Vladimir I. Lenin

I compiti immediati del potere sovietico [1]


La situazione internazionale della Repubblica sovietica russa
e i compiti fondamentali della rivoluzione socialista


  Grazie alla pace che abbiamo ottenuto - per quanto gravosa e precaria essa sia - la Repubblica sovietica russa ha la possibilità di concentrare per un certo periodo di tempo le sue forze sul settore più importante e più difficile della rivoluzione socialista, e precisamente sul compito organizzativo.

  Questo compito è stato posto in modo chiaro e preciso di fronte a tutte le masse lavoratrici e oppresse nel quarto capoverso (quarta parte) della risoluzione approvata a Mosca il 15 marzo 1918 dal Congresso straordinario dei Soviet, nello stesso capoverso (o nella stessa parte) in cui si parla dell'autodisciplina dei lavoratori e della lotta senza quartiere contro il caos e la disorganizzazione [2].

  La pace ottenuta dalla Repubblica sovietica russa evidentemente è precaria non già perché la repubblica oggi pensi a riprendere le operazioni militari; ad eccezione dei controrivoluzionari borghesi e dei loro tirapiedi (menscevichi e simili) nessun uomo politico che non sia un irresponsabile ci pensa. La precarietà della pace è invece determinata dal fatto che negli Stati imperialisti confinanti a occidente e a oriente con la Russia - Stati che posseggono immense forze militari - il partito militare, tentato dalla momentanea debolezza della Russia e spinto dai capitalisti che odiano il socialismo e sono avidi di saccheggio, può prendere da un momento all'altro il sopravvento.

  Dato un simile stato di cose, l'unica garanzia di pace, reale e non fittizia, è la rivalità tra le potenze imperialiste, che ha raggiunto il limite estremo e si manifesta da una parte con la ripresa del macello compiuto dagli imperialisti a danno dei popoli in occidente, e dall'altra con lo straordinario inasprimento della concorrenza tra il Giappone e l'America per la supremazia nell'Oceano Pacifico e lungo le sue coste.

  Si comprende come, così scarsamente protetta, la nostra Repubblica socialista sovietica si trovi in una situazione internazionale estremamente precaria, incontestabilmente critica. Dobbiamo tendere all'estremo tutte le nostre forze al fine di approfittare della tregua concessaci dal concatenamento delle circostanze per curare le gravissime ferite inferte dalla guerra a tutto l'organismo sociale della Russia e per risollevare economicamente il paese, senza di che non si potrebbe neppure parlare di un aumento più o meno serio della sua capacità difensiva.

  E si capisce anche che potremo cooperare seriamente alla rivoluzione socialista in occidente - ritardata da una serie di circostanze - unicamente nella misura in cui sapremo risolvere il compito organizzativo che ci sta dinanzi.

  Condizione essenziale per una felice soluzione del problema organizzativo che si pone in prima linea di fronte a noi, è che i dirigenti politici del popolo, cioè i membri del Partito comunista (bolscevico) russo, e quindi tutti i rappresentanti coscienti delle masse lavoratrici, comprendano appieno la differenza radicale che esiste sotto questo rapporto tra le rivoluzioni borghesi di un tempo e l'attuale rivoluzione socialista.

  Nelle rivoluzioni borghesi il compito principale delle masse lavoratrici consisteva nell'eseguire il lavoro negativo o distruttivo di abbattere il feudalesimo, la monarchia, il medioevo. Il lavoro positivo, o creativo, di organizzare la nuova società era compiuto dalla minoranza borghese della popolazione, dai possidenti. E questa minoranza adempiva tale compito con relativa facilità, nonostante la resistenza degli operai e dei contadini poveri, non soltanto perché la resistenza delle masse sfruttate dal capitale era allora estremamente debole, data la loro dispersione e la loro arretratezza, ma anche perché nella società capitalistica, costruita anarchicamente, la principale forza organizzatrice è costituita dal mercato nazionale e internazionale, che si sviluppa spontaneamente in estensione e in profondità.

  Al contrario, in ogni rivoluzione socialista - e quindi anche nella rivoluzione socialista che noi abbiamo iniziato in Russia il 25 ottobre 1917 - il compito principale del proletariato e dei contadini poveri da esso diretti è il lavoro positivo o creativo volto a istituire un sistema estremamente complesso e delicato di nuovi rapporti organizzativi, che comprendono la produzione e la distribuzione dei prodotti necessari all'esistenza di decine di milioni di uomini. Questa rivoluzione può essere felicemente compiuta solo a condizione che la maggioranza della popolazione, e innanzi tutto la maggioranza dei lavoratori, esplichi un'attività storica indipendente. Soltanto se il proletariato e i contadini poveri sapranno trovare in sé coscienza, fede nel loro ideale, abnegazione e tenacia, la vittoria della rivoluzione socialista sarà assicurata. Creando un nuovo tipo di Stato, lo Stato sovietico, che offre alle masse lavoratrici e sfruttate la possibilità di partecipare attivamente alla libera costruzione della nuova società, noi non abbiamo adempiuto che una piccola parte di un difficile compito. La difficoltà principale è nel campo economico: compiere dappertutto l'inventario e il controllo più rigorosi della produzione e della distribuzione dei prodotti, elevare la produttività del lavoro, socializzare effettivamente la produzione.


  Lo sviluppo del partito bolscevico, che oggi è il partito che governa in Russia, dimostra con particolare evidenza in che cosa consiste la svolta storica che stiamo attraversando e che è il tratto caratteristico dell'attuale momento politico, svolta che richiede un nuovo orientamento del potere sovietico, cioè una nuova impostazione di compiti nuovi.

  Il primo compito di ogni partito dell'avvenire è quello di convincere la maggioranza del popolo che il suo programma e la sua tattica sono giusti. Questo compito si poneva in primo piano sia sotto lo zari-smo che nel periodo della politica conciliatrice dei Cernov e dei Tsereteli coi Kerenski e coi Kisckin. Attualmente questo compito, che è ben lungi dall'essere stato adempiuto completamente (e che non può mai essere esaurito fino in fondo), è tuttavia assolto nelle sue grandi linee, poiché la maggioranza degli operai e dei contadini russi è manifestamente dalla parte dei bolscevichi, come l'ultimo Congresso dei Soviet a Mosca ha dimostrato inconfutabilmente.

  Il secondo compito del nostro partito era quello di conquistare il potere politico e di schiacciare la resistenza degli sfruttatori. Anche questo compito non è affatto esaurito fino in fondo, ed è impossibile ignorarlo, poiché da un lato i monarchici e dall'altro i cadetti e i loro tirapiedi e reggicoda - menscevichi e socialisti-rivoluzionari di destra - continuano i loro tentativi di unirsi per abbattere il potere sovietico. Tuttavia il compito di schiacciare la resistenza degli sfruttatori è già stato assolto nelle sue linee fondamentali nel periodo che va dal 25 ottobre 1917 al febbraio 1918 (approssimativamente), o alla resa di Bogaievski [3].

  Si presenta ora, come compito immediato e caratteristico del momento che attraversiamo, il terzo compito: quello di organizzare l’amministrazione della Russia. Questo compito, è ovvio, si è imposto, e noi l'abbiamo affrontato all'indomani stesso del 25 ottobre 1917. Ma sino a quando la resistenza degli sfruttatori ha rivestito la forma di guerra civile aperta, il compito di amministrare non poteva diventare il problema principale, centrale.

  Oggi lo è diventato. Noi, partito bolscevico, abbiamo convinto la Russia. Abbiamo conquistato la Russia, l'abbiamo presa ai ricchi per darla ai poveri, l'abbiamo presa agli sfruttatori per darla ai lavoratori. Dobbiamo ora amministrarla. E tutta l'originalità del momento attuale, tutta la difficoltà consiste nel comprendere la particolarità del passaggio da un periodo in cui il compito fondamentale era di persuadere il popolo e di schiacciare militarmente gli sfruttatori, a un periodo in cui il compito principale è quello di amministrare.

  Per la prima volta nella storia mondiale un partito socialista ha potuto portare a termine, nelle sue grandi linee, la conquista del potere e la repressione degli sfruttatori, ha potuto affrontare in pieno il compito dell'amministrazione. Dobbiamo mostrarci degni realizzatori di questo compito, il più difficile (e il più nobile) della rivoluzione socialista. Dobbiamo ben comprendere che per amministrare bene non basta saper persuadere, non basta saper riportare la vittoria nella guerra civile; bisogna anche saper organizzare praticamente. È il compito più difficile, giacché si tratta di organizzare in modo nuovo le basi più profonde, le basi economiche della vita di decine e decine di milioni di uomini. Ed è anche il compito più nobile, poiché soltanto dopo averlo assolto (nelle sue linee principali e fondamentali) si potrà dire che la Russia è diventata una repubblica non solo sovietica, ma anche socialista.


La parola d'ordine generale del momento


  La situazione oggettiva che abbiamo descritta, creata da una pace estremamente gravosa e precaria, da una rovina economica fra le più dolorose, dalla disoccupazione e dalla carestia che la guerra e il dominio borghese (impersonato da Kerenski e dai suoi sostenitori menscevichi e socialisti-rivoluzionari di destra) ci hanno lasciato in eredità, non poteva non generare un'estrema stanchezza, e persino l'esaurimento delle grandi masse lavoratrici. Esse esigono imperiosamente - e non possono non esigerlo - un certo riposo. Si pone all'ordine del giorno la ricostruzione delle forze produttive distrutte dalla guerra e dal malgoverno della borghesia; il risanamento delle ferite causate dalla guerra, dalle sconfitte subite nella guerra, dalla speculazione e dai tentativi della borghesia di restaurare l'abbattuto potere degli sfruttatori; la ripresa economica del paese; la solida tutela dell'ordine più elementare. Ciò può sembrare un paradosso, ma, a causa delle condizioni oggettive che abbiamo indicato, in realtà è assolutamente certo che il potere sovietico può in questo momento assicurare il passaggio della Russia al socialismo soltanto se riesce, nonostante la resistenza della borghesia, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari di destra, ad assolvere praticamente appunto questi elementari, elementarissimi compiti di conservare le basi dell'ordine sociale. La soluzione pratica di questi elementarissimi compiti e il superamento delle difficoltà organizzative nel compiere i primi passi verso il socialismo, appaiono oggi - grazie alle concrete particolarità della situazione attuale e data l'esistenza del potere sovietico con le sue leggi sulla socializzazione della terra, sul controllo operaio, ecc. - come le due facce di una stessa medaglia.

  Tieni accuratamente e coscienziosamente i conti, fa economia, non lasciarti prendere dalla pigrizia, non rubare, osserva la più severa disciplina nel lavoro: appunto queste parole d'ordine, che erano a buon diritto derise dai proletari rivoluzionari quando la borghesia camuffava con tali discorsi il proprio dominio di classe sfruttatrice, oggi, dopo l'abbattimento della borghesia, diventano le principali parole d'ordine del momento. E se l'applicazione pratica di queste parole d'ordine da parte delle masse dei lavoratori è da un lato l'unica condizione per salvare il paese torturato quasi a morte dalla guerra imperialistica e dalle belve imperialistiche (con Kerenski alla testa), dall'altro lato l'applicazione pratica di queste parole d'ordine da parte del potere sovietico, coi suoi metodi e in base alle sue leggi, è necessaria e sufficiente per la vittoria definitiva del socialismo. È ciò appunto che non possono comprendere coloro che rifuggono sprezzantemente dal mettere in primo piano parole d'ordine così «trite e ritrite» e cosi «triviali». In un paese di piccoli contadini, che da un anno appena ha abbattuto lo zarismo e da meno di sei mesi si è liberato dai vari Kerenski, naturalmente è rimasto non poco anarchismo spontaneo - aggravato dalla brutalità e dalla barbarie che accompagnano ogni guerra lunga e reazionaria - e non sono rari gli stati d'animo esasperati o un'irritazione senza obiettivo. Quando a ciò s'aggiunga la politica di provocazione dei lacchè della borghesia (menscevichi, socialisti-rivoluzionari di destra e simili), si comprenderà benissimo quali sforzi perseveranti e tenaci debbono compiere gli operai e i contadini migliori e più coscienti per suscitare un cambiamento radicale nello stato d'animo delle masse ed aiutarle a passare a un lavoro regolare, continuo e disciplinato. Solo questo passaggio, effettuato dalla massa dei poveri (proletari e semiproletari), è capace di rendere definitiva la vittoria sulla borghesia, e specialmente sulla borghesia rurale, più ostinata e più numerosa.


La nuova fase della lotta contro la borghesia


   La borghesia da noi è vinta, ma non è ancora stata sradicata, annientata definitivamente e nemmeno spezzata. Si pone quindi all'ordine del giorno una forma nuova, superiore, di lotta contro la borghesia: il passaggio dal compito più semplice di continuare ad espropriare i capitalisti al compito assai più difficile e complesso di creare condizioni tali che la borghesia non possa né esistere né rinascere. È evidente che questo compito è infinitamente più elevato, e che finché non lo adempiremo non ci sarà socialismo.

  Se prendiamo come termine di paragone le rivoluzioni dell'Europa occidentale, ci troviamo oggi all'incirca al livello raggiunto nel 1793 e nel 1871. Noi siamo a buon diritto fieri di aver raggiunto questo livello e di averlo persino superato in un senso, e precisamente: abbiamo decretato e instaurato in tutta la Russia un tipo superiore di Stato, il potere sovietico. Ma non possiamo in nessun caso accontentarci di ciò che è già stato conseguito, poiché siamo solo all'inizio del passaggio al socialismo, e sotto questo rapporto l'essenziale non è ancora state realizzato.

  L'essenziale è di organizzare un inventario e controllo rigorosissimi, esercitati da tutto il popolo, sulla produzione e sulla ripartizione dei prodotti. Ciò nonostante nelle imprese, nei rami e nei campi dell'economia che abbiamo tolto ai borghesi non siamo ancora riusciti a organizzare l'inventario e il controllo, senza i quali non si può neppur parlare della seconda condizione materiale, non meno importante, per assicurare l'instaurazione del socialismo: l'aumento della produttività del lavoro su scala nazionale.

  Non si potrebbe quindi definire il compito del momento con la semplice formula: proseguire l'offensiva contro il capitale. Benché, certamente, non abbiamo ancora inferto al capitale il colpo di grazia, e sia indubbiamente necessario proseguire l'offensiva contro questo nemico dei lavoratori, una simile definizione sarebbe inesatta, non concreta; essa non terrebbe infatti conto del carattere particolare del momento attuale, in cui, per assicurare il successo dell'offensiva futura, bisogna «sospendere» oggi l'offensiva.

  Ciò si può spiegare paragonando la nostra situazione nella guerra contro il capitale con quella di un esercito vittorioso che, poniamo, abbia preso la metà o i due terzi del territorio nemico e si veda costretto a sospendere l'offensiva per raccogliere le forze, per accrescere le sue riserve di materiali bellici, riparare e fortificare le linee di comunicazione, costruire nuovi depositi, far arrivare nuove riserve, ecc. In tali condizioni la sospensione temporanea dell'offensiva da parte dell'esercito vittorioso è cosa necessaria appunto per poter strappare al nemico il rimanente territorio, cioè per la vittoria completa. Chi non ha compreso che questo è precisamente il carattere della «sospensione» dell'offensiva contro il capitale impostaci in questo momento dalla situazione oggettiva, non ha compreso nulla del momento politico che stiamo attraversando.

  Certo, si può parlare di una «sospensione» dell'offensiva contro il capitale solo mettendo la parola tra virgolette, impiegandola cioè unicamente in senso traslato. In una guerra comune si può dare l'ordine di sospendere l'offensiva su tutta la linea, si può effettivamente arrestare l'avanzata. Nella guerra contro il capitale non si può arrestare l'avanzata e non si può nemmeno pensare di rinunciare all'ulteriore espropriazione del capitale. Si tratta di spostare il centro di gravità del nostro lavoro economico e politico. Finora si ponevano in primo piano le misure per l'immediata espropriazione degli espropriatori. Oggi passa in primo piano l'organizzazione dell'inventario e del controllo delle aziende in cui i capitalisti sono già stati espropriati, così come in tutti gli altri rami dell'economia.

  Se volessimo ora continuare ad espropriare il capitale con lo stesso ritmo, subiremmo certamente una sconfitta, giacché è chiaro, evidente per ogni essere pensante, che il nostro lavoro di organizzazione dell'inventario e del controllo proletario è in ritardo in confronto a quello dell’immediata «espropriazione degli espropriatori». Se ci accingiamo con tutte le nostre forze ad organizzare l'inventario e il controllo, potremo risolvere questo problema, guadagnare il tempo perduto e vincere tutta la nostra «campagna» contro il capitale.

  Ma confessare che dobbiamo guadagnare il tempo perduto non equivale a confessare che abbiamo commesso qualche errore? Niente affatto. Portiamo ancora un esempio preso dal campo militare. Quando si può vincere e respingere il nemico con i soli reparti di cavalleria leggera, bisogna farlo. E quando si può farlo con successo solo fino a un certo punto, è perfettamente comprensibile che, superato questo punto, sorga la necessità di far entrare in campo l'artiglieria pesante. Ammettendo ora che è necessario, per guadagnare il tempo perduto, far entrare in campo l'artiglieria pesante, non riconosciamo affatto che l'attacco vittorioso della cavalleria sia stato un errore.

  I lacchè della borghesia ci hanno spesso rimproverato di aver condotto l'attacco contro il capitale «mediante le Guardie rosse». Rimprovero assurdo, degno precisamente dei lacchè del sacco di scudi. Poiché l'attacco contro il capitale «mediante le Guardie rosse» fu a suo tempo imposto in modo categorico dalle circostanze; in primo luogo, il capitale oppose allora una resistenza militare attraverso Kerenski e Krasnov, Savinkov e Gots (Ghegheckori resiste anche ora nello stesso modo), Dutov e Bogaievski. La resistenza militare non può essere infranta che con mezzi militari, e le Guardie rosse hanno compiuto l'opera storica più nobile e più grande liberando i lavoratori e gli sfruttati dal giogo degli sfruttatori.

  In secondo luogo, non avremmo potuto allora mettere in primo piano i metodi amministrativi invece dei metodi repressivi, perché l'arte di amministrare non è innata nell'uomo, ma si acquista con l'esperienza. Quest'esperienza non l'avevamo. Oggi l'abbiamo. In terzo luogo, non avevamo allora a nostra disposizione specialisti nei vari rami della scienza e della tecnica, perché costoro o combattevano nelle file dei Bogaievski o avevano ancora la possibilità di opporre, col sabotaggio, una resistenza passiva sistematica e ostinata. Ma oggi abbiamo spezzato il sabotaggio. L'attacco contro il capitale «mediante le Guardie rosse» è riuscito, ha riportato la vittoria, poiché abbiamo vinto la resistenza del capitale, sia quella militare che quella opposta mediante il sabotaggio.

  Vuol forse dire che l'attacco contro il capitale «mediante le Guardie rosse» sia sempre opportuno in ogni circostanza e che non abbiamo altro mezzo per combattere il capitale? Sarebbe puerile pensarlo. Abbiamo vinto con la cavalleria leggera, ma possediamo anche l'artiglieria pesante. Abbiamo vinto coi metodi repressivi, sapremo vincere anche coi metodi amministrativi. Si deve saper mutare col mutare delle circostanze i metodi di lotta contro il nemico. Non rinunceremo nemmeno per un istante a reprimere «mediante le Guardie rosse» i signori Savinkov e Ghegheckori, come tutti gli altri controrivoluzionari, difensori dei grandi proprietari fondiari e dei borghesi. Ma non saremo tanto sciocchi da porre in primo piano i metodi delle «Guardie rosse» nel momento in cui si chiude (e si chiude vittoriosamente) l'epoca in cui era necessario che le Guardie rosse sferrassero attacchi, e s'apre l'epoca nella quale il potere statale proletario dovrà utilizzare gli specialisti borghesi per lavorare il terreno in modo tale che su questo non possa assolutamente più spuntare nessuna borghesia.

  Questa è un'epoca particolare, o meglio, un periodo di sviluppo particolare; e per vincere definitivamente il capitale bisogna saper adattare le forme della nostra lotta alle condizioni particolari di questo periodo.

  Senza la guida di specialisti nei diversi campi della scienza, della tecnica e della ricerca non sarà possibile passare al socialismo, giacché il socialismo esige un movimento progressivo, cosciente, delle masse verso una produttività del lavoro superiore a quella del capitalismo, e fondata sui risultati da questo raggiunti. Il socialismo deve, a suo modo, con i suoi metodi - diciamo più concretamente coi metodi sovietici - effettuare questo movimento in avanti. E gli specialisti sono necessariamente, nella loro massa, dei borghesi, a causa di tutte le condizioni della vita sociale che ha fatto di loro degli specialisti. Se il nostro proletariato, una volta impadronitosi del potere, avesse risolto rapidamente il problema dell'inventario, del controllo e dell'organizzazione su scala nazionale - ciò che non era possibile fare in conseguenza della guerra e dell'arretratezza della Russia - dopo aver spezzato il sabotaggio avremmo potuto, mediante un inventario e un controllo generali, sottometterci completamente gli specialisti borghesi. A causa del considerevole «ritardo» dell'inventario e del controllo in generale, siamo riusciti, sì a vincere il sabotaggio, ma non ancora a creare le condizioni che metterebbero a nostra disposizione gli specialisti borghesi; la massa dei sabotatori «si reca al lavoro», ma i migliori organizzatori e i più grandi specialisti possono essere utilizzati dallo Stato o all'antica maniera, la maniera borghese (cioè con elevate remunerazioni), o alla maniera nuova, la maniera proletaria (cioè creando attraverso l'inventario e il controllo esercitati dal basso, da tutto il popolo, condizioni tali da subordinare e attirare gli specialisti).

  Ora abbiamo dovuto ricorrere all'antico metodo borghese, e acconsentire a pagare a caro prezzo i «servizi» dei maggiori specialisti borghesi. Tutti coloro che conoscono la questione lo vedono, ma non tutti riflettono sul significato di un simile provvedimento da parte di uno Stato proletario. È evidente che questo provvedimento è un compromesso, una deviazione dai principi della Comune di Parigi e di ogni potere proletario, i quali esigono il pareggiamento degli stipendi al salario di un operaio medio, e richiedono che si lotti di fatto, e non a parole, contro il carrierismo.

  Peggio ancora. È evidente che questo provvedimento non è soltanto una sospensione - in un certo campo e in una certa misura - dell'offensiva contro il capitale (giacché il capitale non è costituito da una somma di denaro, ma da determinati rapporti sociali); è anche un passo indietro fatto dal nostro potere statale socialista, sovietico, che sin da principio aveva proclamato ed attuato una politica tendente a ridurre gli stipendi elevati al livello del salario di un operaio medio.

  Naturalmente la nostra confessione di aver fatto un passo indietro farà sogghignare i lacchè della borghesia, soprattutto quelli di piccolo calibro, come i menscevichi, gli uomini della Novaia Gizn, i socialisti-rivoluzionari di destra. Ma noi dobbiamo infischiarcene. Dobbiamo studiare le particolarità della via nuova e difficilissima che porta al socialismo senza celare i nostri errori e le nostre debolezze, ma facendo di tutto per portare tempestivamente a termine ciò che non è ancora terminato. Nascondere alle masse il fatto che assumere gli specialisti borghesi offrendo loro retribuzioni straordinariamente elevate costituisce una deviazione dai principi della Comune, significherebbe cadere al livello dei politicanti borghesi e ingannare le masse. Spiegare francamente come e perché abbiamo dovuto fare un passo indietro; esaminare quindi pubblicamente quali sono i mezzi che ci potrebbero fare guadagnare il tempo perduto, significa educare le masse e al tempo stesso imparare con loro dall'esperienza a edificare il socialismo. È poco probabile che si possa trovare nella storia una sola campagna militare vittoriosa in cui il vincitore non abbia commesso errori, non abbia subito parziali rovesci, non abbia dovuto indietreggiare temporaneamente in questo o quel punto, cedere qua e là. E la «campagna» intrapresa da noi contro il capitalismo è un milione di volte più difficile che non la più difficile campagna militare; e sarebbe sciocco e vergognoso cadere in preda allo scoraggiamento per una ritirata isolata e parziale.

  Esaminiamo la questione dal lato pratico. Ammettiamo che la Repubblica sovietica russa abbia bisogno di mille scienziati e specialisti di prim'ordine nei diversi campi della scienza, della tecnica, dell'esperienza pratica per dirigere il lavoro del popolo, per assicurare nel più breve tempo possibile la ripresa economica del paese. Ammettiamo che si debbano pagare venticinquemila rubli all'anno a ciascuna di queste «stelle di prima grandezza», la maggioranza delle quali, naturalmente, quanto più grida alla corruzione dei lavoratori tanto più è corrotta dai costumi borghesi. Ammettiamo che questa cifra (venticinque milioni di rubli) debba essere raddoppiata (presupponendo l'assegnazione di premi per l'esecuzione particolarmente felice e rapida dei più importanti compiti organizzativi e tecnici) o anche quadruplicata (supponendo che si chiamino alcune centinaia di specialisti stranieri particolarmente esigenti). Ci si domanda: la spesa di cinquanta o cento milioni di rubli all'anno allo scopo di organizzare il lavoro nazionale secondo l'ultima parola della scienza e della tecnica dev'essere considerata eccessiva per la Repubblica dei Soviet o superiore alle sue forze? Certamente no. La stragrande maggioranza degli operai e dei contadini coscienti approveranno questa spesa; istruiti dalla vita pratica, essi sanno che la nostra arretratezza ci fa perdere dei miliardi, e che l'organizzazione, l'inventario e il controllo non hanno ancora raggiunto da noi un grado tale da poter suscitare la partecipazione generale e volontaria al nostro lavoro delle «stelle» della intellettualità borghese.

  Evidentemente la questione va esaminata anche da un altro lato. Non si può infatti negare l'influenza corruttrice degli alti stipendi sia sul potere sovietico (tanto più che, data la rapidità con cui si è compiuta la rivoluzione, in questo potere si è naturalmente infiltrato un certo numero di avventurieri e di imbroglioni, i quali, insieme con un certo numero di commissari incapaci o senza scrupoli, non sono alieni dal prendere posto tra le «stelle»... nell'arte di depredare l'erario) che sulla massa operaia. Ma fra gli operai e i contadini poveri, tutti gli elementi seri e onesti saranno d'accordo con noi e riconosceranno che non siamo in grado di sbarazzarci di colpo della triste eredità lasciataci dal capitalismo, che non possiamo liberare la Repubblica sovietica dal «tributo» di cinquanta o cento milioni di rubli (tributo impostoci dal nostro ritardo nell'organizzazione dell'inventario e del controllo esercitato da tutto il popolo dal basso) se non organizzandoci, rafforzando la disciplina nelle nostre file, epurandoci da tutti coloro che «conservano l'eredità del capitalismo», «osservano le tradizioni del capitalismo», cioè i fannulloni, i parassiti, i malversatori (attualmente tutta la terra, tutte le fabbriche, tutte le ferrovie sono «erario» della Repubblica sovietica). Se gli elementi avanzati e coscienti fra gli operai e i contadini poveri riuscissero nel giro di un anno, con l'aiuto delle istituzioni sovietiche, ad organizzarsi, a disciplinarsi, a riprendersi, a creare una forte disciplina nel lavoro, allora fra un anno ci sbarazzeremo di questo «tributo», che noi, anzi, potremo ridurre anche prima... esattamente nella misura in cui la disciplina del lavoro e la nostra organizzazione operaia e contadina otterranno dei buoni risultati. Quanto più rapidamente noi, operai e contadini, avremo imparato una migliore disciplina e una tecnica superiore nel lavoro, utilizzando gli specialisti borghesi a questo scopo, tanto più rapidamente ci libereremo da qualsiasi «tributo» a questi specialisti.

  Il nostro lavoro per organizzare sotto la direzione del proletariato l'inventario e il controllo popolare sulla produzione e la ripartizione dei prodotti è in forte ritardo in confronto al lavoro per l'espropriazione diretta degli espropriatori. Questo postulato è fondamentale per poter comprendere la particolarità del momento attuale e i compiti che ne derivano per il potere sovietico.

  Nella lotta contro la borghesia il centro di gravità si sposta verso l'organizzazione di questo inventario e di questo controllo. Solo prendendo le mosse da questo punto si possono giustamente definire i compiti immediati della politica economica e finanziaria circa la nazionalizzazione delle banche, il monopolio del commercio estero, il controllo statale sulla circolazione del denaro, l'introduzione di una imposta sul patrimonio e sul reddito equa dal punto di vista proletario, l'introduzione del servizio obbligatorio del lavoro.

  Nelle trasformazioni socialiste in questi campi noi siamo estremamente in ritardo (e si tratta di campi molto molto importanti), e siamo in ritardo appunto perché l'inventario e il controllo in generale non sono sufficientemente organizzati. È ovvio che questo compito è uno dei più ardui e che, dato lo sfacelo causato dalla guerra, può essere adempiuto soltanto a lungo andare; ma non si deve dimenticare che appunto qui la borghesia - e particolarmente la piccola borghesia e la borghesia contadina che è molto numerosa - ci dichiara battaglia, una battaglia molto seria, sabotando il controllo che stiamo organizzando, sabotando, per esempio, il monopolio dei cereali e cercando di conquistare posizioni per gli speculatori e i loro traffici. Noi siamo ancora lontani dall'aver sufficientemente applicato ciò che abbiamo fissato nei nostri decreti; e il compito principale del momento consiste appunto nel concentrare tutti i nostri sforzi sull'attuazione pratica, effettiva dei principi delle trasformazioni che sono già diventate leggi (ma non ancora una realtà).

  Per portare avanti la nazionalizzazione delle banche e marciare risolutamente verso la trasformazione delle banche in centri di contabilità pubblica sotto il regime socialista, occorre innanzi tutto e soprattutto conseguire successi reali, aumentando il numero delle succursali della Banca popolare, aumentando i depositi, rendendo più facili per il pubblico le operazioni di versamento e di prelevamento del denaro, eliminando le «code», cogliendo in flagrante e fucilando i concussionari, i truffatori, ecc. Prima garantire l'effettiva attuazione delle cose più semplici, organizzare bene ciò che già esiste, e poi mettere mano alle cose più complesse.

  Consolidare e disciplinare i monopoli statali già istituiti (sui cereali, sul cuoio, ecc.), e preparare così il monopolio statale del commercio estero: senza tale monopolio non potremo «sottrarci» al dominio del capitale straniero pagandogli un «tributo». E la possibilità stessa dell'edificazione socialista dipende da questo: riusciremo noi, durante un certo periodo di transizione, pagando un tributo al capitale straniero, a difendere la nostra indipendenza economica interna?

  Siamo rimasti molto indietro nella riscossione delle imposte in generale e delle imposte sul patrimonio e sul reddito in particolare. I tributi imposti alla borghesia - provvedimento assolutamente accettabile in linea di principio e che merita l'approvazione del proletariato - mostrano che a questo riguardo noi siamo ancora più vicini ai metodi di conquista (strappare la Russia ai ricchi per darla ai poveri) che non ai metodi di amministrazione. Ma per diventare più forti e reggerci più solidamente sulle gambe dobbiamo passare a questi ultimi metodi, dobbiamo sostituire ai tributi imposti alla borghesia un'imposta sul patrimonio e sui redditi, riscossa regolarmente e in giusta misura, che renderà di più allo Stato proletario e che esige da noi appunto un grado di organizzazione più elevato e una migliore impostazione dell'inventario e del controllo.

  Il ritardo nell'introdurre il servizio del lavoro obbligatorio mostra ancora una volta che all'ordine del giorno si pone precisamente il lavoro di organizzazione e di preparazione, che da un lato dovrà consolidare definitivamente le conquiste fatte e dall'altro è necessario per predisporre l'operazione che «accerchierà» il capitale e lo costringerà ad «arrendersi». Noi dovremmo cominciare immediatamente a introdurre il servizio del lavoro obbligatorio, ma bisogna farlo più gradualmente e con maggior cautela, controllando ogni passo alla luce dell'esperienza pratica, e cominciando, beninteso, coll'introdurre il servizio del lavoro obbligatorio per i ricchi. L'introduzione di un libretto di lavoro e di consumo per ogni borghese, compresa la borghesia rurale, sarebbe un serio passo verso il completo «accerchiamento» del nemico e verso la creazione di un inventario e di un controllo veramente popolari sulla produzione e sulla ripartizione dei prodotti.


L'importanza della lotta per l'inventario e il controllo popolare


   Lo Stato, che per secoli è stato un organo di oppressione e di spoliazione del popolo, ci ha lasciato in eredità l'odio più feroce e la più grande sfiducia delle masse verso tutto ciò che è statale. È assai difficile superare questo stato d'animo, e solo il potere sovietico può farlo, ma per farlo ha bisogno di molto tempo e di un'estrema tenacia. Questa «eredità» si manifesta in modo particolarmente acuto nella questione dell'inventario e del controllo, questione capitale per la rivoluzione socialista all'indomani dell'abbattimento della borghesia. È inevitabile debba passare un certo periodo di tempo prima che le masse, le quali dopo il rovesciamento dei grandi proprietari fondiari e della borghesia si sentono per la prima volta libere, comprendano - non dai libri, ma dalla loro propria esperienza sovietica - e sentano che senza un inventario e un controllo multiformi, esercitati dallo Stato sulla produzione e sulla ripartizione dei prodotti, il potere dei lavoratori, la libertà dei lavoratori, non si potranno mantenere, e sarà inevitabile un ritorno sotto il giogo del capitalismo.

  Tutte le abitudini, tutte le tradizioni della borghesia, e specialmente della piccola borghesia, si oppongono esse pure al controllo esercitato dallo Stato, affermano l'inviolabilità della «sacra proprietà privata», della «sacra» iniziativa privata. Oggi ci appare con particolare evidenza fino al qual punto sia giusta la tesi marxista secondo la quale l'anarchismo e l’anarco-sindacalismo sono in realtà correnti borghesi, e quanto esse siano in contraddizione irriducibile con il socialismo, con la dittatura del proletariato, con il comunismo. La battaglia per inculcare nelle masse l'idea dell'inventario e del controllo di Stato, sovietici, la battaglia per l'applicazione di quest'idea, per una rottura col maledetto passato, che aveva abituato a considerare la lotta per il pane e il vestiario come un affare «privato» e la compra-vendita come un mercato che «riguarda me solo», è veramente la battaglia più grande, d'importanza storica, che la coscienza socialista abbia impegnato contro la spontaneità anarchica e borghese.

  Il controllo operaio è stato introdotto da noi per legge; ma comincia appena appena a penetrare nella vita e persino nella coscienza delle grandi masse del proletariato. Nella nostra agitazione noi non sottolineiamo abbastanza - e gli operai e i contadini d'avanguardia non ci pensano e non ne parlano abbastanza - che l'assenza del controllo sulla produzione e la ripartizione dei prodotti uccide gli embrioni di socialismo; ch'essa equivale a una dilapidazione dell'erario, poiché tutti i beni appartengono all'erario, e l'erario è appunto il potere sovietico, il potere della maggioranza dei lavoratori; che la trascuratezza nell'inventario e nel controllo è un aiuto diretto ai Kornilov tedeschi e russi, i quali potranno rovesciare il potere dei lavoratori soltanto se non riusciremo ad assolvere il compito di istituire l'inventario e il controllo, e intanto «stanno in agguato» aspettando il momento propizio, forti dell'aiuto di tutta la borghesia contadina, dell'aiuto dei cadetti, dei menscevichi, dei socialisti-rivoluzionari di destra. E finché il controllo operaio non sarà diventato un fatto acquisito, finché gli operai d'avanguardia non avranno organizzato e condotto a termine una campagna vittoriosa e senza quartiere contro i trasgressori del controllo e contro coloro che lo trascurano, non si potrà, dopo il primo passo (dopo il controllo operaio), fare il secondo passo verso il socialismo, passare cioè alla produzione regolata dagli operai.

  Lo Stato socialista può sorgere unicamente sotto forma di una rete di comuni di produzione e di consumo che registrino coscienziosamente la loro produzione e il loro consumo, economizzino il lavoro, ne elevino continuamente la produttività, riuscendo così a ridurre la giornata lavorativa a sette, sei ore e anche meno. Non si potrà qui fare a meno di un inventario e di un controllo severissimi, esercitati da tutto il popolo e molto vasti, sul grano e la produzione del grano (e poi sugli altri generi di prima necessità). Il capitalismo ci ha lasciato in eredità organizzazioni di massa che possono facilitare il passaggio a un inventario e a un controllo di massa della ripartizione dei prodotti: le cooperative di consumo. In Russia sono meno sviluppate che nei paesi progrediti, ma abbracciano tuttavia oltre dieci milioni di persone. Il decreto sulle cooperative di consumo pubblicato in questi giorni è un fatto estremamente significativo che lumeggia all'evidenza la situazione particolare e i compiti della Repubblica socialista sovietica nel momento attuale.

  Il decreto è un accordo concluso con le cooperative borghesi e le cooperative operaie che non hanno abbandonato il punto di vista borghese. L'accordo o il compromesso consiste in primo luogo nel fatto che i rappresentanti di questi organismi non solo hanno partecipato alla discussione del decreto, ma hanno anche di fatto avuto diritto al voto deliberativo, poiché le parti del decreto che hanno incontrato la recisa opposizione di questi organismi sono state stralciate. In secondo luogo, il compromesso, in fondo, consiste nell'avere il potere sovietico rinunciato al principio dell'adesione gratuita alle cooperative (unico principio proletario conseguente), come pure al raggruppamento di tutta la popolazione di una data località in un'unica cooperativa. Derogando da questo principio, il solo che sia socialista e conforme al fine dell'eliminazione delle classi, è stato concesso alle «cooperative operaie di classe» (che in questo caso si chiamano «di classe» solo in quanto si sottomettono agli interessi di classe della borghesia) il diritto di esistere. Infine la proposta fatta dal potere sovietico di escludere totalmente la borghesia dai consigli di amministrazione delle cooperative è stata anch'essa di molto attenuata, e il divieto di far parte dei consigli di amministrazione è stato esteso solo ai proprietari di aziende capitalistiche private commerciali e industriali.

  Se il proletariato, che agisce attraverso il potere dei Soviet, fosse riuscito a organizzare l'inventario e il controllo su scala statale, o almeno a gettare le basi di questo controllo, siffatti compromessi non sarebbero stati necessari. Attraverso le sezioni annonarie dei Soviet e i loro organismi di approvvigionamento avremmo potuto raggruppare tutta la popolazione in un'unica cooperativa, diretta dal proletariato, senza il concorso delle cooperative borghesi, senza fare concessioni al principio schiettamente borghese che spinge la cooperativa operaia a rimanere tale accanto alla cooperativa borghese, invece di sottometterla interamente a sé, fondendo le due cooperative, attribuendosi tutta la gestione e prendendo nelle proprie mani la sorveglianza del consumo dei ricchi.

  Concludendo un simile accordo con le cooperative borghesi, il potere sovietico ha concretamente definito i suoi compiti tattici e i suoi specifici metodi d'azione per l'attuale periodo di sviluppo, e cioè: dirigendo gli elementi borghesi, utilizzandoli, facendo loro certe concessioni parziali, noi creiamo le condizioni per un movimento progressivo, che sarà più lento di quanto avevamo dapprincipio previsto, ma al tempo stesso più durevole, con basi e linee di comunicazione più solidamente assicurate, e le cui posizioni già conquistate saranno meglio consolidate. I Soviet possono (e debbono) ora, fra l'altro, misurare i loro successi nell'edificazione socialista, con unità di misura estremamente chiare, semplici e pratiche, vedere cioè in quante comunità (comuni o villaggi, quartieri, ecc.) sono state organizzate delle cooperative e in quale misura si sono sviluppate fino ad abbracciare tutta la popolazione.


Aumento della produttività del lavoro


   In ogni rivoluzione socialista dopo che il problema della conquista del potere da parte del proletariato è stato risolto, e nella misura in cui si attua nelle sue grandi linee il compito di espropriare gli espropriatori e di schiacciare la loro resistenza, si pone necessariamente in primo piano un altro problema essenziale: creare un regime sociale superiore al capitalismo; elevare cioè la produttività del lavoro e, in connessione con ciò (e a questo scopo), organizzare il lavoro in modo superiore. Il nostro potere sovietico si trova appunto nella situazione in cui, grazie alle vittorie conseguite sugli sfruttatori, a cominciare da Kerenski sino a Kornilov, ha ottenuto la possibilità di affrontare in pieno questo compito e di mettervi immediatamente mano. E qui diviene subito evidente che, se ci si può in pochi giorni impadronire del potere centrale dello Stato, se si può in alcune settimane reprimere la resistenza militare degli sfruttatori e il loro sabotaggio persino negli angoli più remoti di un grande paese, la soluzione durevole del compito di elevare la produttività del lavoro richiede in ogni caso parecchi anni (soprattutto dopo una guerra tra le più dolorose e devastatrici). Incontestabilmente la lunga durata di tale lavoro è dovuta a circostanze obiettive.

  L'aumento della produttività del lavoro esige innanzi tutto che siano garantite le basi materiali della grande industria: sviluppo della produzione del combustibile, del ferro, delle macchine, dei prodotti chimici. La Repubblica sovietica russa si trova in condizioni favorevoli, in quanto dispone - anche dopo la pace di Brest - di riserve gigantesche di minerali di ferro (Urali), di combustibili nella Siberia occidentale (carbon fossile), nel Caucaso e nelle regioni del sud-est (nafta) e del centro (torba), di gigantesche ricchezze forestali, idriche, di materie prime per le industrie chimiche (Karabugaz), ecc. Lo sfruttamento di queste ricchezze naturali con metodi tecnici modernissimi assicurerà le basi per un progresso delle forze produttive sinora mai visto.

  Un'altra condizione per l'aumento della produttività del lavoro è in primo luogo l'elevamento del grado di istruzione e di cultura delle grandi masse della popolazione. Quest'elevamento procede oggi con rapidità prodigiosa, ciò che non vedono gli uomini accecati dall'abitu-dinarismo borghese, incapaci di comprendere quale slancio verso la luce e l'iniziativa anima oggi, grazie all'organizzazione sovietica, gli «strati inferiori» del popolo. In secondo luogo, condizioni necessarie all'ascesa economica sono il rafforzamento della disciplina dei lavoratori, la capacità di lavorare e di non perder tempo, l'intensità del lavoro e una sua migliore organizzazione.

  Da questo lato, se si prestasse fede agli uomini che si lasciano spaventare dalla borghesia o la servono per interesse, la nostra situazione sarebbe particolarmente cattiva, anzi, addirittura disperata. Questi uomini non capiscono che non vi è mai stata e non vi può essere una rivoluzione senza che i partigiani del vecchio regime gridino alla rovina, all'anarchia, ecc. È naturale che in seno alle masse appena liberatesi da un giogo straordinariamente barbaro si manifestino un'effervescenza e un fermento vasti e profondi, che l'elaborazione da parte delle masse stesse di una disciplina del lavoro basata su nuovi principi sia un processo assai lento, e che prima della vittoria definitiva sui grandi proprietari fondiari e sulla borghesia questo processo non possa nemmeno iniziarsi.

  Ma senza lasciarsi affatto influenzare dalla disperazione, spesso simulata, che viene diffusa dai borghesi e dagli intellettuali borghesi (che disperano di poter mantenere i loro antichi privilegi), non dobbiamo in alcun modo nascondere il male evidente. Al contrario, noi vogliamo svelarlo e rafforzare i metodi sovietici di lotta per combatterlo, giacché non si può concepire che il socialismo trionfi se la disciplina proletaria cosciente non ha riportato la vittoria sull'anarchia piccolo-borghese spontanea, vera garanzia di un'eventuale restaurazione dei Kerenski e dei Kornilov.

  L'avanguardia più cosciente del proletariato russo si è già posta il compito di rafforzare la disciplina del lavoro. Per esempio, nel Comitato centrale del sindacato dei metallurgici e nel Consiglio centrale dei sindacati è cominciata l'elaborazione di adeguati provvedimenti e progetti di decreti. Dobbiamo appoggiare questo lavoro e spingerlo avanti con tutte le nostre forze. Dobbiamo mettere all'ordine del giorno, introdurre praticamente e sperimentare il lavoro a cottimo, applicare tutto ciò che vi è di scientifico e di progressivo nel sistema Taylor, proporzionare i salari alla quantità complessiva delle merci prodotte oppure al lavoro complessivo effettuato dalle ferrovie, dai trasporti per via d'acqua, ecc.

  In confronto ai lavoratori delle nazioni più progredite, il russo è un cattivo lavoratore. Né poteva essere altrimenti sotto lo zarismo, ove erano ancora vive la vestigia della servitù della gleba. Imparare a lavorare: ecco il compito che il potere sovietico deve porre al popolo in tutta la sua ampiezza. L'ultima parola del capitalismo a questo proposito, il sistema Taylor, racchiude in sé - come tutti i progressi capitalistici - la ferocia raffinata dello sfruttamento borghese unita a una serie di ricchissime conquiste scientifiche nel campo dell'analisi dei movimenti meccanici nel lavoro, dell'eliminazione dei movimenti superflui e incomodi, dell'elaborazione dei metodi del lavoro più razionali, dell'applicazione dei migliori sistemi di inventario e di controllo, ecc. La Repubblica sovietica deve ad ogni costo far suo tutto ciò che vi è di prezioso nelle conquiste fatte dalla scienza e dalla tecnica in questo campo. La possibilità di costruire il socialismo sarà determinata appunto dai successi che conseguiremo nel combinare il potere sovietico e la gestione sovietica con i più recenti progressi del capitalismo. Si deve introdurre in Russia lo studio e l'insegnamento del sistema Taylor, metterlo sistematicamente alla prova, adattarlo. Mentre si procede all'aumento della produttività del lavoro, si deve al tempo stesso tener conto delle particolarità del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, le quali da un lato esigono che siano gettate le basi dell'organizzazione socialista dell'emulazione, ma dall'altro impongono l'impiego della costrizione, in modo che la parola d'ordine della dittatura del proletariato non sia macchiata nella pratica da un potere proletario privo di consistenza.


L'organizzazione dell'emulazione


   Fra le assurdità che la borghesia diffonde volentieri sul conto del socialismo vi è anche quella secondo cui i socialisti negherebbero l'importanza dell'emulazione. In realtà soltanto il socialismo, sopprimendo le classi e quindi l'asservimento delle masse, per la prima volta apre la strada a un'emulazione veramente di massa. Ed è precisamente l'organizzazione sovietica, che, passando dal democratismo formale della repubblica borghese all'effettiva partecipazione delle masse lavoratrici al governo, dà per la prima volta un'ampia base all'emulazione. È assai più facile far questo nel campo politico che non nel campo economico, ma per il successo del socialismo è importante precisamente quest'ultimo campo.

  Prendiamo, per esempio, uno dei mezzi per organizzare l'emulazione: la pubblicità. La repubblica borghese la garantisce solo formalmente, giacché in realtà essa subordina la stampa al capitale, diverte il «volgo» con piccanti futilità politiche e nasconde tutto ciò che avviene nelle officine, le transazioni commerciali, le forniture, ecc., sotto il pretesto del «segreto commerciale» che tutela la «sacra proprietà». Il potere sovietico ha abolito il segreto commerciale e si è messo su una strada nuova; ma non abbiamo fatto quasi nulla per mettere la pubblicità al servizio dell'emulazione nel campo economico. Ci si deve mettere sistematicamente al lavoro affinché, accanto alla repressione implacabile della stampa borghese, profondamente bugiarda e sfrontatamente calunniatrice, si faccia un lavoro per creare una stampa che non diverta e abbindoli le masse con storielle piccanti e futilità politiche, ma sottoponga ampiamente al giudizio delle masse le questioni economiche d'ogni giorno e aiuti le masse a studiarle seriamente. Ogni fabbrica, ogni villaggio è una comune di produzione e consumo che ha il diritto e il dovere di applicare a modo suo le disposizioni legislative dei Soviet («a modo suo» non nel senso di trasgredirle, ma nel senso della diversità delle forme di applicazione) e di risolvere a modo suo il problema dell'inventario della produzione e della ripartizione dei prodotti. In regime capitalistico ciò era un «affare privato» del singolo capitalista, del grande proprietario fondiario e del kulak. Sotto il potere sovietico non è più un affare privato, ma un importantissimo affare di Stato.

  E noi non abbiamo ancora quasi affrontato il lavoro immenso, difficile ma fecondo, di organizzare l'emulazione fra le comuni, di introdurre il controllo sul processo di produzione dei cereali, dei capi di vestiario, ecc. e di farlo conoscere a tutti, di trasformare i resoconti burocratici, aridi e morti, in esempi viventi, repulsivi o attraenti secondo i casi. Con il modo di produzione capitalistico l'importanza di un singolo esempio, mettiamo di una qualsivoglia cooperativa di produzione, era necessariamente limitatissima, e solo la fantasia piccolo-borghese poteva sognare che il capitalismo, influenzato dall'esempio di virtuose istituzioni modello, potesse «emendarsi». Dopo il passaggio del potere politico nelle mani del proletariato, dopo l'espropriazione degli espropriatori, la situazione è radicalmente cambiata e - come i più illustri socialisti hanno più volte segnalato - per la prima volta la forza dell'esempio ha la possibilità di esercitare un'azione sulle masse. Le comuni modello devono essere e saranno centri di educazione, di istruzione, di incitamento per le comuni arretrate. La stampa deve essere uno strumento dell'edificazione socialista, deve far conoscere in tutti i loro particolari i buoni risultati delle comuni modello, studiare le cause del loro successo, i loro metodi di gestione e, per contro, iscrivere nel «libro nero» le comuni che si ostinano a mantenere le «tradizioni del capitalismo», cioè l'anarchia, l'ozio, il disordine, la speculazione. Nella società capitalistica la statistica era monopolio dei «funzionari dello Stato» o di specialisti limitati; noi dobbiamo portarla tra le masse, popolarizzarla, affinché a poco a poco i lavoratori imparino a capire e vedere come e quanto si debba lavorare, come e quanto ci si possa riposare, affinché i bilanci economici comparati delle diverse comuni diventino oggetto di interesse generale e siano studiati da tutti, affinché le comuni migliori siano immediatamente ricompensate (con una riduzione della giornata lavorativa per un determinato periodo, con l'aumento dei salari, con la concessione di una maggior quantità di beni e valori culturali estetici, ecc.).

  L'apparire di una nuova classe sulla scena della storia, come capo e dirigente della società, è sempre accompagnato da un periodo di violente «perturbazioni», di scosse, di lotte e di tempeste da un lato e, dall'altro, da un periodo di passi incerti, di esperimenti, di oscillazioni e di esitazioni nella scelta dei nuovi metodi rispondenti alla nuova situazione oggettiva. L'agonizzante nobiltà feudale si vendicava della borghesia vittoriosa che la soppiantava, non soltanto con complotti, tentativi di sommosse e di restaurazioni, ma anche con torrenti di scherni sull'incapacità, sulla goffaggine e gli errori dei «parvenus», degli «sfrontati» che avevano osato metter mano al «sacro timone» dello Stato, senza avere la secolare preparazione dei principi, dei baroni, dei nobili, dei grandi, precisamente come oggi in Russia i Kornilov e i Kerenski, i Gots e i Martov - questa confraternita di eroi dell'affarismo o dello scetticismo borghesi - si vendicano della classe operaia per il suo «insolente» tentativo di prendere il potere.

  È ovvio che non settimane occorrono, ma lunghi mesi e anni prima che la nuova classe sociale, e per di più una classe finora oppressa, schiacciata dalla miseria e dall'ignoranza, possa adattarsi alla nuova situazione, orientarsi, organizzare il proprio lavoro ed esprimere dal suo seno i propri organizzatori. È evidente che il partito dirigente del proletariato rivoluzionario non aveva potuto acquistare la pratica e l'esperienza di grandi provvedimenti organizzativi che toccano milioni e decine di milioni di cittadini, e che, per cambiare l'antica pratica, quasi esclusivamente propagandistica, occorra molto tempo. Ma non vi è qui nulla di impossibile, e se noi acquisteremo una chiara coscienza della necessità di questo mutamento, la ferma decisione di compierlo, la tenacia nel perseguire questo grande e difficile scopo, noi lo conseguiremo. Abbiamo tra il «popolo», cioè tra gli operai e i contadini che non sfruttano lavoro altrui, un gran numero di organizzatori capaci. Il capitale li opprimeva, li soffocava, li respingeva a migliaia; e noi non sappiamo ancora scoprirli, incoraggiarli, risollevarli, promuoverli a posti dirigenti. Ma impareremo, se ci metteremo all'opera con tutto l'entusiasmo rivoluzionario, senza il quale non può esservi nessuna rivoluzione vittoriosa.

  Nella storia non si è mai verificato un movimento popolare profondo e potente senza che venisse alla superficie una schiuma fangosa, senza che agli inesperti innovatori si aggrappassero avventurieri e imbroglioni, fanfaroni e schiamazzatori, senza un'assurda baraonda, senza confusione, senza vano affaccendarsi, senza che certi «capi» si accingessero a venti imprese senza portarne a compimento nemmeno una. Guaiscano e abbaino pure i botoli della società borghese, da Bielorussov a Martov, per ogni scheggia che salta durante l'abbattimento della grande e vecchia foresta! Essi abbaiano all'elefante proletario appunto perché sono dei botoli. Abbaino pure! Noi seguiremo la nostra strada, facendo di tutto per riconoscere e mettere alla prova, con la maggior prudenza e pazienza possibili, i veri organizzatori, gli uomini di spirito sano, dotati di senso pratico, gli uomini in cui la devozione al socialismo è unita alla capacità di impostare senza fracasso (e nonostante la baraonda e il fracasso), nel quadro dell'organizzazione sovietica, un lavoro collettivo energico e concorde di un grande numero di uomini. Dopo averli messi dieci volte alla prova, facendoli passare dagli incarichi più semplici a quelli più difficili, dobbiamo portare questi uomini - ed essi soli - ai posti responsabili di dirigenti del lavoro del popolo, di capi dell'amministrazione. Non abbiamo ancora imparato a farlo, ma impareremo.


«Organizzazione ben congegnata» e dittatura


   La risoluzione dell'ultimo Congresso dei Soviet tenuto a Mosca pone come primissimo compito del momento la creazione di una «organizzazione ben congegnata» e il rafforzamento della disciplina. Risoluzioni siffatte sono ora «approvate» e «sottoscritte» volentieri da tutti, ma di solito non si riflette abbastanza sul fatto che per attuarle occorre la costrizione, e precisamente la costrizione sotto forma di dittatura. E sarebbe tuttavia sciocco e assurdo utopismo ritenere che senza costrizione e senza dittatura si possa passare dal capitalismo al socialismo. Già molto tempo fa la teoria di Marx ha preso posizione molto decisamente contro questa assurdità piccolo-borghese e anarchica. E la Russia del 1917-1918 conferma a questo riguardo la teoria di Marx in modo così chiaro, tangibile e convincente, che solo uomini irrimediabilmente ottusi o che rifuggano ostinatamente dalla verità possono ancora cadere in errore circa questo punto. O la dittatura di Kornilov (se si considera costui come il tipo russo del Cavaignac borghese) o la dittatura del proletariato. Per un paese che compie un'evoluzione estremamente rapida, con svolte straordinariamente brusche, in mezzo alla devastazione più tremenda causata dalla più dolorosa delle guerre, non c'è altra via d'uscita. Tutte le soluzioni intermedie sono o un tentativo di ingannare il popolo da parte della borghesia - la quale non può dire la verità, non può dire d'aver bisogno di Kornilov - o una manifestazione della stupidità dei democratici piccolo-borghesi, dei Cernov, degli Tsereteli, dei Martov, con le loro chiacchiere sull'unità della democrazia, sulla dittatura della democrazia, sul fronte comune democratico e altre simili stoltezze. Colui al quale il corso della rivoluzione del 1917-1918 non ha insegnato che soluzioni intermedie sono impossibili, è un uomo finito.

  D'altra parte non è difficile persuadersi che in ogni transizione dal capitalismo al socialismo la dittatura è necessaria per due ragioni essenziali, o in due direzioni principali. In primo luogo, non si può vincere ed estirpare il capitalismo senza reprimere implacabilmente la resistenza degli sfruttatori che non possono di colpo essere privati delle loro ricchezze, dei loro vantaggi nella organizzazione e nel sapere, e che quindi, per un periodo di tempo relativamente lungo, tenteranno inevitabilmente di rovesciare l'aborrito potere dei poveri. In secondo luogo, ogni grande rivoluzione, e specialmente una rivoluzione socialista, anche se non ci fosse una guerra esterna, è inconcepibile senza una guerra interna, cioè una guerra civile che porta con sé uno sfacelo ancor maggiore che non una guerra esterna, che comporta migliaia e milioni di esempi di esitazione e di passaggio dall'uno all'altro campo, uno stato di massima incertezza, di squilibrio, di caos. Ed è naturale che in una rivoluzione così profonda tutti gli elementi di disgregazione della vecchia società, fatalmente assai numerosi e connessi soprattutto con la piccola borghesia (giacché essa è la prima ad essere rovinata e colpita da ogni guerra e da ogni crisi), non possono non «venire a galla». E possono «venire a galla» soltanto moltiplicando i delitti, gli atti di banditismo, la corruzione, la speculazione e ogni sorta di altre infamie. Per venire a capo di tutto ciò occorre del tempo, occorre un pugno di ferro.

  Nella storia non è mai avvenuta una sola grande rivoluzione in cui il popolo non l'abbia sentito istintivamente e non abbia dato prova di salutare fermezza fucilando i ladri sul posto. La disgrazia delle precedenti rivoluzioni fu che l'entusiasmo rivoluzionario delle masse, che sosteneva il loro stato di tensione e dava loro la forza di reprimere implacabilmente gli elementi disgregatori, non durava a lungo. La causa sociale, cioè di classe, di questa instabilità dell'entusiasmo rivoluzionario delle masse era la debolezza del proletariato, il solo che sia in grado (se è abbastanza numeroso, cosciente e disciplinato) di raccogliere intorno a sé la maggioranza dei lavoratori e degli sfruttati (la maggioranza dei poveri, per parlare un linguaggio più semplice e popolare) e conservare il potere per un periodo di tempo abbastanza lungo, sufficiente per reprimere definitivamente tutti gli sfruttatori e tutti gli elementi di disgregazione.

  Quest'esperienza storica di tutte le rivoluzioni, questa lezione politica ed economica di tutta la storia mondiale, fu fissata da Marx in una formula breve, netta, precisa ed incisiva: dittatura del proletariato. E che la rivoluzione russa si sia accinta in modo giusto ad attuare questo compito mondiale, è dimostrato dalla marcia trionfale dell'organizzazione sovietica fra tutti i popoli e le nazionalità della Russia. Il potere sovietico non è infatti altro che la forma di organizzazione della dittatura del proletariato, della dittatura della classe d'avanguardia, che eleva a una nuova democrazia, alla partecipazione autonoma al governo dello Stato, decine e decine di milioni di lavoratori e sfruttati, i quali imparano dalla loro propria esperienza a considerare l'avanguardia disciplinata e cosciente del proletariato come la loro guida più sicura.

  Ma la parola dittatura è una grande parola. E le grandi parole non vanno gettate al vento. La dittatura è un potere ferreo, audace e rapido in modo rivoluzionario, spietato nel reprimere sia gli sfruttatori che i banditi. Ora, il nostro potere è eccessivamente blando; spesso più simile alla gelatina che non al ferro. Non si deve dimenticare nemmeno per un istante che gli elementi borghesi e piccolo-borghesi combattono contro il potere sovietico in due modi: da un lato, dall'esterno, coi metodi dei Savinkov, dei Gots, dei Ghegheckori, dei Kornilov, con complotti e rivolte, e il loro lurido riflesso «ideologico», i torrenti di menzogne e di calunnie nella stampa dei cadetti, dei socialisti-rivoluzionari di destra e dei menscevichi; dall'altro lato, questo elemento agisce dall'interno, utilizzando ogni fattore di disgregazione, ogni debolezza per corrompere, per aggravare l'indisciplina, la rilassatezza, il caos. Quanto più ci avviciniamo alla definitiva repressione militare della borghesia, tanto più quest'elemento anarchico piccolo-borghese diventa per noi pericoloso. E la lotta contro di esso non può essere condotta unicamente mediante la propaganda e l'agitazione, organizzando l'emulazione, scegliendo gli organizzatori. La lotta deve essere condotta anche con la coercizione.

  A mano a mano che compito fondamentale del potere diventa non più la repressione militare ma l'amministrazione, espressione tipica della repressione e della coercizione non sarà più la fucilazione sul posto, ma il tribunale. Anche sotto questo rapporto dopo il 25 ottobre 1917 le masse rivoluzionarie si sono messe sulla buona strada; esse hanno dato la prova della vitalità della rivoluzione cominciando a creare i loro tribunali operai e contadini ancor prima che fossero promulgati i decreti sullo scioglimento dell'apparato borghese. Ma i nostri tribunali rivoluzionari e popolari sono eccessivamente, incredibilmente deboli. Si sente che non siamo riusciti a cambiare l'atteggiamento del popolo verso i tribunali, che il popolo considera come qualcosa di burocratico e di estraneo, concezione lasciataci in eredità dal giogo dei grandi proprietari fondiari e della borghesia. Non ci si rende abbastanza conto che il tribunale è un organo destinato a far partecipare precisamente tutti i poveri, senza eccezione, all'amministrazione dello Stato (giacché l'attività giudiziaria è una delle funzioni dell'amministrazione dello Stato), che il tribunale è un organo del potere del proletariato e dei contadini poveri, è uno strumento per insegnare la disciplina. Non ci si rende abbastanza conto del fatto, semplice ed evidente, che se i mali più gravi della Russia sono la carestia e la disoccupazione, nessuno slancio può aver ragione di questi mali, ma solamente un'organizzazione vasta e profonda di tutto il popolo e la disciplina, che permetteranno di aumentare la produzione del pane per gli uomini e del pane per l'industria (il combustibile), di assicurarne il trasporto in tempo dovuto e la giusta retribuzione; che quindi chiunque viola la disciplina del lavoro in qualsiasi azienda, in qualsiasi lavoro, è colpevole delle sofferenze causate dalla carestia e dalla disoccupazione; che bisogna saper scoprire i colpevoli, tradurli davanti al tribunale senza misericordia. L'elemento piccolo-borghese, contro il quale dovremo ora condurre una lotta tenacissima, si manifesta appunto nella scarsa coscienza che si ha del nesso economico e politico esistente tra la carestia e la disoccupazione, da una parte, e la trascuratezza di tutti in fatto di organizzazione e di disciplina, dall'altra, nella concezione da piccolo proprietario, tenacemente radicata: «Purché io possa farmi gli affari miei, il resto vada alla malora!».

  Nelle ferrovie, che incarnano forse nel modo più evidente i nessi economici di un organismo creato dal grande capitale, questa lotta dell'elemento della rilassatezza piccolo-borghese contro lo spirito dell'organizzazione proletario si manifesta in maniera particolarmente spiccata. L'elemento «amministrativo» fornisce sabotatori e concussionari in abbondanza; l'elemento proletario nella sua parte migliore lotta per la disciplina; ma tanto nell'uno che nell'altro elemento vi sono naturalmente molti esitanti, «deboli», incapaci di resistere alla tentazione delle speculazioni, delle mance, dei vantaggi personali, comprati a prezzo del danno recato all'intero apparato, dal cui giusto funzionamento dipende la vittoria sulla carestia e la disoccupazione.

  Caratteristica è la lotta accesasi a questo proposito intorno all'ultimo decreto sull'amministrazione delle ferrovie, decreto che conferisce poteri dittatoriali (o poteri «illimitati») a singoli dirigenti. I rappresentanti coscienti (ma per lo più, probabilmente, incoscienti) della rilassatezza piccolo-borghese hanno voluto vedere nell'attribuzione di poteri «illimitati» (cioè dittatoriali) a singoli individui un allontanamento dai principi della direzione collegiale, dal democratismo e da altri principi del potere sovietico. Qua e là tra i socialisti-rivoluzionari di sinistra si è avuta un'agitazione veramente degna di banditi contro il decreto sui poteri dittatoriali; un'agitazione cioè che faceva appello ai peggiori istinti e all'aspirazione, propria del piccolo proprietario, di «farsi i propri affari». La questione ha realmente una immensa portata: in primo luogo, la questione di principio: la nomina di singoli individui investiti di poteri illimitati, dittatoriali, è compatibile coi principi fondamentali del potere sovietico? In secondo luogo, quale rapporto esiste tra questo caso - questo precedente, se volete - e i compiti specifici del potere in questa situazione concreta? Bisogna soffermarsi con la più grande attenzione tanto sull'una che sull'altra questione.

  L'inconfutabile esperienza della storia ha dimostrato che assai spesso nella storia dei movimenti rivoluzionari la dittatura personale è stata l'espressione della dittatura delle classi rivoluzionarie. Indubbiamente la dittatura di singole persone fu compatibile con la democrazia borghese. Ma su questo punto i denigratori borghesi del potere sovietico, così come i loro tirapiedi piccolo-borghesi, danno sempre prova di una grande destrezza: da un lato dichiarano che il potere sovietico è semplicemente un qualcosa di assurdo, di anarchicamente selvaggio, evitando con cura tutti i nostri paralleli storici e tutte le nostre dimostrazioni teoriche da cui risulta che il potere sovietico è la forma superiore della democrazia e, più ancora, l'inizio della forma socialista di democrazia; dall'altro lato esigono da noi una democrazia superiore alla democrazia borghese e ci dicono: la dittatura personale è assolutamente incompatibile con la vostra democrazia bolscevica (cioè non borghese, ma socialista), sovietica.

  Questi ragionamenti non reggono. Se non siamo anarchici, dobbiamo ammettere che lo Stato, cioè la coercizione, è necessario per compiere il passaggio dal capitalismo al socialismo. La forma di questa coercizione è determinata dal grado di sviluppo della classe rivoluzionaria; poi da circostanze particolari, come per esempio l'eredità di una guerra lunga e reazionaria; infine dalle forme che assume la resistenza della borghesia o della piccola borghesia. Non esiste quindi assolutamente nessuna contraddizione di principio tra la democrazia sovietica (cioè socialista) e l'esercizio del potere dittatoriale da parte di singoli. La differenza tra la dittatura del proletariato e la dittatura della borghesia consiste nel fatto che la prima dirige i suoi colpi contro la minoranza sfruttatrice nell'interesse della maggioranza sfruttata, e quindi nel fatto che la prima è attuata - anch'essa attraverso singoli individui - non soltanto dalle masse dei lavoratori e degli sfruttati, ma anche da organizzazioni costruite in modo da ridestare queste masse ed elevarle all'altezza dell'opera creativa che la storia assegna loro (le organizzazioni sovietiche appartengono a questo tipo d'organizzazione).

  Sulla seconda questione - importanza di un potere dittatoriale personale dal punto di vista dei compiti specifici del momento - bisogna dire che la grande industria meccanica - la quale costituisce appunto la fonte e la base materiale, produttiva, del socialismo - richiede un'unità di volontà delle più assolute e rigorose, che diriga il lavoro comune di centinaia, migliaia e decine di migliaia di uomini. Tecnicamente, economicamente e storicamente questa necessità è evidente, e tutti coloro che riflettono riconoscono che essa è una delle condizioni necessarie per l'attuazione del socialismo. Ma come può essere assicurata una rigorosa unità di volontà? Con la sottomissione della volontà di migliaia di persone alla volontà di uno solo.

  Se tutti coloro che partecipano al lavoro comune hanno una coscienza e una disciplina ideali, questa sottomissione può ricordare tutt'al più la direzione delicata di un direttore d'orchestra. Può assumere le forme dure della dittatura ove non esistano disciplina e coscienza ideali. Ma in ogni modo la sottomissione senza riserve ad un'unica volontà è assolutamente necessaria per il buon esito dei processi del lavoro organizzato sul modello della grande industria meccanica. Per le ferrovie, è non solo due, ma tre volte necessaria. E appunto questo passaggio da un compito politico a un altro, in apparenza del tutto diverso, costituisce l'originalità del momento attuale. La rivoluzione ha testé spezzato le più antiche, solide e pesanti catene imposte alle masse dal regime del bastone. Questo accadeva ieri. Ma oggi la rivoluzione stessa esige, precisamente nell'interesse del socialismo, la sottomissione senza riserve delle masse alla volontà unica di coloro che dirigono il processo lavorativo.

  È chiaro, non si può pensare che questo passaggio possa compiersi di colpo. È chiaro che può compiersi soltanto a prezzo dei più grandi urti, scosse, ritorni all'antico e di un immenso sforzo da parte dell'avanguardia proletaria che guida il popolo verso il nuovo. A ciò non riflettono coloro che cadono nell'isterismo filisteo della Novaia Gizn, del Vperiod, del Dielo Naroda, del Nasc Viek.

  Prendete la mentalità di un rappresentante medio, di base, della massa lavoratrice e sfruttata, e confrontatela con le condizioni materiali, oggettive della sua vita sociale. Prima della rivoluzione d'Ottobre egli non aveva ancora visto nella realtà che le classi possidenti, sfruttatrici, sacrificassero qualcosa, rinunciassero a qualcosa di veramente serio in suo favore. Non aveva ancora visto che dessero la terra e la libertà, tante volte promesse, o la pace; che rinunciassero agli interessi della «posizione di grande potenza» e ai trattati segreti imperialisti; che rinunciassero al capitale e ai profitti. Ha visto tutto ciò soltanto dopo il 25 ottobre 1917; allorché ha preso tutto da sé con la forza e ha dovuto difendere quel che aveva preso, sempre con la forza, contro i Kerenski, i Gots, i Ghegheckori, i Dutov, i Kornilov. È comprensibile che per un certo periodo di tempo tutta la sua attenzione, tutti i suoi pensieri, tutte le sue forze siano stati tesi esclusivamente a un solo fine: respirare liberamente, raddrizzare la schiena, guardarsi intorno, afferrare i beni più vicini che la vita gli offriva, e che gli sfruttatori, ora abbattuti, non avevano voluto dargli. È comprensibile che occorra un certo tempo prima che questo rappresentante medio della massa non soltanto veda con i propri occhi e si convinca, ma senta anche che non si può senz'altro «prendere», afferrare, strappare, che ciò aggrava lo sfacelo, conduce alla rovina, a un ritorno dei Kornilov. Il cambiamento nelle condizioni di vita (e quindi nella mentalità) delle grandi masse lavoratrici incomincia appena. E il nostro compito, il compito del partito comunista, che è l'interprete cosciente dell'aspirazione degli sfruttati alla liberazione, è di rendersi conto del cambiamento, capire che è necessario mettersi alla testa delle masse spossate che vanno stancamente cercando una via d'uscita, metterle sulla buona via, sulla via della disciplina del lavoro, la via atta a coordinare il compito di discutere nelle riunioni sulle condizioni di lavoro con il compito di obbedire assolutamente, durante il lavoro, alla volontà del dirigente sovietico, del dittatore.

  I borghesi, i menscevichi, quelli della Novaia Gizn, che vedono soltanto il caos, la confusione, le violente manifestazioni dell'egoismo piccolo-proprietario, ridono e ancor più spesso si fanno beffe della nostra «mania delle riunioni». Ma senza la discussione nelle riunioni le masse degli oppressi non potrebbero mai passare dalla disciplina imposta dagli sfruttatori a una disciplina cosciente e volontaria. Le discussioni nelle riunioni: questa è appunto la vera democrazia dei lavoratori, il loro modo di raddrizzare la schiena, di destarsi a una nuova vita, il loro primo passo sul terreno che essi hanno liberato dai rettili (sfruttatori, imperialisti, proprietari fondiari, capitalisti) e che vogliono imparare a organizzare da soli, a modo loro, per sé, conformemente ai principi del loro potere «sovietico», e non di un potere a loro estraneo, aristocratico, borghese. Occorreva appunto la vittoria d'Ottobre, riportata dai lavoratori sugli sfruttatori, occorreva un intero periodo storico in cui i lavoratori cominciassero a discutere essi stessi sulle nuove condizioni di vita e sui nuovi compiti, perché diventasse possibile un passaggio duraturo a forme superiori di disciplina del lavoro, a una cosciente comprensione della necessità della dittatura del proletariato, alla sottomissione assoluta agli ordini impartiti dai rappresentanti del potere sovietico durante il lavoro.

  Questo passaggio è stato iniziato.

  Noi abbiamo assolto con successo il primo compito della rivoluzione; abbiamo visto le masse lavoratrici creare la condizione fondamentale del suo successo: l'unione di tutti i loro sforzi contro gli sfruttatori per rovesciarli. Tappe come quelle dell'Ottobre 1905, del Febbraio e dell'Ottobre 1917 hanno un'importanza storica mondiale.

  Noi abbiamo assolto con successo il secondo compito della rivoluzione: destare e sollevare appunto quegli strati sociali «inferiori» che gli sfruttatori avevano spinto in basso, e che solo dopo il 25 Ottobre 1917 hanno avuto la piena libertà di rovesciare gli sfruttatori e di cominciare a orientarsi, a organizzarsi a modo loro. La partecipazione alle riunioni proprio delle masse rivoluzionarie più oppresse e calpestate, meno preparate, il passaggio di queste masse dalla parte dei bolscevichi, il sorgere ovunque delle loro organizzazioni sovietiche costituiscono la seconda grande tappa della rivoluzione.

  La terza tappa incomincia ora. Dobbiamo consolidare ciò che noi stessi abbiamo conquistato, decretato, espresso nelle leggi, discusso, tracciato; dobbiamo consolidarlo nelle forme durature di una disciplina quotidiana del lavoro. È il compito più difficile, ma anche il più fecondo, perché soltanto quando l'avremo adempiuto avremo il regime socialista. Dobbiamo imparare a combinare lo spirito democratico nelle masse lavoratrici, quale si manifesta nelle riunioni, impetuoso come la piena primaverile, con la disciplina ferrea durante il lavoro, con la sottomissione assoluta, durante il lavoro, alla volontà di una sola persona, del dirigente sovietico.

  Non l'abbiamo ancora imparato.

  Lo impareremo.

  La restaurazione dello sfruttamento borghese ci minacciava ieri nelle persone dei Kornilov, dei Gots, dei Dutov, dei Ghegheckori, dei Bogaievski. Li abbiamo vinti. Questa restaurazione, questa stessa restaurazione ci minaccia oggi sotto altra forma, quella dell'elemento della rilassatezza e dell'anarchismo piccolo-borghese, della morale del piccolo proprietario, la mentalità del «non è affar mio»; ci minaccia sotto forma di attacchi e colpi quotidiani, piccoli ma numerosi, di questo elemento contro lo spirito di disciplina proletario. Dobbiamo vincere questo elemento anarchico piccolo-borghese, e lo vinceremo.


Lo sviluppo dell'organizzazione sovietica


   Il carattere socialista della democrazia sovietica, cioè proletaria, nella sua applicazione concreta, attuale, consiste in primo luogo nel fatto che gli elettori sono le masse lavoratrici e sfruttate, e la borghesia è esclusa; in secondo luogo, tutte le formalità burocratiche e le restrizioni elettorali sono eliminate: le masse stesse fissano il sistema e la data delle elezioni ed hanno la completa libertà di revocare gli eletti; in terzo luogo, si crea una migliore organizzazione dell'avanguardia dei lavoratori, cioè del proletariato della grande industria, organizzazione che gli permette di assumere la direzione delle più larghe masse di sfruttati, di farle partecipare a una vita politica indipendente, di educarle politicamente sulla base della loro stessa esperienza; è così che per la prima volta ci si accinge al compito di far in modo che realmente tutta la popolazione impari a governare, e cominci a governare.

  Questi sono i principali tratti distintivi del democratismo che è stato attuato in Russia, democratismo di tipo superiore, che rompe con la deformazione borghese del democratismo e segna il passaggio al democratismo socialista, e a condizioni che permettono allo Stato di cominciare ad estinguersi.

  È ovvio che l'elemento della disorganizzazione piccolo-borghese (che si manifesterà inevitabilmente in maggiore o minor misura in ogni rivoluzione proletaria, e che nella nostra rivoluzione, a causa del carattere piccolo-borghese del paese, della sua arretratezza e delle conseguenze della guerra reazionaria, si manifesta con particolare forza) deve necessariamente lasciare la sua impronta anche sui Soviet.

  Dobbiamo lavorare instancabilmente per sviluppare l'organizzazione dei Soviet e del potere sovietico. Esiste una tendenza piccolo-borghese che cerca di trasformare i membri dei Soviet in «parlamentari», in burocrati. Bisogna combattere questa tendenza facendo partecipare praticamente al governo del paese tutti i membri dei Soviet. In molti luoghi le sezioni dei Soviet si vanno trasformando in organi che si fondono a poco a poco con i commissariati. Nostro scopo è di far partecipare praticamente tutti i poveri al governo del paese; e tutti i provvedimenti per raggiungere questo scopo - quanto più saranno vari, meglio sarà - devono essere accuratamente registrati, studiati, classificati, messi alla prova di una esperienza ancor più larga, legalizzati. Nostro scopo è di far sì che ogni lavoratore, dopo che ha adempiuto il «compito» delle otto ore di lavoro produttivo, assolva gratuitamente funzioni statali. Il passaggio a quest'ordine di cose è particolarmente difficile, ma questa è la sola garanzia del consolidamento definitivo del socialismo. La novità e la difficoltà del mutamento danno naturalmente luogo a una gran quantità di provvedimenti presi per così dire a tentoni, a una gran quantità di errori, di esitazioni, senza i quali non può esservi nessun rapido movimento in avanti. La situazione odierna ha questo di particolare: che molti di coloro che vogliono farsi passare per socialisti hanno preso l'abitudine di contrapporre in astratto il socialismo al capitalismo; e mettono acutamente tra queste due parole la parola «salto» (alcuni, ricordando frasi staccate di ciò che avevano letto in Engels, con ancor maggiore acume aggiungevano: «Il salto dell'umanità dal regno della necessità al regno della libertà» [4]). La maggior parte di questi sedicenti socialisti, che «hanno letto dei libri» intorno al socialismo, ma non hanno mai approfondito seriamente la questione, sono incapaci di pensare che per «salto» i maestri del socialismo intendevano cambiamenti nella storia mondiale, e che simili «salti» abbracciano periodi di un decennio è forse più. Naturalmente, in questi periodi la famosa «intellettualità» fornisce prefiche a iosa: l'una piange l'Assemblea costituente, l'altra la disciplina borghese, la terza il regime capitalistico, la quarta il proprietario fondiario colto, la quinta la posizione di grande potenza imperialista, ecc.

  Ciò che l'epoca dei grandi salti ha di veramente interessante è che l'abbondanza delle macerie del passato, che per qualche tempo si ammassano più rapidamente di quanto non appaiano i germi (non sempre visibili di primo acchito) del nuovo, esige che si sappia distinguere quel che è essenziale nella linea o catena dello sviluppo. Ci sono momenti storici in cui per il successo della rivoluzione è soprattutto importante accumulare quante più macerie è possibile, far saltare cioè quante più antiche istituzioni è possibile; ci sono momenti in cui è già stato fatto saltare abbastanza e subentra il lavoro «prosaico» («tedioso» per il rivoluzionario piccolo-borghese) di sgombrare il terreno dalle macerie; ci sono momenti in cui importa soprattutto curare i germi del mondo nuovo, che spuntano fuori dalle rovine sul suolo che ancora non è stato sgombrato dalle macerie.

  Non basta essere rivoluzionario e partigiano del socialismo o comunista in generale. Bisogna saper trovare in ogni momento l'anello particolare della catena a cui aggrapparsi con tutte le forze per reggere tutta la catena e preparare solidamente il passaggio all'anello successivo. E l'ordine di successione degli anelli, la loro forma, il loro concatenamento, le particolarità che li distinguono l'uno dall'altro nella catena degli avvenimenti storici non sono così semplici e così grossolani come quelli di una catena ordinaria forgiata da un fabbro.

  La lotta contro la deformazione burocratica dell'organizzazione sovietica è garantita dalla solidità dei legami che uniscono i Soviet con il «popolo» - intendendo con questa parola i lavoratori e gli sfruttati - e dalla duttilità ed elasticità di questi legami. I poveri non considerano come «loro» istituzioni i parlamenti borghesi, sia pur quello della repubblica capitalista migliore del mondo dal punto di vista democratico. Ma per le masse degli operai e dei contadini i Soviet sono una cosa «loro» e non estranea. Gli odierni «socialdemocratici» della sfumatura di Scheidemann o, ciò ch'è quasi lo stesso, di Martov, sentono ripugnanza per i Soviet, e si sentono attirati verso il rispettabile parlamento borghese o l'Assemblea costituente, allo stesso modo come sessant'anni fa Turgheniev si sentiva attirato verso la costituzione monarchica e aristocratica moderata, e provava ripugnanza per il democratismo da mugik di Dobroliubov e di Cernyscevski.

  Appunto il contatto dei Soviet con il «popolo» dei lavoratori crea le particolari forme di controllo dal basso - revoca dei deputati ecc. - che oggi debbono essere sviluppate con particolare zelo. Per esempio, i consigli dell'istruzione pubblica, che sono conferenze periodiche degli elettori sovietici e dei loro delegati per esaminare e controllare l'attività delle autorità sovietiche in questo campo, meritano tutta la nostra simpatia e il nostro appoggio. Nulla è più sciocco che trasformare i Soviet in qualcosa di immobile e a sé stante. Quanto più risolutamente dobbiamo essere oggi per un potere forte ed implacabile, per la dittatura personale in determinati processi di lavoro, in determinati momenti dell'esercizio di funzioni puramente esecutive, tanto più varie debbono essere le forme e i metodi di controllo dal basso, per paralizzare ogni ombra di possibile deformazione del potere sovietico, per estirpare di volta in volta e instancabilmente la gramigna burocratica.


Conclusione


   Situazione straordinariamente penosa, difficile e pericolosa dal punto di vista dei rapporti internazionali; necessità di manovrare e di ritirarsi; periodo di aspettativa delle nuove esplosioni rivoluzionarie che maturano in occidente con tormentosa lentezza; nell'interno del paese, periodo di lenta ricostruzione, uno spietato «stringer di freni», lotta lunga e tenace, severa disciplina proletaria contro il minaccioso elemento della rilassatezza e dell'anarchismo piccolo-borghese: tali sono, in breve, i tratti caratteristici della tappa particolare della rivoluzione socialista che stiamo attraversando. Questo è l'anello della catena storica degli avvenimenti a cui ora dobbiamo aggrapparci con tutte le nostre forze per essere all'altezza del nostro compito, sino al momento in cui passeremo all'anello seguente, che ci attrae per il suo particolare splendore, lo splendore delle vittorie della rivoluzione proletaria internazionale.

  Provatevi a confrontare le parole d'ordine che scaturiscono dalle condizioni specifiche della tappa attuale: manovrare, ritirarsi, aspettare, edificare lentamente, stringere implacabilmente i freni, disciplinare severamente, reprimere la rilassatezza, con il concetto usuale e corrente di un «rivoluzionario»... Può forse destar meraviglia che alcuni «rivoluzionari» nell'udir tutto questo siano accesi da un nobile sdegno e comincino a «fulminarci», accusandoci di dimenticare le tradizioni della rivoluzione d'Ottobre, di fare una politica di intesa con gli specialisti borghesi, di scendere a compromessi con la borghesia, di avere uno spirito piccolo-borghese, di cadere nel riformismo, ecc.?

  La disgrazia di questi rivoluzionari mancati è che fra essi anche coloro che sono animati dalle migliori intenzioni del mondo e che si distinguono per la loro assoluta devozione alla causa del socialismo non riescono a comprendere lo stato particolare e «particolarmente sgradevole» per il quale deve necessariamente passare un paese arretrato, dilaniato da una guerra reazionaria e disastrosa, e che ha incominciato la rivoluzione socialista molto prima degli altri paesi più progrediti; a costoro nei momenti difficili di un difficile trapasso manca la fermezza. È naturale che un'opposizione «ufficiale» di tal fatta contrapponga al nostro partito quello dei «socialisti-rivoluzionari di sinistra». Certo, vi sono e vi saranno sempre, tra i tipi di un certo gruppo o di una certa classe, delle singole eccezioni. Ma i tipi sociali rimangono. In un paese dove i piccoli proprietari costituiscono, in confronto alla popolazione puramente proletaria, la stragrande maggioranza, la differenza tra il rivoluzionario proletario e il rivoluzionario piccolo-borghese deve necessariamente farsi sentire, e di quando in quando in modo estremamente acuto. Il rivoluzionario piccolo-borghese ad ogni svolta degli avvenimenti esita e tentenna, passa dall'ardente zelo rivoluzionario nel Marzo 1917 alla glorificazione della «coalizione» in Maggio, all'odio contro i bolscevichi (a meno che non deplori il loro «spirito d'avventura») in Luglio, al distacco da essi, dettato dalla paura, alla fine di Ottobre, all'appoggio loro concesso in Dicembre; infine, nel Marzo e nell'Aprile del 1918, questi tipi per lo più arricciano sprezzantemente il naso e dicono: «Io non sono fra coloro che cantano inni al lavoro ‘organico’, al praticismo e al progresso graduale».

  L'origine sociale di siffatti tipi è il piccolo proprietario esasperato dagli orrori della guerra, dall'improvvisa rovina, dalle sofferenze inaudite causate dalla fame e dallo sfacelo economico, e che si dibatte istericamente cercando una via d'uscita e la salvezza, esitando tra la fiducia nel proletariato e la tendenza a sostenerlo, da un lato, e gli accessi di disperazione, dall'altro. Bisogna rendersi chiaramente conto e fissarsi bene in mente che su questa base sociale non è possibile edificare nessun socialismo. Le masse lavoratrici e sfruttate possono essere dirette da una sola classe, la quale segua il suo cammino senza esitare, senza perdersi d'animo e che, anche nelle tappe più difficili, più dure e più pericolose, non cada in preda alla disperazione. Non di slanci isterici abbiamo bisogno, ma dei passi cadenzati dei ferrei battaglioni del proletariato.


Note


[1] Scritto nel marzo e aprile 1918; pubblicato il 28 aprile nella Pravda e nelle Izvestia. Testo italiano da Lenin, cit. pp. 1087-1120.
[2] Lenin allude al seguente passo della risoluzione con cui il IV Congresso straordinario dei Soviet notificò la pace di Brest-Litovsk: «Il Congresso sottopone con la massima urgenza a tutti gli operai, soldati e contadini, a tutte le masse lavoratrici e oppresse il compito più importante, immediato e urgente del mo­mento: accrescere la disciplina e l'autodisciplina dei lavoratori, creare ovunque organizzazioni forti e ben costruite, che abbraccino, possibilmente, tutta la pro­duzione e distribuzione dei prodotti e conducano una lotta spietata contro il caos, la disorganizza­zione e la rovina, che sono l'eredità storica inevitabile di una guerra tormentosa, e che al tempo stesso costituiscono il principale ostacolo alla vittoria finale del socialismo e al consolidamento delle fondamenta della società socialista».
[3] M. P. Bogaievski, uno dei capi della controrivoluzione sul Don.
[4] F. Engels, Antidühring, Roma, Edizioni Rinascita, 1955, p. 308.