comune la lotta contro i tedeschi e contro il fascismo ci toccano e ci interessano. Dirò piuttosto che il rim­provero non è diretto a noi. Noi non abbiamo iniziato nessuna trattativa con nessuno, non abbiamo fatto approcci di nessun genere con nessuno, non abbiamo fatto nulla nell'ombra. Tutto quello che abbiamo fatto e tutto quello che faremo è stato fatto e sarà fatto alla luce del sole.

   Arrivati al punto attuale della situazione del nostro paese, ab­biamo sentito che il nostro dovere di dirigenti della classe operaia e di un partito che diventa una forza di giorno in giorno più im­portante nel quadro della politica nazionale, era di esaminare se­riamente questa situazione e di dire su di essa chiaramente e pre­cisamente il nostro pensiero. E poiché siamo arrivati alla conclu­sione che le condizioni che si sono create in Italia dopo più di set­te mesi dall'armistizio e più di sei mesi dalla dichiarazione di guerra alla Germania hitleriana sono tali che impongono di cambiare qualche cosa nella linea politica seguita fino ad ora, abbiamo det­to al nostro partito, ai nostri militanti e a tutto il popolo italiano, con la più grande chiarezza, il nostro pensiero.

   La nostra politica è una politica di massa; essa è, e vuole esse­re, una politica popolare: e popolare e di massa deve essere il metodo col quale la traduciamo in pratica. Rivolgendoci direttamente all'opinione pubblica e alle masse popolari noi ci siamo assunte tutte le nostre responsabilità, come non avremmo potuto fare se il nostro pensiero e le nostre proposte fossero andate disperse in una serie di conversazioni e trattative non sempre feconde. Un altro metodo, il quale ci impegnasse in trattative più o meno segrete, (il segreto, in questi casi, è sempre di quelli che tutti conoscono, perché se ne parla in tutti i caffè e in tutti i ritrovi, e persino nelle strade e nelle piazze) non si adattava non solo alla nostra politica, ma alla stessa situazione in cui ci troviamo, perché avrebbe con­tribuito non a risolverla ma, forse, ad aggravarla.

   Per questo, dopo aver reso pubblica la risoluzione del nostro Consiglio nazionale, abbiamo convocato la presente riunione, nella quale vi parlerò con la più assoluta chiarezza, dicendo tutto quel­lo che è necessario dire. Il compito dei compagni qui presenti, di conseguenza, è di portare fuori di qui le cose che qui diremo, di portarle nelle fabbriche, nelle officine, dove sono gli operai che lavorano, pensano e cercano una guida; di portarle nelle case, nel­le strade, nelle piazze, dove è il popolo che soffre e che noi chia­miamo al lavoro e alla lotta per il bene del paese. A tutto il popolo i nostri militanti hanno il dovere di dire quale è oggi la politica comunista, quale è la soluzione che il partito comunista propone ai grandi problemi nazionali. Non si fa una politica di massa, po­polare, comunista, senza il popolo.

   Questo lavoro, compagni, che tende a estendere e organizza­re solidamente il contatto tra le masse popolari e l'avanguardia comunista, è tanto più necessario in Italia, oggi, dopo vent'anni di dittatura fascista. In questi vent'anni il popolo non è stato sol­tanto sfruttato ed oppresso. Esso è stato escluso da ogni parteci­pazione alla vita politica, tagliato fuori da ogni fecondo dibattito ideale, costretto con la violenza a subire la più stupida delle pro­pagande diseducatrici. Per quasi vent'anni le grandi masse del popolo sono state nutrite di menzogne, il paese intiero è stato ar­tificialmente isolato dalle grandi correnti moderne progressive di pensiero e di azione. In questi venti anni noi, comunisti, siamo stati il bersaglio preferito delle forze reazionarie e anche, è bene ricor­darlo, di quei liberali che ritennero utile e necessario, ogni qual volta aprivano bocca, infierire contro di noi, screditarci, calunniar­ci, mentre a noi, imbavagliati o per forza assenti, era negata ogni difesa. Ciò ch'essi pretendevano, era di mostrare, - dicevano, - la sedicente nostra parentela ideologica col fascismo. In realtà, questa loro condotta non servì ad altro che a mettere bene in luce quali sono le loro vere parentele e con chi. Lo spauracchio bolscevico è stato il paravento dietro al quale si è realizzata l'unità delle forze reazionarie coalizzate ai danni del popolo, di quelle forze che hanno portato il nostro paese alla disfatta militare e alla catastrofe. Noi siamo stati messi al bando della nazione, perseguitati, trattati come pecore rognose, additati all'odio e al disprezzo generali. I migliori di noi hanno vissuto anni ed anni nell'esilio; dieci, quindici, di­ciassette anni nelle carceri, nei campi di concentramento o nelle isole. Il migliore di noi, Antonio Gramsci, ha lasciato la vita nel carcere, torturato e spinto a una fine prematura dalle belve fasci­ste e per ordine preciso di Mussolini. Purtroppo, e certamente anche per l'aiuto fornito dagli elementi cui ho fatto cenno, questa solida e infame propaganda ed azione contro di noi non può non aver fatto presa in determinati strati della opinione pubblica. Non vi è dubbio che ancora rimangono tracce di essa, soprattutto ne­gli strati medi, tra gli intellettuali e tra i giovani. Non assistiamo del resto ancora, oggi al fenomeno curiosissimo di uomini politi­ci noti, di scrittori e pensatori pregiati, che non sono capaci di attacca­re il fascismo senza accomunare ad esso il comunismo, dirigendo quindi le loro frecce non contro coloro che sono i veri nemici del­la nazione e gli autori della sua catastrofe, ma contro di noi che del fascismo fummo sempre nemici acerrimi e che per evitare la catastrofe di oggi abbiamo combattuto con tutte le nostre forze?

   Di che cosa noi comunisti non siamo stati accusati! Ci hanno accusato di essere i nemici della proprietà. Ma coloro che ci accu­savano erano essi stessi una banda di ladri che ha messo a sacco l'Italia intiera.

   Quelli che ci accusavano di essere i nemici della proprietà era­no quegli uomini e gruppi economici e politici, i quali si sono serviti del potere per accentrare nelle loro mani tutta la ricchezza del paese, per strappare il pane ai lavoratori e portarci tutti a una miseria da cui per molto tempo non potremo uscire. Quando il fascismo è andato al potere vi erano non so quanti miliardi di oro nelle casse della nostra banca nazionale; quando ne è stato caccia­to non vi era più nulla. Quando il fascismo è andato al potere vi erano meno di cento miliardi di debito pubblico; quando ne è stato cacciato ve ne erano più di mille miliardi. I gerarchi avventurieri e pezzenti del 1919 erano diventati, però, tutti milionari. Accu­sandoci di essere i nemici della proprietà si cercò di volgere con­tro di noi la diffidenza e l'odio dei contadini. Ma sono stati precisamente i nostri accusatori che sono andati nelle campagne vio­lando la piccola e la media proprietà del coltivatore, rendendo schiavo il contadino, strappandogli con la violenza o con l'ingan­no il prodotto del suo lavoro.

   Ci hanno accusato di essere fautori della violenza. Ma chi ha fatto della violenza la regola e la base del governo, la legge fonda­mentale della vita nazionale, se non proprio il fascismo e i suoi uomini?

   Hanno detto che noi eravamo i sovvertitori, i distruttori. Gi­rate per le strade di Napoli, guardate questi cumuli di squallide rovine e poi dite chi sono stati i distruttori. Andate a vedere tutte le grandi città del Mezzogiorno e della Sicilia, Reggio, Messina, Catania, ridotte a cumuli di macerie. Tutte quelle macerie porta­no una firma; esse sono firmate: fascismo.

   Ci hanno accusato di essere i nemici della famiglia. Ebbene, scendete oggi nell'intimo della maggioranza delle famiglie italia­ne; dappertutto troverete, come conseguenza della catastrofe na­zionale provocata dal fascismo, la disgregazione, la lacerazione, se non di peggio.

   Ci hanno accusato di essere disfattisti. Ma chi è che ha portato l'esercito italiano a una disfatta che non ha nella nostra storia nessun precedente, tanto per la sua gravità quanto per la sua ampiezza? Gli uomini che dettero il bando a noi col pretesto che ciò era necessario per garantire la forza dell'esercito, non sono stati capaci, in più di tre anni di guerra, di garantire alle armi italiane il più piccolo successo militare. Gli uomini che non potevano né fare un passo, né pronun­ciare una parola se non ostentando le divise più pompose, assumen­do pose da imperatore e sfidando tutto il mondo, non erano passati sei mesi dalla dichiarazione della guerra che dovevano fare ricorso, per salvarsi, all'aiuto di armi straniere. Avendo trovato, al loro avven­to al potere, un esercito che aveva vinto una guerra, ci hanno lascia­to, oggi, un esercito disfatto, umiliato, decomposto. Ma i disfattisti, a sentir loro, saremmo stati noi!

   Ci hanno accusato, infine, di essere antinazionali, e questo termine, anzi, era quasi diventato di prammatica per designarci. Compagni, io sfido chiunque, dopo l'esame storico e politico più severo, a trovare un solo atto del nostro partito il quale sia stato in contrasto o abbia nociuto agli interessi della nazione. Ma dove è stata portata la nazione italiana dagli uomini e dal regime che a noi avevano dato il bando e ci chiamavano antinazionali? Essa è stata portata alla catastrofe, e non già per qualche errore occasionale contingente che sia stato commesso, - come alle volte anco­ra si sente dire,- bensì perché tutta la politica del fascismo, dal primo sino all'ultimo giorno, è stata contraria agli interessi della nazione. Antinazionale è stata la distruzione delle libertà costitu­zionali, conquistate dal popolo in una lotta di decenni. Essa ha permesso, infatti, ai gruppi più avidi ed egoistici della società ita­liana di sacrificare gli interessi della nazione ai loro interessi di casta esclusivi. Antinazionale è stata la riduzione del tenore di vita de­gli operai, dei contadini, dei lavoratori. Essa ha brutalmente tron­cato, infatti, le naturali vie di sviluppo dell'economia del paese: l'ha spinta sul cammino della miseria e della decomposizione. Antina­zionale prima di tutto, però, è stata la politica di conquiste pazze­sche e di imperialistiche avventure, di intrighi e di violenza nei rapporti internazionali, la quale ci ha portato alla guerra e alla di­sfatta. Predicata ancor prima che il fascismo sorgesse, questa poli­tica è stata la chiave di volta di tutto ciò che è stato fatto dal fasci­smo. Essa è stata il terreno sul quale si è realizzata l'unità dei gruppi più reazionari del paese, nell'interesse dei quali questa politica ven­ne fatta. Noi denunciamo gli uomini, i gruppi economici e poli­tici, le istituzioni che hanno ispirato, dettato o coperto questa po­litica, come i veri responsabili, come i veri autori della catastrofe del nostro paese.

   Si volle far credere al popolo che l'Italia, essendo povera, si sarebbe arricchita conquistando delle colonie. Ebbene, le famose colonie, che costituiscono il così decantato impero fascista, non hanno mai dato un soldo al bilancio della nazione; hanno rappre­sentato sempre un carico, prima di miliardi e poi di decine di miliardi, che ha finito per schiacciare l'Italia. Vero è, però, che da esse attinsero milioni e milioni, attraverso un'opera losca di spe­culazione ai danni dello Stato, i pezzi grossi del regime fascista, gli uomini e i gruppi che avevano direttamente contribuito alla sua instaurazione.

   Quale interesse nazionale poteva spingere l'Italia a fare la guerra alla Spagna, a prendere le armi contro un popolo insorto in difesa della sua indipendenza e della sua libertà, e col solo risultato fina­le, in sostanza, di fare della Spagna una semicolonia dell'imperia­lismo tedesco?

   Quale interesse nazionale poteva giustificare o ispirare il patto con la Germania hitleriana, il quale rendeva inevitabile la trasfor­mazione dell'Italia in vassallo del militarismo e imperialismo te­desco? Poiché voi conoscete la storia del nostro paese, saprete senza dubbio che le popolazioni della nostra terra per secoli hanno lottato per respingere il triste destino di essere vassalli dei principi tedeschi. Da molti paesi, purtroppo, sono venuti in Italia i prepo­tenti conquistatori, ma fra tutti, i tedeschi sono sempre stati quel­li che il popolo ha odiato di più. Noi non possiamo dimenticare che, tanto dell'Età media come nei tempi del nostro Risorgimen­to, l'aspirazione delle popolazioni italiane a creare una loro civiltà autonoma e, più tardi, a realizzare la loro unità e la loro indipen­denza, non hanno potuto affermarsi se non spezzando con le armi il giogo tedesco. Non possiamo dimenticare che tutti i tentativi di espansione e di conquista delle caste dirigenti che erano alla testa degli Stati tedeschi, sempre le portarono a cercar di soggiogare, di tenere oppressa e divisa l'Italia. La politica che fece dell'Italia un vassallo della Germania, è stata fin dal primo momento una poli­tica profondamente contraria a tutte le nostre tradizioni e a tutti i nostri interessi; è stata una politica profondamente antinazionale.

   Antinazionale e stolta fu la politica che gettò l'Italia in guerra contro l'Inghilterra, la quale aveva favorito, nel secolo scorso, la formazione dell'Unità nazionale d'Italia: contro gli Stati Uniti d'America, dove hanno trovato una seconda patria quattro milio­ni di italiani. Criminale fu l'attacco a tradimento contro la Fran­cia, contro la Grecia. Contrari a tutti gli interessi italiani i piani di soggiogare i popoli slavi della penisola balcanica, nostri alleati naturali, invece, nella resistenza ai sempre rinnovati tentativi di espansione del germanesimo. Un delitto contro la nazione fu la guerra contro l'Unione Sovietica, e non soltanto perché l'Unione Sovietica è il paese dove la classe operaia è al potere, dove il popo­lo è interamente padrone dei propri destini, e che ha sempre fatto una politica di pace, ma anche per considerazioni puramente na­zionali, perché la Russia, come Stato, ha sempre favorito la forma­zione in Italia di uno Stato unitario indipendente.

   Tutta la politica imperialista del fascismo è stata antinaziona­le; essa non poteva portarci ad altro che ad una catastrofe; essa do­veva culminare, come ha culminato, nel tradimento più vergogno­so, nel provocare l'invasione e l'occupazione della nostra patria da parte delle orde hitleriane, la perdita della nostra unità e della nostra indipendenza. Vassalli ieri di Hitler, i fascisti sono oggi i servi abietti degli invasori hitleriani, i carnefici, per conto dei tedeschi, dei nostri fratelli e del nostro paese. Il movimento che ingannò l'Ita­lia e il mondo con la sua demagogia pseudopatriottica è sprofon­dato nella fogna del tradimento nazionale.

   E non è a puro scopo di polemica o d'invettiva che io ripeto queste cose, bensì per un altro motivo assai grave. L'Italia, pur­troppo, si trova oggi in una situazione tale che non può di colpo respingere da sé le conseguenze terribili della politica im­perialista del fascismo. Per questo è necessario mettere bene in luce le responsabilità; far comprendere a tutti che è solo attra­verso una lotta dura e difficile contro gli invasori tedeschi che riusciremo a risalire la china; e, infine, è necessario sottolineare davanti a tutti che la rinascita d'Italia non si ottiene seguendo la via degli intrighi nel campo interno e internazionale, ma si otterrà soltanto con la rinuncia aperta, esplicita, definitiva, a ogni politica di manovre e conquiste imperialiste e inauguran­do una vera politica democratica di pace.

   Noi comunisti abbiamo il merito - e lo rivendichiamo - di avere sempre lottato contro la politica antinazionale del fasci­smo, dall'inizio sino alla fine, senza esitazioni e senza dubbi. Lo so che nel passato sono stati commessi degli errori dal nostro partito. Nel respingere la politica fascista e soprattutto la sua criminale politica di guerra non abbiamo però sbagliato mai. Gli errori da noi commessi sono consistiti nel fatto che il modo con cui attuavamo la nostra politica politica non ci consentiva di legarci profondamente alle masse popolari, e quindi non ci permetteva di sbarrare la strada in modo efficace allo sviluppo del fascismo e al trionfo della reazione. Ma per quanto riguarda la politica esiziale fascista, noi, sempre, in modo implacabile ed in modo coerente, l'abbiamo respinta e denunziata. E oggi invochiamo questo nostro passato; lo rivendichiamo davanti al popolo; lo rivendichiamo davanti al mondo intiero, perché sen­tiamo che esso ci dà dei diritti. Il nostro passato di lotta senza compromessi contro il fascismo è quello che ci dà il diritto di dire la nostra parola con autorità su tutti i problemi che oggi si presentano alla nazione. Esso ci dà il diritto di parlare alto e forte al popolo italiano; esso ci dà il diritto di usare un tono di autorità anche con i nostri amici e alleati nella ricerca di una via comune per uscire al più presto dalla situazione odierna.

   Qual è questa situazione, esaminata nel suo assieme, e non solo per le città e regioni già libere? Più della metà del territorio italia­no è tuttora occupata dai tedeschi, subisce gli orrori e le infamie dell'invasione dei barbari hitleriani. Anche nella parte già libera, però, tutto è oggi in rovina: l'esercito, l'economia, l'amministra­zione pubblica, persino la morale del popolo. La rovina non è solo nelle cose; essa è prima di tutto e soprattutto negli animi. Dapper­tutto regna un senso di abbattimento, di delusione, di amarezza. Il popolo sente di essere stato trascinato in un abisso, sente di non portare per intiero la responsabilità di questa catastrofe, cerca la via per uscirne, ma non l'ha ancora trovata. In tutti vi è una in­certezza profonda dell'avvenire, perché anche coloro i quali cre­devano personalmente di possedere la più sicura delle posizioni so­ciali, ignorano che sarà di loro domani. Quasi si direbbe che tutti si sentono, più o meno, dei proletari; tutti sentono che il loro de­stino non dipende soltanto dagli sforzi personali che faranno per risolvere il proprio problema individuale o familiare, ma dipende dagli sforzi che saranno fatti da tutto il paese per uscire dalla tre­menda situazione in cui versa, per liberarsi al più presto dalla oc­cupazione straniera e riconquistare la sua libertà. Questa situazio­ne detta a noi comunisti e a tutti i buoni italiani dei doveri impe­riosi, che dobbiamo riconoscere e che dobbiamo adempiere.

   Nel passato ci siamo trovati molte volte di fronte a situazioni gravi, create al paese dalla politica delle classi dirigenti. Per lo più però, tanto noi quanto gli altri partiti che si richiamavano alle masse lavoratrici ci accontentavamo di denunciare le conseguen­ze di questa politica e di dire al popolo: guarda, impara, vedi qua­li sono le colpe di chi ti governa e del regime sotto il quale vivi. Era la posizione, in sostanza, di una associazione di propagandisti di un regime diverso e migliore. Ma possiamo noi oggi limitarci a una posizione di questo genere? Al popolo italiano, ai trenta e più milioni che soffrono e gemono sotto il tallone tedesco e agli altri dieci milioni che qui nelle zone libere si trovano di fronte a così gravi problemi, possiamo noi limitarci a ripetere che la colpa non è nostra e che se la prendano coi responsabili?

   Se ci limitassimo a prendere una posizione simile, sbaglierem­mo radicalmente: ci taglieremmo, di fatto, dalla vita della nazio­ne. La nazione non si può limitare a prendere atto della catastrofe e a precisarne i responsabili. Essa cerca una via di salvezza, una via per uscire dal baratro in cui si trova. Il nostro dovere è di indicare concretamente questa via e di dirigere il popolo verso di essa e su di essa, a passo a passo, partendo dalle condizioni precise del mo­mento presente. Se ci rifiutassimo di farlo o non fossimo capaci di farlo se ci riducessimo ancora una volta alla funzione di un'as­sociazione di propagandisti che maledicono il passato, sognano un avvenire lontano, ma non sanno né consigliare né fare nulla nel presente, non soltanto condanneremmo il partito stesso a una vita stentata e grama, priva di rapidi e sicuri sviluppi. Se facessimo una cosa simile, - e questo è assai più grave, - verrebbe meno alla clas­se operaia, verrebbe meno al popolo e a tutta la nazione quella guida di cui essi hanno bisogno, - una organizzazione d'avanguar­dia, cioè, che sia capace di esaminare con freddezza e con serenità tutte le situazioni e che a tutte le situazioni sappia indicare una via di uscita e dirigere il popolo verso di essa, senza mai perdere di vista gli obiettivi finali della rinascita del paese e della realizzazione delle più profonde aspirazioni popolari.

   Noi siamo il partito della classe operaia e non rinneghiamo, non rinnegheremo mai, questa nostra qualità. Ma la classe operaia non è mai stata estranea agli interessi della nazione. Guardate al passato, ricordatevi come agli inizi del Risorgimento nazionale, quando esi­stevano soltanto piccoli gruppi di operai distaccati gli uni dagli altri ancora privi di una profonda coscienza di classe e di una ricca espe­rienza politica, questi gruppi dettero i combattenti più eroici per le lotte di massa che si svolsero nelle città e nelle campagne per liberare il paese dal predominio straniero. Operai e artigiani furono il nerbo dei combattenti delle Cinque giornate di Milano. Furono gli operai, insieme con i migliori rappresentanti dell'intellettualità, l'anima della resistenza degli ultimi baluardi della libertà italiana nell'anno successivo. Operai e artigiani troviamo nelle legioni di Garibaldi; li troviamo dappertutto dove ci si batte e si muore per la libertà e per l'indipendenza del paese. Noi rivendichiamo queste tradizioni della classe operaia italiana. Noi rivendichiamo le tradizioni del socialismo italiano, di questo grande movimento di masse operaie e di popolo, che irrompendo sulla scena politica, reclamando il riconoscimento degli interessi e dei diritti dei lavoratori, chiedendo che fosse assicu­rato al popolo il posto che gli spetta nella direzione del paese, ha adempiuto una grande funzione nazionale di risanamento, di ravvi­vamento e rinnovamento di tutta la vita italiana.

   Oggi che il problema dell'unità, della libertà e dell'indipenden­za d'Italia è di nuovo in giuoco, oggi che i gruppi dirigenti reazio­nari hanno fatto fallimento, perché la storia stessa ha dimostrato che la loro politica di rapina imperialista e di guerra non poteva portare l'Italia altro che ad una catastrofe; oggi la classe operaia si fa avanti col suo passo sicuro, e conscia di tutti i suoi doveri riven­dica il proprio diritto, come dirigente di tutto il popolo, di dare la sua impronta a tutta la vita della nazione.

   La bandiera degli interessi nazionali, che il fascismo ha trasci­nato nel fango e tradito, noi la raccogliamo e la facciamo nostra; liquidando per sempre la ideologia da criminali del fascismo e i suoi piani funesti di brigantaggio imperialista, tagliando tutte le radici della tirannide mussoliniana, noi daremo alla vita della nazione un contenuto nuovo, che corrisponda ai bisogni, agli interessi, alle aspirazioni delle masse del popolo.

   Quando noi difendiamo gli interessi della nazione, quando ci mettiamo alla testa del combattimento per la liberazione d'Italia dall'invasione tedesca, noi siamo nella linea delle vere e grandi tra­dizioni del movimento proletario. Siamo nella linea della dottri­na e delle tradizioni di Marx e di Engels, i quali mai rinnegarono gli interessi della loro nazione, sempre li difesero, tanto contro l'ag­gressore e invasore straniero, quanto contro i gruppi reazionari che li calpestavano. Siamo nelle linee del grande Lenin, il quale affer­mava di sentire in sé l'orgoglio del russo, rivendicava al proprio partito di continuare tutte le tradizioni del pensiero liberale e de­mocratico russo e fu il fondatore di quello Stato sovietico, che ha dato ai popoli della Russia una nuova, più elevata coscienza na­zionale. Siamo nella linea del compagno Dimitrov, il quale a Lip­sia, davanti ai giudici fascisti, rivendicò con una fierezza che destò l'ammirazione di tutto il mondo la propria qualità di figlio del popolo bulgaro. Siamo nella linea del pensiero e dell'azione di Stalin, di quest'uomo, il quale ha saputo, sulla base delle conqui­ste della grande Rivoluzione socialista di ottobre, sulla base delle realizzazioni di più di venti anni di edificazione socialista, realiz­zare l'unità di tutto il popolo, di tutte le nazioni che vivono nel territorio dell'Unione Sovietica, nella lotta sacra contro l'invaso­re, e per schiacciare definitivamente l'hitlerismo e il fascismo. Sia­mo sulla via che ci hanno tracciato questi nostri grandi maestri.

   Né vi dice nulla il fatto che sia proprio l'Unione Sovietica, il paese del potere proletario e del socialismo, quello che dà l'esem­pio a tutti gli uomini liberi del mondo di unirsi e combattere per salvare la patria e il mondo intiero dalla barbarie hitleriana?

   Lo so, compagni, che oggi non si pone agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia. La classe operaia italiana deve oggi riuscire, attraverso la propria azione e la propria lotta, a risolvere le gravi, terribili questioni del momento attuale. Essa ha il compito di dire una parola, di dare una direttiva, la quale indichi a tutto il paese la via per uscire dalla catastrofe cui è stato trascinato. Guai se noi oggi non comprendessimo questo compi­to e lo respingessimo. Guai se la classe operaia, oggi, non adem­pisse a questa sua funzione nazionale. Guai se gli elementi più decisi della classe operaia si lasciassero isolare. Guai se le forze democra­tiche si lasciassero dividere. Assisteremmo immediata­mente, non solo al risorgere, ma al trionfo delle vecchie forze reazionarie; al prevalere delle istituzioni, delle formazioni politiche e degli uomini che sono responsabili di averci portato alla situazione attuale. Ri­cordatevi dell'Italia di prima della guerra, di quella democrazia stentata, di quel liberalismo storpio, di quei democratici, di quei liberali, che, in fondo, avevano tutti nel cuore il fascismo, di quei grossi proprietari fondiari che furono i creatori delle "squadre d'azione", di quegli industriali, i quali, non contenti di sfruttare giorno per giorno gli operai, organizzarono e animarono le bande delle camicie nere, finanziarono le imprese più losche dirette con­tro la libertà della nazione e tutti assieme mantennero al potere per venti anni il regime antinazionale di Mussolini. Ricordatevi di quel Parlamento il quale fu contento di sopprimere se stesso pur di fare largo a quelli che erano e si presentavano come i negatori e i di­struttori di tutte le libertà popolari.

   Compagni, quell'Italia noi vogliamo che non risorga. Voglia­mo una Italia democratica, vogliamo una democrazia forte, la quale annienti tutti i residui del fascismo e non lasci risorgere niente che lo riproduca o che gli rassomigli. Come partito comunista, come partito della classe operaia, reclamiamo arditamente il nostro di­ritto a partecipare alla costruzione di questa nuova Italia, coscien­ti del fatto che se noi non reclamassimo questo diritto e non fos­simo in grado di adempiere, oggi e nel futuro, questa funzione, l'Italia non potrebbe venire ricostruita, e gravi sarebbero le prospet­tive per il nostro paese. Nel combattimento durissimo per liberarci, oggi, dalla invasione straniera e iniziare e condurre sollecitamen­te, non appena sia possibile, la ricostruzione, noi chiamiamo ad unirsi, nel fronte delle forze democratiche, antifasciste e nazionali, tutti gli italiani onesti, tutti coloro che soffrono della situazione cui è stata portata l'Italia, tutti quelli che vogliono vedere finita ra­pidamente questa situazione. Per questo, compagni, la nostra po­litica è una politica nazionale ed una politica di unità.

   L'altro ieri abbiamo ascoltato dalla radio fascista una comuni­cazione. A Torino, nei giorni 2 e 3 aprile, un gruppo di uomini è stato arrestato. Questi uomini vengono presentati dalla radio fa­scista come i dirigenti del movimento nazionale di liberazione nella grande città industriale dell'Italia del nord, come gli organizzatori del movimento armato contro i tedeschi e contro i loro servi, i fascisti traditori della patria. Dopo un sembiante di processo, otto di questi uomini sono stati condannati a morte. Il giudizio è stato portato ad esecuzione la notte del 5 aprile. Cinque sono stati con­dannati all'ergastolo. Ebbene, tra i nomi di questi eroi, tra i nomi di questi martiri, vi è per primo quello di Perotti Giuseppe, gene­rale del genio. Seguono: Isolo Braccini, professore di università; Bruno Bardisi, capitano di artglieria; Aurelio Giambone, mecca­nico, operaio comunista, uno dei migliori quadri del nostro par­tito; Enrico Giacchini, impiegato; Giulio Biglieri, libraio; Massi­mo Armentano, impiegato; Guido Bevilacqua, operaio.

   Tra i nomi dei condannati all'ergastolo io leggo per primi quelli di Gustavo Lepardi e di Giuseppe Giraud, entrambi tenenti co­lonnelli di artiglieria.

   L'unione di questi uomini, che certamente hanno lavorato, a fianco a fianco, per organizzare il fronte della nostra resistenza, e che si sono trovati uniti e forse si sono stretta la mano, forse si sono abbracciati prima di schierarsi a testa alta davanti al plotone di esecuzione, e tra di loro vi è il generale del genio, il professore di università, il colonnello di artiglieria, l'operaio e l'impiegato comu­nista, ecco, compagni ed amici, la nostra politica di unità nazio­nale. Ecco ciò che noi vogliamo quando diciamo che tutti gli ita­liani, al di sopra delle differenze di opinione politica, di fede reli­giosa o di appartenenza a questa o quella categoria sociale, devo­no unirsi, darsi la mano, combattere, per liberare il paese dall'in­vasione straniera e dal tradimento fascista.

   Da quanto ho detto finora, traggo due conclusioni, che saran­no al centro del mio rapporto: la prima, - e scusate se la metto prima unicamente per comodità di esposizione, - riguarda il no­stro partito; la seconda riguarda tutto il paese.

   E' evidente che dal momento che noi, oggi, poniamo nel modo che vi ho detto i compiti della classe operaia e del suo partito d'avanguardia, il carattere del nostro partito deve cambiare pro­fondamente da quello che era nel primo periodo della sua esisten­za, e nel periodo della persecuzione e del lavoro clandestino. Noi non possiamo più essere una piccola, ristretta associazione di pro­pagandisti delle idee generali del comunismo e del marxismo.

   Dobbiamo essere un grande partito, un partito di massa, il quale attinga dalla classe operaia le sue forze decisive, al quale si accostino gli elementi migliori dell'intellettualità di avanguardia, gli elementi migliori delle classi contadine e quindi abbia in sé tutte le forze e tutte le capacità che sono necessarie per dirigere le gran­di masse operaie e lavoratrici nella lotta per liberare e ricostruire l'Italia. Questi due grandi obiettivi ci dettano la linea generale del partito; ad essi debbono essere subordinati i passi tattici che com­piamo in ogni situazione determinata. La nostra politica deve es­sere tale che ci permetta di marciare sempre a fianco a fianco con gli amici e fratelli socialisti, con i quali abbiamo stretto un patto di unità d'azione, che prevede anche, per il futuro, la possibilità di un partito unico della classe operaia. La unità d'azione coi so­cialisti, di cui ho il piacere di salutare qui uno dei migliori diri­genti, il compagno Longobardi, è una delle più grandi garanzie che la classe operaia riesca, battendo definitivamente i gruppi reazio­nari, fascisti e semifascisti, a radunare attorno a sé tutte le forze progressive del paese e marciare con esse verso una sicura rinascita economica, politica e sociale. La nostra politica deve essere tale che assicuri alla classe operaia e a noi tutte le alleanze necessarie per risolvere i gravi e seri problemi della vita nazionale nel momento presente e nel futuro. Noi non dobbiamo e non vogliamo urtarci con le masse contadine cattoliche, con le quali invece dobbiamo trovare oggi e domani un terreno di intesa e di azione comune perché sappiamo che esse hanno sofferto del fascismo, odiano il fascismo quanto lo odiamo noi e possono e devono essere nostre alleate nella costruzione di una Italia migliore, di una Italia democratica. La nostra politica deve essere tale che ci permetta di rac­cogliere in un blocco tutte le forze antifasciste e democratiche, tutte le forze schiettamente nazionali, di opporre questo blocco all'in­vasore tedesco e ai residui del fascismo, di schiacciare il primo e distruggere i secondi, affinché in questo modo siano create le con­dizioni per l'instaurazione e il consolidamento di un vero e sicuro regime democratico.

   La nostra politica deve essere tale che, mentre crea le con­dizioni di questa unità e ci permette di realizzarla, paralizza i nemici di essa, getta la confusione nel campo della reazione e ne avvicina lo sbaraglio.

   E' la situazione stessa italiana che ci impone di creare un parti­to comunista il quale abbia la forza e la capacità di condurre l'azione unitaria e positiva che vi ho indicato a grandi linee. Noi non pos­siamo accontentarci di criticare o di inveire, e sia pure nel modo più brillante; dobbiamo possedere una soluzione di tutti i proble­mi nazionali, dobbiamo indicarla al popolo nel momento oppor­tuno e saper dirigere tutto il paese alla realizzazione di essa. Tra­sformando in questo modo il nostro partito, siamo convinti di non lavorare soltanto per noi stessi, ma nell'interesse di tutta l'Italia. La nazione italiana, oggi, ha bisogno di un grande, di un forte partito comunista, e noi creeremo questo partito!

   La seconda conclusione che ricavo si riferisce in modo diretto alla situazione politica che ci sta davanti. Non possiamo dichia­rarci soddisfatti di questa situazione, né per quello che si riferisce solo alle regioni liberate né per quello che si riferisce all'Italia nel suo complesso.

   Il popolo, o per meglio dire la parte più avanzata e cosciente di esso, nelle province centrali e settentrionali occupate, è pieno di odio contro gli invasori e contro i traditori. Esso si batte. Esso affronta impavido il sacrificio. Ne abbiamo ogni giorno la conferma dalle notizie che ci pervengono da dieci e dieci città. Animati dal sacro proposito di liberare al più presto tutta l'Italia dalla vergogna hitle­riana e fascista sorgono i combattenti, si formano le legioni dei par­tigiani, si organizzano i Comitati di liberazione, si crea un movimen­to che segnerà una tappa estremamente importante della nostra ri­nascita. Mi sia però permesso di aggiungere che di fronte al compito enorme che sta davanti a noi, il movimento attuale nelle regioni oc­cupate non può essere considerato se non come una tappa di orga­nizzazione e di preparazione di quella vera e grande insurrezione ge­nerale di tutta la popolazione delle regioni occupate che dovrà scop­piare in relazione con lo sviluppo delle operazioni militari alleate, e che dovrà segnare l'ora della nostra liberazione definitiva. Anche nelle regioni occupate il movimento clandestino, il movimento di massa e il movimento armato dei patrioti deve prendere un più gran­de respiro, deve abbracciare nuovi strati del popolo, deve diventare incendio e tempesta generali. Ma qui esercita una grandissima in­fluenza la situazione che esiste nelle regioni liberate, nelle quali sem­bra che, se non il popolo, per lo meno determinati gruppi dirigenti si dimentichino troppo presto quale è il fatto dominante oggi per tutti noi. È dal mese di settembre che dura l'occupazione straniera e da allora soltanto una parte del paese è stata liberata, - meno della metà per estensione territoriale, meno di un quarto per il numero degli abitanti. La liberazione del paese deve essere condotta a termi­ne nel più breve periodo di tempo possibile. Questo è il dovere fon­damentale, a cui tutti gli altri debbono venire subordinati. Ogni rin­vio dell'adempimento di questo dovere è un delitto verso i nostri fra­telli e verso la patria; ogni giorno che passa nella confusione e nel­l'inazione deve essere una spina, un tormento per ogni buon italia­no. Per il nostro interesse nazionale, per l'affetto che ci lega ai nostri fratelli, a tutti coloro che parlano la nostra lingua, che hanno i nostri costumi e sono figli di una stessa terra, noi vogliamo che l'Italia, che tutta l'Italia sia liberata al più presto. Per questo vogliamo che la Ger­mania hitleriana sia al più presto sconfitta e schiacciata; per questo vogliamo che l'Italia faccia uno sforzo di guerra, dia il proprio con­tributo a quest'opera.

   Ma quello che noi chiediamo nel nostro interesse nazionale diretto è pure nell'interesse dei grandi paesi democratici alleati e di tutti i popoli che, oggi ancora soggiogati da Hitler, si battono per riacquistare la loro libertà. È vero che la Germania hitleriana è stata spinta sull'orlo della catastrofe dalla resistenza eroica pri­ma, e poi dalle grandi vittorie offensive dell'Esercito rosso. È vero che duri colpi le sono stati inflitti dai successi delle armi angloa­mericane. Nonostante questo, però, la Germania hitleriana è an­cora forte, non è ancora abbattuta. È dunque nell'interesse comune della coalizione democratica che il nostro paese contribuisca ad ab­batterla con il proprio sforzo.

   Noi non crediamo a coloro che dicono che l'Italia non sareb­be più in grado di fare uno sforzo di guerra. Costatiamo che nel­l'Italia occupata, ad onta delle condizioni terribili create dalla in­vasione tedesca, si fa uno sforzo di guerra, basato per ora esclusi­vamente o quasi sul lavoro di organizzazioni popolari. Perché qui, dove esiste la possibilità di agire apertamente, di avere un governo che si appoggi sul popolo; perché qui questo sforzo di guerra non deve essere fatto o deve essere fatto in misura così limitata? Noi oggi siamo un paese occupato che con le unghie e coi denti difen­de la sua libertà, la sua indipendenza. Esamineremo domani chi è il responsabile di questa situazione. Esamineremo, se gli uomini i quali, hanno condotto la politica italiana dalla fine di luglio all'ini­zio di settembre abbiano saputo condurla come sarebbe stato ne­cessario per evitarci tanta catastrofe. Ma oggi, il dovere nazionale non è discutibile ed è uguale per tutti: esso ci impone di unirci tutti e di lottare per cacciare lo straniero dal suolo della patria. Un pa­ese che deve fare la guerra per liberarsi dalla invasione straniera non può esaurire le sue forze nelle dispute interne e nelle invettive; esso dev'essere forte per poter far fronte, sui campi di battaglia e all'in­terno, a tutti i suoi nemici. Per questo noi abbiamo detto che sia­mo favorevoli a tutto ciò che rafforza il paese nella guerra contro la Germania hitleriana, e contrari a tutto ciò che lo indebolisce. Da questo principio sarà dettata tutta la nostra politica.

   Se poi diamo uno sguardo al futuro, compagni ed amici, non facciamoci illusioni. Nella situazione presente e che io credo di aver definito in modo esatto, affermando che da una parte esiste un po­tere senza autorità e dall'altra una autorità senza potere; in questo pullulare di piccole formazioni politiche, in questo rifiorire di ma­novre e di intrighi, in cui è così difficile, alle volte, trovare e tenere la via dell'unità, noi ci veniamo indebolendo sempre di più. Se questa situazione si prolungherà ci troveremo alla fine ad essere un paese profondamente esaurito, lacerato, decomposto nella sua stessa so­stanza. E' questo nel nostro interesse? No, perché noi sappiamo che un paese indebolito, diviso e decomposto, è un paese che difficil­mente può difendere la propria libertà, la propria indipendenza. Noi vogliamo che l'Italia di domani sia unita, libera e indipendente. Se vi sono dei gruppi reazionari, fascisti o semifascisti, i quali hanno interesse ad aggravare e perpetuare la confusione, perché sperano di potere in essa tirare più facilmente dal fuoco le loro proprie castagne, noi dobbiamo fronteggiarli tutti, convinti che solo unendoci ora per fare la guerra e contribuire alla vittoria della libertà in tutto il mondo noi assicuriamo il nostro futuro, ci assicuriamo che l'Italia sarà quel­la che i nostri padri hanno voluto, per cui hanno lavorato e lottato durante più di mezzo secolo di Risorgimento nazionale.

   Oltre a questo esiste, poi, un complesso di problemi pratici sui quali oggi purtroppo non ho il tempo di fermarmi, e i quali inte­ressano profondamente gli strati popolari: il problema del salario e dell'alimentazione, del pane, della pasta, dell'olio, della casa. Alle volte sembra che essi siano insolubili e alla loro soluzione certa­mente si frappongono molte difficoltà. Quando però si approfon­disce la ricerca si vede che essi sono tutti legati a una questione politica fondamentale, cioè al fatto che nel paese non esiste un ordine e una disciplina di guerra. Questo però non esisterà fino a che non avremo un vero governo di guerra, e un governo che abbia l'ap­poggio del popolo attraverso l'adesione dei grandi partiti e movi­menti democratici di massa. Questa condizione oggi non è realiz­zata e fino a che non lo sarà difficilmente potremo fare dei passi in avanti su qualsiasi terreno. Anzi, se non si modifica la situazio­ne politica delle regioni liberate, è da prevedere che in tutti i cam­pi non faremo che peggiorare.

   Come si è arrivati alla situazione attuale e quali sono gli osta­coli che ci impediscono di andare avanti? Arrivo qui al punto che è forse il più difficile, ma che è anche il più importante dell'azio­ne politica da noi iniziata.

   Quando l'Italia venne occupata dai tedeschi, fu loro dichiara­ta la guerra. Dopo, abbiamo sentite molte altre dichiarazioni, provenienti da uomini politici di tutte le tendenze, i quali concorda­vano tutti nel dire che volevano che l'Italia facesse la guerra. Il popolo, intanto, ha cominciato a riorganizzarsi attorno ai partiti politici corrispondenti alle sue idee e alle sue aspirazioni. Si è cre­ato così un vasto movimento popolare di massa, che di giorno in giorno diventa più forte e meglio organizzato. In questo periodo le forze delle diverse parti si sono saggiate, uomini e partiti hanno incominciato a conoscersi. Il più grande risultato di questo perio­do di riorganizzazione delle masse popolari è stato l'unità delle forze democratiche e liberali antifasciste che si è realizzata nel movimento dei Comitati di liberazione e nel loro Congresso di Bari. Esso non deve essere ora né perduto, né compromesso. Mentre però sem­brava, all'inizio, che si potesse arrivare rapidamente e senza trop­pe difficoltà alla erezione di un governo democratico e antifasci­sta di guerra, a poco a poco s'è venuta creando, in seguito, una scissione, la quale è divenuta sempre più profonda, tra due campi opposti, nell'uno dei quali si trovano i partiti democratici e libe­rali, nell'altro il governo attuale con gli elementi che lo sostengo­no. È nostra convinzione che se si vuole uscire dalla situazione in cui l'Italia non è in grado di fare uno sforzo di guerra ordinato e serio, bisogna superare questa scissione. Essa è esiziale al paese, essa è favorevole soltanto al nemico e a quegli elementi reazionari che si adoperano a mantenerla per trarne profitto.

   Vi è però un ostacolo che sembra insuperabile: la questione istituzionale, cioè della monarchia e del re.

   L'Italia a questo proposito è ben disgraziata. Se si esamina il nostro sviluppo storico attraverso i secoli, si può dire che noi non avemmo una monarchia, quando una monarchia ci sarebbe stata utile per realizzare qualche secolo prima l'unità d'Italia, il che ci avrebbe permesso di diventare più presto una nazione forte e ri­spettata. Abbiamo avuto invece ed abbiamo una monarchia quan­do avremmo potuto e potremmo benissimo farne a meno. La monarchia inoltre, considerata come istituzione politica, negli ultimi decenni della vita italiana non ha adempiuto alla funzione che le attribuivano i vecchi teorici del diritto costituzionale; non è stata cioè, quel fattore di equilibrio che avrebbe dovuto impedi­re a determinati gruppi economici e politici di imporre il loro in­teresse egoistico esclusivo al di sopra dell'interesse nazionale, di far violenza al popolo e di portare il paese alla catastrofe. La monar­chia, che avrebbe dovuto rappresentare e garantire la continuità e integrità della vita della nazione, non solo non ha adempiuto questa sua funzione, ma l'ha tradita. Non abbiamo bisogno di andare lon­tano per trovare le prove di tutta la realtà odierna di questo falli­mento dell'istituto monarchico. Per questo, quando la monarchia si presenterà al giudizio del popolo non vi può essere dubbio circa il modo come dovrà essere giudicata.

   Ma è un fatto, compagni, che il problema monarchico non ha potuto essere risolto finora per la situazione stessa in cui ci trovia­mo, ed è un fatto che se ci ostinassimo a volerne fare il perno in­torno al quale dovesse muoversi tutta la vita del paese, non ci al­lontaneremmo di un passo dalla situazione odierna, rimarremmo incatenati ad essa, ci sarebbe impossibile formare un governo di guerra e realizzare quella unità nazionale senza la quale uno sfor­zo di guerra ordinato e potente non è possibile. Prima di tutto il paese oggi non è tutto libero e non è quindi possibile consultarlo. In secondo luogo esiste un impegno delle tre grandi potenze de­mocratiche, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Stati Uniti, secon­do il quale la questione istituzionale potrà essere risolta liberamente dal popolo solamente dopo la fine delle ostilità. Non si può quin­di pretendere di arrivare a una soluzione definitiva ora, a meno che non si voglia rimanere, come oggi siamo, in una via senza uscita. Ma io voglio aggiungere qualche altra considerazione, - ed è che almeno una parte dei tentativi compiuti da persone nobilissime, che noi rispettiamo, per risolvere oggi il problema istituzionale, erano forse ispirati più dal desiderio di salvare l'istituto monarchico, che non dal desiderio di trovare rapidamente una via di uscita dalla situazione presente. Noi non abbiamo nessun interesse a che si creino in questo campo dei fatti compiuti; non vogliamo che i diritti della nazione vengano ancora una volta misconosciuti o usurpati. Sappiamo che il popolo non dimentica e quindi non abbiamo fretta a questo proposito. Invece abbiamo fretta, e tutta l'Italia ha fretta, di vedere superata una divisione che le è fatale, perché allontana l'ora della sua liberazione. Infine, voglio aggiun­gere che se ci ostineremo a far centro della situazione politica i dibattiti, le conversazioni, le trattative, le manovre, attorno al modo come si possa oggi trovare un compromesso a proposito del pro­blema istituzionale, creeremo noi stessi il terreno più favorevole allo svolgersi degli intrighi reazionari, i quali non solo si propongono di impedire o ritardare il trionfo della volontà popolare, ma che hanno come conseguenza inevitabile di impedirci di fare sul serio la guerra alla Germania di Hitler e a Mussolini. Posto il problema in questi termini, noi comunisti, che non possiamo essere da nessuno sospettati di simpatie per nessuna istituzione di tipo monar­chico, diciamo: - dal momento che lo scopo fondamentale è quello di fare la guerra e avere un governo di guerra; dal momento che da mesi e mesi ci aggiriamo attorno ad una questione che non pos­siamo risolvere; dal momento che la stessa risoluzione del Congres­so di Bari ha riconosciuto che il problema istituzionale deve esse­re rinviato al giorno di una consultazione nazionale, siamo logici e realistici: ignoriamo, oggi, questo problema, e passiamo a risol­vere il compito vero della situazione presente, la creazione di un governo il quale faccia convergere tutta la sua opera nel porre ter­mine al più presto alla invasione straniera e nel liquidare i residui del regime fascista. Questa nostra posizione, che può aver sorpre­so qualcuno nel momento in cui l'abbiamo presa, è la sola corri­spondente in pari tempo all'interesse d'Italia e a quello delle grandi nazioni democratiche alleate. Essa rimane. Essa non è superata da nessuno degli avvenimenti che l'hanno seguita finora. Noi l'abbia­mo presentata e difesa in seno alla Giunta esecutiva dell'Italia li­berata. Noi speriamo che essa serva a far uscire tutti dal vicolo chiuso in cui ora ci si trova.

   Alla costituzione di un nuovo governo, democratico, di guerra e di unità nazionale, noi abbiamo posto, però, tre condizioni. La pri­ma è che non si rompa l'unità delle forze democratiche e liberali an­tifasciste, che questa unità, anzi, si estenda e si rafforzi, essendo essa la più grande conquista realizzata dal popolo italiano dopo il crollo del regime mussoliniano, nella lotta per la propria liberazione. Nes­suno ignora che nelle ultime settimane già si era creata una situazio­ne in cui questa unità correva serio pericolo. Si diceva che il blocco delle forze antifasciste stava per rompersi. Si parlava già di un nuovo blocco di destra e di un blocco di sinistra, e nella sinistra si cercava di concentrare il fuoco, per isolarli, contro i partiti che si richiamano alla classe operaia. Non è questa la strada che si deve seguire se si vuole salvare l'Italia. Questa è una strada che ci può portare soltanto a una rinascita della reazione e di un fascismo più o meno mascherato. Il blocco delle forze democratiche organizzate non solo deve rimane­re, ma la nostra politica deve esser tale che consenta l'ampliamento del nostro fronte di guerra, fino a comprendere tutti coloro i quali vogliono combattere contro i tedeschi e contro i traditori della pa­tria. La discordia non può che accrescere i nostri mali. L'unità è la ga­ranzia migliore della nostra vittoria.

   In secondo luogo noi desideriamo che al popolo italiano ven­ga garantito nel modo più solenne che, liberato il paese, una Assemblea nazionale costituente, eletta a suffragio universale, libe­ro, diretto e segreto da tutti i cittadini, deciderà delle sorti del paese e della forma delle istituzioni. Questa posizione è democraticamen­te la più corretta. Essa non fa violenza a nessuno e non esclude dalla vita nazionale nessuno, all'infuori dei traditori fascisti. Ai monar­chici sinceri ed onesti dovrà essere data la possibilità di presentar­si al popolo, di difendere le loro posizioni e di presentarsi all'As­semblea costituente nella misura del seguito ch'essi avranno. La ga­ranzia data loro di questo diritto, ci permette di chieder loro di partecipare alla guerra di liberazione ponendo al servizio della patria le loro forze e le loro competenze, rinunciando a ogni ten­tativo di fare ostacolo al trionfo della volontà popolare.

   L'altro giorno ci è stato detto che la parola dell'Assemblea costi­tuente farebbe paura a qualcuno. Credo possa fare paura soltanto a coloro che vogliono privare il popolo della libertà di decidere da sé dei propri destini. Reclamando la convocazione di un'Assemblea co­stituente noi ci ricolleghiamo alle migliori tradizioni democratiche del Risorgimento italiano. Nel marzo 1848, i patrioti milanesi che avevano diretto l'eroica lotta delle Cinque giornate, pur invitando le forze del re di Sardegna a condurre a termine quella guerra contro gli austriaci ch'essi avevano iniziato, ponevano però la condizione che venisse convocata, finita la guerra, un'assemblea in cui il popolo de­cidesse delle sorti del paese e in particolare se lo Stato italiano doves­se essere monarchico o repubblicano. Ma questo non fu un episodio. La lotta per l'Assemblea costituente è in tutto il nostro Risorgimen­to come un filo rosso, il quale permette di scorgere quali furono gli elementi e le forze che, mentre auspicavano la formazione di un fron­te di lotta veramente nazionale per creare un'Italia libera, indipen­dente e unita, pur volevano fosse garantito al popolo il sacro diritto di darsi la Costituzione corrispondente ai suoi bisogni e alle sue aspi­razioni. Se questo diritto fosse stato rispettato, non vi è dubbio che la marcia dell'Italia sulla via della civiltà e del progresso sarebbe stata molto più rapida, dolorose parentesi di reazione sarebbero state evi­tate e forse non ci troveremmo ora al punto in cui ci troviamo. Po­nendo alla base del nostro programma politico immediato la convo­cazione dell'Assemblea nazionale costituente dopo la guerra, ci tro­viamo in compagnia degli uomini migliori del nostro Risorgimen­to, in compagnia di Carlo Cattaneo, di Giuseppe Mazzini e di Giu­seppe Garibaldi, e in questa compagnia ci stiamo bene.

   Noi porteremo questa parola nel popolo; ci impegniamo a ri­svegliare e raccogliere attorno ad essa la speranza e l'attesa di tutta l'Italia. Fino ad ora non lo si è fatto in misura sufficiente. Bisogna che il popolo sappia che se oggi lo chiamiamo a compiere uno sfor­zo, se oggi lo invitiamo a sopportare dei sacrifici e delle privazio­ni, se non possiamo dargli tutto quello di cui avrebbe bisogno per vivere, gli assicuriamo però la libertà di decidere domani delle sorti del paese. E sarà il popolo stesso, attraverso l'Assemblea costituente, che prenderà tutte le misure e fisserà le garanzie necessarie, affin­ché quello che é avvenuto una volta non abbia a ripetersi mai più.

   La terza condizione che noi poniamo è che il governo de­mocratico che si deve formare sulla base dei partiti di massa, abbia un chiaro, netto, preciso programma di guerra e di sol­lievo delle miserie del popolo e che impegni tutte le sue forze per la sua realizzazione.

   A queste tre condizioni, siamo disposti a ignorare tutti gli altri problemi o a rinviarli; sulla base di queste condizioni infatti, ci sembra che possa essere realizzata la più ampia unità di forze na­zionali per la guerra, per lo schiacciamento degli invasori e per la liquidazione del fascismo, per la liberazione e per la vittoria, cioè per l'adempimento di quei compiti a cui aspirano tutte le forze sane della nazione.

   Ci sono state fatte molte obiezioni, ed io le esaminerò rapida­mente, l'una dopo l'altra.

   Ci è stato detto: "Ma allora voi rinunziare alla rivoluzione, voi non siete più dei rivoluzionari!". Quando coloro che ci muovono questo appunto sono uomini che con una posizione sia pur lon­tanamente rivoluzionaria non hanno mai avuto niente di comu­ne, sento la tentazione di risponder loro: "Lasciate stare! Non preoccupatevene; questo è affar nostro, che ce ne intendiamo un po' più di voi!".

   E' necessario però aggiungere ancora qualche cosa di più pre­ciso perché si comprenda con quale senso di responsabilità noi oggi ci proponiamo di condurre la nostra politica. Quando vediamo, anche da parte di persone autorevoli, ripetere continuamente, ri­volgendosi al popolo: "Agite! Agite! Non indugiate! Passate all'azio­ne!", non possiamo da parte nostra tacere. Non sarà a noi che potrà essere mosso il rimprovero di essere contro l'azione del popolo in difesa dei suoi interessi. Ma quando un capo politico e soprattut­to un capo politico autorevole dice e ripete al popolo e a ogni pas­so: "Agite! Agite!", egli ha il dovere di indicare concretamente di quale azione si tratti. Questo in primo luogo. In secondo luogo egli ha il dovere di mettersi alla testa di questa azione. Soprattutto è inammissibile una posizione simile quando poi si conducono più o meno in segreto trattative e si preparano fatti che non corrispon­dono alle parole.

   Tutta questa zona d'Italia già libera e in particolare le regioni più vicine al fronte sono retrovie immediate dell'Esercito angloa­mericano, il quale è in lotta contro la Germania hitleriana e per liberare l'Italia. Noi abbiamo il dovere di garantire l'ordine e la disciplina di queste retrovie. Rivoluzionario non è colui che grida e si agita di più, ma colui che concretamente si adopera per risol­vere i compiti che la storia pone ai popoli e alle classi, e che essi devono assolvere se vogliono aprire il cammino allo sviluppo del­la civiltà umana. Quali sono dunque i compiti rivoluzionari, oggi, in tutto il mondo e in particolare per il nostro paese? Nessun dub­bio è possibile. Il compito più rivoluzionario è, per tutti gli uomi­ni che amano la libertà e il progresso, di schiacciare la Germania hitleriana baluardo di reazione e nido di nera barbarie. Per noi ita­liani il compito più rivoluzionario è di liberare il nostro paese dal­la invasione straniera e dal tradimento fascista.

   In secondo luogo ci hanno rimproverato di diventare "colla­borazionisti", "governativi", il che sarebbe incompatibile con la nostra qualità di militanti di un partito marxista.

   Questo rimprovero è fondato sull'ignoranza dei nostri princi­pi. Quando un paese è invaso dallo straniero, quando esso deve condurre una lotta a morte per riconquistare la propria indipen­denza nazionale, la propria unità e libertà, e la classe operaia è in esso una forza importante, noi abbiamo sempre ammesso la par­tecipazione dei partiti operai a un potere il quale si ponga il com­pito di lottare per respingere al più presto l'invasione straniera. La guerra per cacciare l'invasore hitleriano è una guerra giusta, che noi approviamo e alla cui direzione siamo pronti a partecipare.

   Su questo punto la nostra linea politica non fa difetto. Quan­to alla partecipazione governativa in modo concreto, cioè ai po­sti, al loro numero e alla loro importanza, questo non è per noi un elemento decisivo. Decisivo è che si costituisca un governo de­mocratico di guerra, forte e autorevole, il quale faccia la guerra sul serio e crei in tutto il paese l'atmosfera a ciò necessaria. Abbiamo davanti a noi un grande esempio e proprio nella storia contempo­ranea dell'Europa: l'esempio della Spagna popolare e repubblica­na nella quale il partito d'avanguardia della classe operaia, il par­tito comunista, partecipò a formazioni governative con alcuni dei suoi uomini e anche senza reclamare posti dirigenti, e in questo modo facilitò l'unità di tutte le forze nazionali e quel miracolo che fu la resistenza del popolo spagnuolo per quasi tre anni alle forze coalizzate della Germania hitleriana e dell'Italia fascista. Questo esempio vi può spiegare forse meglio delle parole come i comuni­sti sappiano in ogni situazione assumersi le loro responsabilità e adempiere i loro doveri.

   La partecipazione all'attività di governo ha anche un altro aspet­to, più limitato, quasi terra terra, ma al quale occorre dedicare al­cune parole. Nei pochi giorni da che mi trovo qui ho avuto occa­sione di incontrare molti compagni, e in particolare molti che occupano posti di responsabilità in organismi amministrativi e di governo. Ho constatato che questi compagni compiono un lavo­ro paziente, duro, faticoso; che essi lottano giorno per giorno per risolvere questioni complicate, difficili, da cui dipende l'esistenza delle masse lavoratrici. Vorrete voi dire che essi sono degli sprege­voli "collaborazionisti"? No, essi sono dei buoni militanti e com­battenti. Essi lavorano per il popolo e per la guerra. Essi compio­no il loro dovere e noi possiamo soltanto augurarci, per il bene di tutti, che il loro numero aumenti e che tutti i partiti antifascisti concorrano, in questo campo, a un'opera comune di sana direzio­ne politica e amministrativa, di organizzazione e risanamento di tutta l'atmosfera del paese.

   Ci hanno detto che il popolo non ci capirà. Ho già detto che vi sono ancora tra di noi elementi i quali tessono nell'ombra in­trighi reazionari e che avrebbero interesse a che l'Italia si indebo­lisse sempre di più. Può darsi che costoro fingano di non capirci, mentre invece capiscono molto bene quello che noi vogliamo. Ma per quello che riguarda il popolo abbiamo la soddisfazione di po­ter affermare che non solo ha capito, ma ha anche approvato la no­stra azione. Gli operai, ascoltano la voce del loro partito, hanno compreso che noi vogliamo creare condizioni politiche in cui si lavori sul serio per soddisfare, nel quadro di una politica di guer­ra, gli interessi elementari dei lavoratori e prima di tutto per acce­lerare la ripresa di un'attività industriale più o meno normale. Gli operai hanno compreso, inoltre, che spetta precisamente a loro mettersi alla testa della lotta per la liberazione e la rinascita del paese, perché solo così può esser salvata l'Italia, e solo così si apro­no alle forze popolari tutte le vie dell'avvenire. Hanno compreso la nostra politica, forse più di tutti gli altri, gli strati medi intellet­tuali, i quali già sentivano l'oppressione di questo ambiente di ma­novre e di intrighi che si era venuto creando, e che doveva esser rotto se non ci si voleva condannare all'impotenza e allo sfacelo. Credo e spero, infine, che ci abbiano compreso i giovani: questi giovani che il fascismo ha delusi, ingannati, traditi, forse più di tutte le altre categorie della nazione: i giovani i quali oggi, se in loro vive un sentimento nazionale, più profonda debbono sentire nel loro animo la vergogna, l'umiliazione per l'abisso in cui è sta­ta gettata l'Italia. Meno legati a tradizioni ristrette e a pregiudizi di gruppo, più disinteressati e generosi, i giovani sanno che la re­surrezione d'Italia è compito loro; essi la vogliono, essi sono pronti a battersi; essi non possono capire che non si riesca a saldare, su una base di libertà e di democrazia, l'unità di tutti gli italiani nel­la guerra per spezzare il giogo tedesco. Noi chiediamo ai giovani entusiasmo e spirito di sacrificio, nella guerra e per la guerra: ma noi dobbiamo dar loro l'esempio dell'unità e della disciplina, dob­biamo dar loro la prova che comprendiamo gli interessi della na­zione, e sappiamo noi stessi sacrificare ad essi i nostri interessi par­ticolari. Le giovani generazioni italiane, schierandosi all'avanguar­dia del combattimento per liberare l'Italia, riscattano l'onta del fa­scismo, rinascono a nuova vita, si aprono la strada per diventare una delle forze dirigenti dell'Italia nuova.

   Qualcuno ci ha detto che noi costringevamo i partiti demo­cratici a rinnegare tutto ciò che hanno fatto sino ad ora, o per lo meno a considerare che il loro sforzo è stato vano, e che ciò avrà conseguenze cattive per tutto il nostro movimento.

   Nemmeno questa obiezione regge. Noi non chiediamo affatto che sia rinnegato l'operato comune, l'azione che è stata svolta dai partiti democratici e antifascisti dopo la caduta del fascismo, dopo l'armistizio, al Congresso di Bari e in seguito. Quest'azione ha avuto un grande risultato positivo: essa ha sollevato il popolo contro le cric­che reazionarie e semifasciste, cosa ch'era indispensabile fare e che continueremo a fare; essa ha posto le prime pietre miliari di quel grande moto di rinnovamento d'Italia che culminerà nei deliberati dell'Assemblea nazionale costituente; essa ha fatto conoscere al mon­do l'Italia non più come terra di tiranni e di schiavi, ma come paese che riprende a muoversi sul terreno della libertà; essa ha creato quel­l'unità del movimento dei Comitati di liberazione che noi tanto ap­prezziamo e che difenderemo come la pupilla dei nostri occhi. Noi non rinneghiamo nulla. Chiediamo soltanto a coloro che hanno sen­so politico di rendersi conto che si è arrivati a un punto in cui se si vuole procedere innanzi ed evitare il danno del paese bisogna avere il coraggio di modificare la linea seguita finora.

   Ci è stato detto infine, ed è questa forse l'obiezione più seria, che non si riuscirà a far nulla perché vi sono ancora troppi fascisti in giro, troppi reazionari annidati in tutte le parti, e questi ci le­gheranno le mani e ci metteranno la museruola e finiranno per avere il sopravvento su di noi.

   Compagni, noi non ci nascondiamo nessuna delle difficoltà della situazione, e se qualcuno crede che il nuovo indirizzo da noi dato alla nostra politica significhi che noi pensiamo si possa aver ragione delle forze reazionarie e antinazionali senza con­durre al cospetto del popolo e poggiando sul popolo una lotta continua e accanita, egli si sbaglia profondamente. Sappiamo che vi sono dei fascisti e dei reazionari in giro, a sabotare il nostro sforzo di guerra; ma noi vogliamo che si combatta con­tro di loro con tutte le armi, comprese quelle che darà ai partiti antifascisti la loro partecipazione a un governo di guerra. Que­sto governo dovrà avere un programma e si dovrà vegliare af­finché esso venga applicato. E' su questo che noi porremo l'ac­cento il giorno in cui si passerà alla formazione di un nuovo governo e non sulle trattative che possano venire condotte per soddisfare questa o quell'altra personalità.

   I sette punti elaborati dai tre ministri degli esteri delle grandi potenze democratiche già contengono in sé un abbozzo di pro­gramma per la rinascita d'Italia. Ancora ieri questi punti veniva­no rammentati dal ministro degli esteri degli Stati Uniti. Noi non li abbiamo dimenticati e crediamo che il governo democratico di guerra e antifascista, che si deve formare, dovrà lavorare alla loro realizzazione. Se poi desiderate che scendiamo anche più nel con­creto, poniamo quattro problemi: primo, l'esercito; secondo, la vita economica e in prima linea l'approvvigiona­mento del paese; ter­zo, l'epurazione; quarto, la vita amministrativa locale. Per ciascu­no di questi punti proponiamo sia ben fissato quello che si chiede al nuovo governo e che il nuovo governo dovrà fare.

   Ancora una volta ripeto che noi vogliamo l'Italia abbia un eser­cito forte e per crearlo sollecitiamo la collaborazione di tutti gli elementi dell'esercito, che hanno una competenza tecnica, e vo­gliono combattere contro i tedeschi e contro i traditori del paese. Chiediamo ai buoni militari di abbandonare ogni tentativo di fare dell'esercito il punto di appoggio di intrighi reazionari, i quali, per prima cosa, sfasciano e discreditano l'esercito stesso, minando la sua disciplina e la sua unità. Siamo convinti che la costituzione di un governo democratico di guerra faciliterà anche la soluzione del problema dell'armamento dell'esercito con l'aiuto delle grandi potenze democratiche alleate.

   Per quello che riguarda la vita economica, vogliamo si condu­ca con mezzi efficienti la lotta contro la speculazione la quale affa­ma il popolo, e che vengano individuati quali sono i punti su cui dovrà essere concentrata l'attività governativa.

   Prima di tutto è necessaria un'azione intelligente di organizza­zione, la quale, senza ledere l'interesse del contadino, permetta al nuovo raccolto di arrivare nella misura necessaria nelle città attra­verso organi normali e non attraverso immondi speculatori. E' necessario, con l'aiuto degli alleati riorganizzare i trasporti in modo che l'affluire dei prodotti dalla campagna alla città possa essere rapido e continuo. E' necessario rimettere in funzione almeno una parte dell'apparato industriale utilizzando le capacità degli operai, dei tecnici e degli intellettuali, di cui sono così ricche queste re­gioni meridionali. Vogliamo si combatta energicamente la corru­zione; ma quando sentiamo rivolgere l'accusa di corruzione a tut­ti gli strati popolari, come se il nostro popolo, come se il popolo di Napoli, particolarmente oggi, avesse perduto ogni senso mora­le e solo si occupasse di speculare, noi insorgiamo contro questa accusa. Si creino delle condizioni minime di esistenza all'operaio che lavora, all'impiegato che va al proprio ufficio, e al disoccupa­to per forza maggiore e si vedrà che il nostro popolo è sano e di­sposto a dare tutto il suo contributo alla lotta contro i suoi affa­matoti. L'Italia si è già trovata altre volte, ad esempio nell'altra guerra, in gravi condizioni alimentari. Allora si trovarono i mezzi e si crearono gli istituti che erano necessari per non lasciar langui­re il popolo nella fame. Ricordo l'esempio delle grandi aziende annonarie municipali che a Milano e a Bologna erano dirette da socialisti, ma in altre città da democratici, cattolici e liberali. Si cer­chino nel nostro paese le tradizioni e le aspirazioni per soddisfare in modo disciplinato le nostre necessità, che sono oggi necessità di un'economia di guerra.

   Per quello che riguarda l'epurazione vi sono state molte discus­sioni, sono state fatte proposte ed elaborati progetti. Non si è però andato molto avanti e anche a questo proposito forse è necessario compiere una svolta audace che sbarazzi il terreno da ogni discus­sione oziosa e permetta di procedere con sicurezza e con rapidità. Tutta la epurazione, nel momento presente, deve essere subordi­nata alle necessità di guerra. Le questioni di altro genere possono essere sospese e rinviate. Abbiamo bisogno di retrovie sicure. Non vogliamo nelle retrovie dei traditori. È inammissibile che ci si ven­ga a dire che qui circolano ancora non so quali squadristi, non so quali giudici del Tribunale speciale. È inammissibile ci siano dei fascisti i quali fanno delle riunioni clandestine, organizzano un movimento squadrista, e trovano persino qualcuno che li proteg­ge. Mentre l'Italia è in lotta per la sua libertà e per la sua esisten­za, chi trama contro l'Italia deve essere trattato come un tradito­re. Noi chiediamo che vengano prese contro i traditori fascisti le misure che, in qualsiasi paese, retto a regime democratico o libe­rale o anche conservatore, vengono prese per reprimere il tradi­mento. Il criterio supremo cui attenersi in questo campo è quello della sicurezza del fronte dell'esercito e della nazione in lotta, del­la sicurezza di tutta l'attività del governo in favore della guerra e in favore del popolo. Che i traditori vengano puniti in modo esemplare e che i sospetti di tradimento vengano posti in condi­zioni di non nuocere. Questa è la condizione prima, necessaria, assoluta, affinché si possa fare la guerra.

   A proposito delle amministrazioni locali, nei sette punti appro­vati dai tre ministri degli esteri delle grandi potenze democratiche è detto esplicitamente che si devono creare in Italia degli organi­smi democratici di autogoverno. Pensiamo che in questo campo si può e si deve andare molto più speditamente di quanto non si sia fatto fino ad ora. Le nostre popolazioni sono sane, il nostro popolo è sano, e i partiti antifascisti hanno la forza e la capacità necessarie per organizzare con capacità delle sane amministrazio­ni locali. Sia fatto largo alle forze popolari nei comuni e nelle pro­vince. Si permetta loro di fare pulizia della corruzione fascista, di riprendere le nostre grandi tradizioni di autogoverno locale. Il nostro partito ritiene che, soprattutto data la concordia che esiste tra i partiti del movimento dei Comitati di liberazione, è oggi possibilissimo e consigliabile pensare alla elezione dei Consigli comunali per via democratica, se non in tutte le regioni libere ad un tempo, almeno in alcune di esse. In questo modo sarà più fa­cile collegare strettamente le amministrazioni comunali al popo­lo, iniziare il risanamento di tutta la vita locale.

   Se volessi riassumere in una formula unica quello a cui tendia­mo nel momento presente e che reclamiamo dal governo futuro, direi che vogliamo che nel nostro paese venga creata una atmosfe­ra di guerra e di severa disciplina nazionale e che in una simile atmosfera vengano soddisfatte tutte le esigenze della guerra stessa del popolo.

   Io vengo dall'Unione Sovietica, compagni! Ho avuto la fortu­na dal principio della guerra di assistere allo sforzo e alle vittorie di questo grande e invincibile paese. Ho visto che cosa hanno fat­to, come hanno lavorato, combattuto e sofferto gli operai russi, i contadini colcosiani, gli intellettuali, per garantire la resistenza e la vittoria della loro patria. Sono stato a Mosca nei giorni in cui i tedeschi ne erano lontani soltanto alcune decine di chilometri, quando gli operai lasciavano le macchine per impugnare il fucile, e tutta la popolazione, donne e ragazzi compresi, lavorava a creare quel sistema di difese contro il quale si fiaccò la baldanza dei ge­nerali hitleriani. Mi è accaduto di assistere al trasporto di intiere officine attraverso centinaia e migliaia di chilometri, con tutte le amministrazioni, con tutti gli ingegneri, con tutto il personale tecnico e con tutte le macchine, attraverso vie ingombre di trasporti militari, attraverso la neve, fino alle regioni inaccessibili al nemi­co dove esse venivano rimesse in funzione nel giro di pochi mesi, di poche settimane. Molte volte mi son chiesto come fosse possi­bile questo sforzo enorme di una massa di uomini e di donne ster­minata, la quale, nemmeno nei momenti più duri, ha mai dubi­tato un istante della vittoria, e col suo sforzo ininterrotto e con la sua fede ha creato le condizioni del trionfo delle armi sovietiche. Questo sforzo e questo trionfo sono stati possibili grazie all'ordi­ne e alla disciplina che esistono in quel grande paese, e che a loro volta hanno la loro base incrollabile nella unità di tutto quel po­polo, di tutte le nazioni che lo costituiscono, delle diverse catego­rie di lavoratori, degli operai, dei contadini colcosiani, degli intel­lettuali, delle donne e degli uomini, delle vecchie e delle nuove ge­nerazioni. Questa unità morale e politica, anima della quale è il grande partito di Lenin e di Stalin, è la condizione e la fonte dei trionfi dell'Unione Sovietica.

   Lo so, compagni, che non posso dare l'Unione Sovietica come esempio all'Italia, perché l'unità del popolo che esiste nell'Unio­ne Sovietica ha come sua condizione gli stessi rapporti sociali nuovi che esistono nella Russia, e che sono, dal punto di vista materiale e morale, i più avanzati. Qui non siamo ancora arrivati a un tal punto. Ma nell'Italia esiste un popolo il quale non vuole perdere la sua indipendenza, il quale non vuole morire. La grande mag­gioranza degli italiani vuole sinceramente il bene del proprio pae­se. Possa l'esempio dell'Unione Sovietica incitare tutti i buoni ita­liani, per lo meno, a una più grande concordia e a un più genero­so spirito di sacrificio; possa questo esempio animare soprattutto i giovani, cui spetta creare sulle rovine di oggi un'Italia nuova. Ai popoli dell'Unione Sovietica, che ci hanno dato e ci danno l'aiuto decisivo per liberarci per sempre della tirannide fascista, e a tutti i popoli liberi del mondo che oggi hanno gli occhi sopra di noi, di­mostriamo, per lo meno, che per schiacciare l'invasore straniero oggi siamo uniti e uniti andiamo alla lotta. Credo, compagni, di avere risposto a tutte o alla maggior parte delle obiezioni che sono state fatte in questo momento alla nostra politica. Ma vi è ancora un punto sul quale siamo tenuti a dare una risposta chiara ed esau­riente, affinché ogni possibile equivoco venga disperso. Che cosa faremo noi domani? Qual è il nostro programma? Non parliamo noi oggi in un modo per poi domani prendere un'altra strada?

   A questo proposito noi vogliamo dissipare qualsiasi incertezza che ancora potesse sussistere. Noi abbiamo un programma per il domani d'Italia. Per ora basterà che accenniamo alle sue gran­di linee, riservandoci di concretarlo, col tempo. L'obiettivo che noi proporremo al popolo italiano di realizzare, finita la guerra, sarà quello di creare in Italia un regime democratico e progressivo. Per questo obiettivo noi chiameremo a combattere gli operai, i conta­dini, gli intellettuali, le giovani generazioni. Vogliamo che l'Italia venga ricostruita, e ricostruita rapidamente, nell'interesse del po­polo. Sappiamo qual è la profondità delle distruzioni avvenute nel tessuto sociale italiano, e sappiamo, quindi, che se ci ponessimo un altro obiettivo non adempiremmo ai doveri che abbiamo ver­so la nazione, che cerca in noi una guida. Convocata domani un'As­semblea nazionale costituente proporremo al popolo di fare del­l'Italia una repubblica democratica, con una Costituzione la qua­le garantisca a tutti gli italiani tutte le libertà: la libertà di pensie­ro e quella di parola; la libertà di stampa, di associazione e di riu­nione; la libertà di religione e di culto; e la libertà della piccola e della media proprietà di svilupparsi senza essere schiacciata dai gruppi avidi ed egoisti della plutocrazia, cioè del grande capitali­smo monopolistico. Questo vuol dire che non proporremo affat­to un regime il quale si basi sull'esistenza o sul dominio di un solo partito. In una Italia democratica e progressiva vi dovranno essere e vi saranno diversi partiti corrispondenti alle diverse correnti ideali e di interessi esistenti nella popolazione italiana; noi proporremo però che questi partiti, o che almeno quelli fra di essi che hanno una base nel popolo e un programma democratico e nazionale, mantengano la loro unità per far fronte ad ogni tentativo di rina­scita del fascismo. Non vogliamo mettere al bando della nazione né i democratici, né i liberali, ma i fascisti. Il regime democratico e progressivo che proponiamo e alla costruzione del quale voglia­mo collaborare e collaboreremo in tutte le sue forme, dovrà essere un regime forte, il quale si difenda con tutte le armi contro ogni tentativo di rinascita del fascismo e della reazione, contro ogni ten­tativo di sopprimere o calpestare le libertà popolari. Questa nuo­va democrazia dovrà mettere fuori legge ogni e qualsiasi residuo del fascismo, e dovrà inoltre prendere delle misure per estirpare le radici da cui sorse il fascismo nel passato, e da cui potrebbe rina­scere nel futuro. Per questo noi proporremo che venga decisa, dopo la guerra, dalla Assemblea costituente italiana, una profonda rifor­ma agraria, la quale crei nelle campagne una nuova situazione a favore del piccolo e del medio contadino, distrugga ogni residuo feudale, dia la terra e i mezzi per coltivarla ai contadini che oggi ne sono privi, e non permetta più al grande proprietario e allo spe­culatore di opprimere i lavoratori agricoli e i ceti rurali, e di ser­virsi della propria posizione economica per dominare la vita poli­tica e spingere il paese sopra un binario reazionario. I gruppi plu­tocratici, i quali sono i responsabili della instaurazione in Italia del regime fascista e gli autori diretti della catastrofe nazionale odier­na, dovranno essere colpiti e messi nella impossibilità di nuocere. I beni di coloro che hanno tradito la patria ponendosi al sevizio dello straniero saranno confiscati a favore dello Stato, e lo Stato dovrà impedire, a mezzo di misure decise dal popolo, che un pic­colo gruppo di uomini, avidi, egoisti e corrotti, possano ancora una volta concentrare nelle loro mani tutte le ricchezze del paese, e ser­virsene per sopprimere la libertà e imporre una politica contraria all'interesse nazionale. Noi chiediamo che l'Italia democratica e progressiva di domani rinunci per sempre ad ogni politica di con­quista, ad ogni avventura e ad ogni intrigo imperialista. Questa, infatti, fu la chiave di volta di tutto l'edificio del fascismo, l'origi­ne prima di tutti i nostri mali. L'Italia dovrà fare una politica di pace con tutti i popoli, di collaborazione con le grandi nazioni de­mocratiche; e in prima linea con la grande Unione Sovietica, che è il baluardo della democrazia e della pace nel mondo intiero.

   La politica che noi proponiamo è la sola che possa consentire una rapida nostra ripresa economica, attraverso uno sviluppo con­tinuo del livello di esistenza delle masse operaie e contadine e sop­primendo tutte le forme di parassitismo economico e sociale. Essa permetterà all'Italia di rinascere e darà al popolo benessere, tran­quillità e pace.

   Ed ora avrei finito se non volessi aggiungere ancora alcune rac­comandazioni a proposito di quello che deve essere oggi il nostro partito. Ho cominciato dicendovi che nessuna politica può essere realizzata senza un partito, il quale sia capace di portarla fra le masse, nelle officine, nelle strade, nelle piazze, nelle case, nel po­polo e di guidare tutto il popolo a realizzarla. Il nostro partito deve acquistare questa capacità. Ma a questo scopo esso deve avere pri­ma di tutto una sua particolare fisionomia, che lo renda fra tutti riconoscibile e gli apra l'animo delle masse, facendo loro vedere ch'esso è la guida di cui hanno bisogno. Noi dobbiamo essere, fra tutte le formazioni politiche italiane, quella che è più decisamen­te, più nettamente, antihitleriana. Noi vogliamo la distruzione, lo schiacciamento della Germania hitleriana e ci battiamo contro l'hi­tlerismo, con tutte le armi, sino alla sua disfatta completa. Que­sto fa di noi, nel momento in cui la Germania hitleriana ha inva­so il nostro suolo e tiene soggiogati trentacinque milioni d'italia­ni, il partito che è all'avanguardia della lotta per la liberazione na­zionale. Questo fa di noi, in pari tempo, il partito che assicurava il contatto più stretto tra il popolo italiano e tutte le altre forze popolari e d'avanguardia che lottano per la distruzione dell'hitle­rismo e per la libertà in tutta l'Europa e nel mondo.

   Noi siamo, fra tutte le formazioni politiche italiane, il partito più decisamente e nettamente antifascista, non solo perché non abbiamo nel nostro passato alcun compromesso che ci possa ve­nire rimproverato; ma perché noi siamo coloro i quali compren­dono meglio quali sono state e quali sono le radici del fascismo e come debbono venire troncate se si vuole liberarsi del fascismo per sempre. Non abbiamo vendette da compiere, anche per il motivo che, se dovessimo vendicarci di tutto, forse troppo sangue dovrem­mo spargere. Ma quello che vogliamo, e per cui impegniamo e impegneremo tutte le nostre forze è che ciò che è accaduto una volta al nostro paese non abbia a ripetersi e non possa ripetersi mai più. Vogliamo che la classe operaia, gli intellettuali, i contadini, l'Italia intiera siano garantiti contro un'altra catastrofe, che sareb­be l'inevitabile conseguenza di una rinascita, sotto qualsiasi forma, di un regime reazionario fascista o semifascista, più o meno ma­scherato. Non crediate che la lotta contro il fascismo sia termina­ta. Tanto nel campo della ideologia, quanto nel campo politico e organizzativo, la lotta contro il fascismo incomincia a diventare una vera e grande lotta di masse. È compito dei comunisti estenderla, rafforzarla, condurla in modo intransigente in tutti campi e fra tutti gli strati sociali. A noi spetta mettere a nudo la ideologia brigan­tesca dell'imperialismo fascista e le menzogne demagogiche con le quali essa è stata mascherata. A noi spetta distruggere anche gli ultimi residui di influenza del fascismo nelle menti degli uomini e nella vita del paese. Dobbiamo creare contro il fascismo un'at­mosfera così arroventata, bruciante, per cui non sia più possibile che circoli e venga preso sul serio un solo argomento fascista, per cui ogni tentativo di intrigo o di congiura di residui fascisti con­tro la patria e contro gli alleati trovi nel popolo stesso una replica tale che lo schiacci senza pietà. Il solo posto che spetta al fascismo dopo che ci ha portati tutti alla catastrofe, è davanti al plotone di esecuzione.

   Noi siamo il partito dell'unità. Unità della classe operaia, unità delle forze antifasciste, unità di tutta la nazione nella guer­ra contro la Germania hitleriana e contro i traditori al suo ser­vizio. Noi siamo il partito a cui spetta in prima linea sventare le manovre, da qualunque parte esse vengano, per spezzare l'uni­tà di cui abbiamo bisogno per poterci salvare. Contro i nemici dell'unità mettiamo in guardia tutti i partiti, tutte le organiz­zazioni, tutto il paese.

   Noi dobbiamo essere il partito più vicino al popolo. Il popolo oggi soffre materialmente e moralmente. È dovere dei comunisti di essere vicini a tutti gli strati popolari, a tutti coloro che soffro­no; agli operai che lavorano o che sono disoccupati, ai giovani, alle donne operaie e di casa, agli intellettuali, ai contadini. Dobbiamo riuscire a comprendere tutte le necessità di questi strati popolari e impegnarci per soddisfarle. Chi non ha fiducia negli operai e nel popolo non può essere un comunista. Comunista è colui che la­vora giorno per giorno per sollevare le miserie che vede attorno a sé, difendendo sempre gli interessi di chi lavora, organizzando e dirigendo tutti gli strati del popolo alla lotta per l'aumento del loro benessere, per il pane e per la vita. Per questo dovete organizzare dappertutto un forte movimento sindacale, impedire che degli av­venturieri penetrino in esso per disgregarlo; servirvi di tutti i po­sti che occupate, tanto nei sindacati quanto nelle pubbliche am­ministrazioni, per legarvi sempre più al popolo e soccorrere ai suoi bisogni.

   Noi siamo il partito il quale guarda con maggior fiducia alle nuove generazioni, le quali hanno subito una triste esperienza, ma di cui non abbiamo nessun motivo per disperare. Io non credo a tutto ciò che si scrive di male circa i giovani e i giovanissimi italiani. So che a Napoli durante le quattro giornate quelli che si sono battuti contro i tedeschi sono stati i giovani: sono stati i ragazzi del popolo, gli eroici scugnizzi napoletani.

   Gioventù vuol dire, inevitabilmente, inquietudine, ansia, ricer­ca affannosa di vie nuove. Anche noi fummo giovani, e lo sappia­mo. Ma se il crollo pauroso del fascismo ha lasciato in molti gio­vani un vuoto non ancora colmato, perché essi non comprendo­no ancora come le loro aspirazioni di rigenerazione del paese e di giustizia sociale possano ora venire attuate, sta a noi dimostrar loro che l'ideale che li anima è lo stesso nostro ideale, e che, respinta la turpe menzogna fascista, è soltanto oggi che si aprono veramente alle nuove generazioni tutte le vie dell'avvenire.

   Ricordatevi infine, compagni, che il nostro partito può adem­piere ai propri compiti soltanto nella misura in cui esso è unito e disciplinato. Voi, comunisti napoletani, vi siete trovati, all'inizio della ricostruzione delle vostre file, di fronte ad una serie di ma­lintesi, i quali hanno anche portato temporaneamente a una scis­sione della vostra organizzazione. Badate però: a provocare que­sto episodio increscioso molto probabilmente ha influito la mano del nemico. Voi avete rapidamente liquidato questa situazione; avete ricostituito l'unità della vostra organizzazione. Essa deve es­sere per voi il bene più prezioso. Sappiatelo apprezzare; sappiatelo difendere. Ricordate che oggi i colpi dei nostri nemici saranno sempre diretti in prima linea a spezzare la nostra unità. L'unità del partito si difende quindi difendendo in pari tempo la purezza delle sue file. Siate vigilanti. Siate disciplinati. Non chiudete le porte del partito per gretto orientamento esclusivistico e settario. Accoglie­te tutti i buoni e onesti lavoratori che vengono a noi: operai pri­ma di tutto, intellettuali, contadini, buoni antifascisti. Ma abbia­te sempre gli occhi aperti per scoprire e cacciare colui che vuole intrufolarsi nelle nostre file per gettarvi la discordia, per disgregarle. Quasi sempre vi accorgerete che egli è un agente del nemico. Sma­scherate senza pietà il provocatore, il disgregatore, il corruttore. Solo se il nostro partito sarà unito, disciplinato, compatto, libero da ogni infiltrazione nemica, noi saremo pari ai compiti che la sto­ria stessa pone oggi alla classe operaia e alla sua avanguardia.

   E termino, come ho cominciato, con un saluto e con un rin­graziamento ai dirigenti, ai militanti attivi e a tutti i membri del­l'organizzazione comunista napoletana. Nel passato, non soltan­to per noi, ma anche per il partito socialista, fu sempre molto dif­ficile creare e mantenere in questa città una organizzazione proletaria forte, di massa, disciplinata e unita. Le organizzazioni pro­letarie furono teatro di ambizioni, di personalismi, di lotte, le quali non avevano nulla di comune con le grandi lotte che devono es­sere condotte contro i nemici del popolo e nell'interesse della classe operaia. Le diverse chiesuole in lotta mal nascondevano di essere ciascuna l'agenzia di gruppi borghesi reazionari interessati prima di tutto a sfasciare il movimento operaio. Voi siete riusciti a com­piere un passo decisivo per uscire da questa situazione. Avete get­tato a Napoli le basi, - e delle basi solide, - di una organizzazione comunista, unita, disciplinata e solida, che gode di un prestigio fra tutta la cittadinanza. Assolvendo a questo compito non avete fat­to soltanto il bene degli operai e del popolo di Napoli; avete fatto un passo avanti per risolvere una questione di interesse nazionale, per creare in tutto il Mezzogiorno nuovi rapporti politici, i quali permettano alla classe operaia di mettersi a capo delle grandi masse lavoratrici meridionali, di sottrarle all'influenza dei gruppi reazio­nari che ancora le tengono sotto il loro potere, e dirigerle nella lotta per il loro benessere e per il bene di tutto il paese.

   Di questa prima vittoria che avete riportato nell'interesse di tutto il popolo noi vi dobbiamo essere riconoscenti. Ma che i suc­cessi non vi diano alla testa! Un comunista non si deve lasciare mai inebriare dai successi, né da quelli della popolarità, né dai primi risultati positivi del suo lavoro. I successi si devono sempre misu­rare alla stregua dei grandi compiti del partito e noi siamo ancora molto, molto lontani, tanto a Napoli che nel resto d'Italia, dal loro raggiungimento. Misurate i vostri successi alla stregua del compi­to di guidare tutto il popolo di Napoli perché partecipi alla guer­ra, di creare nella città una atmosfera di guerra, che da Napoli s'ir­radi per tutta l'Italia meridionale, e dica ai nostri fratelli del cen­tro e del nord che la lotta per liberarli è la nostra preoccupazione di tutti i giorni, di tutte le ore.

   Le parole d'ordine fondamentali del nostro partito che voi porterete dappertutto, sono queste:

   tutto per la guerra contro la Germania hitleriana;

   tutto per la distruzione del fascismo;

   unità della classe operaia, dell'antifascismo e della nazione per riconquistare la libertà e l'indipendenza d'Italia, per creare, finita la guerra, quell'Italia democratica e progressiva che è il sogno di tutti noi;

   un governo democratico che faccia la guerra e che soccorra i bisogni del popolo.

   Il nostro partito ha percorso dal giorno della sua fondazione un cammino lungo, faticoso, difficile. Ma il fatto che oggi ci ri­troviamo qui, vecchi militanti con le tracce sul viso delle sofferen­ze del carcere, della deportazione, dell'esilio, e nuove, fresche ener­gie sgorganti oggi dalla fonte inesauribile della classe operaia e dal popolo; il fatto che ci troviamo uniti attorno alla nostra vecchia bandiera e sentiamo volgersi a noi, forse come non mai, l'attesa e la fiducia di moltitudini umane, questo fatto è garanzia del nostro avvenire. Il partito comunista impegna tutte le sue forze nel com­battimento per l'unità, per la libertà, per l'indipendenza d'Italia. Esso sa di servire in questo modo gli interessi della nazione; esso sa di servire i veri interessi del popolo e della classe operaia, e an­drà avanti, senza esitazioni, su questo cammino.

   Vi invito a gridare con me:

   Evviva Napoli popolare e democratica!

   Evviva l'Italia, libera, unita e indipendente!

   Evviva il Partito comunista italiano, avanguardia della classe operaia e guida di tutto il popolo nella lotta per la sua libertà e per la sua rinascita.