Erich Honecker

Il socialismo è l'unica alternativa

In un opuscolo scritto dopo l'annessione definitiva della RDT alla RFT Erich Honecker rivendica i meriti storici del socialismo reale e sottolinea la tragedia delle tante conquiste che vengono azzerate e le nuove tragedie che si preparano. A distanza di 25 anni le sue parole suonano ancora più vere. Anche questo testo, come il precedente, è tratto da Movimento per la Pace e il Socialismo - Agenzia di Informazione, anno I, n.17, 15 novembre 1992.


Ritengo sia mio preciso dovere spiegare il mio punto di vista sugli avvenimenti drammatici che si sono susseguiti dopo il novembre 1989. Perchè, in definitiva, non ci sono solo coloro che si sono affrettati a tradire i loro vecchi ideali e i loro vecchi amici, ma anche le moltissime persone oneste che hanno partecipato a questa lotta, gente intelligente e razionale di tutto il mondo che, nonostante le valutazioni critiche sul passato, non ha abbandonato la speranza di una società nuova, libera dallo sfruttamento capitalista, moderna e socialista. E' a costoro che mi rivolgo innanzitutto ...

Sono ben deciso, finché ne avrò la forza, a non lasciarmi ridurre al silenzio dai vincitori di oggi, come ieri dalla Gestapo. E' quello che ho fatto in tutta la mia vita di comunista. Vorrei dire, per cominciare, che gli avvenimenti prodottisi nella RDT dopo il mio ritiro dalla presidenza del Con­siglio di Stato e da segretario generale del partito mi hanno profondamente scosso. E tuttavia non posso dire che «tutto il mio mondo mi sia crollato addosso». La sconfitta della RDT non ha soppresso la convinzione mia e di altri compagni che il socialismo è l'unica alternativa per una società umana.

La nostra esperienza non sarà stata vana

La «transizione» dal socialismo al capitalismo non riguarda la mia persona, ma tutti coloro che hanno attivamente collaborato alla creazione e alla costruzione della società socialista. Comprendo assai bene quelli che dicono: «non è possibile che abbiamo lavorato invano per quarant'anni!» Hanno ragione! Quello che noi abbiamo fatto in quarant'anni al servizio di un socialismo tedesco continuerà a vivere nei movimenti di lotta del futuro. Penso innanzitutto alla sicurezza sociale per tutti, resa possibile dai rapporti socialisti di produzione. Penso ai veri diritti dell'uomo, come il diritto al lavoro, all'istruzione, l'eguaglianza delle donne. Penso a tutte queste conquiste che parevano scontate ma oggi vengono minate in profondità. Operai, contadini, scienziati, insegnanti, uomini e donne e i nostri giovani che oggi conoscono in tanti la disoccupazione e non hanno prospettive per il futuro, solo con la lotta potranno riconquistare i diritti che avevano prima nella società socialista. Nonostante il crollo incredibil­mente rapido della società socialista, nonostante tutti i tradimenti e le miserie che dobbiamo subire, rimane il fatto che non si potrà impedire il passag­gio a una società nuova, a un mondo nuovo. Ne devono essere coscienti quelli che hanno non solo letto, ma compreso Marx, Engels e Lenin. Le leggi di sviluppo della società umana sono oggettive. La contraddizione principale del mondo del capitale esiste e continua a esistere, anche se il capitalismo è capace di trasformarsi e adattarsi. Solo quando la contraddizione tra lavoro sociale e proprietà pri­vata della produzione sarà risolta gli individui potranno godere di una vita degna. I limiti con cui la società capitalista si dovrà scontrare apriranno la via al socialismo.

Una gigantesca campa­gna di calunnie

Il 20 agosto 1990, rivolgendosi a Heinz Junge (segretario generale dell'associazione di solida­rietà dei deportati di Sachsenhausen nella RFT) e a Werner Cieslak (del partito comunista tedesco della Ruhr-Westfalen) che insieme ad altri comu­nisti e indipendenti hanno costituito un comitato di solidarietà con Honecker, Rolf Vellay diceva: «Come i nazisti, che dopo il 30 gennaio 1933 per nascondere i loro stessi crimini lanciarono una furiosa campagnia di calunnie contro i comunisti, così oggi, dopo le gigantesche opere di manipola­zione messe in atto e il rovesciamento controrivoluzionario della RDT, vengono mosse accuse assurde contro i difensori coerenti del socialismo come il compagno Erich Honecker e si perseguitano le loro persone». Parole che descri­vono esattamente la situazione attuale in Germa­nia.

Tipico, al riguardo, l'arresto senza processo dei comunisti all'indomani del «cambiamento» e gli arresti succesivi di Willi Stoph, ex primo ministro della RDT, del ministro della difesa Heinz Kessler, del ministro per la sicurezza Erich Mielke, del capo di stato maggiore dell'esercito nazionale popolare, generale Fritz Strelitz e di Heinz Albrecht, membro del Consiglio di Difesa della RDT. All'epoca dell'offensiva alleata contro la Germania hitleriana, Kessler era passato dalla parte dell'Armata Rossa ed era responsabile mili­tare del «Comitato Nazionale Germania Libera». Oggi i media tedeschi lo «accusano» di aver sparato sui soldati tedeschi nella seconda guerra mondiale ....

Assai significativamente, questi arresti arbitrari hanno avuto luogo su richiesta politica della Com­missione giuridica del Parlamento della RFT. A questo proposito ho avuto modo di dichiarare il 21 maggio 1991 a Mosca che la Commissione giuri­dica del Parlamento federale pretendeva, in barba al diritto e alla legalità, di processare Honecker, Stoph, Mielke, Kessler e altri membri del Comita­to centrale della SED, del consiglio dei ministri e del Consiglio di Difesa nazionale e ho protestato contro l'arresto dei mie compagni. Non si può assistere in silenzio a questo scempio. Bisogna che tutti i veri comunisti e i democratici tedeschi si chiedano, prima che sia troppo tardi, dove sta andando la Germania riunificata. Possibile che si debba ripetere la storia vergognosa iniziata nel 1933?

Il processo per l'incendio del Reichstag rappre­sentò per i nazisti il segnale dell'offensiva contro tutti i comunisti e i socialdemocratici e in seguito contro tutti gli antifascisti. La denigrazione della SED e della Stasi, l'epiteto di «assassini» affibbia­to alle direzioni del partito e dello stato in riferi­mento a un «ordine di sparare», devono servire adesso allo stesso scopo? La caccia alle streghe diretta contro gli ex membri della SED a tutti i livelli della società, il tentativo di far passare la SED per un'organizzazione criminale, il divieto di impiego per insegnanti, scienziati, giudici e pub­blici ministeri, lo scaricare tutti i costi della riunificazione sulle spalle di operai, contadini, pensionati, donne e giovani, tutto questo sta assu­mendo proporzioni tali che il mondo intero se ne dovrebbe allarmare. Dove porterà tutto ciò? La domanda si pone sempre più pressante.

La lezione del passato e i segni del presente

Per tutta la vita ho combattuto il fascismo e la guerra. Oggi voglio mettere seriamente in guardia sul fatto che gli anatemi e la criminalizzazione contro le forze di sinistra e insieme gli spazi concessi alla luce del sole ai partiti e ai gruppi neofascisti non sono un affare puramente tedesco. Le più varie forze neofasciste beneficiano di pro­tezioni politiche mentre i comunisti con linguag­gio degno di Göbbels vengono chiamati «pleba­glia» da eliminare. La campagna governativa uffi­ciale contro gli stranieri ha assunto dimensioni inquietanti.

E mentre si spargono così semi avvelenati, mentre i pogrom, le uccisioni e gli incendi volontari delle bande fasciste sono all'ordine del giorno, ecco che i loro padri spirituali accusano la SED di esserne responsabile. E' una campagna rivoltante. Perqui­sizioni nelle sedi dei partiti di opposizione; atten­tati dinamitardi durante la campagna elettorale: è forse questa la tanto sbandierata democrazia? E' questo l'ideale riproposto sempre in tutte le salse dello stato di diritto? O non è piuttosto lo stato che va sempre più a destra? I nazisti sono già presenti nelle assemblee elettive di città come Brema e nella Renania del Nord - Vestfalia. Dappertutto si sente risuonare l'appello tristemente noto al «ri­sveglio» della Germania. L'antisemitismo assu­me le forme più ripugnanti. I revanscisti mettono apertamente in discussione persino in parlamento la frontiera dell'Oder-Neisse, la frontiera cioè dove è dislocata attualmente la Bundeswehr che, per decisione della maggioranza, potrà essere impiegata d'ora in avanti in qualsiasi regione del mondo. Non ce n'è abbastanza per seminare qual­che dubbio, ad est come ad ovest, sul corso sedi­cente pacifico della «Grande Germania» che si prospetta per il futuro? I più anziani tra noi ricor­dano bene come queste cose abbiano prodotto all'inizio degli anni trenta avvenimenti terribili, prima nei paesi vicini e poi nel mondo intero.

E quando si fa riferimento con così poche sfuma­ture alla volontà della maggioranza ci si può giustamente domandare: non fu forse in un clima di euforia sciovinista che milioni di tedeschi, al grido entusiasta di «Heil», si lanciarono nella guerra dietro le seducenti camice brune? Quando le voci ragionevoli e previdenti che pure si sentono qua e là vengono soffocate, la manipolazione totale dell'opinione pubblica resa possibile dalla potenza dei media moderni può comportare cata­strofi altrettanto globali. Questa esperienza i po­poli e gli uomini politici della nostra generazione l'hanno fatta. Willy Brandt o François Mitterand lo sanno bene, come me. E lo sanno i popoli dell'Unione Sovietica e della Polonia, come quelli dell'Inghilterra e della Francia. Quando si parla della politica del più potente stato capitalista euro­peo non si deve perdere di vista il fatto che la lotta per la ripartizione delle sfere di influenza tra le grandi potenze è in piena effervescenza. La lotta si svolge soprattutto con mezzi economici perchè i mezzi militari nell'era nucleare non sono adatti. Ma i mezzi militari sono tenuti di riserva, come si vede dallo sviluppo illimitato della qualità degli armamenti e dall'inflazione dei bilanci militari.

Per 40 anni la RDT ha mantenuto la pace in Europa

Alla luce di questi fatti la funzione svolta dalla RDT antifascista per il mantenimento della pace in Europa negli ultimi quarant'anni appare in piena luce. La giustizia tedesca, che non ha mai condannato un solo giudice nazista dei tribunali del regime ma che pretende di essere politicamen­te indipendente, si appresta a commettere gravi ingiustizie se non le sarà sbarrato il cammino. Gli arresti, le inchieste e i procedimenti giudiziari significano, che lo si ammetta o no, processi politici e terrore politico. Con che diritto la giusti­zia tedesca giudica la storia? Su che base si arroga il diritto di giudicare quarant'anni di storia tedesca e internazionale? Le regole giuridiche della RDT, che sono state in vigore, in base alle norme del diritto intemazionale, finché la RDT è esistita, non possono essere abrogate a posteriori dalla giusti­zia tedesca, che non ha nessun diritto di giudicare l'ex capo di stato della RDT, l'ex primo ministro, la direzione collettiva del partito e dello stato, e non può condannare gli ufficiali e i soldati della polizia di frontiera e tutti coloro che hanno appli­cato le leggi del parlamento della RDT eletto dal popolo. Le decisioni di quel parlamento erano in sintonia con le decisioni del Patto di Varsavia. Le accuse di «aver lavorato per la Stasi» o di «aver dato l'ordine di sparare» sono pretesti per perse­guire tutti coloro che hanno servito fedelmente la RDT. La criminalizzazione della politica, la cac­cia alle streghe contro tutti costoro, deve servire a spostare l'attenzione dal fatto che i veri costi della riunificazione - cioè della ricostituzione del pote­re del capitale nella Germania orientale - colpisco­no già pesantemente il popolo dell'ex RDT.

Il già citato compagno Vellay ha scritto che Erich Honecker aveva tempestivamente ammonito che il socialismo e il capitalismo sono come l'acqua e il fuoco, non si possono conciliare. Il crollo econo­mico e le conseguenze sociali catastrofiche del­l'introduzione dell'economia capitalista di mer­cato sono la prova tangibile che questa afferma­zione era esatta. Il 15 agosto 1990 la Frankfurter Allgemeine Zeitung riportava le seguenti parole di Oscar Lafontaine: «Quando è caduto il muro, la RDT era un paese industriale avanzato. Ora essa ha perduto gli sbocchi per i suoi prodotti. Ecco la conseguenza di una politica finanziaria sbaglia­ta». Non posso che essere d'accordo. Oggi la RDT è un paese in cui più di 40.000 funzionari occiden­tali superpagati, magistrati, militari e ufficiali di polizia organizzano il caos, governano e prendono tutte le decisioni. Un milione e settecentomila impiegati dei servizi pubblici della RDT, che disponevano di tutte le competenze necessarie, sono stati buttati per la strada. Le «rivelazioni sensazionali» propinate tutti i giorni con storie come quella dell'«ordine del giorno dell'ufficio politico» o della «valigia rossa» servono a sviare l'attenzione dalle vere cause che hanno precipita­to la popolazione nell'inquietudine attuale e a far scomparire le conquiste positive ancora esistenti della RDT ...

Che arroganza, che cinismo quando il signor Gysi liquida come «feudalesimo» e «stalinismo» quel­lo di cui la gente oggi è stata così crudelmente privata e definisce la SED «partito reazionario». Eppure lui e tutti quelli che parlano come lui hanno sfruttato a piene mani tutte le possibilità che lo stato operaio e contadino poteva offrire alla sua generazione, compresa la sua formazione.

Sfortunatamente per la borghesia e i suoi rappre­sentanti politici, io appartengo al numero di coloro che non abbandonano le armi dopo la sconfitta. Non l'ho fatto, con centinaia di migliaia d'altri, nemmeno nel 1933. Perchè ho la ferma convinzio­ne che il socialismo sia la sola alternativa al capitalismo, quali che siano le forme concrete che potrà assumere in avvenire....

La sola esistenza della RDT, un «fenomeno» accettato con tanta fatica dalla reazione, ha in­fluenzato la situazione mondiale assai più di quan­to molti non vogliano oggi ammettere. Nel marzo 1991 un vecchio compagno lo diceva in modo assai convincente: «In primo luogo il modello non capitalista della RDT ha esercitato un'influenza notevole sulle contraddizioni socio-economiche della Germania occidentale. L'esistenza della RDT ha spinto i padroni tedesco occidentali a conclude­re compromessi accettabili, aumentando così l'in­sieme delle conquiste sociali e anche la stabilità del mercato interno che ha funzionato da sostegno a quello esterno. In secondo luogo la RDT ha sopportato molti sacrifici, che hanno pesato sul suo sviluppo economico - e questo è sempre passato sotto silenzio - per pagare fino all'ultimo centesimo le riparazioni di guerra all'URSS per conto della Germania intera. La RFT avrebbe dovuto versare in conto riparazioni alla RDT 700 milioni di marchi. In terzo luogo, e questa è la cosa più importante, la RDT ha reso possibile la pace tra le superpotenze sulla frontiera essenziale tra la NATO e il Patto di Varsavia, assicurando 40 anni di pace all'Europa e impedendo una terza guerra mondiale!» Sono giudizi assai pertinenti.

Pur con tutti i nostri limiti
si poteva vivere meglio di oggi

Nonostante la struttura unificata dello stato, que­sta è una nazione divisa, ma nessuno può contesta­re che la politica della RDT non fosse orientata a soddisfare le esigenze popolari. Da noi nessuno viveva sulle spalle del popolo. Tutto quello che veniva prodotto veniva diviso.

Come potevamo garantire, per esempio, il posto in un asilo a tutti i bambini, per di più a titolo praticamente gratuito? Oppure il doposcuola per tutti i bambini dei primi quattro anni? Lo stato e le imprese assicuravano vacanze, sport, cultura, strut­ture sociali. I fondi delle imprese provvedevano alla formazione politecnica e professionale e pen­savano alla specializzazione degli operai, dei diri­genti e degli ingegneri. Per tutti c'era il sistema di istruzione di dieci anni e le numerose scuole professionali e superiori; la società assicurava anche il necessario insegnamento prescolare, i pasti scolastici, le strutture per le persone anziane, la solidarietà popolare, un servizio sanitario molto sviluppato con i policlinici, le numerose attività ricreative organizzate dal sindacato. I giovani avevano una prospettiva; i bambini erano ben curati dalle famiglie e dalla società. Le risorse per le strutture sociali provenivano dalla proprietà sociale, non potevano essere accaparrate da qual­cuno. Questa è una caratteristica fondamentale del vero socialismo.

Ma, che lo volessimo o no, il metro di paragone per giudicare la RDT era sempre la RFT. Era una competizione sleale. Già alla fine degli anni '70 avevo segnalato che il nostro ritardo era quantificabile in un 30%. Non siamo riusciti a colmarlo perchè ci sono mancate risorse scientifi­che e tecniche decisive. Il fine della nostra politica economica è sempre stato l'elevamento, passo dopo passo, del livello materiale e socio-culturale del popolo... Nonostante la grande quantità di beni di consumo disponibili dopo il 1971, dopo l'8° congresso del partito, non siamo riusciti a progre­dire senza problemi su quel terreno. Le aspettative della gente, tra cui molti se la passavano piuttosto bene, crescevano più in fretta delle possibilità materiali. Non abbiamo prestato in tempo utile l'attenzione dovuta alle concezioni consumistiche che crescevano in funzione della pubblicità e di vari altri metodi. Il malcontento comprensibile per la difficoltà a reperire certi articoli rendeva più difficile la vita quotidiana. Eppure, se anche non potevamo sempre importare banane a sufficienza, si poteva vivere bene e a me sembra meglio e con molta più sicurezza che non oggi con l'economia di «libero mercato». La disoccupazione nella Ger­mania orientale è attualmente più elevata di quan­to fosse nel 1932 nella repubblica di Weimar.

Il socialismo reale
ha impaurito il capitali­smo più di qualsiasi critica

La critica del capitalismo, per radicale che possa essere, non è ancora il socialismo. La critica il capitalismo la può sopportare, ma il socialismo, comunque lo si voglia oggi definire, significa la soppressione dei rapporti di produzione capitali­sti.

Il passaggio dal capitalismo al socialismo si può realizzare in modo pacifico o non pacifico. Questa tesi, espressa dai partiti comunisti e operai nella loro ultima conferenza nel 1968, non è ancora stata confutata. Ma che i partiti comunisti e operai, dopo il trionfo della rivoluzione, dovessero ritirar­si pacificamente nessuno l'aveva mai affermato. In effetti la pratica dimostra che questa «ritirata» non è affatto pacifica. Lo dimostra la inaudita crescita della reazione nella Germania orientale e negli altri paesi dell'Europa dell'est. Gli avveni­menti che hanno portato alle cosiddette «rivolu­zioni pacifiche» fanno parte di quelle colpe di cui Lenin diceva che non si possono ammettere. Di certe filosofie, «elaborate» da alcuni, bisogna dun­que che riusciamo a liberarci. Nella fase attuale sembra che il capitalismo sia in piena salute e che il socialismo sia sconfitto. E i rivoluzionari di tutti i paesi si chiedono con angoscia se quello che abbiamo fatto in 75 anni è stato vano o sbagliato. Ma si possono distruggere i partiti comunisti, non la classe operaia. E la classe operaia avrà bisogno del suo partito comunista per spezzare la barriera contro cui inevitabilmente andrà a infrangersi il capitalismo. E voglio aggiungere un particolare che non si deve dimenticare: l'Unione Sovietica oggi è profondamente scossa e sconvolta, ma i comunisti sovietici sapranno affrontare ancora una volta la situazione da rivoluzionari.