R. Gabriele e P. Pioppi

Lettera ai compagni [1]

4 marzo 1993


  Cari Compagni,
sentiamo la necessità, dopo un periodo di dialogo tra noi, in vista anche di allargarlo ad altri, di puntualizzare la situazione per evitare che essa, come sempre è accaduto in passato, si areni nelle secche delle contrapposizioni e degli schematismi ideologico-politici.

  I fatti e la storia passata ci dovrebbero insegnare che imboccando questa strada non si va da nessuna parte e si fornisce all'avversario un'ampia capacità di manovra e una superiorità di iniziativa politica.

  Nell'aprire la discussione con voi siamo partiti da due considerazioni iniziali: dall'insoddisfazione e differenziazione anche profonda dal processo di |"rifondazione comunista" e dal fatto che dopo la crisi del socialismo all'Est si apriva una nuova fase di discussione e di elaborazione strategica tra i comunisti.

  In questo contesto ci sembravano superate le possibilità (e le velleità) di procedere in linea retta secondo i precedenti riferimenti organizzativi, stabilendo steccati ormai senza senso tra varie esperienze.

  Molte cose andavano rimesse in discussione e noi stessi, all'interno della nostra struttura, ci siamo misurati in uno scontro tra seguaci del vivere quotidiano e della difesa ridicola (quanto inutile) di alcune posizioni acquisite e compagni che intendevano ridisegnare un progetto strategico senza cadere nella trappola della Rifondazione Comunista di Garavini e Cossutta. [2]

  Questo non significa che i compagni che stanno dentro Rifondazione Comunista non siano interlocutori validi di un progetto di ripresa strategica del movimento comunista in Italia. Tutt'altro.

  Molti dei compagni che hanno aderito a Rifondazione sono mossi dalla necessità di proseguire una militanza comunista dopo il fallimento del P.C.I. Questo però non può mascherare la sostanza, il giudizio di fondo, su Rifondazione che noi riteniamo stia al di fuori di un asse strategico comunista basato sul marxismo e sul leninismo, sui punti più validi dell'esperienza della terza Internazionale, su una visione internazionalista della lotta di classe e sul carattere rivoluzionario di questa.

  Dunque, se è vero che la nascita di Rifondazione Comunista ha rappresentato un fattore positivo nella dialettica della sinistra italiana e ha permesso di condensare alcune energie che altrimenti sarebbero andate disperse, si pone ancora una volta il problema di come fare emergere una posizione comunista autentica in Italia che sia collegabile alle tendenze rivoluzionarie che si esprimono a livello mondiale.

  E' da questo che siamo partiti nell'aprire un dialogo con voi e su questo vogliamo insistere dal momento che non ci interessa avviare o partecipare ad attività che non pongano in maniera chiara ed oggettiva i termini della questione.

  Per essere ancora più chiari noi riteniamo inutile, ridicola e velleitaria ogni posizione che, al di fuori di una seria elaborazione strategica e di una maturazione oggettiva, tenti di costituire gruppi e organizzazioni che si autodefiniscano comuniste e rivoluzionarie.

  La strada di questi decenni è lastricata di tentativi di questo genere che non solo hanno lasciato il tempo che hanno trovato ma sono naufragati nello squallore, dando, come si è detto all'inizio, più credibilità proprio agli avversari che si volevano combattere.

  Qual è dunque il punto centrale del nostro ragionamento e della nostra proposta? Noi riteniamo essenziali, in questo momento, due cose: non appiattirsi su Rifondazione come punto di riferimento strategico dei comunisti e non tentare strade organizzativistiche come scorciatoia (illusoria) ai grossi problemi che abbiamo da affrontare. La questione centrale, di fase, è l'aggregazione di un polo comunista, basato su una rete di compagni e di situazioni concrete che rimetta in moto un modo comunista di ragionare e di agire.

  Probabilmente, come voi stessi avete dimostrato, esistono numerosi compagni che esprimono questa necessità e questa tendenza. Essi però vanno facilmente a cozzare contro alcune tentazioni che ne vanificano le potenzialità. La prima tentazione è quella di arrivare subito a chiusure ideologico-organizzative che riproducono solo la frammentazione e quindi, in definitiva, l'inazione. La seconda tentazione è quella di sottovalutare i problemi oggettivi della ripresa del comunismo rivoluzionario illudendosi, anche in questo caso, che alcune forzature ideologiche possano risolvere il problema della ripresa teorica e strategica del movimento comunista.

  La prima di queste due questioni purtroppo fa parte della cultura di questi decenni ed è fortemente radicata. La logica cosiddetta "gruppettara" accompagnata dalla immaturità politica di molti compagni, che hanno tendenze rivoluzionarie, impedisce che si possa costituire un livello di circolazione di idee e di iniziativa politica che sia veramente di sinistra. Certo, qui non si vuole condannare tutto quello che si è fatto finora e sostenere che gruppi, riviste, movimenti non abbiano pur rappresentato qualcosa; quello che si intende affermare è che una certa logica ha impedito il rafforzamento strategico delle tendenze rivoluzionarie che si sono espresse finora in Italia.

  E' possibile superare questa logica in una fase come questa?

  Noi riteniamo che sta alla responsabilità dei compagni (responsabilità che è anche coscienza strategica di certi compiti storici), al senso di una nuova maturità politica muoversi in questa direzione. Non ci si illuda che di fronte all'operare della direzione di Rifondazione, come polo istituzionale dell'opposizione, e alla frammentazione delle posizioni della sinistra si possa creare qualcosa di alternativo se non si prepara un terreno politico organizzativo che faccia crescere il dibattito teorico e le strutture necessarie ad alimentarlo.

  Ovviamente le questioni non sono solo di carattere metodologico, ma di sostanza. Le difficoltà che ci troviamo di fronte, lo scarto esistente tra volontà rivoluzionaria di alcuni compagni e difficoltà di tradurla in azione, hanno radici profonde che non possono essere rimosse con il puro soggettivismo, anche se questo opera su un terreno unitario.

  Nel riprendere le fila di un discorso comunista che non sia la riedizione istituzionale del vecchio P.C.I. (come è il caso di Rifondazione) o di gruppi marxisti-leninisti che sono in realtà la caricatura del marxismo e del leninismo, dobbiamo renderci conto che ci sono dei macigni che vanno rimossi e delle circostanze storiche che vanno individuate.

  I macigni di cui parliamo sono i decenni di trasformazione del pensiero marxista che hanno accompagnato le degenerazioni comuniste all'Est come all'Ovest, il ridursi del suo carattere rivoluzionario a esigenze di gestione istituzionale (partitica o statuale). A questo non si può ovviare con le formulette ma con la riproposizione di un pensiero rivoluzionario vivo che sia in grado di accompagnare i processi di trasformazione.

  A questa ripresa si oppone, soprattutto in occidente, il peso di una cultura “neomarxista” o “neocomunista” che è il prodotto dei ceti intellettuali che dal trotskismo in poi hanno sempre cercato di riproporre una strada diversa da quella rivoluzionaria, cioè forme di socialdemocrazia di sinistra. Queste tendenze purtroppo sono culturalmente egemoni (vedi il Manifesto e la cultura di Liberazione) e ad essa finora non siamo riusciti a contrapporre, almeno nel dibattito teorico e culturale niente che sia valido sul piano scientifico e che abbia influenza culturale nel nostro paese.

  La responsabilità ovviamente non è solo nostra e, come si è detto, deriva dalla crisi mondiale del pensiero comunista rivoluzionario, nonostante ciò il macigno esiste e bisogna rimuoverlo.

  Non è cosa da poco, ma bisogna lavorare in questa direzione.

  I compiti teorici si accompagnano a quelli dell'analisi concreta della situazione, anzi bisogna con chiarezza affermare che la teoria non è astrazione, ma enucleazione degli elementi generali che sono insiti nella dinamica sociale.

  In concreto ciò vuol dire che la nostra volontà di ricostruire un punto di vista comunista sul piano politico organizzativo, oltre che teorico, non può essere disgiunta dalle condizioni oggettive che lo permettono e dalla funzione storica che deve essere concretamente determinata.

  Nella definizione "comunista" esiste un fattore di astrazione ideologica che lo rende sterile. Sicché da un verso esso viene utilizzato non per formare veri partiti comunisti ma partiti istituzionali di opposizione che finiscono per degenerare, dall'altro, e spesso per reazione, si imbocca la strada dell'autodefinizione rivoluzionaria che non produce nessuna presa, nè pratica nè teorica, sulla realtà. Nel riproporre un'ipotesi comunista, dobbiamo liberarci da questo circolo vizioso e rompere dialetticamente la spirale in cui siamo costretti, ricongiungendo teoria rivoluzionaria e pratica rivoluzionaria, analizzando il contesto storico che la produce e la alimenta.

  Questo ci riporta ovviamente ai problemi odierni che, partendo da una posizione comunista, hanno bisogno di essere interpretati sia nel loro significato storico che rispetto alle prospettive di azione e di trasformazione che aprono.

  Per quanto riguarda la parte storica riteniamo che sia giusto marcare la nostra differenziazione dal resto della sinistra e dei "neo-comunisti" rivendicando la grandiosità del processo storico aperto da Lenin e dalla Rivoluzione di Ottobre e rifiutando le interpretazioni degenerative che sono proprie del trotskismo e del revisionismo. Se una degenerazione sostanziale c'è stata questa certamente è venuta da destra e dalle posizioni revisioniste. Ciò ovviamente non deve indurci a fare solo l'apologia del passato ma ad analizzare scientificamente le potenzialità e i limiti dell'esperienza rivoluzionaria fatta dai comunisti.

  L'analisi, oltretutto, va condotta, non come spesso accade su un terreno ristretto di valutazione dei singoli fatti, ma su uno scenario molto più vasto che i teorici a partire da Marx hanno sempre rappresentato: lo scenario delle grandi trasformazioni epocali la cui dimensione e profondità non può essere misurata in tempi molto ristretti. Per essere più espliciti ciò sta a significare che non dobbiamo, anche in questo caso, avere attaccamenti ideologici e/o sentimentali alle singole esperienze, ma vederli come parte di un processo di più lungo respiro su cui ricavare un giudizio scientifico e non solamente politico.

  Altrettanto va fatto per quanto riguarda la situazione odierna e il futuro.

  Essere comunisti oggi non può significare fare pura azione di testimonianza nè puntare a radicalizzazioni ideologiche dell'azione politica. Lo spessore e il vero carattere rivoluzionario dell'azione dei comunisti si misura con la capacità di saper interpretare i processi reali in profondità e far derivare la radicalità del progetto da esigenze storiche obiettive. Sulle nuove contraddizioni e sui dati obiettivi che impongono una trasformazione rivoluzionaria della realtà e del sistema capitalistico si riapre lo spazio per la riorganizzazione dei comunisti, i quali non possono apparire dei nostalgici o dei parvenus della vecchia esperienza rivoluzionaria, ma i portatori di una esigenza reale che interessa gli sfruttati e l'umanità intera.

  Proprio noi che rivendichiamo, e giustamente, l'eredità del movimento di classe e rivoluzionario dobbiamo aver presente che essa si è svolta nel concreto di processi che hanno investito una vasta parte dei paesi e del genere umano.

  Oggi i comunisti sono ridotti a minoranze senza troppo peso politico o a rappresentazioni istituzionali che ben poco hanno a che fare con la radicalità e la prospettiva insita in un movimento comunista. Ci sono delle eccezioni, è vero, ma nel complesso la situazione è questa.

  Certamente questa situazione è dovuta ai cedimenti e ai tradimenti di numerosi gruppi dirigenti dei partiti comunisti, ma questo non può, da solo, spiegare l'odierno punto di arrivo della situazione del movimento comunista. Tradimenti e cedimenti sono stati possibili perchè la situazione oggettiva ha assicurato la vittoria alle tendenze negative.

  Anche noi, come altri compagni, ci siamo misurati, in Italia, con questa situazione, combattendo, per decenni, degnissime battaglie ma con risultati strategici quasi nulli.[3] E' ora di domandarci il perchè, per evitare che ci si ributti, in condizioni assai più difficili, in battaglie contro i mulini a vento.

  Per aprire una prospettiva non suicida abbiamo bisogno di misurarci con un ampio dibattito scientifico che individui correttamente le basi teoriche e i percorsi pratici di una ripresa.

  E' questa la sfida che dobbiamo saper lanciare come comunisti anche nei confronti di coloro che hanno voluto procedere ad una "rifondazione" comunista propinandoci una versione "moderna" di una ammuffita e ambigua logica di opposizione istituzionale.

  Noi siamo convinti, proprio perchè comunisti e leninisti, che nessuna vera ripresa del movimento comunista possa avvenire senza un adeguato spessore teorico, una solida organizzazione di classe, una maturità di programma che sappia legarsi realmente alla situazione sociale e di classe.

  Senza voler anticipare tutte le questioni che ci stanno di fronte e proporre ai compagni un pacchetto di "tesi" che lascerebbero il tempo che trovano, ci permettiamo di avanzare alcune ipotesi di lavoro che per noi costituiscono il che fare? odierno.

  Un primo, essenziale, fattore della ripresa dei comunisti in Italia consiste, a nostro parere, nel rompere una duplice negativa spirale fatta da una parte di illusioni frazionistiche all'interno di Rifondazione Comunista e dall'altra di tentativi di alternative di organizzazione che non esistono nella realtà.

  Il punto vero di una possibile ripresa è la costruzione di strumenti di dibattito politico e di orientamento teorico che facciano crescere una nuova leva di comunisti capaci di interpretare correttamente la realtà e di individuare un serio percorso strategico per il futuro. Finché non si metterà al centro della nostra ripresa l'egemonia teorica del comunismo rivoluzionario in grado si spostare l'asse di riferimento e di attrazione dei compagni non potremo avere neppure l'ambizione di modificare gli indirizzi pratici di lavoro.

  Certamente questo spostamento di interessi, questa ripresa di egemonia non può avvenire in astratto, ma è strettamente legata all'evoluzione della situazione generale , al determinarsi di fattori che pongono ali ' ordine del giorno la ripresa di una ipotesi comunista di cambiamento del sistema capitalistico. La questione non è ovvia nè scontata, come purtroppo siamo abituati a dire e a scrivere quando nei nostri discorsi guardiamo più alla retorica e al passato che a interpretare il presente e capire gli sbocchi futuri.

  La crisi dei comunisti nasce proprio da questo e la loro attuale debolezza sta nel fatto che non sono più in grado di leggere gli avvenimenti in modo corretto. Sicché si determina una confusione tra le spinte radicali che certi movimenti e situazioni esprimono dentro il permanere di un solido sistema di controllo sociale del capitale e le possibilità e la necessità di cambiamento reale di questo sistema. La deriva teorica e pratica del movimento comunista comincia proprio da qui e in questo contesto si inserisce la realpolitik del ceto politico che è poi la causa di tutti i cedimenti e le trasformazioni genetiche che abbiamo conosciuto.

  Le vicende del marxismo e dei comunisti hanno attraversato più volte queste fasi. Da Marx si è arrivati alla seconda Internazionale, da Lenin al krusciovismo e al gorbaciovismo. Oggi ci troviamo di fronte ad un nodo storico dello stesso tipo e scioglierlo non è cosa da poco e bisogna saperlo affrontare con tutto il "pessimismo dell'intelligenza" di cui siamo capaci. La ripresa non può però avvenire utilizzando un becero "marxismo-leninismo" o un neobordighismo talmudistico.

  Saremo capaci di affrontare in modo nuovo la situazione, di rompere la spirale delle divisioni che sono prodotto di incapacità teoriche e politiche e di proiettarci su una dimensione nuova e matura dei problemi?

  In questi ultimi decenni alcune punte positive in questo senso sono state raggiunte, per poi disperdersi rapidamente. Dobbiamo ritentare di nuovo, sperando in un risultato migliore.

  Già intravediamo, di fronte alla nostra proposta, le obiezioni che potranno essere avanzate. Sia dai compagni che stando dentro Rifondazione pensano di poter utilizzare la loro nicchia organizzativa per chi sa quali cambiamenti interni (ma basterebbero le lettere di Vinci, di Rizzo e di altri apparse di recente su Liberazione per far capire come stanno esattamente le cose), sia da coloro che senza una immediata stretta organizzativa fatta di comitati centrali e di parodie leniniste non si sentono garantiti e giocano a fare i bolscevichi.

  Ebbene compagni, per affrontare la realtà bisogna saperla guardare in faccia e le condizioni oggettive non possono essere surrogate dalle fantasie, anche se mosse dalle migliori intenzioni. Ripetiamo, la storia di questi anni dovrebbe pure averci insegnato qualcosa. In particolare che la questione di fondo che abbiamo davanti non è quella di fondare alcun partito nè mettere all'ordine del giorno una improbabile rivoluzione proletaria. Il compito dei comunisti oggi è saper individuare le ragioni della loro crisi e i percorsi possibili della ripresa.

  Dobbiamo certamente dire che la storia non aspetta i comunisti, che gli avvenimenti e le contraddizioni si sviluppano indipendentemente dalla nostra capacità e dai nostri fallimenti.

  Ci troviamo oggi, dopo il crollo dei sistemi socialisti all'Est, di fronte ad un marasma e ad una crisi mondiale tali da farci ritenere a portata di mano capovolgimenti rapidi di rapporti di forza e di prospettive politiche e strategiche.

  In realtà ci troviamo di fronte ad una congiuntura in cui il capitalismo, nonostante la sua forza, non riesce a governare e il "socialismo realizzato" non è riuscito a reggere il confronto. Quale nuova fase si sta realmente preparando e quali saranno gli sbocchi di questa situazione? Quali forze sono in campo e quali sono organizzabili per un rovesciamento rivoluzionario della situazione e quali sono i percorsi di questo rovesciamento?

  E ' sulla risposta a questi grandi interrogativi epocali che si misura la nuova capacità dei comunisti. Altrimenti non ci rimane che seguire i vecchi percorsi che hanno portato alla stagnazione e alla sconfitta.

  Da parte nostra, sentiamo tutta l'urgenza di riprendere un lavoro organizzato che ci faccia superare l'impasse, ma non vediamo scorciatoie nè ci sentiamo di condividere vecchie illusioni. Riaprire quindi la discussione tra di noi partendo da una piattaforma di lavoro marxista che rivaluti il pensiero scientifico e rivoluzionario, collegarsi in modo nuovo alla situazione prendendo atto che certi modi di ragionare e di agire non funzionano più, misurarsi con le sfide di questa nuova epoca.

  Questi ci sembrano i punti di riferimento di una azione e di una proposta comunista che possa suscitare nuove energie e siano il segno effettivo di una ripresa.


Note


[1] Da Roberto Gabriele e Paolo Pioppi, Lettere ai compagni, una traversata del deserto durata trent’anni, Aginform, giugno2020. Seconda edizione, Youcanprint, febbraio 2023, pp. 44-50.
[2] Su questo rinviamo alla Dichiarazione politica del Movimento per la Pace e il Socialismo sulla situazione interna e la nuova fase politica del gennaio 1992, in La Zattera e la corrente, Essere comunisti in epoca di controrivoluzione, 1ª edizione Aginform settembre 2019 pp. 177-181. 2ª edizione, Youcanprint, aprile 2023, pp. 224-230.
[3] Si veda il bilancio condotto ne La zattera e la Corrente, cit.