Gorbaciov liquida
le democrazie popolari

Premessa

Prima ancora che Gorbaciov prendesse in mano la direzione dell'URSS (1985-1991) due avvenimenti importanti caratterizzano la situazione nelle democrazie popolari. Siamo ancora nel periodo brezneviamo quando la linea dei comunisti sovietici rimane ancorata al principio della difesa di tutta l'area d'influenza dell'URSS e in particolare dell'Europa dell'Est. I due avvenimenti riguardano la Cecoslovacchia e, ancora una volta , la Polonia.

In Cecoslovacchia, nel 1968, viene deciso l'intervento delle truppe del patto di Varsavia per bloccare lo sviluppo della politica liquidatoria del sistema socialista portata avanti da Dubcek. Ancora una volta, il combinato disposto del lavoro di intelligence dei governi occidentali e delle rinascenti forze liberal-socialdemocratiche interne stava portando a una situazione di ingovernabilità sul modello dell'Ungheria del 1956.

Nonostante l'intervento delle truppe del patto di Varsavia però, la situazione cecoslovacca non degenera come era avvenuto nel '56 in Ungheria. Dubcek e i suoi collaboratori vengono portati a Mosca e costretti ad ammettere che sotto la loro direzione la situazione era sfuggita di mano e le forze antisocialiste stavano prendendo il sopravvento. Il presidente della repubblica Svoboda rimane al suo posto, pretendendo però la liberazione di Dubcek e del suo gruppo. Gustav Husak diviene segretario del partito e capo del governo, riportando la situazione dentro l'alveo della stretta solidarietà con l'URSS e le altre democrazie popolari anche se le forze liberali e socialdemocratiche, in gran parte rifugiatesi in Europa occidentale, si vanno riorganizzando per l'assalto finale.

La situazione del '68 viene riassunta nelle pagine che abbiamo già pubblicato nel nostro sito, tratte dal "Compendio storico del Partito Comunista Cecoslovacco", Praga 1980 incluse nel fascicolo dedicato alla stabilizzazione brezneviana, [qui].

Nel dicembre 1981, alla vigilia della morte di Breznev (novembre 1982), un altro grave avvenimento coinvolge la Polonia con la proclamazione dello stato d'emergenza e della legge marziale da parte del generale Jaruzelski, divenuto da alcuni mesi capo del governo e primo segretario del POUP, per far fronte al ruolo antisocialista e destabilizzante assunto dal papa polacco Karol Wojtyla e allo scatenamento del movimento di scioperi ad opera del sindacato 'indipendente' Solidarnosc.

Perchè si era arrivati allo stato d'emergenza e perchè fu scelta quella strada? Era chiaro che la destabilizzazione della situazione polacca ad opera della gerarchia cattolica e dei finanziamenti in particolare della CIA ai gruppi filo occidentali era arrivata a un punto tale che il Patto di Varsavia si apprestava a un intervento come quello del '68 in Cecoslovacchia. Quella strada però, dato l'isolamento in cui versava il governo polacco nel paese, avrebbe potuto avere effetti imprevedibili. Una forza nazionale come l'esercito, proclamando lo stato di emergenza avrebbe potuto ottenere un effetto diverso e così è stato, tenendo conto che per bilanciare la scelta di Jaruzelski anche il POUP, il partito comunista, era stato sospeso. Quindi lo stato d'emergenza era vissuto come scelta di salvezza nazionale per evitare uno scontro militare che sarebbe risultato pesantissimo. Riportiamo [qui] il proclama con cui il 13 dicembre 1981 Jaruzelski si rivolse al paese annunciando l'entrata in vigore dello stato di emergenza.

Tuttavia, nonostante questi due pesanti interventi, la tendenza negativa nelle democrazie popolari non si era invertita e lo scontro con le forze antisocialiste rimaneva aperto. Con l'arrivo di Gorbaciov alla direzione del PCUS i nodi vengono sciolti e si passa dal controllo di Breznev alla aperta liquidazione delle esperienze socialiste nell'est europeo.

Difatti, l'entrata in scena di Gorbaciov come segretario generale del PCUS dal 1985 al 1991, prepara la grande operazione del rientro delle democrazie popolari nell'alveo del sistema economico e militare dell'UE e della NATO.

Ora che questa grande operazione di 'libertà' è compiuta, con tutti i paesi dell'est europeo incorporati nel dispositivo della NATO, con la dislocazione degli americani ai confini della Russia e col rilancio della supremazia continentale della Germania riunificata si può vedere quale è la responsabilità storica che Krusciov e Gorbaciov si sono assunti.

La questione però non è solo geopolitica, ma sociale. Milioni di uomini e donne, in particolare dalla Romania, dall'Albania, dalla Polonia, dalla Bulgaria, dall'Ucraina, sono emigrati assoggettandosi al più brutale sfruttamento nei paesi dell'occidente capitalistico.

Questo è stato uno dei principali risultati della perestrojka e della destalinizzazione.

In concreto l'operazione liquidazione si è sviluppata in due direzioni: trasformazione del sistema politico delle democrazie popolari in democrazie parlamentari borghesi, presupposto per il ritorno al sistema capitalistico, e brutale affermazione della linea liquidatoria gorbacioviana, i cui esempi più vergognosi sono la svendita della RDT alla RFT e l'organizzazione del colpo di stato in Romania con la fucilazione di Ceausescu e della moglie Elena.

A proposito del colpo di stato in Romania riportiamo [qui] alcune testimonianze che contribuiscono a spiegarne la dinamica e l'ispirazione; inoltre [qui], l'ultimo appello lanciato da Ceausescu al paese dalla televisione il 20 dicembre. Gorbaciov sapeva che Ceausescu non poteva essere incluso nei patteggiamenti con le potenze occidentali per la liquidazione delle democrazie popolari, data la posizione di indipendenza che egli aveva tenuto anche nei confronti dell'URSS. Per questo la collaborazione di Gorbaciov con gli occidentali sulla Romania non poteva avere carattere di accordo politico, ma solo di collaborazione militare per eliminare l'ostacolo. Tra le altre cose la Romania non era, dal punto di vista economico, nella condizione disastrosa che si voleva far credere (su questo rimandiamo al lavoro puntuale di Luca Baldelli "La Romania di Ceausescu oltre i luoghi comuni", [qui], mentre il vero disastro si è verificato in seguito, come sono ormai in molti in Romania a riconoscere apertamente (vedi il sondaggio di opinione [qui]).

Gorbaciov dunque nel suo progetto di perestrojka si era attrezzato, da buon controrivoluzionario, per tutte le evenienze. Non dobbiamo dimenticare che egli aveva peraltro esteso il lavoro liquidatorio del socialismo anche a Cuba e alla Cina, con esiti però assolutamente diversi. Gorbaciov, ricordiamoci, era in Cina quando a Tienanmen si scatenò una delle tante 'rivoluzioni' arancioni degli anni '90 a cui però il governo cinese e il PCC risposero in maniera adeguata. Comunque la presenza di Gorbaciov a Pechino durante l'agitazione arancione col simbolo della statua della libertà americana non può essere considerata casuale.

In Polonia, Ungheria, RDT, Cecoslovacchia e Bulgaria invece i gruppi dirigenti dei partiti comunisti al potere sotto la pressione delle rivoluzioni arancioni accompagnate dagli accordi coi 'comunisti' ormai conquistati alla 'democrazia' e alla 'libertà' cedettero rapidamente di fronte alle formazioni politiche liberal-borghesi ricostituitesi ufficialmente per l'occasione.

E così, con l'approvazione di Gorbaciov che in cambio del ritiro dei 300.000 soldati sovietici di stanza nella RFT si limita a chiedere soldi (12 miliardi di DM), il 3 ottobre 1990 la RDT si ritrova annessa alla RFT, sotto il controllo del governo di Bonn presieduto dal cancelliere democristiano Kohl. E così anche in Cecoslovacchia, in Ungheria , Polonia, Bulgaria si definiscono gli accordi per la transizione verso il capitalismo. Siamo nel 1990 e questi avvenimenti anticipano di poco anche la dissoluzione dell'URSS portando a conclusione così il lavoro iniziato già da Kruscev.

Per quanto riguarda la RDT riportiamo [qui] alcune prese di posizione di Erich Honecker, segretario generale del partito di unità socialista (SED) dal 1971 al 1989 e presidente del Consiglio di Stato della RDT dal 1976 al 1989. Honecker, che la "giustizia" tedesco-occidentale sottopone a un grottesco processo, parla esplicitamente di "quando Gorbaciov decise di vendere la RDT" ma soprattutto difende con passione e lucidità di comunista l'esperienza del socialismo nei paesi dell'Europa orientale e in particolare nella RDT. Pubblichiamo anche [qui] una biografia che colloca la sua vicenda personale e politica nella storia tremenda ed eroica dei comunisti tedeschi del novecento. Sulla distruzione delle conquiste realizzate dalla RDT e in particolare sullo smantellamento scientificamente perseguito dell'apparato industriale di tutto rispetto che era stato costruito dalla Germania socialista, riportiamo anche [qui] parte delle conclusioni del libro "Anschluss, l'annessione" pubblicato da Vladimiro Giacché nel 2013.

Gli anticomunisti di sinistra hanno esaltato in centinaia di libri la vittoria contro lo stalinismo, ma nessuno ha riaperto un discorso sulle conseguenze di questa 'vittoria'.

Spetta ai comunisti il compito di deluderli sulla stabilità nel tempo di questa vittoria e di dimostrare la natura controrivoluzionaria degli avvenimenti scaturiti dal XX congresso del PCUS. Un lavoro questo che presuppone ovviamente un serio approfondimento. Noi ci siamo limitati a indicare una traccia e un punto di riferimento per un approccio globale che ha ben poco in comune con intenzioni celebrative ed esposizioni di icone.

Parlando di democrazie popolari abbiamo tenuto fuori finora la Jugoslavia che dal 1948, dopo la rottura con il Cominform, ha una storia a parte segnata dallo scontro interno alla Lega dei Comunisti tra l'ala ortodossa di Rankovic e quella apertamente liquidatrice delle forme di gestione pubblica dell'economia, rappresentata da Mjlovan Gilas. Ma anche l'esito jugoslavo conferma che le terze vie, quelle parlamentari di stampo togliattiano ma anche quelle jugoslave basate sull'autogestione si sono dimostrate inesistenti.

Se la Jugoslavia ha retto fino agli anni '90 è perchè americani, inglesi, tedeschi e italiani hanno voluto tenerla in vita, salvo scaricarla quando non serviva più nell'equilibrio internazionale antisovietico. A questo scopo le 'democrazie' occidentali non solo hanno alimentato il conflitto tra nazionalità, ma poi, visto che la Serbia resisteva, hanno optato per la guerra diretta. A guidare i processi di disgregazione è stata la Slovenia legata strettamente all'Austria e la Croazia legata al Vaticano e alla Germania. Proprio della Croazia, e delle pulsioni nazionaliste che emergevano già alla fine degli anni '70, parla Tito in una fase in cui la fine si stava avvicinando [qui].