Fronte unitario e lotta contro la guerra

Seduta del Presidium dell'lKKI. Relazione e conclusioni [1]

1° aprile 1936

Da A. Agosti, op. cit., pp. 175-196, originale dattiloscritto in tedesco dal già citato archivio russo, traduzione di Filippo Focardi


    Riservato
    Compagno Ercoli:

   Compagni! Nella prima parte della seduta del Presidium che ha avuto luogo all'inizio della scorsa settimana, abbiamo ascoltato le relazioni dei rappresentanti di alcuni fra i maggiori partiti dell'Internazionale comunista sui risultati della lotta da essi condotta per la creazione di un fronte unitario della classe operaia, di un fronte popolare contro il fascismo. Il compito della commissione eletta dal Presidium era certo molto circoscritto, ma si è rivelato utile e positivo. In base alle espe­rienze che le relazioni ci hanno riportato, la commissione ha potuto fis­sare in tutta la loro concretezza i compiti politici ponendoli, proprio in questo momento in cui il fascismo tedesco al centro dell'Europa spinge direttamente verso la guerra, dinanzi alla classe operaia e in primo luogo dinanzi ai partiti comunisti.

   Il punto di partenza delle discussioni all'interno della commissione è stato costituito, ovviamente, dalle decisioni del VII Congresso mon­diale, dalle risoluzioni che il VII Congresso ha preso, in particolare dalla risoluzione circa i compiti che i partiti comunisti sono chiamati ad assumere dinanzi alla preparazione da parte delle forze imperialiste di una nuova guerra mondiale. Le relazioni e i dibattiti del congresso ci hanno fornito gli elementi fondamentali per la determinazione dei nostri compiti attuali, della nostra attuale strategia e della nostra tattica nella lotta contro il pericolo di guerra, per il mantenimento della pace.

   Nel progetto di risoluzione che era stato consegnato ai membri del Presidium e ai rappresentanti dei partiti, abbiamo inserito al punto 3) un elemento emerso dal discorso tenuto dal compagno Dimitrov alla seduta finale del congresso, poiché abbiamo pensato che lì venivano evidenziati nel modo migliore i nuovi elementi che il VII Congresso mondiale ha sottolineato nella discussione sulla questione della lotta contro il pericolo di guerra.

   «Adesso - ha affermato il compagno Dimitrov - la causa del mante­nimento della pace è difesa non soltanto dalla classe operaia, dai conta­dini e dagli altri lavoratori, ma anche dalle nazioni oppresse e dai diversi strati sociali di quei popoli la cui indipendenza viene minacciata da una nuova guerra. Persino alcuni grandi Stati capitalistici, che temono di subire dei danni da una nuova spartizione del mondo, sono interessati nella fase attuale ad evitare la guerra. Adesso il proletariato mondiale può contare nella lotta contro la guerra non solo sull'arma della propria capacità d'azione, come nel 1914, ma anche sull'azione di uno Stato come l'Unione Sovietica. Da ciò deriva la possibilità di dar vita ad un fronte unitario il più ampio possibile della classe operaia, di tutti i lavoratori e di interi popoli contro il pericolo di una guerra imperialistica. Dipenderà dal livello di attuazione e di efficacia di que­sto fronte se i guerrafondai fascisti ed imperialisti potranno appiccare nel prossimo futuro l'incendio di una nuova guerra, oppure se le loro mani criminali verranno mozzate dalla scure del fronte proletario con­trario alla guerra.» L'idea centrale di queste considerazioni del compagno Dimitrov è che oggi è possibile condurre con successo una lotta per il manteni­mento della pace. Oggi è possibile conservare la pace in quanto esiste la possibilità di organizzare un simile fronte mondiale della pace.

   Tuttavia, compagni, se noi osserviamo lo sviluppo degli avvenimen­ti internazionali e la situazione attuale, siamo costretti a trarre alcune conclusioni. Quali conclusioni? I guerrafondai, che noi nelle risoluzio­ni del Congresso mondiale abbiamo smascherato e stigmatizzato, hanno da allora persistito nella loro azione. Il Giappone prosegue la sua guerra contro il popolo cinese, prosegue la suddivisione e la con­quista del territorio cinese. Il fascismo italiano ha iniziato la guerra per la conquista dell'Abissinia, ha trascinato il popolo italiano nell'abisso della guerra ed ha persino minacciato lo sviluppo di una guerra euro­pea e mondiale. E oggi? Oggi Hitler fa marciare le sue truppe nella Renania e minaccia con la fiaccola della guerra tutta una serie di popoli e di Stati europei. Tra il fascismo di Hitler, il principale guerrafondaio in Europa, e la cricca militare giapponese, il principale guerrafondaio in Oriente, esiste già oggi uno stretto collegamento, forse persino un'alleanza di guerra. Hitler ha già trovato poi nel fascismo polacco un diretto alleato. I nemici della pace, dell'indipendenza dei popoli, si tendono dunque la mano al di sopra dei confini e dei continenti, e pre­parano con piena consapevolezza una nuova catastrofe mondiale.

   Dove sono in questa situazione le forze della pace? Sono esse consapevoli del pericolo che ci minaccia? Hanno capito, le forze della pace, che devono riunirsi, allearsi, organizzarsi per opporsi a questo pericolo, per fermare il braccio degli incendiari, per bloccare i loro piani criminali e la loro azione, per assicurare la pace? A che punto siamo oggi, in concreto, con la realizzazione di questo fronte mondiale della pace, che oggi è così necessario per i popoli del mondo e che noi, nel nostro Congresso mondiale, abbiamo esortato a costituire?

   Compagni! Nell'attuazione della linea politica decisa dal VII Congresso mondiale abbiamo avuto in alcuni paesi un certo successo. In Francia siamo riusciti, attraverso la creazione del fronte unitario della classe operaia e tramite l'organizzazione del fronte popolare dei lavoratori contro il fascismo, a sbarrare la strada al fascismo. In Spagna siamo riusciti, attraverso la creazione del fronte popolare dei lavorato­ri, nell'ambito della nostra lotta contro il pericolo della dittatura fasci­sta e contro la reazione, a cacciare i reazionari dal governo e ad aprire ancora una volta la strada allo sviluppo della rivoluzione democratica. La parola d'ordine della lotta contro il fascismo può essere da noi mantenuta come compito principale della classe operaia, in quanto essa è penetrata profondamente nella coscienza del proletariato. Questo lo possiamo affermare non solo per la Francia, non solo per la Spagna, ma anche per tutta una serie di altri paesi. Le vaste masse del popolo hanno già capito che nei rispettivi paesi il fascismo è il nemico che minaccia la loro libertà, il loro pane, la loro vita; il nemico contro il quale devono essere concentrate le forze.

   Oggi però, compagni, il fascismo, dopo aver sottomesso la classe operaia di alcuni paesi, lancia un nuovo attacco che è indirizzato con­tro tutti i popoli che vogliono la pace e che minaccia l'indipendenza nazionale di numerosi popoli, cosicché il fascismo da pericolo naziona­le all'interno di ogni paese si trasforma­ in un pericolo internazionale, in un pericolo mondiale. Questo è il nuovo fattore che noi oggi nell'Interna­zio­nale dobbiamo vedere e sottolineare, il nuovo fattore dal quale dobbiamo partire se vogliamo fissare i nostri compiti, i com­piti della classe operaia e dell'avanguardia della classe operaia impe­gnate nella lotta contro il fascismo.

   La coscienza di questo pericolo, che - possiamo dirlo - si è già dif­fusa in numerosi paesi, all'interno di vasti strati della popolazione, non ha ancora condotto alla conclusione politica di procedere all'organiz­zazione di tutte le forze che possono essere organizzate per il manteni­mento della pace, al fine di lottare unitariamente contro il fascismo, fomentatore di guerra. Il fronte della lotta contro questa nuova forma del pericolo fascista non esiste ancora e si va costituendo troppo lenta­mente. L'orga­niz­zazione di questo fronte della pace, di questa lotta per il mantenimento della pace, viene ancora bloccata da difficoltà troppo grandi.

   Quali sono dunque le cause di questa situazione, di cui noi, come avanguardia del proletariato, dobbiamo occuparci in modo particola­re? Noi riteniamo che manchi soprattutto un'azione unitaria della clas­se operaia nella lotta contro il pericolo internazionale del fascismo, per il mantenimento della pace. Che cosa è successo allorché nel 1931 gli imperialisti giapponesi si sono lanciati alla conquista della Manciuria? Le forze della classe operaia erano divise. La Società delle Nazioni si è dimostrata pressoché impotente. I guerrafondai hanno trovato la stra­da libera!

   Che cosa è successo allorché l'imperialismo italiano ha iniziato que­sta guerra per la conquista dell'Abissinia? Il comportamento della Società delle Nazioni è stato chiaramente oscillante. Alcune grandi potenze hanno cercato di difendere la Società delle Nazioni non nell'interesse della pace, ma per tutelare i propri scopi egoistici.

   Per quel che riguarda la classe operaia si sono mostrate ancora una volta le conseguenze di questa spaccatura, le conseguenze dell'influsso che la borghesia ancora esercita su una parte della classe operaia, attra­verso una parte della dirigenza dei partiti socialdemocratici e delle organizzazioni della classe operaia.

   L'Internazionale operaia socialista e la Federazione sindacale inter­nazionale hanno preso posizione contro gli aggressori fascisti, eppure esse hanno rifiutato le nostre proposte, che miravano a promuovere l'unità d'azione della classe operaia su scala internazionale. La loro posizione ufficiale è consistita piuttosto nel tentativo di volgere le forze della classe operaia contro l'attuazione della politica della Società delle Nazioni. I diversi partiti socialdemocratici avevano posizioni differenti sulla questione della guerra e sulla questione della lotta contro gli aggressori. Ciò ha avuto come conseguenza una disorganizzazione del fronte per la lotta contro l'aggressore per il mantenimento della pace.

   Anche tra le nostre fila abbiamo osservato una certa, momentanea, incertezza. Abbiamo notato un'insufficiente capacità da parte dei nostri partiti nello sviluppare un'autonoma azione di lotta contro gli aggressori. Il risultato è stato l'incoraggiamento degli aggressori fasci­sti. E il compito principale che oggi ci troviamo davanti se osserviamo questo sviluppo è il superamento di tali debolezze che affliggono in questo momento il movimento operaio internazionale. Ciò costituisce, per così dire, il nostro compito storico in questo momento. Non è ancora troppo tardi - mai pensiamo che lo sia - per lottare per il man­tenimento della pace. Le forze che sono interessate alla conservazione della pace rappresentano la stragrande maggioranza. «Nessun popolo», ha detto il compagno Stalin, «vuole la guerra». Tuttavia è necessa­rio indicare con chiarezza ed energia questo compito della lotta per il mantenimento della pace a tutti i proletari, a tutti i lavoratori e a tutti gli amici della pace. E bisogna mostrare concretamente come nella situazione attuale si debba lottare a questo fine, quale linea si debba seguire, sulla base di quale piattaforma politica e contro chi si debbano indirizzare i colpi per la conservazione della pace. Nel rispondere a questi interrogativi, che erano quelli che la nostra commissione si è tro­vata davanti, dovevamo andare un po' oltre rispetto alle risoluzioni del VII Congresso mondiale, pur non discostandoci dalle loro indicazioni di fondo. Dovevamo dare concre­tezza a tali risoluzioni. Dovevamo adeguarle alla situazione attuale al fine di indicare ai nostri partiti in primo luogo, e a tutta la classe operaia, la strada per un'ulteriore effet­tivo dispiegamento in ogni paese della nostra azione, per un crescente impegno nella guida di questa lotta. Il compito della commissione non era certo facile. Nell'assolvimento di tale compito ci ha aiutato in modo particolare il nostro Segretario generale, il compagno Dimitrov. Nel suo intervento davanti alla commissione, che noi abbiamo preso come base per l'elaborazione del progetto di risoluzione, il compagno Dimitrov ha sottolineato specialmente alcuni punti importanti. I com­pagni mi permetteranno di non limitarmi a menzionare soltanto questi punti, ma di chiarirli usando le parole stesse del compagno Dimitrov.

   Il primo punto riguarda la valutazione della situazione generale e la formulazione della questione del pericolo della guerra quale si configu­ra in questo momento.

   «In futuro», ha detto il compagno Dimitrov, «dovremo fare della lotta contro il pericolo di guerra e per il mantenimento della pace il problema centrale della nostra politica volta alla creazione di un fronte unitario, dovremo dirigere i nostri colpi principalmente contro i paesi guerrafondai d'Europa, contro il fascismo tedesco guidato da Hitler, e contro la "camarilla" fascista dei militari nel Giappone che rappresen­ta lo Stato guerrafondaio del lontano oriente». Ma come si deve porre oggi la questione dinanzi alle masse? Come stanno davvero le cose? «Non esiste alcun dubbio», cito dal discorso del compagno Dimitrov, «sul fatto che la politica di Hitler, come anche la politica della "cama­rilla" militarista giapponese, in una prospettiva di lungo termine sia diretta contro l'Unione Sovietica. Se consideriamo però con attenzione i fatti concreti dobbiamo giungere alla conclusione che nel momento attuale, in cui l'esercito hitleriano invade la Renania, il pericolo imme­diato rappresentato dal fascismo hitleriano si orienta piuttosto contro i paesi occidentali. La Francia è minacciata, la Cecoslovacchia è minac­ciata, l'Austria è minacciata, e anche la Polonia è minacciata, sebbene essa abbia stretto degli accordi con la Germania. Tutti i piani, l'intera politica di Hitler, sono diretti innanzitutto all'occupazione dei territori tedeschi che si trovano all'interno degli Stati confinanti, ad occupare domani o dopodomani i territori tedeschi della Cecoslovacchia e Danzica. Per Hitler è più facile dirigere l'aggressione militare in questa direzione piuttosto che verso Est. Con tutta probabilità il colpo verso Est, in direzione dell'Unione Sovietica, è quello che Hitler non ha intenzione di sferrare per primo. Ciò deve essere messo in risalto non solo perché corrisponde al vero, ma anche perché è opportuno mobili­tare politicamente contro la guerra le masse in Francia, in Cecoslovacchia, in Austria, in Svezia, in Danimarca e a Danzica. Esse naturalmente non devono sottovalutare la necessità della lotta contro la guerra, contro il pericolo che incombe sull'Unione Sovietica. Bisogna tuttavia partire dal fatto che il colpo sarà diretto in primo luogo contro i paesi occidentali». Compagni! Anche per questo occor­re mobilitare le masse.

   Per ciò che riguarda la situazione ad Oriente, il compagno Dimitrov ha espresso in commissione la medesima idea. «Io credo», ha detto il compagno Dimitrov, «che noi dobbiamo fare le stesse conside­razioni anche a proposito della "camarilla" militare fascista del Giappone, paese che si rivolge contro la Cina, che ha già occupato la Manciuria e la Cina del nord, che rappresenta davvero una minaccia per il popolo cinese. Come prossimo obiettivo la cricca militare giap­ponese si propone l'Unione Sovietica. Essa vuole ... e così via» - Non ci sono dubbi sul contatto e sull'intesa con Berlino. Questo però riguarda un progetto successivo. Un colpo diretto contro l'Unione Sovietica non corrisponde nella fase attuale a quanto è stato realmente progettato. E perciò se noi parliamo soltanto di questo non saremo capaci di mobilitare in misura sufficiente il popolo cinese e il popolo della Manciuria. Questa fondamentale idea del compagno Dimitrov, circa la valutazione della situazione attuale, circa la valutazione del concreto pericolo di guerra in questo particolare momento, l'abbiamo inserita nel primo punto del progetto di risoluzione ed è chiaro a tutti noi che solo una simile impostazione della questione può aiutarci a mobilitare le grandi masse del mondo intero contro gli aggressori, con­tro gli aggressori in Europa, contro gli aggressori nel lontano oriente.

   La seconda questione sulla quale il compagno Dimitrov ha richia­mato in commissione la nostra attenzione è quella della nostra posizio­ne rispetto alla Società delle Nazioni.

   Che noi non siamo entusiasti della Società delle Nazioni, ha detto il compagno Dimitrov, si capisce da sé. Che di fronte alle masse occorra ovunque mostrare il vero volto dell'attuale Società delle Nazioni, che essa non abbia preso contro l'aggressione italiana dell'Abissinia nessu­no dei provvedimenti richiesti, fino a giungere alle estreme conseguen­ze, che la Società delle Nazioni, adesso che Hitler ha occupato la Renania e gli Stati occidentali sono minacciati da un diretto pericolo di guerra, non sia in grado di intraprendere niente di serio, tutto questo è certamente vero. Ma allora la Società delle Nazioni deve essere com­pletamente ripudiata? Quale interesse ci ordina di fare il gioco dei guerrafondai che agiscono oggi contro di essa? Assolutamente nessun interesse! Al contrario noi oggi, per ciò che riguarda l'atteggiamento da tenere verso la Società delle Nazioni, dobbiamo procedere distin­guendo caso da caso. Anche l'Unione Sovietica è membro della Società delle Nazioni. E ad essa aderiscono pure altri Stati, piccoli Stati che non vogliono assolutamente che Hitler muova all'attacco. Vi apparten­gono ad esempio la Piccola Intesa e gli Stati balcanici. Si deve dunque agire in maniera differenziata e biasimare il fatto che la Società delle Nazioni non attui nei confronti dell'Italia le sanzioni, le misure decise dopo l'aggressione dell'Abissinia, perché la Francia, una delle forze determinanti all'interno della Società delle Nazioni, vi si oppone e soprattutto perché l'America appoggia questa condotta.

   Adesso, però, riguardo a Hitler, è l'Inghilterra, sono i conservatori inglesi, sono gli uomini e la dirigenza del Labour Party, i responsabili del fatto che la Società delle Nazioni non prenda alcuna misura contro l'aggressore. Certamente noi dobbiamo attaccare la Società delle Nazioni per la sua passività, e noi attaccheremo la Società delle Nazioni perché essa non è in grado di adottare alcuna misura energica contro qualsivoglia aggressore. Eppure non dobbiamo ripudiare la Società delle Nazioni, della quale fa parte anche l'Unione Sovietica, ma dobbiamo al contrario prendere una posizione che si addica ai comu­nisti, che si addica alla classe operaia, ovverosia dobbiamo appoggiare tutte le misure della Società delle Nazioni che effettivamente siano dirette al mantenimento della pace e contro l'aggressore. Abbiamo inserito anche questo punto nel progetto di risoluzione, al fine di tro­vare una risposta alla questione che oggi interessa grossi strati della classe operaia, la questione della posizione da assumere nei confronti della Società delle Nazioni.

   La terza importante questione, collegata a quella della Società delle Nazioni, su cui il compagno Dimitrov ha rivolto la sua attenzione in commissione è la questione delle sanzioni. Qual è la giusta posizione che noi dobbiamo assumere come partito comunista? Qual è la posi­zione che deve assumere la classe operaia? Noi, i comunisti, siamo i più coerenti sostenitori della pace al momento attuale. Questa è certo una cattiva pace, ma pur sempre una pace e, come tale, meglio della guerra. Noi siamo sostenitori della pace, noi siamo per il mantenimen­to della pace, noi difendiamo tutte le misure che possono essere utili alla sua conservazione e che svelano la minaccia dell'aggressore.

   Noi non siamo contrari alle sanzioni, non possiamo esserlo. Le san­zioni sono una minaccia nei confronti dell'aggressore, nei confronti di coloro che mirano a violare la pace. Possiamo dunque essere contrari ad appoggiare tutte quelle misure che sono utili alla causa della pace, che sono dirette contro il pericolo della guerra? Per quale ragione dovrem­mo essere contrari alle sanzioni? Noi dobbiamo però tenere presente che le sanzioni non vengono attuate. L'Unione Sovietica è l'unico Stato che rispetta interamente i propri impegni per ciò che riguarda le sanzio­ni. E qui occorre spiegare perché ciò avviene. Noi non siamo contrari alle sanzioni contro gli aggressori. Esse, però, non vengono attuate dagli Stati imperialisti che perseguono solo i propri fini egoistici. Si dice che le sanzioni possono portare alla guerra. Non è detto che sia proprio così. Lo si è fatto notare già più volte. Le masse dei lavoratori inglesi e danesi, ad esempio, non dovrebbero restare immobili a guardare qualora l'impe­rialismo tedesco scateni una guerra contro la Cecoslovacchia o la Polonia, non dovrebbero cioè mantenere un atteggiamento neutrale.

   Abbiamo posto anche questa affermazione del compagno Dimitrov alla base della nostra risoluzione. E se noi, compagni, assumiamo una posizione così positiva nei confronti della Società delle Nazioni, se noi prendiamo una tale posizione positiva sulla questione delle sanzioni, allora, compagni, noi prendiamo posizione in maniera positiva anche in merito alla questione generale della politica internazionale.

   Ciò costituisce l'elemento nuovo della nostra risoluzione. La neces­sità di questa presa di posizione positiva sulla questione della politica internazionale da parte della classe operaia, della sua avanguardia, del partito comunista, non viene ancora valutata a sufficienza neanche tra le nostre fila. I capi di destra della Seconda Internazionale fanno certo una politica internazionale. Ma essi fanno la politica internazionale della loro borghesia. Noi dobbiamo avere, l'avanguardia della classe operaia deve avere una politica internazionale intesa in senso positivo. Se essa non riesce ad assumere in questo momento una simile posizio­ne positiva sulla questione della politica internazionale, non le sarà possibile mobilitare contro l'aggressore tutte le forze della classe ope­raia e raccogliere tutte le forze degli amici della pace in un imponente fronte per la lotta per il mantenimento della pace. Questa questione si pone in modo particolarmente scottante nei paesi che sono minacciati dagli aggressori fascisti. In questi paesi il popolo intero e tutta la classe operaia si trovano dinanzi, in forma acuta, la questione della difesa del paese, del popolo contro gli aggressori fascisti. A tale questione dobbiamo dare una risposta, una risposta chiara e concreta.

   Al tempo del VII Congresso mondiale abbiamo già discusso questo argomento in relazione alla questione del nostro atteggiamento, dell'atteggiamento della classe operaia e del partito comunista di fron­te ai patti di mutua sicurezza stipulati fra l'Unione Sovietica ed uno Stato capitalista. Allora la nostra risposta è stata di questo genere: noi siamo favorevoli a questi patti. Nella situazione odierna, però, siccome non abbiamo alcuna fiducia nella borghesia che governa in questi paesi, noi votiamo non solo contro il bilancio di guerra, ma anche con­tro qualunque misura di carattere militare della borghesia. Questa è stata la nostra presa di posizione al tempo del VII Congresso mondiale. I compagni si ricorderanno che noi abbiamo detto però anche qual­cos'altro. I compagni hanno chiesto che cosa avremmo fatto qualora si fosse arrivati alla guerra. La nostra risposta è stata: se si arriva alla guerra studieremo la questione in concreto e daremo una risposta. Oggi, in tutta una serie di paesi, la situazione è diventata molto più grave di quanto non fosse al tempo del VII Congresso mondiale. Di conseguenza dobbiamo fare qualche passo ulteriore per dare concreta attuazione alla nostra tattica e alla nostra politica in questo settore.

   Nella commissione abbiamo discusso a lungo questa questione e la risposta che noi ne diamo è contenuta nel punto 4 della risoluzione (pagina 7). Io richiamo l'attenzione dei compagni su questo punto.

   Questo punto noi lo poniamo come compito fondamentale per tutti i partiti: la necessità di una politica concreta e di una lotta concreta contro l'aggressore. Per mostrare come deve essere la politica concreta dei partiti comunisti nella situazione odierna noi forniamo anche diver­si esempi: Francia, Stati Uniti, Polonia. Sulla base di questi esempi i nostri partiti, in ogni paese, devono valutare la situazione e stabilire la propria politica.

   Per quanto riguarda la questione della difesa del paese contro l'aggressore e il comportamento dei comunisti in una simile situazione, noi abbiamo cercato di dare una risposta concreta e dettagliata. Questa si compone di alcuni punti.

   In primo luogo, quali sono i paesi per cui vale la linea che noi diamo nella risoluzione? Abbiamo qui detto molto chiaramente e lo dobbiamo ripetere ancora una volta, che la tesi, la direttiva, che noi diamo in questa risoluzione, riguarda quei paesi che sono direttamente minacciati da un'aggressione fascista. In tal modo stabiliamo una diffe­renza fra i vari paesi. Ad esempio, la direttiva che noi diamo oggi in questa risoluzione può valere per un paese come l'Inghilterra? No, compagni, in quanto l'Inghilterra è un paese che oggi non è direttamente minacciato da un'aggressione fascista; al contrario l'Inghilterra è un paese nel quale la borghesia e il governo appoggiano il fascismo hitleriano nelle sue aggressioni dirette contro i piccoli popoli europei. Questo è il primo punto.

   Il secondo punto è che noi, in questi paesi che sono direttamente minacciati dall'aggressione fascista, non possiamo rimanere indifferenti davanti alla questione della difesa del paese. Proprio noi, gli stessi che combattiamo il fascismo come il nemico numero uno, non possiamo rimanere indifferenti se il fascismo arriva e ci minaccia dall'esterno, se minaccia l'indipendenza, la libertà, il pane del nostro popolo. Partendo da questa premessa noi dobbiamo cambiare la nostra posi­zione rispetto a tutta una serie di concrete questioni tattiche. Oggi, ad esempio, se in questi Stati la questione della difesa del paese si pone in forma così acuta, se la questione della lotta contro l'aggressore fascista si presenta in forma tanto grave, non sarebbe giusto che noi persistessi­mo nel prendere una posizione negativa nei confronti dei vari organi politici, nei confronti del parlamento, in cui vengono discusse e decise le questioni della difesa del paese. Noi dobbiamo entrare nelle diverse commissioni del parlamento che trattano questioni militari e occuparci in quella sede di tutte le questioni che riguardano non solo l'organizza­zione dell'esercito, ma anche la difesa del paese in generale. La questione del lavoro politico all'interno dell'esercito deve essere da noi oggi affrontata in maniera del tutto diversa dal passato. Dobbiamo smetterla di trattare questo lavoro nell'esercito come un'attività da specialisti, condotta e diretta da organi particolari, che restano distanti dalla comune vita politica del partito, distanti dalla lotta che il partito conduce. No, compagni, la questione del lavoro nell'esercito costituisce oggi parte integrante della politica generale del partito. Non si tratta di una questione per specialisti, per commissioni speciali. No, noi poniamo oggi questa questione al centro della nostra politica.

   Noi ci preoccupiamo del destino delle masse popolari che sono organizzate nell'esercito. Questa parte del popolo rientra nella nostra politica generale.

   Interruzione di Manuil'skij: Nel caso dei partiti che operano nella legalità.

   Naturalmente, ciò vale per i partiti legali che operano dove c'è un par­la­mento, dove le questioni dell'esercito rivestono un aspetto particolare.

   Manuil'skij: Nei partiti illegali la questione si pone in modo un po' diverso.

   Quali questioni poniamo noi dunque nei paesi a proposito dell'eser­cito? Noi poniamo la questione dello sviluppo di una battaglia politica per l'eliminazione, per l'epurazione dall'esercito degli elementi fascisti, per la democratizzazione dell'esercito quale parte della lotta per la demo­cratizzazione generale del paese. Noi vediamo infatti nella democratiz­zazione generale del paese la migliore garanzia per l'attuazione di una difesa realmente efficace contro l'aggressore fascista.

   Il compagno Manuil'skij ha già detto che nei paesi in cui i nostri partiti sono illegali, nei paesi fascisti, la questione si pone in modo del tutto diverso, così come risulta del tutto diversa anche la nostra posi­zione generale rispetto alla questione della lotta contro il fascismo. E ciò lo abbiamo menzionato in modo particolare anche nella risoluzione.

   Terzo punto: se spieghiamo che noi non restiamo indifferenti dinanzi alla questione della difesa del nostro paese, se prendiamo una posizione positiva su questa questione, ciò significa che noi partiamo dagli interessi della classe operaia e del popolo. Il punto di partenza e il fondamento dell'intera politica del partito comunista nella questione della difesa del paese deve essere la difesa degli interessi della classe operaia, degli interessi del popolo. Ciò significa, compagni, nessuna abolizione della lotta di classe, nessuna tregua con la borghesia. Anche se noi, nella questione della difesa del paese, andiamo in Parlamento, nelle commissioni e così via, ciò non significa che noi interrompiamo la nostra lotta contro la borghesia. No, tale lotta noi la portiamo sempre più avanti, nessuna tregua con la borghesia. Noi sappiamo - e questo lo abbiamo sottolineato con particolare rilievo nella risoluzione - che l'unico governo che è veramente in grado di lottare con tutte le energie contro l'ag­gres­so­re fascista è il governo della classe operaia. Ma se noi non siamo ancora in grado di prendere il potere e se il fascismo aggre­disce il nostro paese, nella situazione politica che si verrà a creare al momento dell'aggressione del fascismo noi ci porremo come compito concreto e immediato la creazione di un governo del fronte popolare, il quale dovrà assumere nelle proprie mani la causa della difesa del paese contro l'aggressore fascista.

   Qual è la nostra posizione rispetto all'attuale governo? In primo luogo, per ciò che riguarda il bilancio militare, non possiamo votare a favore di questo bilancio, poiché la sua approvazione può significare soltanto l'approvazione dell'intera politica militare e della politica este­ra della borg­hesia. Ciò significherebbe la cessazione della lotta contro la bor­ghesia stessa. Tuttavia, rispetto alle proposte concrete che in qua­lunque momento possono essere avanzate dal governo per una migliore orga­niz­za­zione della difesa del paese contro l'aggressore fascista, rispetto a tali proposte concrete noi possiamo astenerci dal voto. Io richiamo l'atten­zione dei compagni su questa questione, poiché noi proponiamo qui una certa modifica della formulazione che è contenuta nel progetto di riso­lu­zione che i compagni hanno ricevuto, una modifi­ca che ha lo scopo di dare una risposta concreta a questa importantissi­ma questione riguardante la nostra politica.

   Alla fine di questo paragrafo, a pagina 7 del testo tedesco, si dice:

   «I comunisti votano contro il bilancio militare in generale, ma ciò non esclude la scelta di un'astensione motivata nella votazione di diverse misure difensive, che per il loro carattere rendano effettiva­mente più difficile l'attacco dell'aggressore, come ad esempio la fortifi­cazione dei confini».

   Questo per quel che riguarda le diverse misure che possono essere proposte dal governo per l'organizzazione di una migliore difesa con­tro l'aggressore. C'è poi anche una serie di altre misure che possono aiutare la popolazione ad opporre una resistenza contro l'aggressore. Misure come, ad esempio, la distribuzione di maschere antigas, come l'orga­niz­za­zione di un'efficace difesa della popolazione attiva contro gli attacchi coi gas, come l'organizzazione di esercitazioni militari o paramilitari della popolazione. Per quanto riguarda queste ultime, la nostra posizione in quei paesi non può essere negativa. Rispetto a tali organizzazioni militari o paramilitari della popolazione, rispetto a que­ste esercitazioni militari o paramilitari in cui essa sarebbe coinvolta, noi dobbiamo prendere una posizione simile a quella presa sulla que­stione dell'esercito; non una posizione negativa, bensì la scelta di entrare in tali organiz­za­zioni per condurre al loro interno una lotta accanita ed energica per la democratizzazione delle stesse, per l'epura­zione da queste organizzazioni degli elementi fascisti che vogliono fare di esse un'arma di lotta contro il popolo. Noi dobbiamo inoltre lottare per una effettiva preparazione, su base democratica, della popolazione attiva alla lotta per la difesa del paese dall'aggressore fascista. Non c'è sicuramente bisogno, compagni, che io sottolinei davanti al Presidium l'importanza di questa direttiva. Tutti, non soltanto i membri del Presidium, ma anche i rappresentanti dei partiti, hanno l'obbligo di prendere una posizione assolutamente chiara su questa questione, di dirci se sono d'accordo con questa linea che noi proponiamo, che cosa essa significhi in concreto per ogni paese, per ogni partito, come pen­sano di attuarla in ogni paese.

   Alcune parole sulla questione della politica unitaria internazionale della classe operaia. Al punto 5 della risoluzione abbiamo elencato quattro elementi che a nostro avviso devono diventare il fondamento di una tale politica internazionale della classe operaia.

   1) Ripristino e rafforzamento della vera solidarietà internazionale proletaria per la difesa degli interessi delle masse lavoratrici, il che significa una rottura del partito socialista con gli interessi della propria borghesia.

   2) Sostegno generale alla politica di pace dell'Unione Sovietica quale baluardo di pace.

   3) Concentrare ogni volta i colpi contro l'aggressore fascista di turno, oggi contro il fascismo hitleriano quale principale fomentatore di guerra in Europa e contro il fascismo giapponese ad Oriente.

   4) Lotta autonoma del proletariato per il mantenimento della pace, indipendente sia dai governi capitalistici sia dalla Società delle Nazioni.

   Tuttavia, compagni, il nostro compito non si esaurisce con la for­mulazione di questi punti. È necessaria infatti un'energica lotta quoti­diana tra le fila della classe operaia, sulla base della quale sia possibile raccogliere non solo le forze dell'avanguardia, ma anche tutte le forze dei lavoratori.

   Da questo punto di vista come devono essere considerati i risultati della Conferenza di Londra? Noi crediamo che la Conferenza di Londra mostri un'ulteriore differenziazione all'interno della socialde­mocrazia.

   Tra le risoluzioni prese dalla Conferenza di Londra ve ne sono alcu­ne nelle quali non troviamo nessuna parola sull'organizzazione di un'azione internazionale contro la guerra, contro i guerrafondai, in quanto i capi socialdemocratici non sono stati in grado di mettersi d'accordo sulla definizione di una concreta linea di lotta, di lotta inter­nazionale unitaria della classe operaia contro i guerrafondai. Ciò mostra l'ulteriore processo di differenziazione che si è prodotto in seno alla socialdemocrazia. Questo significa ulteriori possibilità di sviluppo per la nostra politica volta alla costruzione di un fronte unitario, per la nostra lotta per la riunione delle forze della classe operaia. Il nemico numero uno contro cui dobbiamo oggi dirigere i nostri colpi è rappre­sentato dai complici di Hitler, che si trovano a capo di alcune organiz­zazioni della classe operaia. Si tratta in primo luogo dei leader del parti­to laburista, dei leader delle Trade Unions inglesi, i quali assumono oggi, all'interno della classe operaia, una posizione favorevole a Hitler. Sono questi dirigenti del partito laburista che, alcuni mesi fa, hanno sabotato la nostra politica del fronte unitario, per la creazione dell'unità internazionale della classe operaia, e che oggi conducono una politica che sanno rispondente all'interesse della propria borghesia e sottoposta alla sua influenza, una politica che incoraggia soltanto l'aggressore fascista e gli rende più facile organizzare la guerra in Europa. Nella risoluzione noi abbiamo cercato di dare una risposta agli argo­menti principali sostenuti da questi complici di Hitler. E' necessario, sulla base della linea tracciata dalla nostra risoluzione, portare avanti con maggiore energia la più intensa propaganda e la più vasta opera di infor­mazione in ogni paese, soprattutto in quei paesi nei quali i complici di Hitler sono ancora a capo delle organizzazioni operaie, come in Inghilterra e nei paesi scandinavi. Da questo punto di vista è necessario che una serie di nostri partiti studi di nuovo accuratamente le questioni dell'organizzazione della propria azione di agitazione e propaganda, le questioni di una guida migliore da parte del nostro Comitato centrale degli organi centrali dei partiti, che devono essere l'arma principale nella realizzazione di questa campagna. Anche noi, come Comitato esecutivo, come Presidium dell'Internazionale comunista, dobbiamo trarne alcune conclusioni, dobbiamo vedere come stanno le cose qui nel Comitato ese­cutivo, come vengono qui dirette e condotte l'agitazione e la propaganda dell'Internazionale comunista. Anche noi dobbiamo esaminare se da parte nostra viene fatto tutto il possibile per aiutare i partiti in questo senso. E concretamente dobbiamo dire: occorre rafforzare subito nella nostra propaganda il lavoro di informazione e l'attività editoriale in que­sto campo, la nostra lotta per il fronte unitario deve continuare. Noi sap­piamo che i nemici del fronte unitario hanno tentato di sfruttare le diver­se correzioni degli errori che erano stati fatti da alcuni dei nostri partiti nell'attuazione della linea del VII Congresso, per organizzare una nuova campagna contro il fronte unitario tra le fila della classe operaia. Essi hanno spiegato che l'Internazionale comunista ha rivisto la linea del VII Congresso, che l'Internazionale comunista rinuncia al fronte unitario.

   No, signori miei, non vi facciamo un regalo del genere. Abbiamo detto al VII Congresso mondiale che è giunta l'ora per i nostri partiti di fare politica, l'ora di rompere con il settarismo e di condurre in modo energico la lotta per l'unità della classe operaia contro il fascismo. Noi abbiamo conseguito alcuni risultati. Ma questi risultati li abbiamo rag­giunti proprio là dove abbiamo potuto condurre nella maniera più ener­gica la lotta contro gli elementi di destra dei socialdemocratici. Noi non sospenderemo questa lotta. Non interromperemo la nostra lotta per il fronte unitario. Non cesseremo la lotta contro l'ala destra della socialde­mocrazia. Queste due cose sono strettamente connesse e la lotta per la creazione del fronte unitario rappresenta il momento principale, il punto di partenza dell'intera nostra lotta per il mantenimento della pace.

   Per sottolineare ancora meglio tutto ciò, noi abbiamo deciso, nella commissione, di rielaborare ulteriormente il primo punto della risoluzione. Nel testo tedesco, a pagina 5, al punto 3, ultimo paragrafo, noi proponiamo la seguente formulazione:

   «Il passo decisivo per qualsiasi costruzione dell'unità d'azione del proletariato internazionale contro i guerrafondai consiste oggi nel fatto che i partiti comunisti conducono in ogni singolo paese, in tutti i setto­ri della vita politica e sociale, una campagna della massima intensità, tenace e imponente per il mantenimento della pace. Tutta questa cam­pagna deve essere condotta nel segno della lotta per la creazione dell'unità d'azione fra il partito comunista e il partito socialdemocrati­co, per cui devono essere promossi tutti gli sforzi per superare la resi­stenza dei capi reazionari socialdemocratici e per rafforzare in ogni modo i legami di una lotta comune contro il nemico comune tra le masse operaie comuniste e socialdemocratiche nei singoli paesi, in ogni singolo settore del fronte di lotta. Una tale campagna, una simile lotta, richiede l'attività e l'unione di tutte le forze del proletariato, non solo a livello del paese, ma anche a livello internazionale. Questo sviluppo del movimento per il fronte unitario del proletariato favorirà anche l'ingresso nel movimento degli altri strati dei lavoratori delle città, prima di tutto delle masse della piccola borghesia, dei contadini, degli intellettuali e degli altri fautori della pace. Tutto ciò accelererà la crea­zione di un saldo fronte dei popoli contro i guerrafondai».

   Così è costruito il nostro piano tattico-strategico per portare avanti la lotta per il fronte unitario, per continuare la lotta per la creazione dell'azione unitaria della classe operaia, per proseguire la lotta contro la parte reazionaria della borghesia e, sulla base della battaglia per la crea­zione del fronte unitario della classe operaia, per riunire assieme in un potente fronte mondiale della pace tutte le forze del popolo, tutti i fau­tori della pace. Questa è la linea che noi proponiamo in questo momen­to al Presidium dell'Internazionale comunista e all'intera Internazionale comu­ni­sta, a tutti i partiti dell'Internazionale comunista.

   Compagni, la risoluzione non è stata scritta per essere resa pubbli­ca. Noi crediamo che la risoluzione debba arrivare sotto forma di direttiva a tutti i nostri partiti e che sia compito dei nostri partiti, sulla base di tale risoluzione, sulla base di questa direttiva, organizzare con­cretamente nel proprio paese la lotta, stabilire gli obiettivi concreti, portare avanti secondo questa linea il lavoro di propaganda e di infor­mazione, l'agitazione e l'attività politica del partito, in maniera tale che noi, da tutti i paesi, possiamo colpire nella stessa direzione contro gli aggressori fascisti, contro i guerrafondai, per il fronte unitario della classe operaia, per l'organizzazione di un fronte mondiale della pace.

   Dobbiamo avanzare in questo momento una proposta alla Seconda Internazionale, agli organi dirigenti della Seconda Internazionale, per un'azione internazionale comune? Io credo che ciò non sia oggi da sot­tovalutare, poiché l'Internazionale comunista rappresenta un potere. Noi avevamo già fatto delle proposte ma le proposte sono state respin­te. La nostra lotta procede comunque in ogni paese. Questa è adesso la cosa più importante nella questione del fronte unico. Se noi ad ogni occasione formuliamo delle proposte, possiamo raggiungere l'effetto contrario, e cioè che la classe operaia non prenda più sul serio le nostre proposte. Il peso fondamentale della lotta per il fronte unico ricade oggi in ogni paese sull'azione di ogni nostro singolo partito. Lì vanno cercati i collegamenti con tutti gli elementi di sinistra della socialdemo­crazia, che oggi siano in grado di capire i compiti che si pongono e siano pronti a lavorare con noi in questo campo, soprattutto i collega­menti con gli elementi di sinistra che alla Conferenza di Londra si sono pronunciati decisamente contro la posizione dei capi di destra del par­tito laburista. E' questo il principale campo di lotta. Qui devono essere concentrate tutte le forze. Concentrando le forze noi raggiungeremo in ogni paese nuovi risultati nella nostra lotta. Compagni, noi abbiamo pensato che quest'anno la campagna e le manifestazioni del 1° maggio devono essere condotte nel segno di questa linea politica della lotta per il mantenimento della pace e per l'organiz­zazione di un fronte mondiale della pace. Le proposte concrete sono già state comunicate ai compagni. Io non le ripeterò. Nella proposta con­creta viene indicata la linea politica generale. Vengono indicati, come esempi, alcuni degli slogan principali e vengono dati anche consigli tat­tici ai partiti, il tutto allo scopo di organizzare in ogni paese una manife­stazione unitaria per il 1° maggio. Però, per raggiungere questo scopo, ogni partito deve fare concretamente o delle proposte al partito social­democratico sul piano nazionale o proposte diverse sul piano locale. Esso deve spiegare che è pronto a prendere parte alle manifestazioni organizzate dalle organizzazioni sindacali per arrivare in questo modo ad una manifestazione unitaria, o anche, laddove la forza del nostro par­tito sia troppo piccola, che esso è pronto ad unirsi con i nostri slogan alle grosse manifestazioni organizzate dal partito socialdemocratico. Questa dovrebbe essere la linea unitaria di tutti i nostri partiti.

   Le varie proposte di modifica, che io ho qui letto, non sono state ancora date ai compagni. Eppure io penso che sarebbe opportuno che il Presidium assumesse come base questa risoluzione e incaricasse il Segretariato di rivedere la risoluzione in via definitiva e di inviarla a tutti i partiti.

   Compagno Pieck: Veniamo ora alla discussione. Il compagno Kun ha la parola.

   Seduta del Presidium del 1.4.1936

  Riservato

  Compagno Ercoli (Conclusione):

   Compagni! Nella mia relazione ho cercato di esporre le idee fondamen­tali che sono alla base della nostra risoluzione e di indicare quanto di nuovo è in essa contenuto. Alcuni compagni, rappresentanti del partito, sono intervenuti qui riferendo una serie di ulteriori concrete realizzazio­ni che riguardano la politica del loro partito. Ciò è molto positivo e deve essere fatto da tutti i rappresentanti di partito, da tutti i partiti. Io però volevo dire qui ancora alcune parole per sottolineare nuo­vamente un elemento particolare che non è stato ancora rilevato a suf­ficienza nel corso dell'intera discussione della riunione del Presidium. Il compagno Van Min ha spiegato che questa risoluzione ha un signifi­cato storico e il compagno Manuil'skij ha risposto sì, certamente, ma che si tratta adesso di attuare la risoluzione. Il compagno Kun ha qui sottolineato che noi, con questa risoluzione, facciamo dei concreti passi avanti nella definizione del nostro nuovo orientamento tattico, nella definizione della tattica della lotta contro la guerra, per il mante­nimento della pace. Questo è giusto.

   Compagni, a me sembra che dopo il VII Congresso e dopo questa discussione le questioni siano piuttosto chiare. Oggi non siamo più in una situazione simile a quella del 1914. Oggi ci troviamo in una situa­zione nuova: esiste l'Unione Sovietica, il primo Stato operaio; c'è il fascismo. Partendo dalla valutazione di questi due nuovi dati di fatto, arriviamo alla definizione della nostra intera tattica per la lotta contro il pericolo di guerra. Questo elemento teorico, io credo, è stato suffi­cientemente compreso e sottolineato dai compagni qui presenti. In questa risoluzione, però, è contenuto ancora un altro elemento, un ele­mento che è una parte costitutiva di questa risoluzione. E se oggi mi si chiedesse qual è la cosa più importante? Io risponderei, sì, certo, il cor­retto orientamento teorico e tattico è una questione molto importante e di vivo interesse. Ma in che modo conduciamo noi la lotta sulla base di questo nuovo orientamento tattico, in che modo e con quali mezzi, tramite quali azioni? Che cosa dobbiamo fare oggi e che cosa deve fare ogni partito per portare avanti la lotta sulla base di questo nuovo orientamento tattico? Questo è l'es­sen­zia­le in questo momento. E que­sto che dobbiamo sottolineare di nuovo alla fine della discussione.

   Che cosa significa l'attuazione di questa risoluzione? Noi abbiamo parlato per anni del pericolo di guerra, abbiamo condotto campagne, campagne internazionali, talvolta anche campagne internazionali non cattive. Abbiamo scritto articoli, abbiamo scritto anche buoni articoli. Ma dove siamo noi oggi? E dov'è l'elemento nuovo? Che cosa c'è oggi di nuovo nel mondo e che cosa si esige oggi da noi? La novità, oggi, è che la guerra è qui. Nella risoluzione noi diciamo apertamente che la guerra può scoppiare in qualunque momento in Oriente e in Europa. Questo è il nuovo elemento.

   Contemporaneamente noi diciamo anche: sì, possiamo ancora sal­vare la pace, possiamo ancora lottare per il mantenimento della pace. Ma in che modo? Solo se saremo in grado di coinvolgere il più possibi­le le masse nella lotta. Tutto il nostro orientamento rivoluzionario e tat­tico in questa questione dipende oggi da questo punto. Perché, compa­gni, noi mettiamo in primo piano la questione del pericolo degli attac­chi del fascismo hitleriano contro i piccoli Stati, contro il popolo della Francia, del Belgio, della Cecoslovacchia, della Polonia, contro il popolo cinese, contro il popolo della Mongolia? Perché? Non soltanto perché ciò è dettato dalla situazione odierna, ma anche perché questo modo di porre la questione ci permette di mobilitare le masse, di mobilitare questi milioni di persone contro il pericolo della guerra. Ciò ci permette di mobilitare anche la classe operaia e i popoli.

   Perché oggi, nella lotta contro la guerra, concentriamo in maniera così intensa i nostri sforzi contro il fascismo hideriano? Perché ciò cor­risponde alla situazione oggettiva. Perché il fascismo hitleriano rappre­senta oggi il vero pericolo, il principale fomentatore di guerra che esi­sta in Europa. Ma questo allora ci deve consentire, sulla base delle esperienze che la classe operaia e il popolo intero hanno fatto della dit­tatura di Hitler, di mobilitare le masse, di mettere in movimento i lavo­ratori ed i popoli, di condurre una lotta contro il fascismo guerrafon­daio. Sì, la possibilità esiste. Ci sono Stati che oggi non sono interessati ad un immediato scoppio della guerra. Ma come possiamo sfruttare queste possibilità? Come possiamo sfruttare questa particolare circo­stanza, la situazione presente nei diversi Stati, per condurre in questo frangente una politica di pace? Ci sono popoli che sono minacciati nella loro indipen­den­za, che hanno una grande paura della guerra e che possono essere mobilitati contro il fascismo, contro gli attacchi del fascismo. Ma come li possiamo mobilitare? Come ottenere la mobilita­zione di questi popoli amici della pace che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione del mondo? Come mobilitare questi amici della pace, come ottenere che essi entrino in scena contro la guerra e contro il fascismo? Come ottenere che questo fronte della pace si organizzi su scala mondiale? E ancora, qual è il punto di par­tenza, che cosa abbiamo oggi nelle nostre mani, che cosa possiamo mettere in gioco per compiere velocemente altri passi? Questa è oggi la questione principale. E se proviamo a dare una risposta a questa que­stione, arriviamo alla conclusione che ciò di cui disponiamo è la forza del nostro partito, è la nostra forza di avanguardia della classe operaia, che è già organizzata nel nostro partito e che adesso dobbiamo mobili­tare per averla dietro di noi.

   Come siamo arrivati al fronte unico in Francia e in Spagna? Come siamo giunti in Francia ai patti con il Partito socialista francese? Qual è stato il primo passo per organizzare il fronte popolare contro il fasci­smo? È stato tramite l'azione, tramite l'azione autonoma del nostro partito, è stato tramite le campagne, gli incontri e le lotte organizzati contro il fascismo dal nostro partito che in Francia siamo giunti al fronte unico. Lo stesso è successo in Spagna. In Spagna abbiamo supe­rato l'opposizione di una parte dei capi socialdemocratici al fronte unico grazie all'organiz­za­zio­ne della lotta della classe operaia, grazie all'iniziativa autonoma del nostro partito. E se noi poniamo la questio­ne da questo punto di vista, compagni, dobbiamo giungere alla conclu­sione che una parte della responsabilità per il fatto che il fronte della lotta contro la guerra e per la pace non sia ancora organizzato in forma più massiccia - in Europa come nel resto del mondo - ricade sui nostri stessi partiti e non dipende soltanto dalla resistenza opposta dalla socialdemocrazia. Proprio per questo nella nostra risoluzione abbiamo sottolineato in modo particolare la necessità di azioni autonome da parte dei nostri partiti come punto di partenza. Attraverso queste azio­ni autonome possiamo mobilitare gli operai socialdemocratici. Attraverso la pressione degli operai socialdemocratici possiamo costringere i leader socialdemocratici ad aderire al fronte unitario, ad intraprendere azioni internazionali in comune con noi. Attraverso l'organizzazione del fronte unitario della classe operaia possiamo mobilitare ampi strati della popolazione, i lavoratori, gli intellettuali, la piccola borghesia, i popoli che sono pronti per l'indipendenza a lottare contro l'aggressore fascista, per il mantenimento della pace. Questo è il punto di partenza, questo è il senso dell'intera risoluzione che oggi noi scriviamo. Non basta parlare soltanto della svolta teorica e considerare solo questa. La cosa più importante, la cosa essenziale, la cosa di più vivo interesse è l'azione che adesso i nostri partiti cominceranno a dispiegare contro la guerra, per mobilitare le masse. E che cosa biso­gna fare? L'esperienza della lotta contro la guerra in Abissinia non è affatto una buona esperienza, poiché noi in questa campagna, su que­sto terreno, non abbiamo fatto abbastanza e oggi i guerrafondai sono andati avanti, mentre noi siamo rimasti allo stesso livello. Dove sono gli incontri internazionali? Prima della guerra del 1914 furono organizzati dal partito socialdemocratico, in questo periodo, grandi incontri internazionali contro la guerra. Cosa che rappresentò un modo di mobilitare le forze della classe operaia contro la guerra. Oggi su questo terreno non abbiamo ancora raggiunto alcun risultato di rilievo. In Francia, in Spagna, in Cecoslovacchia e in Belgio stiamo svolgendo un'attività insufficiente per raggiungere simili risultati. Però è questo che noi oggi dobbiamo fare per assolvere i nostri compiti.

   Che cosa facciamo noi in Parlamento? Dove sono i discorsi? Dov'è la lotta dei nostri compagni, dei nostri gruppi in Parlamento per mobi­litare da questa tribuna gli operai, i lavoratori e la popolazione nella lotta contro la guerra? Anche qui c'è un'insufficiente educazione da parte dei nostri partiti, un'insufficiente utilizzazione di tutte le altre possibilità di cui disponiamo, fra cui ad esempio l'azione all'interno dei comuni e tutti i vari collegamenti con i socialdemocratici e con le organizzazioni sindacali. In che modo abbiamo cercato attraverso le organizzazioni sindacali di organizzare la lotta contro la guerra in modo da estenderla il più possibile? In vari paesi esistono ampie possi­bilità per un'azione ulteriore dei nostri partiti. Queste possibilità non vengono ancora sfruttate.

   Dove sono le nostre azioni volte ad impedire il trasporto delle armi, armi che vanno ai paesi nei quali i guerrafondai preparano la guerra? Dove sono le azioni che i nostri partiti hanno cercato di organizzare attraverso i sindacati, in collegamento con gli operai, in collegamento con le masse lavoratrici socialdemocratiche, in collegamento con setto­ri dei partiti socialdemocratici? Dove sono? Queste azioni ancora non esistono. Manca ancora questa vasta mobilitazione di tutte le nostre forze, che ci permetterà di proseguire la lotta. Ogni giorno leggiamo sui giornali di un nuovo incidente avvenuto al confine dell'Unione Sovietica tra militaristi giapponesi e soldati della Mongolia. Leggere tutto ciò è già diventato un'abitudine. Manca la reazione dei nostri partiti. Dov'è un vasto movimento di protesta contro l'imperialismo giapponese, contro la cricca militare giapponese, che si sprigioni in tutte le capitali d'Europa? Dove e come, partendo da questi dati di fatto, i nostri partiti organizzano movimenti di massa? Dov'è questo vasto movimento? Questi movimenti ancora mancano. Mi sembra che il dibattito su questa questione, che adesso abbiamo posto nel Presidium, non sarebbe completo se noi non sottolineassimo in misura sufficiente la necessità della mobilitazione di massa, il nuovo orienta­mento tattico, gli ulteriori passi in avanti compiuti rispetto alla linea del VII Congresso, nella sua applicazione. Giustissimo! Adesso ogni partito deve conformare concretamente i propri comporta­menti a que­sta linea. Dov'è questa azione ora che abbiamo la guerra? Dove resta, compagni, la nostra forza? Come possiamo mobilita­re le nostre forze? Noi non vogliamo che dopo questo dibattito vengano organiz­zati la solita campagna, alcuni incontri, alcune dimostrazioni e così via. No, compagni, noi pretendiamo dai partiti una mobilitazione di tutte le forze in tutti i campi, lo pretendiamo in particolare dal partito inglese, lo pretendiamo anche dal partito tedesco. I nostri partiti non devono cercare argomenti per dimostrare che non è possibile mobilitare le masse. No, compagni, il fronte unitario l'abbiamo ottenuto con la lotta in Francia, l'abbiamo ottenuto con la lotta in Spagna. Il fronte unitario per la lotta contro la guerra, il fronte popolare per la pace noi lo rag­giungeremo solo tramite la mobilitazione di tutte le nostre forze. Questo è il compito fondamentale e per la realizzazione di questo com­pito dobbiamo impegnare tutte le forze. (Applausi)

   Compagni! Io propongo che il Presidium non solo approvi come base la bozza della risoluzione e incarichi il Segretariato di rivederla in forma definitiva, io propongo anche, in relazione alla necessità di una mobilitazione di tutte le forze del nostro partito e dell'Internazionale comunista, di prendere un'altra particolare decisione per l'attuazione di questi compiti nella lotta contro la guerra.

   Leggo dalla bozza:

   «Il Presidium del Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista propone al Comitato centrale dei partiti comunisti dei paesi capitalisti:

   1) di dare un giudizio urgente circa la risoluzione sul pericolo di guerra, di trarre da essa le necessarie e concrete conclusioni in merito all'applicazione delle indicazioni e delle disposizioni tattiche in essa contenute per tutti i settori dell'attività di partito in considerazione delle condizioni concrete del proprio paese; così come di diffondere queste disposizioni fra le fila del partito e fra le masse e di promuovere, nello spirito della risoluzione, le confacenti manifestazioni pubbliche;

   2) di prendere in mano nella maniera più energica possibile l'esame dell'atteggiamento generale degli organi centrali del partito, così come del giornale del partito e della sua attività editoriale, allo scopo di rafforzarli e migliorarli al massimo;

   3) di controllare le loro sezioni per l'agitazione e la propaganda, partendo dalla necessità di un urgente innalzamento del contenuto qualitativo dell'agitazione e della propaganda e di un miglioramento generale dei loro metodi e dei loro mezzi;

   4) di controllare l'attività dei rappresentanti del partito in Parla­mento e nei comuni, per trasformarli in organi effettivi per l'attuazione della politica del partito, per una più ampia utilizzazione della tribuna parlamentare per la propaganda e per la mobilitazione delle masse;

   5) di informare regolarmente il Segretariato del Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista sulle misure concrete adottate dai partiti per l'applicazione della risoluzione».

   Per quanto riguarda il miglioramento del nostro lavoro di propa­ganda, io propongo la seguente risoluzione:

   «Il Presidium del Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista propone al Segretariato:

   1) di rivedere e rafforzare con urgenza la sezione per la propaganda e l'organizzazione di massa presso il Comitato esecutivo dell'Interna­zionale comunista, in modo che venga assicurato un sostegno puntuale ed efficace ai partiti nel campo dell'attività di agitazione e propaganda, nel campo della stampa, dell'attività editoriale e della lotta ideologica contro il nemico di classe, specialmente contro gli argomenti di coloro che istigano alla guerra, dei loro agenti e dei loro galoppini presenti tra le fila delle masse lavoratrici;

   2) di rivedere e rafforzare in questo senso e in questa direzione anche tutta la propria attività editoriale». Io chiedo al compagno Pieck di mettere ai voti queste proposte. La redazione finale di queste proposte può essere lasciata al Segretariato.


Note


[1] Il 1° aprile 1936 si concluse il ciclo di sedute del Presidium dell'IKKI, inizia­to il 23 marzo 1936. Togliatti intervenne con una relazione in qualità di presi­dente della commissione per la preparazione delle risoluzioni del Presidium dell'IKKI sugli obiettivi più importanti della lotta contro la guerra e il fascismo. Alla discussione della relazione e del progetto di delibera proposto parteciparo­no B. Kun, Wang Ming, V. Kolarov, B. Williams (V. Michajlov), W. Pieck. To­gliatti pronunciò anche il discorso conclusivo. Al termine della seduta venne approvata la risoluzione dell'IKKI del 1° apri­le 1936, nella quale erano formulate molte nuove posizioni della politica del Co­mintern nella lotta contro la guerra e il fascismo. Se ne veda il testo in Agosti, La Terza Internazionale, vol. III/2, pp. 999-1010.