Vladimir I. Lenin

Il marxismo e l'insurrezione

Lettera al Comitato centrale del POSDR. Scritta il 13-14 (26-27) settembre 1917;
pubblicata per la prima volta nella
Proletarskaia Revolutsia, n. 2, 19211 [1]


  La menzogna opportunistica secondo la quale la preparazione dell'insurrezione e, in generale, il considerare l'insurrezione come un'arte è «blanquismo», è una delle peggiori e forse la più diffusa delle deformazioni del marxismo nei partiti «socialisti» dominanti.

  Il capo dell'opportunismo, Bernstein, ha già acquistato una triste celebrità elevando contro il marxismo l'accusa di blanquismo, e gli opportunisti attuali che gridano al blanquismo, non rinnovano e non arricchiscono affatto, a dire il vero, le magre «idee» di Bernstein.

  Accusare i marxisti di blanquismo perché considerano l'insurrezione come un'arte! Si può forse snaturare la verità in modo più disgustoso, quando nessun marxista può negare che Marx stesso si è pronunciato nel modo più netto, più preciso e più categorico sulla questione, definendo giustamente l'insurrezione un'arte, dicendo che bisogna considerarla come un'arte, che bisogna riportare un primo successo e proseguire di successo in successo, senza interrompere neppure per un istante l'offensiva contro il nemico, approfittando del suo disorientamento, ecc.?

  Per riuscire, l'insurrezione deve appoggiarsi non su di un complotto, non su di un partito, ma sulla classe progressiva. Questo in primo luogo. L'insurrezione deve appoggiarsi sullo slancio rivoluzionario del popolo. Questo in secondo luogo. L'insurrezione deve sfruttare quel punto critico nella storia della rivoluzione ascendente, che è il momento in cui l'attività delle file più avanzate del popolo è massima e più forti sono le esitazioni nelle file dei nemici e nelle file degli amici deboli, equivoci e indecisi della rivoluzione. Questo in terzo luogo. Ecco le tre condizioni che, nell'impostazione del problema dell'insurrezione, distinguono il marxismo dal blanquismo.

  Ma allorquando queste condizioni esistono, rifiutarsi di considerare l'insurrezione come un'arte significa tradire il marxismo e tradire la rivoluzione.

  Per provare che il momento in cui viviamo è precisamente quello in cui il partito ha l'obbligo di riconoscere che l'insurrezione è posta all'ordine del giorno dallo svolgimento degli avvenimenti obiettivi e dev'essere considerata come un'arte, per provare questo sarà meglio ricorrere al metodo comparativo e contrapporre le giornate del 3-4 luglio alle giornate di settembre.

  Il 3-4 luglio si poteva, senza peccare contro la verità, porre la questione in questi termini: sarebbe preferibile impadronirsi del potere perché, diversamente, i nostri nemici ci accuseranno egualmente di sedizione e ci puniranno come degli insorti. Ma questa considerazione non permetteva di concludere allora per la presa del potere, perché mancavano le condizioni obiettive per la vittoria dell'insurrezione.

  1. La classe che è l'avanguardia della rivoluzione non era ancora con noi.

  Non avevamo ancora la maggioranza tra gli operai e i soldati delle due capitali. Oggi l'abbiamo in entrambi i Soviet. Questa maggioranza è esclusivamente il portato degli avvenimenti di luglio e di agosto, dell'esperienza della «repressione» contro i bolscevichi e del sollevamento di Kornilov.

  2. Mancava allora lo slancio rivoluzionario di tutto il popolo. Oggi, dopo l'avventura di Kornilov, esso esiste. Quel che avviene in provincia e la presa del potere da parte dei Soviet in molte località, lo dimostrano.

  3. Non v'erano esitazioni importanti su scala politica generale fra i nostri nemici e fra la piccola borghesia irresoluta. Oggi, queste esitazioni sono gigantesche: il nostro principale nemico, l'imperialismo alleato e mondiale (perché gli «alleati» sono alla testa dell'imperialismo mondiale) esita in questo momento tra la guerra fino alla vittoria finale e la pace separata contro la Russia. I nostri democratici piccolo-borghesi, che hanno indubbiamente perduto la maggioranza tra il popolo, hanno cominciato a esitare fortemente, rinunciando al blocco, cioè alla coalizione con i cadetti.

  4. Perciò il 3-4 luglio l'insurrezione sarebbe stata un errore: non avremmo potuto conservare il potere né fisicamente né politicamente. Non ne avremmo avuto la forza fisica, perché, quando pure Pietrogrado fosse stata in diversi momenti nelle nostre mani, i nostri operai e i nostri soldati non avrebbero voluto battersi, morire per conservare Pietrogrado; essi non erano ancora «inferociti» come oggi, non ribollivano di un odio così furibondo contro i Kerenski, e contro gli Tsereteli e i Cernov; e i nostri militanti non erano ancora temprati dall'esperienza della persecuzione contro i bolscevichi, condotta col concorso dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi.

  Politicamente, il 3-4 luglio non avremmo conservato il potere perché prima dell' avventura di Kornilov l'esercito e la provincia avrebbero potuto marciare e avrebbero marciato contro Pietrogrado.

  Oggi il quadro è completamente diverso.

  Con noi è la maggioranza della nostra classe, l'avanguardia della rivoluzione, l'avanguardia del popolo, capace di trascinare le masse.

  Con noi è la maggioranza del popolo, perché le dimissioni di Cernov sono il sintomo più visibile, più evidente (ma non il solo) che dal blocco dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari (e dagli stessi socialisti-rivoluzionari) i contadini non avranno la terra. E proprio in questo consiste il carattere generale, popolare, della rivoluzione.

  Per noi è il vantaggio della situazione del nostro partito che, tra le inaudite indecisioni di tutto l'imperialismo e di tutto il blocco menscevico-socialista-rivoluzionario, conosce perfettamente la sua strada.

  Per noi è la vittoria sicura, perché il popolo è quasi ridotto alla disperazione, e noi additiamo a tutto il popolo la soluzione giusta, dopo avergli mostrato, «nei giorni dell'avventura di Kornilov», il valore della nostra direzione, dopo aver proposto un compromesso agli uomini del blocco e averne ricevuto, fra le loro incessanti esitazioni, un rifiuto.

  Sarebbe il più grave degli errori credere che la nostra proposta di compromesso non sia ancora respinta, che la «Conferenza democratica» possa ancora accettarla. Il compromesso è stato proposto da un partito ad altri partiti; non poteva essere proposto altrimenti. Quei partiti l'hanno respinto. La Conferenza democratica è solo una conferenza e nulla più. Non bisogna dimenticare che la maggioranza del popolo rivoluzionario, i contadini poveri ed esasperati, non vi sono rappresentati. È una conferenza della minoranza del popolo; ecco la verità evidente che non si deve dimenticare. Considerare la Conferenza democratica come un parlamento sarebbe l'errore più grave, sarebbe, da parte nostra, cretinismo parlamentare della peggior specie, perché anche se la conferenza si proclamasse parlamento, e parlamento sovrano della rivoluzione, non potrebbe egualmente decidere nulla: la decisione suprema sta fuori della conferenza, nei quartieri operai di Pietrogrado e di Mosca.

  Stanno dinanzi a noi tutte le premesse obiettive per un'insurrezione coronata dal successo. Noi abbiamo il vantaggio straordinario di una situazione nella quale solamente la nostra vittoria nell'insurrezione porrà fine alle esitazioni che hanno esasperato il popolo e che sono il peggior supplizio; nella quale solamente la nostra vittoria nell'insurrezione scombussolerà il giuoco di una pace separata contro la rivoluzione, e lo farà con la pubblica proposta di una pace più completa, più giusta, più rapida: una pace in favore della rivoluzione.

  Infine, solo il nostro partito, vincendo nell'insurrezione, potrà salvare Pietrogrado, perché se la nostra offerta di pace sarà respinta e se non otterremo neppure un armistizio, noi diventeremo «difensisti», ci porremo alla testa dei partiti militari, diventeremo il partito più «militare», faremo la guerra in modo veramente rivoluzionario. Noi toglieremo ai capitalisti tutto il pane e tutte le scarpe. Non lasceremo loro che delle croste di pane, non daremo loro che delle calzature di scorza d'albero. Il pane e le scarpe li invieremo al fronte.

  E noi conserveremo allora Pietrogrado.

  La Russia ha ancora immense risorse materiali e morali per una guerra veramente rivoluzionaria. Vi sono perciò novantanove probabilità su cento che i tedeschi ci accordino almeno l'armistizio; e ottenere l'armistizio ora significa già vincere il mondo intero.

  Coscienti della necessità assoluta che gli operai di Pietrogrado e di Mosca insorgano per la salvezza della rivoluzione e per la salvezza della Russia da una spartizione «separata» da parte degli imperialisti delle due coalizioni, dobbiamo dapprima, alla conferenza, adattare la nostra tattica politica alle condizioni dell'insurrezione in sviluppo, e in secondo luogo provare che noi non accettiamo solo a parole la concezione di Marx sulla necessità di considerare l'insurrezione come un'arte.

  Alla conferenza dobbiamo immediatamente rinsaldare il gruppo bolscevico, senza preoccuparci del numero, senza temere di lasciare gli esitanti nel campo degli esitanti: saranno più utili alla causa della rivoluzione in quel campo che non nel campo dei combattenti risoluti e devoti.

  Dobbiamo redigere una breve dichiarazione dei bolscevichi, ponendo rudemente in rilievo l'inopportunità dei lunghi discorsi e dei «discorsi» in generale, la necessità di un'azione immediata per la salvezza della rivoluzione, la necessità assoluta di una rottura completa con la borghesia, della destituzione di tutto il governo attuale, di una rottura completa con gli imperialisti franco-inglesi che preparano la spartizione «separata» della Russia, e la necessità dell'immediato passaggio di tutto il potere nelle mani della democrazia guidata dal proletariato rivoluzionario.

  La nostra dichiarazione deve formulare questa conclusione nel modo più breve e più netto, legandola al nostro progetto di programma: pace ai popoli, terra ai contadini, confisca dei profitti scandalosi dei capitalisti, repressione dello scandaloso sabotaggio della produzione perpetrato dai capitalisti.

  Più la dichiarazione sarà breve e tagliente, meglio sarà. Si dovranno soltanto indicare chiaramente altri due punti di grandissima importanza: il popolo è stanco delle esitazioni, il popolo è tormentato dalle indecisioni dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi; noi rompiamo definitivamente con quei partiti, perché essi hanno tradito la rivoluzione.

  Secondo punto: proponendo immediatamente una pace senza annessioni, rompendo senza indugio con gli imperialisti alleati e con tutti gli imperialisti in generale, o noi otterremo immediatamente un armistizio, o tutto il proletariato rivoluzionario sarà per la difesa, e, sotto la sua direzione, la democrazia rivoluzionaria farà, da quel momento, una guerra veramente giusta, veramente rivoluzionaria.

  Dopo aver letto la nostra dichiarazione, dopo aver invitato a decidere e non a parlare, ad agire e non a scrivere risoluzioni, dobbiamo gettare tutto il nostro gruppo nelle officine e nelle caserme: là è il suo posto, là è il nerbo della vita, là è la sorgente della salvezza della rivoluzione, là è il motore della Conferenza democratica.

  Là, parlando con ardore, con passione, dobbiamo spiegare il nostro programma, ponendo così la questione: o accettazione completa di quel programma da parte della conferenza o insurrezione. Non c'è via di mezzo. L'attesa è impossibile. La rivoluzione perisce.

  Posta così la questione, concentrato tutto il nostro gruppo nelle officine e nelle caserme, sceglieremo il momento giusto per l'inizio dell'insurrezione.

  E per trattare l'insurrezione da marxisti, cioè come un'arte, dobbiamo, nello stesso tempo, senza perdere un minuto, organizzare uno stato maggiore delle squadre insurrezionali, ripartire le nostre forze, mettere i reggimenti fedeli nei punti più importanti, circondare il Teatro Alessandro, occupare la fortezza di Pietro e Paolo [2], arrestare stato maggiore e governo, mandare contro gli allievi ufficiali e contro la «divisione selvaggia» delle squadre pronte a sacrificarsi piuttosto che lasciar entrare il nemico nel centro della città, mobilitare gli operai armati, chiamarli a un'ultima accanita battaglia, occupare simultaneamente il telegrafo e il telefono, installare il nostro stato maggiore insurrezionale nella centrale telefonica, collegarlo col telefono a tutte le officine, a tutti i reggimenti, a tutti i punti dove si svolgerà la lotta armata, ecc.

  Tutto questo è detto naturalmente solo a titolo di indicazione generale per dimostrare che, in questo momento, non si può rimanere fedeli al marxismo e alla rivoluzione senza considerare l'insurrezione come un'arte.


Note


[1] Testo italiano da Lenin, cit. pp.949-954.
[2] Al Teatro Alessandro di Pietrogrado teneva le sue riunioni la Conferenza democratica. La fortezza di    Pietro e Paolo, sulla    Neva, di    fronte al Palazzo d'Inverno, serviva da carcere per i prigionieri politici, aveva un grande arsenale e rappresentava un importante punto strategico.