Josip Broz Tito

Discorso introduttivo alla XXI Seduta
della presidenza della Lega dei comunisti di Jugoslavia

In un discorso pronunciato nel dicembre 1971 Tito manifesta l'allarme per le manifestazioni di sciovinismo e nazionalismo in Croazia e per la debolezzza della Lega dei comunisti di Croazia. Il testo è tratto da: Josip Broz Tito, Autogestione e Socialismo, Editori Riuniti 1974, pp. 53-63.


Compagne e compagni, nella giornata di ieri e questa notte ho avuto una riunione con il Comi­tato esecutivo della Lega dei comunisti della Croa­zia e con i dirigenti delle organizzazioni sociali e politiche croate. Naturalmente si è parlato delle questioni che sono sul tappeto in questo momen­to. Proprio a causa di quanto colà sta avvenendo, ritengo necessario che in questa riunione della presidenza della Lega dei comunisti di Jugoslavia noi esaminiamo non soltanto la situazione della Croazia, ma quella di tutta la Jugoslavia. Perché in tutte le Repubbliche si manifestano, in diversa misura, identici problemi.

Nella riunione di ieri io ho chiesto che si pren­dano in esame le cause che sono state all'origine dello sciopero nell'Università di Zagabria e, più in generale, dell'attuale negativa evoluzione poli­tica in Croazia, un'evoluzione che non è stata sufficientemente contrastata anche da parte della Lega dei comunisti di Croazia. Quando si parla delle cause dello sciopero, si è portati a ricono­scere che esse non sono di data recente. La cosa è stata preparata da tempo, da più mesi. Ma sem­bra che si sia assistito a ciò passivamente, senza prendere le misure necessarie. Si diceva in giro - anzi era scritto persino nei giornali - che stava per essere lanciato uno sciopero, che sarebbe stato un grande sciopero, che ci sarebbe stato uno sciopero generale e che era previsto per il mese di gennaio. Quanto dunque è accaduto di nega­tivo, e che ci ha notevolmente screditato, era noto ai giornali e nelle strade. Non è chiaro tuttavia perché le cose siano state precipitate, perché lo sciopero sia stato dichiarato alla vigilia della gran­de festa della rivoluzione dei popoli di Jugoslavia. Anche questo noi chiariremo; noi individueremo chi stava dietro questo sciopero.

Lo sciopero all'università non è una questione dei soli studenti. C'è un gruppo di elementi ne­gativi notori, che si muovono dietro le quinte. Debbo dire che nella riunione con i compagni della Croazia io sono stato molto critico e ho detto loro apertamente che sono colpevoli di non aver preso nessuna misura efficace per impedire lo scio­pero. Fortunatamente la classe operaia di Croazia è sufficientemente cosciente e non si è lasciata trascinare nel movimento, come volevano gli isti­gatori. Essi sono stati bloccati e non hanno potuto mettere in atto i loro propositi. È evidente che le tracce di tutto quest'affare conducono anche fuori del nostro paese.

Tuttavia, come comunisti e come dirigenti, in Croazia o in qualsiasi altra Repubblica, noi non possiamo andare in cerca di ogni possibile giusti­ficazione quando si verificano avvenimenti simili. Si tratta di vigilanza mancata, di leggerezza, di marcio liberalismo nei confronti di simili elementi. Così il nemico ha compiuto in tutta tranquillità la sua azione controrivoluzionaria. Perché io sono persuaso che questa è un'attività controrivoluzio­naria.

Questi elementi antisocialisti, ostili all'autoge­stione, rilasciano dichiarazioni, assolutamente anti­costituzionali, perseguibili e punibili, alla stampa soprattutto a quella della Matica Hrvatska, ma anche a Vjesnik e ad altri giornali ancora. Agi­scono liberamente e a nessuno di essi accade niente. Per questo ho dovuto dire ai compagni che tutto ciò è intollerabile.

Noi sappiamo che c'è un preteso comitato rivo­luzionario dei cinquanta - per parte mia lo defi­nisco controrivoluzionario - il quale dirige tutte queste azioni. I caporioni sono quattro o cinque, ma noi sappiamo che ce ne sono molti di più. È un'organizzazione che opera sia sul piano legale che clandestinamente. Il focolaio è nella Matica Hrvatska. Le cose sono andate talmente oltre che non si può più aspettare né consentire ancora un atteggiamento liberale da parte nostra. Non possiamo permettere che questi elementi contro­rivoluzionari, che questi gruppi controrivoluzio­nari si dedichino alle loro mene nel nostro paese socialista.

Ho detto ai compagni della Croazia che vi sono delle cose poco chiare, cose che non vanno bene e che non sono conformi né alla linea della Lega dei comunisti, né alle risoluzioni del IX Congresso della LCJ. In certi discorsi e dichiarazioni vi erano molti elementi capaci di seminare la con­fusione non solo in seno alla Lega dei comunisti, ma anche fra le masse popolari.

Citerò un solo esempio, quello dell'organizza­zione di un movimento nazionale, un movimento di massa che tutto raccoglie attorno a sé. Questa idea ha trovato posto non solo nei discorsi, ma anche nella stampa. Ieri io ho posto questa do­manda ai compagni: che genere di movimento vo­lete dunque avere? Chi farà parte di questo mo­vimento? Il Lumpenproletariat, elementi controri­voluzionari, nazionalisti, sciovinisti, dogmatici, e il diavolo sa ancora chi e cosa si voleva ottenere. Chi, in tutto ciò dovrebbe essere rieducato? È chiaro che noi dobbiamo basarci su ciò che abbia­mo, su ciò che è sancito nel programma della Lega dei comunisti e dell'Alleanza socialista del popolo lavoratore. Nell'Alleanza socialista noi abbiamo un'immensa organizzazione politico-sociale e dob­biamo mobilitarla. È esatto che in essa i comunisti non sono abbastanza attivi. Dobbiamo dunque ri­volgerci verso questa nostra organizzazione invece di permettere la formazione di un qualsiasi nuovo movimento.

Non si può nella maniera più assoluta permet­tere che dei comunisti diffondano idee siffatte. Per­ché ciò significherebbe in sostanza un tentativo di relegare negli archivi la Lega dei comunisti e di creare una nuova organizzazione che dovrebbe servire da punto di appoggio. Punto di appoggio a chi e per che cosa?

Vi ho esposto sinteticamente ciò di cui abbia­mo parlato. Questa faccenda io l'ho energicamente respinta. Ritengo che voi tutti sarete d'accordo con me nell'affermare che tutto ciò è assoluta­mente incompatibile con il nostro sviluppo socia­lista. Perché noi abbiamo già da tempo impostato le basi della nostra vita politico-sociale ed abbia­mo creato le nostre organizzazioni. Noi abbiamo la Lega dei comunisti. Abbiamo l'Alleanza socia­lista nella quale si trovano i sindacati, la gioventù e tutte le altre organizzazioni sociali e politiche. Se all'interno di esse vi sono degli elementi che non dovrebbero esservi è questione che riguarda le organizzazioni stesse. Spetta a queste cercare di rieducarli. Se disturbano, se nel loro ambito intraprendono attività anticomuniste, antisocialiste e contro l'autogestione, bisogna allontanarli. Dob­biamo osservare le norme da noi stessi fissate nelle nostre organizzazioni. Bisogna dunque denunciare assolutamente tutte queste fantasticherie a propo­sito di un preteso nuovo movimento. Su questo punto io non sono assolutamente d'accordo.

Compagne e compagni, la riunione di ieri è du­rata, con alcune brevi sospensioni, una ventina di ore. Tutti i compagni, e in particolare i responsa­bili, hanno esposto le loro posizioni, che erano de­finite nei documenti adottati nella decima seduta, nella ventiduesima seduta, ecc. Essi hanno affer­mato, penso giustamente, che questi documenti erano stati comunque accettati all'unanimità. Ma i compagni - una maggioranza di due terzi - che criticano la direzione ristretta dicono: sì, è esatto che noi abbiamo approvato tutti i docu­menti più o meno all'unanimità, e li abbiamo ac­cettati. Ma in seguito, questi documenti sono stati interpretati in maniera diversa. Non è stato fatto ciò che essi prevedevano. Proprio ciò ha provocato una assai rimarchevole dissonanza nel loro lavoro, nei loro accordi e tutto ciò mi ha par­ticolarmente preoccupato.

Nel corso di quelle lunghe discussioni, in cui si trattava di questioni strettamente concernenti il partito, io non ho potuto, né voluto, impedire ai compagni Haramija e Pirker, alla compagna Savka e ad altri, di esporre i problemi economici della Croazia. Devo dire che sono pienamente d'accordo con una parte dell'esposizione di Hara­mija, perché egli aveva completamente ragione. Ma non era quello l'essenziale. Lo si è toccato solo di sfuggita. Nessuno dovrebbe pensare che se noi ora affrontiamo il regolamento di certi affari, che è in corso, lo facciamo sotto la pressione di quanto sta avvenendo a Zagabria. La sistemazione della cosa era già avviata in precedenza.

Ecco come ieri ho presentato le cose. Prima de­gli emendamenti ho spesso parlato, addirittura per anni, della necessità di risolvere i problemi del sistema valutario e del commercio estero, del siste­ma bancario, delle riesportazioni, ecc.

Ma ora che abbiamo adottato degli emenda­menti che prevedono specificamente il modo di risolvere anche tali questioni, dobbiamo compor­tarci di conseguenza. In altre parole dobbiamo ri­solvere questi problemi nelle sedi e nelle istanze competenti e non nelle piazze. La rapidità con la quale si procederà dipende essenzialmente da noi. Io sono per una soluzione rapida, in quanto su questi problemi è possibile raggiungere l'accordo. Ho detto tuttavia ai compagni che essi hanno con­tinuato a discuterne in pubblico anche dopo l'ado­zione degli emendamenti, permettendo agli ele­menti ostili di trasformarli in propri slogan e con­sentendo loro di trascinare gli studenti.

Ora, per parte mia, io penso che una gran parte dei giovani non sa nemmeno di che cosa si tratti quando sentono parlare di regime valutario. Però hanno accettato ciò come una parola d'ordine. Io ho sottolineato che noi non permetteremo che i problemi dello Stato vengano risolti nelle piazze.

Abbiamo parlato anche di numerosi altri pro­blemi riguardanti la vita del partito. La maggio­ranza del comitato esecutivo si è dichiarata soddi­sfatta della discussione che, secondo me, è stata all'altezza dei problemi. Vi è stata dell'autocritica e anche delle critiche assai vive all'attività e alla vita interna del Comitato esecutivo [della Lega dei comunisti di Croazia]. Essi hanno esposto mol­te cose, cosicché alla fine a me è rimasto ben poco da dire.

La situazione in seno al comitato esecutivo non è buona e ciò si ripercuote specialmente sull'atti­vità delle direzioni periferiche di partito. Si av­vertono già in parecchi comuni dei fenomeni ana­loghi, delle opposizioni all'uno o all'altro indirizzo. L'orientamento cui esse si richiamano è, secondo me, corretto. Ma quando si passa all'attuazione pratica esso procede come si suol dire per una linea a zig zag.

Qualche mese fa ho avuto una riunione con il Comitato esecutivo di Zagabria. Erano presenti anche molti altri compagni. Già in quell'occa­sione, con termini molto energici io attirai l'at­tenzione su questi problemi, sulle loro deficienze e sui loro errori. Dissi anche loro che cosa si sa­rebbe, secondo me, dovuto fare per evitare di scivolare lungo una china o più esattamente per impedire l'escalation delle azioni dell'avversario di classe. Ciò allora non venne pubblicato. Ci si contentò di comunicarlo verbalmente, e in modo incompleto ad una cerchia ristretta, provocando in tal modo molte congetture su quanto io avevo realmente detto. Le mie parole erano state ac­cettate dai compagni. E allora essi hanno comin­ciato a fare qualcosa. Ma tutto procedeva troppo lentamente e quanto io avevo detto veniva appli­cato in modo incongruente. Io in quella occasione avevo parlato del nazionalismo, dello sciovinismo, della Matica Hrvatska, della condotta dei nostri avversari, degli imbrattacarte. Di ciò avevo par­lato in termini severissimi.

Mi colpisce anche il fatto che si fa riferimento a me, alle mie parole, ma si dimentica soltanto di dire quali sono queste parole. Ci si limita a dire: le parole di Tito.

Già ieri ho formulato le mie riserve e ho detto che non approvo una simile politica. Ripeto oggi qui, che io non approvo simile politica. E non l'approverei se essa apparisse anche in altre Re­pubbliche. Io non voglio e non posso farlo. Io debbo vegliare sugli interessi di tutto intero il nostro paese, così come sui principi della Lega dei comunisti di Jugoslavia. Questa volta anche l'opi­nione pubblica deve sapere che tutto ciò non ha il mio appoggio. Il mio compito è tutt'altro che facile, ma debbo dirlo. Se qualcuno si culla nell'il­lusione di potersi richiamare a me, voglio perso­nalmente disilluderlo.

Nella riunione di ieri tutti, dal primo all'ultimo, hanno preso la parola per dire ogni cosa senza indecisioni. Io ho loro chiesto di esporre una buo­na volta ciò che probabilmente non avevano mai detto. Vorrei che in tutte le nostre istanze ci fossero discussioni altrettanto franche, che ognuno dicesse quel che pensa senza timore di attirarsi i rimproveri di chicchessia. Se qualcosa risulta non vero, lo si dica e ci si spieghi subito. La sola cosa da non fare è tacere. Anzi, bisogna parlare chiara­mente, perché senza tali spiegazioni, senza la par­tecipazione concreta di tutti al dibattito non si possono prendere buone decisioni. Se le si pren­dono in altro modo, saranno zoppicanti. Perché co­loro che mantengono il silenzio per starsene, per cosi dire, in pace con Dio, spesso votano senza essere d'accordo.

Questa mattina, dopo tante discussioni, io mi sono reso conto però che da parte dei compagni dirigenti c'era stata una insufficiente trattazione critica dei problemi e che vi era stata anche poca autocritica, poca autocritica comunista special­mente, necessaria per indirizzare correttamente le cose e per il ristabilimento della fiducia. Se non c'è autocritica, nessuno di noi, me compreso, può rivendicare il diritto di godere una piena e com­pleta fiducia. Non è sufficiente fare una critica come una specie di confessione, e poi ricominciare a peccare.

Infine ho chiesto ai compagni che cosa contavano di fare; ho loro chiesto di metterci d'accordo sul da farsi. Ci siamo trovati d'accordo sulla ne­cessità di sottoporre l'intera questione al Comitato centrale, perché ne discuta e prenda le misure più energiche.

Ho detto inoltre che non ero d'accordo che la parola unitarismo fosse continuamente violata. E ho chiesto che una volta per tutte si precisi a quale unitarismo ci si riferisce. Se si tratta del­l'unitarismo della Jugoslavia di Versailles, è chiaro che io sono risolutamente contrario. Se si tratta di un residuo del dogmatismo, sono altrettanto con­trario. Ma se si tratta dell'unità del nostro paese, della Jugoslavia come unità indivisibile, allora io sono per questo «unitarismo», per questa Jugo­slavia unitaria. Ma allora non è più unitarismo, è semplicemente la nostra unità.

È bene, comunque, che noi distinguiamo due cose: nazionalismo e sciovinismo da una parte, unitarismo dall'altra. Io non credo che il numero degli unitaristi croati sorpassi le poche centinaia. Ma i nazionalisti e gli sciovinisti dispongono di una larga base e ne approfittano. D'altra parte gli emendamenti ci hanno dato un'arma potente per lottare contro gli unitaristi, e non bisogna temerli. Essi non possono collocarsi come forza parallela perché, oltre ai mezzi politici che si possono im­piegare, si potrà far ricorso anche ai mezzi ammi­nistrativi. Ma non fatevi illusioni, non attenuate la vostra vigilanza verso il nemico di classe più pericoloso, lo sciovinismo e il nazionalismo che sono la base fondamentale del nemico di classe. Questo è il pericolo fondamentale. Mi sembra che anche in altre Repubbliche molti dovrebbero trarre insegnamento da tutto ciò di cui abbiamo parlato. Perché in effetti manifestazioni di questo tipo si riscontrano anche altrove.

E non vorrei che dovessimo vivere avvenimenti simili anche da qualche altra parte. Vorrei, al con­trario, che ci sforzassimo di curare tempestiva­mente e prevenire cose simili. Ora che la Lega dei comunisti di Croazia si trova in una situazione complicata, non lasciamola sola. Dobbiamo aiu­tarla. Ieri ho detto che la colpa principale ricade sulla Lega dei comunisti. In effetti nella Lega dei comunisti ci sono molte persone che da un pezzo avrebbero dovuto essere allontanate dal partito. Non lo si è fatto per liberalismo. Io raccomando di espellerle e anche di sciogliere quelle organiz­zazioni scivolate dalla parte di quelli che si danno ad azioni controrivoluzionarie.

La Lega dei comunisti è ora in un processo di riorganizzazione. Ma non possiamo attendere fino alla II Conferenza della Lega. Ho l'impressione che, appunto a causa delle debolezze di cui abbia­mo parlato, non siamo ancora pronti per questa conferenza. I preparativi vanno fatti non soltanto sulla carta, nei discorsi dei documenti, ma anche con l'azione pratica dall'alto in basso. Dobbiamo compiere un'opera di delucidazione e, dove è ne­cessario, epurare. Dobbiamo arrivare alla confe­renza perfettamente preparati, al fine di potervi prendere decisioni sulla riorganizzazione della Lega e sulle altre questioni della nostra futura politica. Quando la Lega avrà una linea nettamente defi­nita, vi saranno meno possibilità di infiltrazione per 'quegli elementi che seminano confusione e disordine e ci screditano agli occhi del mondo. Oggi all'estero si dice una quantità di cose. La Jugoslavia rischia di perdere il suo prestigio nel mondo. Noi non dobbiamo permetterlo.

Karadjordjevo, 2 dicembre 1971