Vladimir I. Lenin

L’opportunismo e il crollo della Seconda Internazionale

gennaio 1916 [1]


  I. La II Internazionale ha realmente cessato di esistere? I suoi più autorevoli rappresentanti, come Kautsky e Vandervelde, lo negano ostinatamente. Non è accaduto nulla, all’infuori di una rottura di relazioni; tutto va per il meglio: tale è il loro modo di vedere.

  Allo scopo di ristabilire la verità, riferiamoci al Manifesto del Congresso di Basilea del 1912, il quale riguarda precisamente la guerra imperialistica mondiale attuale, e che fu adottato da tutti i partiti socialisti del mondo. Occorre notare che nessun socialista oserà, dal punto di vista teorico, negare la necessità di un apprezzamento storico concreto di ogni guerra.

  Oggi che la guerra è scoppiata, né gli opportunisti dichiarati, né i kautskiani osano né sconfessare il Manifesto di Basilea, né mettere a confronto le sue rivendicazioni con la condotta dei partiti socialisti nel corso della guerra. Perché? Perché il manifesto li smaschera in pieno, sia gli uni che gli altri.

  In esso non vi è una parola né a proposito della difesa della patria, né di ciò che distingue una guerra offensiva da una guerra difensiva; non una parola di tutto ciò che ripetono oggi a tutti i crocicchi gli opportunisti e i kautskiani [2] di Germania e dell'Intesa. Del resto, il manifesto non poteva parlarne, perché ciò che esso dice esclude in modo assoluto qualsiasi applicazione di tali nozioni. Esso indica in modo perfettamente concreto una serie di conflitti economici e politici che, durante decine di anni, hanno preparato questa guerra, si sono manifestati in pieno nel 1912 e hanno provocato la guerra del 1914. Il manifesto ricorda il conflitto austro-russo per «l'egemonia nei Balcani»; il conflitto provocato fra «l'Inghilterra, la Francia e la Germania» (fra tutti questi paesi!) dalla loro «politica di conquista in Asia Minore» ; il conflitto austro-italiano suscitato dalla «volontà di dominare» in Albania, ecc. Il manifesto definisce in una parola tutti questi conflitti come conflitti provocati dall'«imperialismo capitalista». Così, dunque, vi si trova formulato, con lampante chiarezza, il carattere saccheggiatore, imperialista, reazionario, schiavista di questa guerra; il carattere, cioè, il quale fa sì che ammettere la difesa della patria è cosa insensata dal punto di vista teorico e un'assurdità dal punto di vista pratico. È la lotta fra i grandi pescecani per inghiottire «patrie» altrui. Il manifesto tira le inevitabili conclusioni da fatti storici indiscutibili: questa guerra non potrebbe «in alcuna misura essere giustificata sotto qualsiasi pretesto di interesse nazionale». Essa è preparata «per assicurare i profitti dei capitalisti, soddisfare delle ambizioni dinastiche». Sarebbe «un delitto» per gli operai «sparare gli uni sugli altri». Così parla il manifesto.

  L'epoca dell'imperialismo capitalista è l'epoca in cui il capitalismo ha raggiunto la sua maturità, è stramaturo e si trova alla vigilia del suo crollo. È maturo a tal punto da dover cedere il posto al socialismo. Il periodo che va dal 1789 al 1871 fu l'epoca di un capitalismo progressivo, in cui l'abbattimento del feudalesimo e dell'assolutismo, la liberazione dal giogo straniero erano all'ordine del giorno della storia. Su questa base, e su questa unica base, si poteva ammettere «la difesa della patria», cioè la lotta contro l'oppressione. Oggi ancora si potrebbe applicare questa concezione alla guerra contro le grandi potenze imperialiste, ma sarebbe assurdo applicarla a una guerra fra grandi potenze imperialiste, a una guerra in cui si tratta di sapere chi saprà spogliar meglio i paesi balcanici, l'Asia Minore, ecc. Quindi non c'è da stupire che i «socialisti», che ammettono «la difesa della patria» nella guerra presente, eludano il Manifesto di Basilea come il ladro fugge il luogo dove ha commesso il furto. Il manifesto dimostra infatti che essi sono dei socialsciovinisti, cioè dei socialisti a parole, degli sciovinisti nei fatti, che aiutano la «loro» borghesia a spogliare i paesi altrui e ad asservire le altre nazioni. L'essenziale nel concetto di «sciovinismo» è appunto la difesa della «propria» patria, anche quando i suoi atti tendono ad asservire le patrie altrui.

  Il considerare che una guerra è una guerra di liberazione nazionale, porta con sé una tattica; il considerare che essa è imperialista ne implica un'altra. Il manifesto indica chiaramente quest'altra tattica. La guerra «porterà a una crisi economica e politica», che si dovrà «utilizzare», non per attenuare la crisi, non per difendere la patria, ma, al contrario, per «sommuovere» le masse, per «affrettare l'eliminazione del dominio della classe capitalistica». Non si può affrettare ciò per cui le condizioni storiche non sono ancora mature. Il manifesto ha riconosciuto che la rivoluzione sociale è possibile, che le sue premesse sono mature, che essa verrà precisamente con la guerra: «le classi dirigenti» temono «la rivoluzione proletaria che seguirà a una guerra mondiale», dichiara il manifesto portando l'esempio della Comune di Parigi e della rivoluzione del 1905 in Russia, cioè gli esempi di scioperi di massa e di guerra civile. L'affermare, come fa Kautsky, che non si era definito quale doveva essere l'atteggiamento del socialismo verso questa guerra, è menzogna. Questa questione è stata non solamente discussa, ma risolta a Basilea, dove fu adottata la tattica della lotta di massa rivoluzionaria e proletaria.

  È ripugnante ipocrisia quella di eludere il Manifesto di Basilea, completamente o nelle sue parti le più essenziali, per citare discorsi di capi o risoluzioni di singoli partiti che, in primo luogo, portano una data anteriore a quella del Congresso di Basilea; in secondo luogo, non erano decisioni dei partiti di tutto il mondo; in terzo luogo, si riferivano a differenti guerre possibili, ma non assolutamente alla guerra attuale. Il nocciolo della questione è che l'epoca delle guerre nazionali fra le grandi potenze europee ha ceduto il posto all'epoca delle guerre imperialistiche fra queste potenze, e che il Manifesto di Basilea doveva, per la prima volta, riconoscere ufficialmente questo fatto.

  Sarebbe erroneo supporre che non si potrebbe presentare il Manifesto di Basilea come se esso fosse unicamente una dichiarazione solenne o una minaccia in stile grandiloquente. È appunto cosi che vorrebbero porre la questione coloro che il manifesto smaschera. Ma ciò è falso. Il manifesto è unicamente il risultato di un grande lavoro di propaganda di tutta l'epoca della II Internazionale, è unicamente un riassunto di tutto ciò che i socialisti hanno lanciato fra le masse in centinaia di migliaia di discorsi, articoli e appelli in tutte le lingue. Esso non fa che ripetere ciò che scriveva, per esempio, Jules Guesde nel 1899, quando sferzava il ministerialismo socialista in caso di guerra: egli parlava della guerra provocata dai «pirati capitalisti» (En Garde, pag. 175); oppure ciò che scriveva Kautsky nel 1908 in La via al potere [3], in cui riconosceva che l'epoca «pacifica» era terminata e incominciava l'epoca delle guerre e delle rivoluzioni. Presentare il Manifesto di Basilea come della fraseologia o come un errore, è considerare come tale tutta l'attività socialista degli ultimi venticinque anni. Se la contraddizione tra il manifesto e la sua non applicazione è così intollerabile per gli opportunisti e per i kautskiani, è perché essa rivela la profondissima contraddizione che esiste nell'attività della II Internazionale. Il carattere relativamente «pacifico» del periodo 1871-1914 ha alimentato l'opportunismo, stato d'animo dapprima, tendenza in seguito, e, infine, gruppo o strato composto dalla burocrazia operaia e dai compagni di strada piccolo-borghesi. Questi elementi potevano sottomettere il movimento operaio soltanto riconoscendo a parole i fini rivoluzionari e la tattica rivoluzionaria. Essi potevano cattivarsi la fiducia delle masse unicamente giurando che tutto il lavoro «pacifico» non era che una preparazione alla rivoluzione proletaria. Questa contraddizione era l'ascesso che un giorno o l'altro doveva scoppiare e che è scoppiato. Tutto il problema è di sapere se sia meglio tentare, come fanno Kautsky e consorti, di far rifluire di nuovo questo pus nell'organismo in nome dell'«unità» (con il pus), oppure se, per contribuire alla guarigione completa dell'organismo del movimento operaio, si debba sbarazzarlo da questo pus il più presto e il più accuratamente possibile, nonostante il dolore acuto ma passeggero che questa operazione produce.

  È evidente che quelli che hanno votato i crediti di guerra, che sono entrati nei ministeri e hanno difeso l'idea della difesa della patria nel 1914-1915 hanno tradito il socialismo. Solamente degli ipocriti possono negare questo fatto. È necessario spiegarlo.


  II. Sarebbe assurdo considerare tutta questa questione come una questione di persone. Quale rapporto può avere ciò con l'opportunismo, se si tratta di uomini come Plekhanov e Guesde, ecc.? - domandava Kautsky (Neue Zeit del 18 maggio 1915). Quale rapporto può avere ciò con l'opportunismo, se si tratta di Kautsky, ecc.? - rispondeva Axelrod in nome degli opportunisti dell'Intesa (Die Krise der Sozialdemokratie, p. 21, Zurigo 1915). Tutto ciò non è che una commedia. Per spiegare la crisi di tutto il movimento bisogna analizzare innanzi tutto la portata economica di una politica data; in secondo luogo, le idee che ne formano la base e, in terzo luogo, il suo legame colla storia delle tendenze del socialismo.

  Quale è la natura economica del difensismo durante la guerra del 1914-1915? La borghesia di tutte le grandi potenze fa la guerra allo scopo di spartire e sfruttare il mondo, allo scopo di opprimere i popoli. Alcune briciole dei grandi profitti realizzati dalla borghesia possono cadere nelle mani di una piccola cerchia di uomini: burocrazia operaia, aristocrazia operaia e compagni di strada piccoli-borghesi. Le radici di classe del socialsciovinismo e dell'opportunismo sono identiche: l'alleanza di un debole strato di operai privilegiati colla «sua» borghesia nazionale contro le masse della classe operaia, alleanza dei servitori della borghesia con quest'ultima contro la classe che essa sfrutta.

  Il contenuto politico dell'opportunismo e quello del socialsciovinismo sono identici: collaborazione delle classi, rinuncia alla dittatura del proletariato, all'azione rivoluzionaria, riconoscimento senza riserve della legalità borghese, mancanza di fiducia nel proletariato, fiducia nella borghesia. Il socialsciovinismo è la continuazione diretta e il coronamento della politica operaia liberale inglese, del millerandismo e del bernsteinismo.

  La lotta delle due tendenze essenziali nel movimento operaio, il socialismo rivoluzionario e il socialismo opportunista, riempie tutto il periodo che va dal 1889 al 1914. E anche oggi in tutti i paesi esistono due tendenze principali circa l'atteggiamento verso la guerra. Lasciamo da parte la maniera borghese e opportunista di riferirsi a personalità. Prendiamo le tendenze di una serie di paesi. Prendiamo dieci Stati europei: la Germania, l'Inghilterra, la Russia, l'Italia, l'Olanda, la Svezia, la Bulgaria, la Svizzera, il Belgio, la Francia. Nei primi otto paesi, la divisione in opportunisti e radicali corrisponde alla divisione in social-sciovinisti e internazionalisti. In Germania, punti di appoggio del socialsciovinismo sono i Sozialistische Monatshefte e Legien e consorti; in Inghilterra, i fabiani [4] e il Labour Party (l'ILP [5] ha sempre fatto blocco con essi, ha sostenuto il loro organo e in questo blocco è sempre stato più debole che i socialsciovinisti, mentre gli internazionalisti costituiscono i tre settimi del BSP [6]); in Russia, questa tendenza è rappresentata dalla Nascia Zarià (oggi Nasce Dielo), dal Comitato di organizzazione [7], dalla frazione alla Duma, sotto la direzione di Ckheidze; in Italia, dai riformisti, a capo dei quali si trova Bissolati; in Olanda, dal partito di Troelstra; in Svezia dalla maggioranza del partito, diretta da Branting; in Bulgaria, dal partito dei «larghi»; in Svizzera da Greulich e consorti. Ma in tutti questi paesi abbiamo udito levarsi nel campo opposto, radicale, proteste più o meno conseguenti contro il socialsciovinismo. Solo due paesi fanno eccezione: la Francia e il Belgio; anche là tuttavia l'internazionalismo esiste, pur essendo debolissimo.

  Il socialsciovinismo è l'opportunismo nella sua forma più compiuta. Esso è maturo per un'alleanza aperta, spesso volgare, con la borghesia e gli stati maggiori.

  È appunto questa alleanza che gli dà una grande forza e il monopolio della stampa legale e dell'inganno delle masse. È assurdo considerare, oggi ancora, che l'opportunismo sia un fenomeno interno del nostro partito. È assurdo pensare di applicare la risoluzione di Basilea in compagnia di David, Legien, Hyndman, Plekhanov, Webb. L'unità coi socialsciovinisti è l'unità colla «propria» borghesia nazionale che sfrutta altre nazioni, è la scissione del proletariato internazionale. Ciò non vuol dire che la rottura con gli opportunisti sia ovunque immediatamente possibile; ciò vuol dire unicamente che, dal punto di vista storico, essa è matura; che essa è necessaria e inevitabile per la lotta rivoluzionaria del proletariato, che, col passaggio dal capitalismo «pacifico» al capitalismo imperialista, la storia ha preparato questa rottura. Volentem ducunt fata, nolentem trahunt [8].


  III. I rappresentanti intelligenti della borghesia lo hanno perfettamente compreso. Per questo essi esaltano tanto gli attuali partiti socialisti, alla testa dei quali si trovano dei «difensori della patria», cioè dei difensori del saccheggio imperialista. Per questo, i governi rimunerano i capi socialsciovinisti sia con posti ministeriali (Francia e Inghilterra), sia col monopolio d'una esistenza legale, senza noie (Germania e Russia). Per questo, appunto in Germania, dove il partito socialdemocratico era più forte e dove la sua trasformazione in un partito operaio nazional-liberale controrivoluzionario è stata più manifesta, le cose sono arrivate a tal punto che la Procura considera la lotta fra la «minoranza» e la «maggioranza» come «un incitamento all'odio di classe»! Per questo, gli opportunisti intelligenti sono soprattutto preoccupati di salvare l'antica «unità» dei vecchi partiti, che hanno reso dei così grandi servigi alla borghesia nel 1914-1915. Uno dei membri della socialdemocrazia tedesca ha pubblicato nell'aprile del 1915, sotto lo pseudonimo di Monitor, nella rivista reazionaria Preussische Jahrbücher un articolo in cui, con una sincerità degna di elogio, esprime il punto di vista di questi opportunisti di tutti i paesi del mondo. Monitor pensa che sarebbe molto pericoloso per la borghesia che la socialdemocrazia andasse ancora più a destra: «Essa [la socialdemocrazia] deve conservare il suo carattere di partito operaio, con i suoi ideali socialisti, perché il giorno stesso in cui essa perdesse questo carattere, sorgerebbe un nuovo partito che riprenderebbe, sotto una forma più radicale, il programma abbandonato». (Preussiche Jahrbücher, 1915, n. 4, p. 51.)

  Monitor ha colpito nel segno. È precisamente ciò che hanno sempre desiderato i liberali inglesi e i radicali francesi: delle frasi a risonanza rivoluzionaria per ingannare le masse, affinché esse prestino fede ai Lloyd George, ai Sembat, ai Renaudel, ai Legien e ai Kautsky, agli uomini capaci di predicare «la difesa della patria» in una guerra di rapina.

  Ma Monitor non è che una delle varietà - aperta, senza sottigliezze, cinica, - dell'opportunismo. Altri agiscono di sottomano, finemente, «onestamente». Engels disse un giorno [9]: gli opportunisti «onesti» sono i più pericolosi per la classe operaia... Eccone un esempio:

  Kautsky scrive nella Neue Zeit (26 novembre 1915):


  “L'opposizione contro la maggioranza aumenta; le masse hanno uno spirito opposizionista. Dopo la guerra [dopo la guerra soltanto? - N. L.] le contraddizioni di classe si acutizzeranno a un punto tale che fra le masse il radicalismo avrà il sopravvento. Noi corriamo il pericolo di vedere dopo la guerra [dopo la guerra soltanto? - N. L.] gli elementi radicali fuggire dal partito e rifluire in un partito d'azione di massa antiparlamentare. [?? bisogna intendere: extraparlamentare]. Così il nostro partito si disgrega in due campi estremi, non aventi nulla di comune fra di loro”.


  Per salvare l'unità, Kautsky cerca di convincere la maggioranza del Reichstag a permettere alla minoranza di pronunciare qualche discorso parlamentare radicale. Ciò vuol dire che Kautsky, con l'ausilio di alcuni discorsi parlamentari radicali, intende conciliare le masse rivoluzionarie cogli opportunisti, che «non hanno nulla di comune» colla rivoluzione, che già da lungo tempo dirigono i sindacati e che oggi, appoggiandosi sulla loro stretta alleanza con la borghesia e col governo, si sono impadroniti anche della direzione del partito. In fondo in che cosa tutto ciò differisce dal «programma» di Monitor? In nulla, se non nelle frasi dolciastre che prostituiscono il marxismo.

  Il 18 marzo 1915, in una seduta della frazione del Reichstag, il kautskiano Wurm «ammonì» la frazione «di non tendere troppo la corda; nelle masse operaie l'opposizione contro la maggioranza della frazione aumenta; bisogna quindi tenersi al "centro" marxista» (?! uno «svarione» senza dubbio: leggete «monitorista») (Klassenkampf gegen den Krieg. Material zum Fall Liebknecht [10], edizione fuori commercio, p. 67). Noi vediamo quindi che il fatto del rivoluzionarismo delle masse è stato riconosciuto - a nome di tutti i kautskiani (il cosiddetto «centro») - fin dal marzo 1915!! Ora, otto mesi e mezzo più tardi, Kautsky ripete la proposta di «pacificare» le masse, che vogliono lottare contro un partito opportunista, controrivoluzionario, - e ciò per mezzo di alcune frasi a risonanza rivoluzionaria!!

  Spesso la guerra ha questo di utile, che essa mette a nudo il marcio e respinge tutto ciò che è convenzionale.

  Confrontiamo i fabiani inglesi e i kautskiani tedeschi. Ecco ciò che scriveva circa i primi, il 18 gennaio 1893, un vero «marxista», Friedrich Engels:


  … Una banda di arrivisti sufficientemente ragionevoli per comprendere che la rivoluzione sociale è inevitabile, ma che, in nessun caso, non desiderano affidare questo lavoro titanico esclusivamente al proletariato, non ancora maturo... Il loro principio fondamentale è la paura della rivoluzione... (Carteggio con Sorge, p. 390.)


  E l'11 novembre 1893 egli scrive:


  Questi borghesi presuntuosi, che si degnano di chinarsi sino al proletariato per liberarlo dall'alto, a condizione che esso voglia ben comprendere che una massa cosi rozza e incolta non può liberarsi da sé stessa, né raggiungere nessun risultato se non per grazia di questi saggi avvocati, letterati e comari sentimentali... (Ibidem, p. 401.)


  In teoria, Kautsky considera i fabiani con lo stesso disprezzo con cui un fariseo considerava un povero pubblicano. Non giura egli forse sul «marxismo»! Ma in pratica, quale differenza esiste fra di loro? L'uno e gli altri hanno firmato il Manifesto di Basilea e l'uno e gli altri hanno agito verso di esso come Guglielmo II verso la neutralità belga. Mentre Marx durante tutta la sua vita flagellò coloro che si sforzavano di spegnere lo spirito rivoluzionario degli operai.

  Kautsky ha opposto ai marxisti rivoluzionari la nuova teoria dell'«ultra-imperialismo». Egli vuol dire che con ciò «la lotta fra i capitali finanziari nazionali» sarà eliminata, e che questa lotta cederà il posto allo «sfruttamento in comune del mondo da parte del capitale finanziario internazionale» (Neue Zeit, 30 aprile 1915). Ma, aggiunge egli, «ci mancano ancora le premesse sufficienti per decidere se questa nuova fase del capitalismo sia o no realizzabile». Con l'aiuto di semplici supposizioni concernenti una «nuova fase», senza osare di dichiarare apertamente che essa è «realizzabile» l'inventore di questa «fase» smentisce quindi le sue proprie dichiarazioni rivoluzionarie, rinnega i compiti rivoluzionari e la tattica rivoluzionaria del proletariato, oggi, nella «fase» di una crisi già cominciata, della guerra, dell'aggravamento inaudito delle contraddizioni di classe! Non è ciò ignobile fabianismo?

  Il capo dei kautskiani russi, Axel’rod, vede «il centro di gravità del problema dell'internazionalizzazione del movimento liberatore del proletariato nell'internazionalizzazione del lavoro pratico quotidiano». Così, «la legislazione sulla protezione del lavoro e la legislazione delle assicurazioni sociali devono diventare l'oggetto di azioni internazionali, l'oggetto dell'organizzazione internazionale degli operai» (Axel’rod, La crisi della socialdemocrazia, Zurigo 1915, pp. 39-40). È assolutamente chiaro che non soltanto Legien, David, i Webb, ma anche Lloyd George stesso, Naumann, Briand e Miliukov si associerebbero interamente a questo «internazionalismo». Come nel 1912, Axel’rod è pronto, in vista di un avvenire molto, molto lontano, a proferire le frasi più rivoluzionarie, se la futura Internazionale «agisce (contro i governi in caso di guerra) e solleva una tempesta rivoluzionaria». Guardate come siamo bravi! Ma quando si tratta di sostenere e di estendere oggi il fermento rivoluzionario che comincia fra le masse, Axel’rod dichiara che questa tattica di azioni rivoluzionarie di massa «potrebbe giustificarsi tutt'al più se ci trovassimo immediatamente alla vigilia della rivoluzione sociale, come fu in Russia, per esempio, quando i disordini fra gli studenti, nel 1901, annunciavano l'avvicinarsi di battaglie decisive contro l'assolutismo». Ma per il momento tutto ciò non è che «utopia», «bakunismo», ecc., esattamente nello spirito di Kolb, David, Südekum e Legien.

  L'ineffabile Axel’rod dimentica semplicemente che nel 1901 nessuno in Russia sapeva né poteva sapere che la prima «battaglia decisiva» sarebbe stata data quattro anni più tardi, - quattro anni, non dimenticatelo, - e sarebbe rimasta «insoluta». Tuttavia, allora noi soli, marxisti rivoluzionari, avevamo ragione: noi deridevamo i Kricevski e i Martynov che chiamavano all'assalto immediato. Noi eravamo i soli a consigliare agli operai di cacciar fuori, dappertutto, gli opportunisti e di appoggiare, intensificare ed estendere con tutte le loro forze le manifestazioni e tutte le altre azioni rivoluzionarie di massa. Oggi in Europa la situazione è assolutamente analoga: sarebbe assurdo chiamare a un assalto «immediato». Ma sarebbe vergognoso, per chi si dice socialdemocratico, non consigliare agli operai di rompere con gli opportunisti e di consolidare, approfondire, allargare e intensificare con tutte le loro forze il movimento rivoluzionario nascente e le manifestazioni. La rivoluzione non cade mai bell'e pronta dal cielo, e quando comincia l'effervescenza rivoluzionaria, nessuno sa mai se riuscirà, né quando riuscirà, a diventare una rivoluzione «vera», «autentica». Kautsky e Axel’rod danno agli operai consigli invecchiati, frusti, controrivoluzionari. Kautsky e Axel’rod nutrono di speranze le masse dicendo loro che la futura Internazionale sarà senza dubbio rivoluzionaria, pur di proteggere, di coprire e di imbellettare oggi il dominio degli elementi controrivoluzionari: dei Legien, dei David, dei Vandervelde, degli Hyndman. Non è forse evidente che «l'unità» con Legien e consorti è il miglior mezzo per preparare la «futura» Internazionale rivoluzionaria?!

  «Cercare di trasformare la guerra mondiale in guerra civile sarebbe una follia», dichiara David, capo degli opportunisti tedeschi (Die Sozialdemokratie und der Weltkrieg [11] p. 172, 1915), in risposta al manifesto del Comitato centrale del nostro partito del 1° novembre 1914. In questo manifesto si dice fra l'altro:


  Per quanto grandi possano sembrare in questo o in quel momento le difficoltà di questa trasformazione, i socialisti non rinunceranno mai, dal momento in cui la guerra è diventata un fatto, di compiere in questo senso un lavoro di preparazione sistematico, perseverante e continuo.


  (Citato anche da David, p. 171.) Un mese prima della pubblicazione del libro di David, il nostro partito pubblicava delle risoluzioni, nelle quali questo «lavoro di preparazione sistematico» era definito nel modo seguente: 1. Rifiuto di votare i crediti. 2. Rottura della pace sociale. 3. Creazione di organizzazioni illegali. 4. Sostegno delle manifestazioni di solidarietà nelle trincee. 5. Sostegno di tutta l'azione rivoluzionaria di massa.

  La bravura di David è quasi pari a quella di Axel’rod: nel 1912 David non considerava una «follia» riferirsi, nel caso di una guerra, alla Comune di Parigi.

  Plekhanov, questo rappresentante tipico dei socialsciovinisti dell'Intesa, ragiona sulla tattica rivoluzionaria nello stesso modo con cui ragiona David. Essa è per lui una «ridicola chimera». Ma ascoltiamo Kolb, opportunista confesso, il quale scrive: «La tattica degli uomini che circondano Liebknecht avrebbe per risultato di portare al punto di ebollizione la lotta in seno alla nazione tedesca» (Die Sozialdemokratie am Scheidewege [12]», p. 50).

  Ma che cos'è una lotta portata al punto di ebollizione, se non la guerra civile?

  Se la tattica del nostro Comitato centrale, che nelle sue linee fondamentali coincide con la tattica della sinistra di Zimmerwald [13], fosse «una follia», «un sogno», «un'avventura», «del bakunismo», come hanno affermato David, Plekhanov, Axel’rod, Kautsky, ecc., essa non potrebbe mai provocare «la lotta in seno alle nazioni» e, più ancora, portarla al punto di ebollizione. In nessuna parte del mondo le frasi anarchiche hanno provocato la lotta in seno alle nazioni. I fatti dimostrano invece che precisamente nel 1915, a causa della crisi provocata dalla guerra, fra le masse aumenta l'effervescenza rivoluzionaria; gli scioperi e le manifestazioni politiche si moltiplicano in Russia; gli scioperi in Italia e in Inghilterra; le marce della fame e le manifestazioni politiche in Germania. Non è questo l'inizio di azioni rivoluzionarie di massa?

  Rafforzamento, sviluppo, allargamento, intensificazione dell'azione rivoluzionaria di massa, creazione di organizzazioni illegali, senza le quali, persino nei paesi «liberi», è assolutamente impossibile dire alle masse popolari la verità: ecco tutto il programma pratico della socialdemocrazia in questa guerra. Tutto il resto non è che menzogna o fraseologia, qualunque siano le teorie opportuniste o pacifiste di cui esso si riveste. [14]

  Quando ci si dice che questa «tattica russa» (l'espressione è di David) non conviene all'Europa, noi rispondiamo generalmente indicando i fatti. Il 30 novembre una deputazione di nostre compagne, donne berlinesi, si è presentata a Berlino alla direzione del partito e ha dichiarato «che attualmente, data l'esistenza di un vasto apparato organizzativo, è molto più facile che al tempo delle leggi contro i socialisti diffondere opuscoli e manifestini illegali e tenere " riunioni non permesse "». «Non sono le vie e i mezzi che mancano, ma è, evidentemente, la volontà che manca.» (Berner Tagwacht, n. 271, 1915.)

  Queste cattive compagne sarebbero forse state messe fuori di strada dai «settari» russi, ecc.? Le vere masse non sarebbero forse rappresentate da queste compagne, ma da Legien e Kautsky? Da Legien che, nel suo rapporto del 27 gennaio 1915, tuonava contro l'idea «anarchica» di creare organizzazioni illegali: da Kautsky diventato controrivoluzionario al punto da qualificare come «avventura» le manifestazioni di strada, il 26 novembre, quattro giorni prima della manifestazione che, a Berlino, doveva riunire diecimila persone!!

  Basta con le frasi, basta col «marxismo» prostituito à la Kautsky! Dopo venticinque anni di esistenza della II Internazionale, dopo il Manifesto di Basilea, gli operai non crederanno più alle frasi. L'opportunismo è stramaturo; esso è passato definitivamente nel campo della borghesia, trasformandosi in socialsciovinismo: moralmente e politicamente ha rotto con la socialdemocrazia. Esso romperà con quest'ultima anche nel campo organizzativo. Gli operai reclamano fin da oggi opuscoli «illegali», riunioni «non permesse», cioè una organizzazione segreta per appoggiare il movimento rivoluzionario delle masse. Solo una simile «guerra alla guerra» è opera da socialdemocratico e non una frase. E nonostante tutte le difficoltà, sconfitte passeggere, errori, abbagli, soluzioni di continuità, questa opera condurrà l'umanità alla rivoluzione proletaria vittoriosa.


Note


[1] Pubblicato in tedesco nella rivista Vorbote, n. 1, gennaio 1916. Testo italiano da Lenin, cit. pp. 557-568.
[2] (Nota di Lenin) Non si tratta delle persone dei fautori di Kautsky in Germania, ma del tipo internazionale di pseudomarxista che oscilla tra l'opportunismo e il radicalismo e che in realtà serve semplicemente da foglia di fico all'opportunismo.
[3] Karl Kautsky, La via al potere, Laterza, 1969.
[4] Membri della «Società dei fabiani», organizzazione d'intellettuali riformisti inglesi fondata nel 1884. Prendeva il nome dal generale romano Fabio, il «Temporeggiatore».
[5] Independent Labour Party.
[6] British Socialist Party.
[7] Comitato di organizzazione: il centro direttivo dei menscevichi, fondato nel 1912.
[8] Il destino conduce i volenti, trascina i nolenti.
[9] Nella critica al programma socialdemocratico di Erfurt del 1891. Vedi pag. 14 e nota 4.
[10] La lotta di classe contro la guerra. Documenti relativi all'affare Liebknecht.
[11] La socialdemocrazia e la guerra mondiale.
[12] La socialdemocrazia al bivio.
[13] La sinistra di Zimmerwald fu costituita da Lenin alla prima conferenza socialista internazionale, che si svolse a Zimmerwald (Svizzera) all'inizio di settembre del 1915.
[14] (Nota di Lenin) Nel Congresso internazionale delle donne tenutosi a Berna nel marzo 1915, le rappresentanti del Comitato centrale del nostro partito sottolinearono che era assolutamente necessario creare delle organizzazioni illegali. Ciò fu respinto. Le inglesi risero di questa proposta e decantarono la «libertà» inglese. Ma qualche mese più tardi ricevemmo dei giornali inglesi, il Labour Leader per esempio, con spazi in bianco; in seguito ricevemmo notizie di perquisizioni poliziesche, di confische di opuscoli, di arresti e di sentenze draconiane pronunciate contro dei compagni che in Inghilterra parlavano di pace, unicamente di pace!