Karl Marx - Friedrich Engels

Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti

Londra, marzo 1850.[1]

    Il Comitato centrale della Lega
    Fratelli!

  Nei due anni rivoluzionari 1848-1849 la Lega ha fatto buona prova di sé in duplice maniera: in primo luogo perché i suoi membri sono intervenuti dappertutto energicamente nel movimento; perché nella stampa, sulle barricate e sui campi di battaglia sono sempre stati al primo posto nelle file della sola classe risolutamente rivoluzionaria, il proletariato. In secondo luogo la Lega ha fatto buona prova di sé perché la sua concezione del movimento, quale era stata esposta nelle circolari dei congressi e del Comitato centrale nel 1847 e nel «Manifesto comunista», ha mostrato di essere la sola giusta; perché le aspettative espresse in quei documenti si sono completamente avverate, e la concezione dell'odierno stato della società, prima propagata dalla Lega soltanto in segreto, si trova ora sulle labbra di tutti e viene apertamente predicata sulle piazze. Nello stesso tempo la precedente salda organizzazione della Lega si è notevolmente rilassata. Una gran parte dei membri della Lega, che parteciparono direttamente al movimento rivoluzionario, giudicarono che l'epoca delle società segrete fosse passata e che bastasse la sola azione pubblica. I circoli e le singole comunità lasciarono allentare i loro rapporti col Comitato centrale e a poco a poco li sospesero. Mentre dunque il partito democratico, il partito della piccola borghesia, si organizzava in Germania sempre di più, il partito degli operai perdeva l'unico suo saldo punto d'appoggio, restava organizzato al più solo in alcuni luoghi per scopi locali, ed entrò così nel movimento generale completamente sotto il predominio dei democratici piccolo-borghesi. Si deve porre fine a questo stato di cose; l'indipendenza degli operai deve essere ristabilita. Il Comitato centrale ha compreso questa necessità e perciò sin dall'inverno 1848-49 ha inviato in Germania un emissario, Joseph Moll [2], per riorganizzare la Lega. La missione del Moll non ha però avuto risultati durevoli, sia perché allora gli operai tedeschi non avevano ancora fatto esperienze sufficienti, sia perché l'insurrezione del maggio passato la interruppe. Lo stesso Moll impugnò il fucile, entrò nell'esercito badense-palatino e cadde il 29 giugno nello scontro della Murg. La Lega ha perduto in lui uno dei suoi membri più vecchi, più attivi e fedeli, che aveva partecipato attivamente a tutti i congressi e alle riunioni del Comitato centrale, e aveva già compiuto con grande successo tutta una serie di viaggi per missione. Dopo la disfatta dei partiti rivoluzionari in Germania e in Francia, quasi tutti i membri del Comitato centrale si sono ritrovati insieme a Londra nel luglio 1849, hanno avuto l'apporto di nuove forze rivoluzionarie, e hanno perseguito con rinnovato zelo la riorganizzazione della Lega.

  La riorganizzazione non può farsi che per opera di un emissario, e il Comitato centrale ritiene della più alta importanza che l'emissario [Heinrich Bauer, ndr.] parta proprio ora che siamo alla vigilia di una nuova rivoluzione in cui il partito operaio dovrà presentarsi il più possibile organizzato, il più possibile unanime e il più possibile indipendente, se non vuol essere di nuovo sfruttato e tenuto a rimorchio dalla borghesia come nel 1848.

  Già nel 1848 vi dicemmo, fratelli, che la borghesia liberale tedesca sarebbe giunta quanto prima al potere e avrebbe subito ritorto contro gli operai il potere appena conquistato. Avete veduto come ciò si sia compiuto. Furono infatti i borghesi, dopo il movimento del marzo 1848, a prendere subito possesso del potere dello Stato e a utilizzarlo per respingere senz'altro gli operai, loro alleati nella lotta, nella primitiva posizione di sottomissione. E sebbene la borghesia non potesse raggiungere questo scopo senza allearsi al partito feudale, che era stato sconfitto in marzo, anzi, sebbene non potesse raggiungerlo senza cedere infine a sua volta il potere a questo partito feudale assolutistico, pure essa si è assicurata condizioni che, dati gli imbarazzi finanziari del governo, le porrebbero alla lunga il potere nelle mani e garantirebbero tutti i suoi interessi, qualora fosse possibile che il movimento rivoluzionario si trasformasse già ora in una cosiddetta evoluzione pacifica. La borghesia non avrebbe nemmeno bisogno, per assicurare il proprio dominio, di rendersi odiosa al popolo con misure di violenza, perché tutte queste misure sono state già prese dalla controrivoluzione feudale. Ma l'evoluzione non prenderà questo corso pacifico. La rivoluzione, che l'affretterà, è al contrario assai vicina, sia che venga provocata da una sollevazione indipendente del proletariato francese o dalla invasione della Babele rivoluzionaria da parte della Santa Alleanza.

  E la parte che i borghesi liberali tedeschi hanno rappresentato nel 1848 contro il popolo, questa parte di così grandi traditori, verrà assunta nella prossima rivoluzione dai piccoli borghesi democratici, i quali prendono ora nell'opposizione la stessa posizione che aveva la borghesia liberale prima del 1848. Questo partito, il democratico, che è per gli operai assai più pericoloso del precedente partito liberale, risulta di tre elementi:

  I. Gli strati più progrediti dell'alta borghesia, che si pongono lo scopo di abbattere immediatamente e completamente il feudalesimo e l'assolutismo. Questa frazione è rappresentata dai fautori del compromesso e da coloro che proponevano di non pagare le imposte.

  II. Piccoli borghesi costituzionali-democratici, il cui scopo principale è stato, durante il movimento che s'è svolto finora, l'instaurazione di uno Stato federale più o meno democratico, quale era perseguito dai loro rappresentanti, dalla sinistra dell'Assemblea di Francoforte, e più tardi dal parlamento di Stoccarda e da loro stessi nella campagna per la Costituzione dell'impero.

  III. Piccoli borghesi repubblicani, il cui ideale è una repubblica federale tedesca sul genere della Svizzera, e che ora si chiamano «democratico-sociali» e «rossi», perché nutrono il pio desiderio di abolire la pressione del grande capitale sul piccolo capitale, del grosso borghese sul piccolo borghese. I rappresentanti di questa frazione erano i membri dei congressi e dei comitati democratici, i dirigenti delle associazioni democratiche, i redattori dei giornali democratici.

  Tutte queste frazioni si chiamano ora, dopo la loro disfatta, «repubblicane» o «rosse», proprio come ora in Francia i piccoli borghesi repubblicani si chiamano socialisti. Dove si presenta ancora l'occasione, come nel Württemberg, in Baviera, ecc., di perseguire i loro scopi per via costituzionale, essi colgono l'occasione per mantenere la loro vecchia fraseologia e per provare coi fatti che non sono mutati minimamente. È chiaro d'altra parte che il cambiamento di nome di questo partito non cambia neppure in minima parte la sua posizione verso gli operai, ma prova semplicemente che esso deve ora volgersi contro la borghesia legata all'assolutismo e appoggiarsi invece al proletariato.

  Il partito democratico piccolo-borghese è molto forte in Germania; non solo abbraccia la grande maggioranza degli abitanti borghesi delle città, i piccoli commercianti industriali e gli artigiani; esso conta nel proprio seguito i contadini e il proletariato agricolo, nei limiti in cui questo non ha ancora trovato un appoggio nel proletariato indipendente delle città.

  La posizione del partito operaio rivoluzionario verso la democrazia piccolo-borghese è la seguente: esso procede d'accordo con quest'ultima contro la frazione di cui persegue la caduta; esso si oppone ai democratici piccolo-borghesi in tutte le cose pel cui mezzo essi vogliono consolidarsi per conto proprio.

  I piccoli borghesi democratici, ben lungi dal voler rovesciare tutta la società per i proletari rivoluzionari, tendono a una trasformazione delle condizioni sociali, per cui la società attuale diventi per loro quanto più è possibile tollerabile e comoda. Perciò essi reclamano innanzi tutto una diminuzione delle spese dello Stato, mediante una limitazione della burocrazia, e facendo cadere il peso delle imposte sui grossi proprietari fondiari e sui grossi borghesi. Essi reclamano inoltre l'eliminazione della pressione del grande capitale sul piccolo, mediante istituti pubblici di credito e leggi contro l'usura, per modo che a loro e ai contadini sia possibile ricevere anticipi a buone condizioni dallo Stato invece che dai capitalisti; vogliono infine l'applicazione nelle campagne dei rapporti borghesi di proprietà, mediante l'eliminazione completa del feudalesimo. Per procedere all'esecuzione di tutto ciò, essi hanno bisogno di una Costituzione democratica dello Stato, sia costituzionale, sia repubblicana, che dia a loro e ai loro alleati, i contadini, la maggioranza; e di una Costituzione democratica dei comuni che dia loro il controllo diretto sulla proprietà comunale e metta in loro mano una serie di funzioni esercitate oggi dalla burocrazia.

  Al dominio e al rapido accrescersi del capitale si deve inoltre ovviare, secondo loro, in parte con una limitazione del diritto di eredità, e in parte trasferendo allo Stato l'esecuzione della maggiore quantità possibile dei lavori. Per quanto riguarda gli operai resta anzitutto stabilito che essi debbono rimanere salariati come sinora; i piccoli borghesi democratici desiderano soltanto che gli operai abbiano un salario migliore e una esistenza sicura, e sperano di conseguire questo risultato con una parziale occupazione di operai da parte dello Stato e con misure di beneficenza; in breve, essi sperano di corrompere gli operai con elemosine più o meno larvate, e di spezzare la loro forza rivoluzionaria rendendo momentanea­mente sopportabile la loro situazione. Le rivendicazioni della democrazia piccolo-borghese che qui abbiamo riassunto, non vengono avanzate da tutte le frazioni di essa allo stesso tempo e solo a ben poche persone della democrazia piccolo-borghese si presentano nel loro assieme come uno scopo determinato. Quanto più avanzati sono i gruppi e gli individui della democrazia piccolo-borghese, tanto maggiore è il numero di queste rivendicazioni ch'essi fanno proprie, e i pochi che in ciò che precede vedono il proprio programma, possono anche credere di aver con ciò proposto il massimo che si possa esigere dalla rivoluzione. Ma queste rivendicazioni non possono in nessun modo bastare al partito del proletariato. Mentre i piccoli borghesi demo­cra­tici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione, e realizzando tutt'al più le rivendicazioni di cui sopra, è nostro interesse e nostro compito render permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l'associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino a che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari. Non può trattarsi per noi di una trasformazione della proprietà privata, ma della sua distruzione; non del mitigamento dei contrasti di classe, ma della abolizione delle classi; non del migliora­men­to della società attuale ma della fondazione di una nuova società. Non v’è dubbio che durante lo sviluppo ulteriore della rivoluzione la democrazia piccolo-borghese conquisterà per un certo tempo in Ger­ma­nia una influenza preponderante. Si domanda dunque quale sarà la posizione del proletariato e specialmente della Lega di fronte ad essa:

  1. finché dura lo stato di cose attuale, in cui i democratici piccolo-borghesi sono altrettanto oppressi;

  2. nella prossima lotta rivoluzionaria, che darà loro il sopravvento;

  3. dopo questa lotta, durante il periodo della preponderanza della democrazia piccolo-borghese sulle classi vinte e sul proletariato.

  1) Nel momento attuale, in cui i piccoli-borghesi democratici sono dappertutto oppressi, essi predicano al proletariato, in generale, unione e riconciliazione; gli offrono la mano e tendono alla costituzione di un grande partito di opposizione che rappresenti tutte le sfumature del partito democratico, cioè tendono a coinvolgere i lavoratori in una organizzazione di partito in cui dominino le frasi generiche socialdemocratiche dietro cui si nascondono gli interessi specifici dei piccoli borghesi, e nella quale le rivendicazioni specifiche del proletariato, per amor di pace, non dovrebbero essere avanzate. Una simile unione andrebbe solo a vantaggio loro, e completamente a svantaggio del proletariato. Il proletariato perderebbe completamente la sua posizione indipendente, che si è faticosamente conquistata, e si ridurrebbe un’altra volta ad essere l’appendice della democrazia borghese ufficiale. Codesta unione deve essere dunque risolutamente respinta. Invece di abbassarsi di nuovo a servir da coro plaudente ai democratici borghesi, gli operai e soprattutto la Lega debbono adoperarsi per costituire accanto ai democratici ufficiali un’organizza­zione indipendente, segreta e pubblica, del partito operaio, e per fare di ogni comunità della Lega il punto centrale e il nocciolo di associazioni operaie, nelle quali gli interessi e la posizione del proletariato siano discussi indipendentemente da influenze borghesi. Quanto poco i democratici borghesi pensino seriamente a un’alleanza nella quale i proletari siano al fianco loro con eguale potere ed eguali diritti, lo mostrano, per esempio, i democratici di Breslavia, i quali nel loro organo, la «Neue Oder-Zeitung» [3], combattono rabbiosamente gli operai organizzati in modo indipendente, che essi chiamano socialisti. Nel caso di una battaglia contro un nemico comune non c’è bisogno di nessuna unione speciale. Appena si deve combattere direttamente tale nemico, gli interessi dei due partiti coincidono momentaneamente, e, com’è avvenuto sinora così per l’avvenire, questo collegamento, calcolato soltanto per quel momento, si ristabilirà spontaneamente. È naturale che nei sanguinosi conflitti imminenti, come in tutti i precedenti, toccherà soprattutto agli operai strappare la vittoria con il loro coraggio, la loro risolutezza e la loro abnegazione. Come è avvenuto sinora, anche in queste lotte la massa dei piccoli borghesi, sino a che le sarà possibile, sarà lenta, irresoluta e inattiva, ma una volta conquistata la vittoria, cercherà di ipotecarla per sé, di esortare gli operai alla calma e a ritornare a casa e al lavoro, cercherà di prevenire i cosiddetti eccessi, e di escludere il proletariato dai frutti della vittoria. Non è in potere degli operai impedire che i democratici piccolo-borghesi agiscano in questo modo, ma è in loro potere rendere loro più difficile di volgersi contro il proletariato armato; è in loro potere dettare condizioni tali che il dominio dei democratici borghesi rechi sin dall’inizio in sé stesso il germe della propria dissoluzione, e così sia reso più facile soppiantarlo in seguito col dominio del proletariato. Innanzi tutto gli operai debbono, durante il conflitto e immediatamente dopo la lotta, fin quando è possibile, opporsi ai tentativi della borghesia di mantenere la calma, e costringere i democratici a tradurre in atto le loro attuali frasi terroristiche. Essi debbono adoperarsi affinché la eccitazione rivoluzionaria immediata non venga di nuovo soffocata subito dopo la vittoria. Al contrario, essi debbono sforzarsi di mantenerla viva quanto più possibile. Ben lungi dall’opporsi ai cosiddetti eccessi, casi di vendetta popolare su persone odiate o su edifici pubblici cui non si connettono altro che ricordi odiosi, non soltanto si devono tollerare quegli esempi, ma se ne deve prendere in mano la direzione. Durante e dopo la lotta, gli operai accanto alle rivendicazioni dei democratici borghesi debbono presentare in ogni occasione le loro proprie rivendicazioni. Essi debbono esigere garanzie per gli operai, non appena i borghesi democratici si preparino a prendere il governo nelle loro mani. In caso di necessità essi debbono costringere gli altri a dar loro queste garanzie, e soprattutto curare che i nuovi governanti si obblighino a tutte le concessioni e promesse possibili, il che è il mezzo più sicuro per comprometterli. Essi debbono soprattutto frenare in tutti i modi per quanto è possibile l’ebbrezza della vittoria e l’entusiasmo per il nuovo ordine di cose, che sopravviene ad ogni insurrezione vittoriosa, interpretando freddamente e pacatamente la situazione e manifestando aperta diffidenza verso il nuovo governo. Accanto ai nuovi governi ufficiali essi debbono in pari tempo istituire propri governi rivoluzionari operai, sia nella forma di giunte e consigli comunali, sia mediante circoli e comitati operai, cosicché i governi democratici borghesi non solo perdano subito l’appoggio degli operai, ma si veggano fin da principio sorvegliati e minacciati da organismi dietro cui si trova tutta la gran massa degli operai. In una parola: dal primo momento della vittoria la diffidenza non deve più rivolgersi contro il vinto partito reazionario, ma contro i propri alleati di ieri, contro il partito che vorrà sfruttare da solo la vittoria comune.

  2) Ma per potersi contrapporre energicamente e minacciosa­mente a questo partito, il cui tradimento verso gli operai incomincerà con la prima ora della vittoria, gli operai debbono essere armati e organizzati. L’armamento di tutto il proletariato con schioppi, fucili, pistole e munizioni deve essere attuato subito; bisogna opporsi subito al ristabilimento della vecchia guardia civica rivolta contro gli operai. Ma dove non possa venir conseguito quest’ultimo scopo, gli operai debbono tentare di organizzarsi indipendentemente in guardia proletaria, con capo e stato maggiore eletti da loro, e di porsi agli ordini non dei poteri dello Stato, ma dei Consigli comunali formati dagli operai. Dove gli operai sono alle dipendenze dello Stato, debbono effettuare il proprio armamento e la propria organizzazione in un corpo speciale, con capi scelti da loro, oppure come parte della guardia proletaria. Non bisognerà consegnare, sotto nessun pretesto, le armi e le munizioni, e ad ogni tentativo di disarmo bisognerà, se occorre, opporsi con la forza. Distruzione dell’influenza dei democratici borghesi sugli operai, immediata organizzazione indipen­dente e armata degli operai, e assicurazione di condizioni che rendano il più che è possibile difficile e compromettano il più che è possibile il momentaneo e inevitabile dominio della democrazia borghese; questi sono i punti principali che il proletariato e la Lega debbono aver presenti durante e dopo la insurrezione imminente.

  3) Non appena i nuovi governi si saranno in certo modo consolidati, incomincerà immediatamente la loro lotta contro gli operai. Per potersi opporre validamente ai piccoli borghesi democratici, è innanzitutto necessario che gli operai siano organizzati e centralizzati indipendente­mente, in circoli. Il Comitato centrale della Lega, appena questo sarà possibile, dopo l’abbattimento dei governi attuali, si trasferirà in Germania, convocherà immediatamente un congresso e farà a questo le proposte necessarie per centralizzare i circoli operai sotto una direzione unica, stabilita nella sede centrale del movimento. La rapida organizzazione di un collegamento per lo meno provinciale tra i circoli operai, è uno dei punti più importanti per rafforzare e sviluppare il partito degli operai. La prima conseguenza dell’abbattimento dei governi attuali sarà l’elezione di un’Assemblea nazionale. A questo proposito il proletariato deve curare:

  I. Che per nessun cavillo di autorità locali o di commissari del governo sia escluso, sotto nessun pretesto, un certo numero di operai.

  II. Che dappertutto, accanto ai candidati democratici borghesi, siano presenti candidati operai, i quali dovranno il più che è possibile essere scelti fra i membri della Lega e per la cui elezione si deve lavorare con tutti i mezzi. Anche là dove non esiste nessuna speranza di successo, gli operai debbono presentare i loro candidati, per salvaguardare la loro indipendenza, per contare le proprie forze, per manifestare pubblicamente la loro posizione rivoluzionaria e il punto di vista del partito. In ciò essi non debbono lasciarsi lusingare dalle frasi fatte dei democratici che, per esempio, facendo così si divide il partito democratico e si dà alla reazione la possibilità della vittoria. Tutte queste frasi risultano in conclusione in una cosa sola, che il proletariato sarà truffato. I progressi che il partito proletario farà tenendo una tale condotta indipendente sono infinitamente più importanti dello svantaggio che la presenza di alcuni reazionari tra gli eletti potrebbe produrre. Se la democrazia combatterà sin dall’inizio la reazione con decisione e con misure di terrore, l’influenza di quest’ultima nelle elezioni verrà distrutta fin da principio.

  Il primo punto sul quale i democratici borghesi entreranno in conflitto con gli operai sarà l’abolizione del feudalesimo. Come nella prima rivoluzione francese, i piccoli borghesi vorranno dare le terre feudali ai contadini in libera proprietà, e cioè vorranno lasciar sus­si­ste­re il proletariato agricolo, e creare una classe di contadini piccolo-borghesi che dovrà attraversare lo stesso ciclo di impoverimento e di indebitamento, in cui ancor oggi è preso il contadino francese.

  Gli operai, nell’interesse del proletariato agricolo e nel proprio, debbono opporsi a questo piano. Essi debbono esigere che la proprietà feudale confiscata resti patrimonio dello Stato e venga trasformata in colonie di operai, coltivate dal proletariato agricolo associato, con tutti i vantaggi della grande agricoltura e in modo che il principio della proprietà comune riceva subito una forte base in mezzo ai vacillanti rapporti della proprietà borghese. Come i democratici si alleano coi contadini, così gli operai debbono allearsi col proletariato agricolo. Inoltre i democratici lavoreranno direttamente per una repubblica federale o almeno, qualora non possano evitare la repubblica una e indivisibile, cercheranno di paralizzare il governo centrale con ogni possibile indipendenza e autonomia dei comuni e delle province. Gli operai debbono opporsi a questo piano e lavorare non soltanto per la repubblica tedesca una e indivisibile, ma anche, entro di essa, per una decisissima centralizzazione del potere nelle mani dello Stato. Essi non debbono lasciarsi ingannare dalle chiacchiere democratiche sulla libertà dei comuni, sul governo locale autonomo, e così via. In un paese come la Germania, in cui occorre ancora liquidare tanti residui del medioevo, e si devono spezzare tanti particolarismi locali e provinciali, non si deve in nessun modo tollerare che ogni villaggio, ogni città, ogni provincia ponga un nuovo impedimento all’attività rivoluzionaria che, in tutta la sua forza, può diffondersi soltanto dal centro. Non si deve tollerare che si rinnovi l’attuale stato di cose in cui i tedeschi debbono battersi di volta in volta, separatamente, in ogni città, in ogni provincia, per conseguire un solo progresso, sempre lo stesso. E meno ancora può tollerarsi che una forma di proprietà che è ancora più arretrata della proprietà privata moderna e si dissolve dappertutto necessariamente in questa – la proprietà comune – e i conflitti che ne derivano fra comuni ricchi e poveri, così come il diritto pubblico comunale, esistente a fianco del diritto pubblico di Stato, si perpetuino attraverso una cosiddetta libera costituzione dei comuni, con i suoi cavilli contro gli operai. Come nella Francia del 1793, l’attuazione della più rigida centralizzazione del potere è oggi in Germania compito del partito veramente rivoluzionario [4].

  Abbiamo visto come i democratici giungeranno al potere nel prossimo movimento rivoluzionario, come essi saranno costretti a proporre delle misure più o meno socialiste. Ora si domanderà: che misure proporranno a loro volta gli operai? Naturalmente, al principio del movimento, gli operai non potranno ancora proporre misure direttamente comuniste. Ma essi possono:

  1. Costringere i democratici a intervenire da quante più parti sarà possibile nell’ordinamento attuale della società, a disturbarne il corso regolare, a compromettersi, come pure a concentrare nelle mani dello Stato il più gran numero possibile di forze produttive, mezzi di trasporto, fabbriche, ferrovie, ecc.

  2. Essi debbono spingere all’estremo le misure proposte dai democratici, che ad ogni modo non si presenteranno come rivoluzionari, ma solo come riformatori, e trasformarle in attacchi diretti alla proprietà privata. Così, ad esempio, quando i piccoli borghesi proporranno di acquistare le ferrovie e le fabbriche, gli operai dovranno reclamare che tali ferrovie e fabbriche siano confiscate dallo Stato puramente e semplicemente, senza risarcimento, come proprietà di reazionari. Se i democratici proporranno l’imposta proporzionale, gli operai proporranno l’imposta progressiva; se i democratici proporranno essi stessi una imposta progressiva moderata, i lavoratori insisteranno per una imposta così rapidamente progressiva, che il grande capitale ne sia rovinato; se i democratici reclameranno che si regolino i debiti dello Stato, i proletari reclameranno che lo Stato faccia bancarotta. Le richieste degli operai dovranno sempre regolarsi sulle concessioni e sulle misure dei democratici.

  Sebbene gli operai tedeschi non possano giungere al potere e soddisfare i loro interessi di classe senza attraversare un lungo sviluppo rivoluzionario, essi hanno però questa volta per lo meno la coscienza che il primo atto dell’incombente dramma rivoluzionario coinciderà con la vittoria diretta della loro classe in Francia e perciò il processo sarà affrettato.

  Ma essi stessi debbono fare l’essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a se stessi i loro propri interessi di classe, assumendo il più presto possibile una posizione indipendente di partito, e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccoli borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dalla organizzazione indipendente del partito del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere: La rivoluzione in permanenza!


Note

[1] Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1966 pagg. 361-372. La circolare, indirizzata in particolare alle sezioni tedesche della Lega dei Comunisti fu resa pubblica solo nel maggio 1851 e utilizzata poi dalla polizia come documento di accusa nel processo di Colonia contro i comunisti.
[2] Joseph Moll (1812-1849), orologiaio di Colonia. Fu tra i dirigenti della Lega dei giusti e membro del Comitato centrale della Lega dei comunisti. Dalgiugno al settembre 1849, presidente della Unione operaia di Colonia.
[3] Quotidiano democratico di Breslau diretto da Moritz Elsner. Marx vi collaborò frequentemente nel 1855.
[4] È bene ricordare oggi che questo passo si fonda sopra un malinteso. A quel tempo – grazie ai falsificatori della storia bonapartisti e liberali – si considerava come assodato che la grande macchina centralizzata dell’ammi­ni­stra­zione francese fosse stata introdotta dalla grande rivoluzione e in particolare usata dalla Convenzione, come arma necessaria e decisiva per vincere la reazione monarchica e feudale, e il nemico esterno. È però ora un fatto conosciuto che durante tutta la rivoluzione, fino al 18 brumaio, tutta l’amministrazione dei dipartimenti, dei circondari e dei comuni era formata da autorità elette dagli amministrati, che si muovevano con piena libertà entro le leggi generali dello Stato; che proprio questo autogoverno provinciale e locale simile a quello americano fu la leva più potente della rivoluzione, e in un modo tale che Napoleone immediatamente dopo il suo colpo di Stato del 18 brumaio, si affrettò a sostituirgli l’amministrazione prefettizia che esiste tutt’ora e che fu dunque sin dall’inizio un puro strumento di reazione. Ma come l’autogoverno locale e provinciale non contraddice alla centraliz­zazione politica nazionale, così esso non è affatto necessariamente legato a quell’egoismo ristretto, cantonale o comunale, che tanto ci ripugna nella Svizzera e di cui in Germania nel 1849 tutti i repubblicani federali della Germania del sud volevano fare una regola. [Nota di Engels all’edizione di Zurigo del 1885.]