Dal Promemoria autobiografico di Pietro Seccha, in Archivio Pietro Secchia, cit. pp.215-218.
Proponemmo che la risposta dovesse essere molto forte, ampia, unitaria, in tutto il paese; ma doveva trattarsi, seppure forte, di una manifestazione generale di protesta contro il governo, la più ampia possibile, tale da mobilitare tutto lo schieramento democratico in modo da esercitare un peso sull'opinione pubblica, sul governo e sul partito dominante e responsabile, la DC.
Tutti i compagni si trovarono d'accordo su questa impostazione e sul carattere da dare allo sciopero generale. Nessuno propose moti insurrezionali o cose del genere. Tutti furono concordi sulla linea da seguire, sulle parole d'ordine da dare e sul manifesto da lanciare al paese.
Disponemmo per l'immediata pubblicazione di una edizione straordinaria della "Unità" che portava l'appello della direzione del partito.
In tale appello (vedi edizione straordinaria, "Unità" 14 luglio) si diceva tra l'altro:
Il sicario è l'esecutore di un delitto scaturito dall'atmosfera politica di provocazioni e di violenze deliberatamente creata dal governo De Gasperi-Scelba, dal governo della guerra civile.
Si levi in tutto il paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi. Per la pace interna, per la legalità repubblicana, per la libertà dei cittadini: dimissioni del governo della discordia e della fame, del governo della guerra civile!
Intanto la radio delle ore 13 aveva trasmesso la notizia dell'attentato ed in ogni città d'Italia, in primo luogo nei grandi centri industriali, era scoppiato spontaneo lo sciopero generale, senza attendere le disposizioni che venissero da Roma.
Prevedendo che avrebbero potuto crearsi delle situazioni difficili e delicate in alcuni grandi centri del paese, disponemmo perché i membri della direzione del partito partissero subito e si portassero nelle loro rispettive sedi dei capoluoghi di regione. Il compagno Spano fu inviato per aereo a Genova, altri con mezzi straordinari, come Negarville per Torino, Colombi per Bologna, Pellegrini per Venezia.
Immediatamente dopo tornammo all'ospedale dove ebbimo l'ottima notizia che l'operazione era riuscita molto bene ed anche se il compagno Togliatti era ancora molto grave, si poteva essere, sulle sue condizioni, abbastanza tranquilli.
Nel corso della giornata e di quelle seguenti feci la spola tra il Policlinico e il partito mantenendomi continuamente a contatto con mezzi diversi, compresi quelli del quotidiano 1'"Unità", con i principali centri del paese e con i dirigenti delle nostre organizzazioni.
Anche durante la notte trascorrevo diverse ore al Policlinico. Mia moglie, che una settimana prima dell'attentato aveva avuto uno spasmo vasale in conseguenza di alta pressione ed era ancora gravemente ammalata, si lamentava di quelle mie assenze notturne, spiegate per ragioni di lavoro. Noi tacevamo a lei dell'attentato a Togliatti anche se abitavamo nella stessa casa; proprio per questo si stupiva di non vederlo, ma noi le avevamo raccontato che lui era in viaggio. Nelle sue condizioni di inferma i medici raccomandavano di non dire nulla che potesse commuoverla, metterla in agitazione.
Ripetutamente i giornali scritti, ispirati, o pagati dall'on. Scelba o dai servizi del ministero dell'Interno, hanno presentato Scelba come il salvatore d'Italia, asserendo che col suo sangue freddo egli fece fallire l'insurrezione scatenata dai comunisti.
Si tratta di una ridicola e provocatoria smargiassata. L'on. Scelba non ha impedito un bel nulla perché nessuno ha mai pensato in quei giorni a scatenare un moto insurrezionale. Nulla di ciò che i lavoratori, le loro organizzazioni e il loro partito vollero fare, Scelba riuscì a impedire.
L'on. Scelba fu semplicemente impotente di fronte allo scoppio spontaneo dello sciopero generale che qualche ora appena dopo l'attentato divampò in tutta Italia compatto e imponente. Anzi, l'on. Scelba non riuscì neppure a impedire (forse non ci pensò) che il giornale radio delle ore 13 trasmettesse la notizia dell'attentato. Per cui si potrebbe dire che fu lo stesso Scelba a favorire la proclamazione dello sciopero generale perché la maggioranza dei lavoratori e dei dirigenti le loro organizzazioni periferiche appresero la notizia dell'attentato dalla radio delle ore 13.
L'on. Scelba impartì immediatamente - comunicato ANSA del pomeriggio 14 luglio - disposizioni a tutti i prefetti perché impedissero qualsiasi dimostrazione pubblica. Non ci fu un solo prefetto che riuscì o pensò sul serio a fare applicare una tale disposizione.
L'on. Scelba riferì poi in Senato che nella notte tra il 14 e il 15 luglio egli diede disposizione alle autorità di Torino affinché attaccassero con le armi la FIAT Mirafiori (che era stata occupata dagli operai). Le autorità di Torino, che dovevano avere i nervi più saldi di quanto non li avesse Scelba, si guardarono bene dal dare pratica attuazione a tale grave atto inconsulto che avrebbe potuto avere conseguenze e sviluppi imprevedibili.
L'on. Scelba diede disposizioni affinché in nessuna città si permettesse l'occupazione delle fabbriche. Tutte le più grandi fabbriche d'Italia vennero occupate e presidiate durante le quarantotto ore che durò lo sciopero.
Tutti i mezzi, dall'intimidazione alla minaccia di scioglimento dei sindacati, vennero posti in opera dal governo per stroncare lo sciopero. Tutto fu vano. Lo sciopero generale durò compatto quarantotto ore e cessò il venerdì unicamente perché i dirigenti della CGIL, delle organizzazioni e dei partiti dei lavoratori, così avevano stabilito.
L'on. Scelba dispose perché le autoblinde della polizia, a scopo intimidatorio, si portassero su di una piazza di Genova dove centomila lavoratori stavano pacificamente ascoltando un comizio. L'arrivo delle autoblinde era una evidente, insensata provocazione; in pochi minuti furono sommerse dalla folla e immobilizzate prima che potessero fare uso delle armi.
Lo sciopero fu impressionante per la sua imponenza ed il suo slancio. Ritengo che nella storia del movimento operaio italiano non ci sia mai stato uno sciopero generale così spontaneo, immediato, compatto e grandioso come quello del 14-16 luglio 1948; ma malgrado la sua imponenza esso aveva sin dall'inizio degli scopi e dei limiti ben precisi.
L'appello lanciato dalla CGIL indicava chiaramente il carattere di solenne protesta dello sciopero:
La CGIL, nel proclamare la sua solenne protesta, afferma che il governo attuale, per la politica che persegue, non garantisce la libera e pacifica convivenza di tutti i cittadini nell'ambito della legalità democratica e repubblicana, vi invita a lottare uniti attorno alla vostra organizzazione, solo strumento unitario che possa difendere il popolo dagli attentati contro la libertà e contro la democrazia ("Il Lavoro", 15 luglio 1948).
Anche l'appello della direzione del partito lanciato subito dopo l'attentato era molto preciso: "Si levi in tutto il paese la indignata protesta dei lavoratori e di tutti gli uomini liberi. Per la pace interna, per la legalità repubblicana, per la libertà dei cittadini: dimissioni del governo della discordia e della fame".
Non sono questi degli appelli, né delle direttive insurrezionali. A nessuno passò in mente di "approfittare" del grande movimento popolare suscitato dall'attentato a Togliatti per tentare la conquista del potere.
Il giudizio sulla situazione italiana e sulla situazione internazionale era tra i membri della direzione del partito così chiaro ed unanime che non vi fu bisogno di lunga discussione sul da farsi e sul carattere da imprimere al movimento.
Ho accennato che semmai in alcuni vi era la tendenza a lasciarsi prendere da elementi emotivi e sentimentali, per cui avevano accenti di questo genere: "se dovesse per disgrazia morire" vedremo che cosa fare. In realtà questa considerazione non poteva avere alcun peso determinante nelle nostre decisioni, che dovevano essere prese soltanto in base alle reali possibilità in rapporto alla situazione interna e internazionale e in relazione al rapporto di forze tra il movimento proletario e popolare e quello dell'avversario.
So che alcuni anni dopo circoleranno delle voci in Italia secondo le quali io in quell'occasione avrei cercato di spingere le cose in avanti per vedere se fosse possibile farle sboccare in un movimento insurrezionale per la conquista del potere.
È assolutamente falso. Non solo, ma in quell'occasione ebbi una posizione ben chiara, precisa e ferma sul carattere che il movimento doveva avere perché a mio giudizio la situazione interna del paese e la situazione internazionale erano tali da non offrire alcuna possibilità di successo ad un movimento che si fosse proposto la conquista del potere.
Fui io stesso a prendere delle misure immediate, invio nei principali capoluoghi di regione dei segretari regionali e dei membri della direzione onde potessero tenere in mano il movimento e impedire che in conseguenza di iniziative non controllate o di moti spontanei si potesse in questa o in quest'altra località finire in un vicolo cieco o creare situazioni pericolose.
È verissimo che in altre occasioni io cercai di spingere avanti determinati movimenti, ma non nel luglio 1948.
Ad esempio negli anni 1945-47, senza aver mai pensato ad inesistenti possibilità insurrezionali, ritenevo possibile dare maggior slancio e maggiore ampiezza ai movimenti di massa, ritenevo possibile conquistare migliori posizioni di forza o mantenere più saldamente nelle mani quelle che avevamo conquistato.
Ritenevo che nel periodo in cui fummo al governo avremmo potuto realizzare assai di più nel senso della democratizzazione dello stato e nel fare passare determinate leggi per il rinnovamento della società italiana; così ero e sono pienamente persuaso delle critiche che ci erano state fatte di aver ceduto determinate posizioni di forza senza resistere e lottare sufficientemente, talvolta senza lottare. Ritenevo un errore l'esserci lasciati escludere dal governo senza reagire, senza muovere le masse.
Ancora per tutto il 1947, e cioè anche dopo la nostra esclusione dal governo, giudicavo la situazione italiana abbastanza favorevole e tale da poter organizzare con successo dei grandi movimenti di massa con l'obiettivo di realizzare determinate riforme, far fare dei passi avanti alla democrazia italiana.
Ma nei primi mesi del 1948 e specialmente dopo il 18 aprile la situazione era notevolmente mutata e i rapporti di forza non erano più a noi favorevoli.
Chi farnetica di possibilità insurrezionali che sarebbero esistite al 14 luglio dimostra di non conoscere né la situazione internazionale, né quella interna dell'epoca.
E neppure conosce i principi più elementari di un movimento insurrezionale.
Le insurrezioni, se si vuole siano vittoriose e non destinate al fallimento, presuppongono una seria preparazione, presuppongono un piano preordinato, un'offensiva che si scatena rapida, alla stessa ora e che colpisce i punti nevralgici dell'avversario. Presuppone non soltanto un largo ascendente sulle masse lavoratrici e sul popolo, ma l'avere a disposizione nelle diverse città gruppi di avanguardia pronti a scattare all'ora X con obiettivi ben precisi. Presuppone altresì l'aver neutralizzato una parte delle forze dell'avversario, avere dei contatti e dei collegamenti con determinati comandi e centri di forze armate. Tutte cose che non esistevano.
Nulla vi era di preordinato inquantoché questi piani esistevano soltanto nella fantasia degli on. Scelba e compari (o almeno fingevano di credere a queste fiabe che essi mettevano in circolazione). Né al momento dell'attentato era possibile abbandonarsi all'improvvisazione, perché l'attentato colpì tutti di sorpresa.
Non bastava certo a bilanciare tutto ciò che mancava il fatto emotivo, l'indignazione che l'attentato aveva provocato.
Chi fantastica di "occasione mancata" giudica in maniera del tutto superficiale e infantile. Giudica dalla grandiosa riuscita dello sciopero generale (il quale ebbe tuttavia seri limiti nel senso che al movimento non partecipò buona parte dell'Italia meridionale e delle isole), ma non tiene conto che il governo non aveva affatto messo in campo le sue forze. Se il movimento avesse assunto un carattere insurrezionale, di lotta armata, esso si sarebbe scontrato con forze armate notevoli le quali erano pronte ad intervenire con i mezzi di cui dispone un esercito moderno.
Inoltre la sorpresa che è sempre essenziale per i movimenti rivoluzionari (inferiori nei mezzi alle forze regolari dello stato, la guerra partigiana insegna), era completamente mancata perché nessuno poteva prevedere il 14 luglio. Perché la sorpresa potesse esserci sarebbe stato necessario poter agire subito, immediatamente pochi minuti dopo l'attentato, ma a tale scopo sarebbe stato necessario che determinate forze fossero già state per così dire sul piede di guerra pronte a scattare per impadronirsi degli obiettivi chiave. Due ore dopo l'attentato sarebbe stato troppo tardi, perché chi aveva la direzione dell'ordine pubblico e delle forze armate aveva senza dubbio provveduto di conseguenza.
Altri può obiettare che poiché lo sciopero generale era, sia pure non in tutte le regioni d'Italia, ma nelle principali, riuscito bene, si sarebbe potuto portarlo avanti ad oltranza sino a trasformarlo in un movimento insurrezionale.
Questo ragionamento potrebbe esser fatto da chi giudicasse che esisteva allora una situazione insurrezionale favorevole alla conquista del potere. Ma poiché tale non era il nostro giudizio è chiaro che, dopo due giornate di forte protesta, lo sciopero doveva essere concluso. Continuarlo avrebbe voluto dire soltanto andare avanti alla cieca, senza prospettiva alcuna, e cioè portare avanti un movimento senza proporsi degli obiettivi concreti.
Senza parlare poi che lo stesso sciopero generale non poteva essere continuato per il bel gusto di continuarlo. I sindacati non erano diretti soltanto da noi. In seguito a quello sciopero avvenne la rottura sindacale con i democristiani.
Gli stessi socialisti avrebbero resistito se si fosse voluto continuare lo sciopero dal momento che quello che era il suo obiettivo, la forte protesta, era stata realizzata.
In quei giorni avevamo con i compagni socialisti e con lo stesso compagno Nenni degli stretti contatti e l'accordo era completo sul carattere e sui limiti del movimento.
C'è chi ha obiettato: ma la CGIL diede la disposizione della ripresa del lavoro dopo quarantotto ore, senza che lo sciopero fosse riuscito a fare dimettere il governo. Bisognava continuare lo sciopero ad oltranza sino a quando il governo si fosse dimesso.
L'osservazione è ingenua e si ritorna al punto di prima. Uno sciopero ad oltranza che si proponga di continuare sino al rovesciamento del governo è uno sciopero rivoluzionario e insurrezionale e deve avere questo obiettivo ben preciso, altrimenti non significa nulla se non la confusione e la sconfitta. Lo sciopero generale ad oltranza in tutto il paese sino al rovesciamento del governo lo si concepisce solo quando ci si pone l'obiettivo della conquista del potere ed in tal caso non si tratta di fare restare gli operai a casa, in ferie, in attesa che le cose cambino da sole! Ma se quell'obiettivo non ce lo si pone, o perché si giudica che non esistano le condizioni o per qualsiasi altro motivo, è assurdo parlare di sciopero generale ad oltranza.
Sul modo come si è sviluppato lo sciopero generale, sui suoi aspetti positivi e sulle sue debolezze, vedere il mio opuscolo Lo sciopero del 14 luglio, in cui sono raccolti gli articoli che io scrissi subito dopo lo sciopero, ai primi di agosto, e nei quali sono anche sviluppate le argomentazioni di cui sopra, è dimostrato cioè che lo sciopero non aveva alcun carattere insurrezionale né nelle intenzioni di chi lo aveva proclamato, né nei fatti come si sono sviluppati.[1]
Nota [E. Collotti]
[1] Pietro Secchia, Lo sciopero del 14 luglio, Roma, s.d. (1948) ("Educazione comunista"), ora ristampato in appendice al volume di Massimo Caprara, L'attentato a Togliatti. 14 luglio 1948; il PCI tra insurrezione e programma democratico, Padova, pp. 162-184. Per quanto riguarda la valutazione che il Caprara dà della posizione di Secchia si veda la discussione critica nella nostra Introduzione, alle pp. 104-106. Nell'Archivio Secchia sono conservati alcuni fogli dattiloscritti dal titolo "Appunti-ricordi sul 14 luglio 1948", in data 16 luglio 1957, che in buona parte sono ripresi alla lettera nelle pagine dedicate all'attentato a Togliatti. Sul decorso clinico dell'incidente si veda ora anche la testimonianza, con la pubblicazione dei bollettini medici, di Mario Spallone, Vent'anni con Togliatti, Milano, 1976, pp. 29-52.