Il PCUS di Breznev contro l'Eurocomunismo

"Contro gli interessi
della pace e del socialismo"

Articolo non firmato pubblicato sulla Pravda del 24 gennaio 1982, ripreso da "Socialismo reale e terza via: il dibattito sui fatti di Polonia nel Cc del Pci, Roma 11-13 gennaio 1982. I documenti sulla polemica con il PCUS", Editori Riuniti, Roma, marzo 1982, pp.246-255.


Negli ultimi tempi la direzione del Partito comunista italiano ha pubblicato una serie di documenti che toccano questioni di principio dello sviluppo sociale contemporaneo. Alla fine di dicembre del 1981 sono state pubblicate due dichiarazioni e all'inizio di gennaio di quest'anno si è svolta la riunione ple­naria del Comitato centrale del Pci. Il Cc ha approvato le sud­dette dichiarazioni e la relazione del segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer.

Nelle decisioni del Cc del Partito comunista italiano e negli interventi dei compagni Ingrao, Napolitano e Reichlin è con­tenuta una piattaforma che si contrappone su tutte le più im­portanti questioni alla politica del Pcus dell'Unione Sovietica, dei paesi della comunità socialista, della stragrande maggio­ranza del movimento comunista e di tutto il movimento di liberazione.

Come pretesto per esporre la propria posizione i dirigenti del Pci si sono serviti degli avvenimenti polacchi. Ma hanno toccato problemi che vanno ben oltre questi avvenimenti, ivi compreso il problema del passaggio dal capitalismo al socia­lismo e l'atteggiamento verso il socialismo oggi realmente esi­stente. Nel fare ciò, i dirigenti del Partito comunista italiano hanno dichiarato, senza nessuna motivazione, invecchiata e scaduta tutta l'esperienza finora accumulata di lotta per il so­cialismo e per la costruzione del socialismo. Le grandi conqui­ste storiche del socialismo vengono sottoposte ad una critica in malafede, ad una denigrazione inammissibile e ingiusta. In cambio vengono poi proposte concezioni abbastanza preten­ziose e, diciamo pure, astratte circa una «nuova via» al so­cialismo, concezioni che sono peraltro molto simili a quelle impostazioni dell'opportunismo e del revisionismo in cui il mo­vimento operaio si è già imbattuto in passato e che la sua avan­guardia rivoluzionaria ha già da tempo respinto.

I documenti del Pci toccano questioni che riguardano l'intero movimento comunista e di liberazione. Poiché in questi documenti si parla del nostro partito, del nostro paese socia­lista e della comunità socialista nel suo complesso, noi dobbia­mo esprimere le nostre opinioni e definire il nostro atteggia­mento verso queste posizioni della direzione del Pci.

La questione fondamentale dell'epoca moderna è quella della guerra e della pace. Ciò, a quanto sembra, è riconosciuto an­che dai dirigenti del Pci. Ma come ci si propone nei documenti del Partito comunista italiano di raggiungere la pace, di scon­giurare la guerra?

Tutti sanno - e la cosa è riconosciuta non soltanto dai comunisti - che il contributo decisivo alla lotta contro la guerra viene dalla comunità socialista, dall'Unione Sovietica. Proprio di recente, nel periodo in cui si svolgeva il XXVI Con­gresso del Pcus, i dirigenti dei partiti comunisti e operai e dei governi di decine di paesi del mondo hanno riaffermato ciò solennemente, rilevando in particolare i meriti del capo del nostro partito e del nostro Stato, il compagno L.I. Breznev, nella lotta per la pace e la sicurezza dei popoli.

Ma i dirigenti del Pci, ignorando completamente la politica estera condotta coerentemente e con successo nel corso di decenni dall'Urss e dagli altri Stati socialisti, politica che è volta al rafforzamento della pace e della collaborazione inter­nazionale, ignorando le numerose e nuove iniziative costruttive avanzate ai congressi del Pcus e dei partiti fratelli degli Stati socialisti, negano di fatto il contributo della comunità socia­lista alla causa della difesa della pace. Secondo loro, la poli­tica estera dell'Europa occidentale (cioè la politica degli Stati borghesi) ha svolto ai fini della distensione un ruolo maggiore di quella che viene definita «la politica dell'Est europeo».

Si è arrivati al punto che persino i colloqui sovietico-ameri-cani sulle armi nucleari di media distanza in Europa (collo­qui per i quali l'Urss, come è noto, si è battuta tenacemente dall'inizio degli anni settanta) vengono definiti dai dirigenti del Pci un successo della diplomazia dell'Europa occidentale.

L'Unione Sovietica, guidata dal partito comunista, fa tutto il possibile per fermare la corsa agli armamenti, per evitare che si precipiti in un confronto nucleare e per assicurare la pace sulla terra. I popoli di tutti i paesi sanno che la lotta per la distensione è stata iniziata dall'Urss, dai paesi del socialismo; essi conducono questa lotta in modo fermo, senza deviazioni e lungo questa strada hanno già ottenuto molto. Tutto il si­stema di trattati e di accordi che hanno costituito la base giu­ridica internazionale della distensione è stato creato per ini­ziativa dei paesi del socialismo e su loro proposta. I dirigenti del Pci hanno forse dimenticato anche il fatto che la Confe­renza di Helsinki è stata convocata per iniziativa dei paesi del socialismo?

Nella riunione del Comitato centrale del Pci è stato com­piuto un tentativo veramente sacrilego di «dimostrare» che la politica estera dell' Urss e del Trattato di Varsavia nel suo complesso non si distinguerebbe dalla politica estera degli Usa e della Nato. E questo in un momento in cui tutto il mondo, sulla base di esempi assolutamente evidenti, chiari, vede che mentre i paesi del Trattato di Varsavia conducono una poli­tica di pace, avanzano decine di proposte dirette ad attenuare la tensione internazionale, lanciano una dopo l'altra nuove idee in favore della cessazione della corsa agli armamenti e del disarmo, il blocco della Nato ha proclamato suo principale cre­do politico l'aumento senza limiti degli armamenti, approva una dopo l'altra dichiarazioni dirette ad incrementare ulterior­mente questa corsa pericolosissima per l'umanità, ad aggra­vare la tensione, continua una intensa preparazione alla guerra nucleare, particolarmente in Europa. Quanto al paese princi­pale della Nato, gli Stati Uniti d'America, esso cerca di «le­gittimare» non soltanto la corsa agli armamenti nucleari, ma lo stesso impiego dell'arma nucleare in questa o quella mi­sura, e dichiara quasi tutto il globo terrestre sfera dei propri «interessi» vitali. In tal modo il blocco della Nato agisce più chiaramente come un focolaio di aggressioni e di reazioni che genera minacce alla pace e a tutta l'umanità. Le decisioni prese dal Comitato centrale del Pci giustificano questo focolaio, ne fanno passare in secondo piano la natura antipopolare e ag­gressiva, la natura dell'imperialismo nel suo complesso. I diri­genti del Pci contano forse (già da più anni) di «rabbonire» la Nato?

Tuttavia non è possibile «persuadere», «rabbonire» l'im­perialismo, come non è possibile trasformare la natura. È chia­ro - e ciò è attestato da migliaia e migliaia di fatti concreti - che l'imperialismo fa e cercherà di fare di tutto per tentare di schiacciare chiunque di fatto decida di muoversi verso il socialismo. Lo scopo dell'imperialismo è univoco: nessun so­cialismo. Questo deve ben capirlo chiunque realmente voglia lottare per il socialismo, chiunque voglia conseguire un raffor­zamento delle posizioni del socialismo nel mondo. È anche ben comprensibile che la forza principale che frappone un li­mite alla attuazione dei pericolosi piani dell'imperialismo è proprio il socialismo reale.

Ma giustificare l'avversario significa aiutarlo, mentre la dura e concreta realtà esige che si mostri alle masse popolari il volto autentico della Nato, i suoi innumerevoli preparativi bellici, in cui è insita la minaccia di una catastrofe termonucleare mondiale.

La propaganda borghese cerca già da tempo di mascherare l'essenza aggressiva, militarista della politica dell'imperialismo con l'invenzione di una sorta di «minaccia militare sovietica». Adesso queste affermazioni calunniose sono passate nei docu­menti del Pci.

Nessun cittadino sovietico e in generale nessuna persona onesta al mondo può poi considerare, naturalmente, senza sde­gno le dichiarazioni dei dirigenti del Pci in cui si parla di «in­tenzioni egemoniche» del nostro paese o di suoi tentativi di imporre la propria volontà ad altri popoli.

È avvenuto qualcosa di mostruoso: a parole i dirigenti del Pci parlano di aspirazione a lottare per la pace, ma al tempo stesso calunniano la forza principale, fondamentale di questa lotta, l'Urss e i suoi alleati socialisti, il mondo del socialismo.

Nel mondo contemporaneo le posizioni assunte dai dirigenti del Pci non significano altro in sostanza che un serio colpo alla lotta dei popoli per la pace, contro la minaccia di guerra, non significano altro che un tentativo di indebolire l'influenza - sul corso degli avvenimenti internazionali - della forza prin­cipale e fondamentale di questa lotta: i Paesi del socialismo vittorioso [in corsivo nel testo originale].

Non meno nocive, non corrispondenti agli interessi di tutto il movimento comunista e in generale di liberazione, risultano essere anche le posizioni formulate dai dirigenti del Pci rela­tivamente al giudizio sul socialismo reale nel suo complesso, ivi compresa l'Unione Sovietica.

Il socialismo esiste nel mondo da sei decenni e mezzo. È un periodo storicamente non grande. Che cosa ha fatto il ca­pitalismo nei primi sessantacinque anni della sua esistenza? Soltanto gli specialisti di storia sono in grado di raccogliere minuziosamente e di dimostrare la comparsa degli elementi della nuova società che stava nascendo in quegli anni. Invece il socialismo, davanti agli occhi delle generazioni che vivono oggi, ha trasformato radicalmente la vita di un terzo dell'uma­nità, risolvendo negli interessi delle masse lavoratrici molti di quei problemi alla soluzione dei quali nel corso di interi secoli l'umanità non era riuscita neppure ad avvicinarsi.

Il potere nei paesi del socialismo appartiene al popolo. Tutte le forze produttive, le fabbriche, le miniere, le centrali elettri­che, la terra appartengono allo Stato popolare, vengono sfrut­tate negli interessi del lavoro degli uomini e non per arric­chire un pugno di sfruttatori.

Le conquiste del socialismo, contrariamente a quanto dicono adesso i dirigenti del Pci, hanno un valore di massima attualità per i lavoratori di tutti i paesi capitalistici, ivi compresa l'Ita­lia. In realtà, è proprio il socialismo reale ad avere assicurato - per la prima volta nella storia - il diritto di ogni uomo al lavoro, ad aver liberato l'uomo dalla disoccupazione, dall'in­certezza del domani. Forse che questo fatto non è importante per la classe operaia italiana, che soffre a causa della crisi e della disoccupazione? Il socialismo ha liberato il lavoro degli uomini, sia nelle città che nelle campagne, dalla miseria, dallo sfruttamento e dall'oppressione. Esso ha assicurato nei fatti, con­cretamente, l'uguaglianza di diritti di tutte le nazioni e gruppi etnici. Nei paesi della comunità socialista non vi è più peri­feria arretrata, non vi sono più regioni di miseria. Forse che queste realizzazioni non sono importanti per i contadini italia­ni, particolarmente per i lavoratori del Mezzogiorno? La stam­pa italiana riferisce continuamente di ragazzi minorenni costret­ti a lavorare e privati della possibilità di studiare. Essa parla della disuguaglianza delle donne, delle disgrazie degli anziani. Forse che per i cittadini italiani non presenta interesse la realtà dei paesi del socialismo reale che si sono liberati ormai da tempo da tutti questi mali? È trascorso ormai non poco tempo dal terremoto nel Mezzogiorno italiano, e la stampa italiana continua a riferire di gente senza casa, senza un tetto, di ladri e affaristi che si sono appropriati dei fondi stanziati per la ricostruzione. E dopo ciò qualcuno può ancora dire che per i lavoratori dell'Occidente avrebbero perduto di valore le con­quiste del socialismo, dell'Unione Sovietica, dove il diritto di ciascun cittadino all'alloggio non soltanto è sancito, ma è real­mente garantito, dove ogni sei o sette anni si costruisce una quantità di alloggi sufficiente per alloggiarvi l'intera popola­zione italiana!

Nei paesi del socialismo l'assistenza sanitaria a tutta la po­polazione è gratuita. L'istruzione dei giovani è gratuita. Le pensioni vengono pagate a milioni di persone a spese dello Stato. Milioni di lavoratori ogni anno fruiscono di case di riposo, di vacanza. Sono questi i frutti del socialismo vittorio­so. Questi sono fatti reali, e se i dirigenti del Pci preferiscono chiudere gli occhi, tanto peggio per questi dirigenti e per le loro concezioni.

Nei loro documenti i dirigenti del Pci parlano (e lo fanno con insistenza, da vari anni e spesso con espressioni riprese dall'arsenale del nemico di classe) delle carenze della demo­crazia socialista. Nessuno nei paesi del socialismo ritiene che qui sia stato raggiunto l'ideale. Nella nuova Costituzione dell'Urss c'è persino un apposito articolo in cui sono indicate le vie per perfezionare ulteriormente la democrazia socialista nel nostro paese. Ma i fatti restano fatti: è proprio nei paesi del socialismo che è stato eliminato lo sfruttamento e per ciò stesso creata l'unica base sicura per una autentica democrazia, cioè per un autentico potere del popolo.

Proprio il socialismo ha assicurato il costante perfeziona­mento delle forme e dei metodi di democrazia reale del popolo e per il popolo, la cui essenza consiste nella partecipazione sempre più ampia dei lavoratori alla gestione degli affari della società e dello Stato. Che cosa significhi poi partecipazione nella realtà, lo dicono i fatti, semplici e chiari. Per esempio, nell'Urss, nell'ambito dei Soviet operano 2.300.000 deputati e consiglieri (due terzi dei quali sono direttamente occupati nel­la produzione, nelle città e nelle campagne) e più di 30.000.000 di attivisti; alla gestione della produzione partecipano 5.900.000 membri delle Conferenze permanenti di produzione (di cui il 65% sono operai) e 14.500.000 sindacalisti; sul rispetto del­le norme della legalità socialista vigilano attentamente 9.900.000 persone elette dai lavoratori e 8.000.000 di membri delle squa­dre di volontari per la tutela dell'ordine pubblico. Naturalmen­te, ci sono anche altre forme di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica.

Peraltro, come è evidente nei loro documenti, i dirigenti del Pci, parlando di democrazia, non intendono affatto la parte­cipazione reale del popolo alla gestione. Peraltro, a giudicare dalle simpatie dei dirigenti del Pci per gli estremisti di destra polacchi di «Solidarnosc», essi, parlando di democrazia nei paesi del socialismo, intendono talvolta non la partecipazione dei lavoratori alla gestione degli affari della società socialista, ma qualcosa di completamente diverso, mano libera per coloro che, calpestando la legalità socialista, sfruttando l'aiuto dall'ester­no, cercano di minare il regime socialista. Effettivamente, nei paesi del socialismo reale queste persone non hanno tale liber­tà. Giacché concederla loro significherebbe non rafforzare, ma scalzare le basi del nuovo sistema sociale.

Oggi il mondo socialista sta vivendo un periodo fecondo, in­teressante e al tempo stesso non semplice. «Il passaggio allo sviluppo intensivo dell'economia, la realizzazione dei grandi programmi sociali, la formazione della coscienza comunista, tutto ciò non si ottiene subito - ha detto L. Breznev al XXVI Congresso. - Qui occorrono tempo e instancabili ricerche crea­tive. »

Negli ultimi due anni si sono svolti i congressi di quasi tutti i partiti fratelli dei paesi della comunità socialista. I loro lavori sono stati contrassegnati da quella stessa ricerca creativa necessaria per il successo nello sviluppo del socialismo. I documenti di questi congressi ci convincono che essi hanno recato un se­rio contributo all'elaborazione dei più complessi e importanti problemi economici, sociali e politici dell'ulteriore progresso della società socialista.

In effetti la vita del socialismo reale è oggi cosi ricca, dina­mica, volta in avanti, verso ulteriori progressi. Si stanno ela­borando e cominciano a realizzarsi programmi di sviluppo delle forze produttive che colpiscono l'immaginazione. Questi piani contemplano una soluzione radicale dei più complessi problemi sociali sui quali ormai da tempo sta lavorando l'intelligenza degli uomini, problemi come quello dell'energia, delle materie prime, dei prodotti alimentari, della tutela dell'ambiente. È in corso un riequipaggiamento tecnico di interi settori della pro­duzione e al tempo stesso una ristrutturazione del sistema di direzione. Viene garantita una partecipazione ancora più piena di ciascun uomo alla vita di tutta la società, tenendo conto an­che del nuovo livello spirituale e culturale del popolo, delle sue nuove esigenze e delle nuove possibilità. In conformità a tali esigenze e possibilità si svolge l'azione ideologica, scorre la vita del paese. Nuovi traguardi vengono raggiunti dalla cultura socialista, divenuta veramente la cultura di tutto il popolo. In­somma, la vita pulsa a pieno ritmo, luminosamente. Essa non elude nessun nuovo problema, nessuna difficoltà eventuale o problema difficile, e li risolve negli interessi della società e dell'individuo.

Tutto questo viene fatto dagli stessi lavoratori, dai cittadini della società socialista. A capo di tutto questo gigantesco lavoro creativo per costruire il socialismo maturo ci sono i comunisti, l'avanguardia del popolo, la sua parte avanzata.

Parlando del periodo della costruzione del socialismo nel nostro paese, L.I. Breznev ha detto nel suo discorso conclu­sivo al XXVI Congresso del Pcus: «Quante volte durante que­sto tempo ci è stato pronosticato un inevitabile fallimento. Quan­te volte si è cercato di costringerci a rinunciare agli obiettivi prefissi. Quante volte i nostri nemici hanno cercato di convin­cerci che stavamo sbagliando, che la nostra strada era sbagliata... Ebbene, che cosa è accaduto? La maggior parte di queste per­sone sono state ormai dimenticate da tempo, mentre il sociali­smo è vivo, si sviluppa, progredisce incessantemente ».

Alla luce di tutti questi fatti inconfutabili risuonano almeno assurde le analisi dei dirigenti del Pci secondo cui il mondo del socialismo avrebbe esaurito la sua forza propulsiva, per­duto la prospettiva! Bisogna veramente aver perduto la pro­spettiva, anzi aver perso la vista, per affermare simili cose!

L'essenza delle opinioni espresse negli attuali documenti del Pci, e anche la stessa terminologia usata alla riunione del Co­mitato centrale del Pci, ricordano molto, quando addirittura non coincidono con gli sproloqui di Haig al centro stampa di Bruxelles, il 12 gennaio 1982, circa una sorta di «crisi del si­stema sovietico».

In altri termini, la direzione del Pci cerca di denigrare il grande, storico e vittorioso cammino percorso dal popolo sovie­tico e dal Pcus, di ignorare le posizioni di decine di partiti comunisti e operai che parlano giustamente del grande ruolo svolto dall'Unione Sovietica e dalla comunità socialista per tutti i popoli, per le loro lotte per liberare l'umanità dal si­stema di sfruttamento e di oppressione, per scongiurare una guerra mondiale.

Una cosa tira l'altra con una logica ineluttabile: dopo esser­sela presa con il socialismo realmente esistente, i dirigenti del Pci hanno subito dichiarato che anche il marxismo-leninismo ha fatto il suo tempo. In altri termini, è stata dichiarata incon­sistente quella teoria rivoluzionaria che ormai da circa un se­colo e mezzo ha ispirato e ispira le lotte dei popoli per il so­cialismo e la democrazia in tutto il globo terrestre, una teoria grazie alla quale è stato costruito il socialismo in una quindi­cina di paesi; una teoria grazie alla quale, tra l'altro, anche i comunisti italiani hanno lottato e conseguito successi nel corso di più di mezzo secolo di esistenza del loro partito.

Il marxismo-leninismo continua a conquistare sempre nuove posizioni nei mondo moderno, la sua influenza si estende. Ciò si manifesta nella nascita di nuovi partiti comunisti, si mani­festa nel fatto che i partiti democratici rivoluzionari sorti dal movimento di liberazione nazionale sono sempre più attratti dal socialismo scientifico, mentre una parte di essi ha posto il marxismo-leninismo a fondamento teorico della propria attività. Ciò si manifesta anche nel fatto che le opere di Lenin ormai da molti anni continuano ad essere al primo posto nel mondo per il numero di traduzioni in lingue straniere, nel fatto che l'interesse per le opere di V.I. Lenin non diminuisce, ma cresce.

E in un tale momento i dirigenti dei comunisti italiani hanno ritenuto appropriato ripudiare la grande dottrina rivoluzionaria. Contemporaneamente, essi dichiarano che il movimento comu­nista avrebbe fatto in generale il suo tempo e che da oggi essi rinunciano ai «legami di vecchio tipo» con i partiti comuni­sti e manterranno rapporti con i partiti comunisti «allo stesso modo che con qualsiasi altra forza socialista, rivoluzionaria e progressista», senza nessun obbligo ideologico, politico o d'altro genere.

Nel corso degli ultimi anni la direzione del Pci ha più volte assunto posizioni particolari su una serie di problemi inerenti la situazione internazionale, il movimento comunista e operaio internazionale, l'esperienza del socialismo mondiale. L'essenza di queste posizioni è consistita, come adesso è evidente, nel­l'abbandono graduale della piattaforma rivoluzionaria marxista-leninista. A quanto sembra, tutte le sofisticate «innovazioni» teoriche e politiche («terza via», «eurocomunismo», «unione dell'eurosinistra», «terza fase», ecc.) usate dai rappresentanti del Pci erano destinate a mascherare questa rinuncia, a nascon­derne l'essenza agli occhi della classe operaia e dei comunisti del loro paese. Si è cercato costantemente di indurre i lavora­tori ad accettare e sostenere la linea del ripudio del marxismo-leninismo, delle tradizioni rivoluzionarie dello stesso Partito comunista italiano, dell'amicizia e della solidarietà con i co­munisti e i lavoratori dell'Unione Sovietica e degli altri paesi del socialismo.

I documenti del Pci, approvati alla fine del 1981 e all'inizio del 1982, significano che i dirigenti del Pci adesso ripudiano tutto ciò che li legava all'avanguardia che lotta per la pace e il socialismo in quasi novanta paesi del mondo, che essi prendono apertamente posizione contro il socialismo mondiale, quel socia­lismo mondiale che il pensiero sociale avanzato riconosce come la suprema realizzazione a tutt'oggi del progresso sociale mon­diale del XX secolo.

Ma che cosa significa tutto ciò? A quali interessi di classe serve? Nel mondo attuale ciò significa un aiuto diretto all'impe­rialismo che da decenni cerca di indebolire il socialismo, di scuoterlo e di minarlo ideologicamente, un aiuto all'anticomuni­smo e a tutte le forze ostili in generale alla causa del progresso sociale [in corsivo nel testo originale].

Non si può non aggiungere che le posizioni assunte oggi dai dirigenti del Pci arrecano un colpo anche allo stesso Pci. Non è un segreto che i nemici del comunismo in Italia già da molti anni cercano di far deviare il Pci dalla via di classe, proleta­ria, di separarlo dal resto del movimento comunista. Natural­mente, costoro lo fanno non per poi dividere il potere con i comunisti italiani, ma per liquidare il partito, per sradicare il movimento comunista in terra italiana. Perciò non si può con­siderare un caso il fatto che la borghesia, nella stessa Italia, negli Stati Uniti e negli altri paesi della Nato, lodi così tanto adesso la posizione della direzione del Pci. Il segretario gene­rale della Nato, Luns, ha definito questa posizione un modello per i governi borghesi. Non c'è male, è un bel complimento per dei comunisti.

Il Pci ha una lunga e gloriosa storia. Esso ha combattuto con abnegazione contro il fascismo e contro la guerra. I co­munisti italiani, come quelli degli altri paesi, si sono battuti per la libertà negli anni della seconda guerra mondiale. La svolta compiuta adesso dai dirigenti di questo partito non può naturalmente non allarmare ogni comunista, ogni combattente contro l'imperialismo, la reazione e la guerra.

Quello attuale è un mondo di impetuosi cambiamenti rivo­luzionari. Al tempo stesso è un mondo di accanite lotte con­tro la minaccia di una catastrofe nucleare. Dall'esito di que­sta lotta, il cui fattore principale sono i paesi del socialismo, dipendono anche le sorti del processo rivoluzionario e i destini di tutta l'umanità.

È comprensibile che ogni forza sociale e politica progressi­sta, ogni partito politico d'avanguardia sia chiamato in queste condizioni a definire il proprio posto sul comune fronte della pace, della democrazia e del socialismo. E, al tempo stesso, a definire la misura della propria responsabilità per l'assolvimen­to dei compiti storici dell'epoca moderna. Tuttavia la posizione assunta dai dirigenti del Pci non contribuisce affatto a che i comunisti italiani, la classe operaia italiana, le masse di milioni di lavoratori italiani abbiano un degno posto in questo fronte mondiale della pace e del progresso. Infatti, queste posizioni contraddicono gli interessi della pace, gli interessi del socialismo.

Davanti alla classe operaia e alle masse popolari italiane stanno enormi problemi: non permettere che il loro paese e il loro popolo vengano utilizzati per gli scopi aggressivi del­l'imperialismo straniero, conseguire l'emancipazione dall'oppres­sione e dallo sfruttamento dei monopoli imperialistici. Nell'af-frontare questi problemi, il loro sostegno più sicuro - la mano dell'amico - è l'Unione Sovietica, il Pcus, la comunità socia­lista, il movimento comunista mondiale.