I
La lotta politica e di classe negli anni 1944-48 nell'Europa dell'Est

L'Ungheria

Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, volume XI
edizione italiana, Teti editore, Milano 1978, pp. 106-117


La liberazione dell'Ungheria da parte dell'Ar­mata rossa, iniziata già nell'ottobre del 1944, e il ristabilimento della sua indipendenza, fu­rono portati a termine nell'aprile del 1945. Ma già nel dicembre 1944 il Fronte nazionale ungherese per l'indipendenza, sorto per inizia­tiva del Partito comunista ungherese, aveva formato a Debrecen una Assemblea nazionale provvisoria che rappresentava le popolazioni dei territori fino ad allora liberati e aveva costituito un governo nazionale provvisorio nel quale entrarono i rappresentanti dei partiti comunista, socialdemocratico e nazional-contadino, e i rappresentanti del partito dei piccoli proprietari e anche alcuni hortisti con alla te­sta l'ex comandante della I armata ungherese, Bela Miklos, che avevano rotto i rapporti con il regime di Horty, ormai fallito. Il 28 dicem­bre 1944 il governo ungherese dichiarava guer­ra alla Germania hitleriana e il 20 gennaio 1945 firmava l'armistizio con l'URSS e i suoi alleati della coalizione antihitleriana. Già dal gennaio all'aprile 1945, mentre la guerra era ancora in corso, il governo nazionale provviso­rio adottò una serie di misure dirette a sradi­care il fascismo, a liquidare le conseguenze del­la guerra e ad attuare alcune trasformazioni democratiche.

Una grande importanza per il successivo svi­luppo democratico del paese è stata rivestita dal decreto sulla liquidazione del sistema del­la grande proprietà fondiaria e la distribuzione della terra ai contadini, approvato dal governo il 17 marzo 1945. Erano soggetti a confisca tutti i possedimenti dei caporioni fascisti e degli altri criminali di guerra, mentre lo Stato comperava tutti gli altri che, appartenendo agli agrari, superavano i 100 acri e quelli della bor­ghesia rurale superiori ai 200 acri. Nel corso di un mese e mezzo la riforma agraria era cosa fatta in tutto il territorio del paese. Più di 600 mila famiglie di braccianti e di contadini senza terra ne ricevettero.


LE ELEZIONI ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE
E LA FORMAZIONE DEL BLOCCO DELLE SINISTRE

La completa liberazione del paese aveva por­tato in primo piano il problema della riorga­nizzazione dell'economia su basi pacifiche e quello di garantire l'approvvigionamento del­le città. Grazie all'aiuto dell'Unione Sovietica, prestato sotto le forme più diverse che anda­vano dal mantenimento dell'ordine pubblico da parte degli organi dell'amministrazione mi­litare sovietica alla partecipazione ai lavori di riattivazione dei mezzi di trasporto e di comu­nicazione, di ricostruzione degli stabilimenti industriali, alla fornitura di generi alimentari, ai prestiti, eccetera, l'Ungheria riuscì a sfuggi­re alla fame provocata dalla carestia del 1945.

Con l'aiuto di reparti dell'Armata rossa che occupavano il paese poterono essere ricostruiti i ponti sul Danubio e sul Tibisco, di enorme importanza economica per l'Ungheria.

Ai problemi del ripristino dell'economia na­zionale, che costituivano il compito fondamen­tale che stava di fronte al paese, era stata dedi­cata l'attenzione della conferenza del Partito comunista ungherese, svoltasi a Budapest il 20 e 21 maggio 1945. All'epoca della conferenza il partito contava già 150 mila iscritti e si era ormai trasformato in una organizzazione di massa, avanguardia rivoluzionaria della classe operaia. La conferenza approvò la linea del partito per l'ulteriore rafforzamento del Fronte nazionale ungherese per l'indipendenza, l'unio­ne di tutte le forze democratiche e l'intensifi­cazione della lotta contro la reazione. Dopo la fine della guerra, intanto, nel Fronte naziona­le ungherese per l'indipendenza, estremamente eterogeneo, si fecero sentire più acutamente che per il passato divergenze su molti dei più importanti problemi dello sviluppo del paese.

Tra questi problemi i principali erano quelli legati alla complessa situazione economica: la cessazione del lavoro negli stabilimenti che avevano prodotto per gli eserciti hitleriano e hortista e che non erano stati riconvertiti per i bisogni civili; il volume della produzione in­dustriale, caduto nel 1945 a meno di un ter­zo rispetto all'anteguerra; la riduzione delle entrate fiscali rispetto alle uscite in misura da non coprire neanche la ventesima parte di queste ultime. Inoltre nel paese si era mani­festata una disoccupazione di massa.

È in queste condizioni che ebbe inizio un nuo­vo rimescolamento delle forze politiche. Il Par­tito dei piccoli proprietari, che in Parlamento appoggiava la coalizione delle forze di sinistra, cominciò lentamente ad accostarsi agli elementi reazionari che ancora operavano nella legalità cercando con tutti i mezzi di inserirsi negli or­gani del potere allo scopo di utilizzarli per mi­nare le già scarse conquiste democratiche del popolo. Non furono rari i casi di agrari che, puntando su questi anelli deboli dell'apparato statale, cercarono di riprendersi la terra. Alcuni imprenditori tentarono, non senza successo, di ostacolare la creazione e il funzionamento degli organi del controllo operaio nelle fabbriche e nelle officine. I dirigenti di destra del Partito dei piccoli proprietari affermavano che i co­munisti erano responsabili delle difficoltà che il paese stava attraversando e che l'uscita dalla grave situazione era possibile solo con la col­laborazione con le potenze occidentali. Queste cercarono più di una volta di interferire negli affari ungheresi e non nascondevano le loro simpatie per la parte più reazionaria del Partito dei piccoli proprietari. Il 18 luglio 1945 il pre­sidente statunitense Truman dichiarò di consi­derare il governo ungherese, come quelli della Romania e della Bulgaria, «scarsamente rap­presentativo».

La reazione ungherese svolgeva una propagan­da antisovietica e anticomunista aperta. Essa era aiutata attivamente dalla Chiesa cattolica, diretta da Jozsef Mindszenty che aveva otte­nuto la berretta cardinalizia nel settembre 1945. Le sue lettere pastorali e le sue predi­che erano tutte rivolte contro ogni trasforma­zione democratica, in difesa dei criminali di guerra. Anche i dirigenti di destra del Partito socialdemocratico assunsero posizioni antico­muniste.

La proposta del Partito comunista ungherese di presentarsi alle imminenti elezioni con una unica lista di candidati del Fronte nazionale ungherese dell'indipendenza fu accettata dal solo Partito nazional-contadino. I comunisti riuscirono a ottenere solo l'impegno degli al­tri partiti di conservare la coalizione governa­tiva dopo le elezioni.

Le elezioni per l'Assemblea nazionale ebbero luogo il 4 novembre 1945 e si svolsero in con­dizioni oltremodo sfavorevoli per il Partito comunista ungherese in quanto i dirigenti de­gli altri partiti, all'infuori di quelli del Partito nazional-contadino, cercarono di isolarlo. Una partecipazione del Partito comunista ungherese in condizioni di parità con gli altri partiti era anche ostacolata dal fatto che, a eccezione del­l'esercito e della gendarmeria, il vecchio appa­rato dello Stato era rimasto intatto. Tuttavia, grazie alla loro linea conseguente, che accoglie­va le rivendicazioni della nazionalizzazione del­le miniere e delle centrali elettriche, della lot­ta contro la speculazione e l'inflazione, del­l'imposizione fiscale sui capitali, della conces­sione di crediti alle nuove aziende contadine, del miglioramento delle condizioni di vita di tutti i lavoratori, eccetera, i comunisti seppe­ro raggruppare attorno a loro una parte con­siderevole della classe operaia. Con i suoi 800 mila voti, pari al 17 per cento di quelli com­plessivi, il Partito comunista ungherese portò all'Assemblea nazionale 70 deputati. Era un risultato che dimostrava come in breve tempo il Partito comunista ungherese fosse diventato una grande forza politica che aveva conquistato posizioni decisive in una serie dei principali centri industriali del paese.

Il Partito socialdemocratico riuscì a far eleg­gere 69 deputati e il Partito nazional-contadi­no 23. Il Partito dei piccoli proprietari raccol­se il 57 per cento dei voti e portò all'Assem­blea nazionale 245 deputati. Nel complesso, quindi, le elezioni furono favorevoli a questo ultimo e alle forze della reazione che si servi­vano sempre di più di esso.

Dopo le elezioni fecero ritorno nel paese una parte degli aristocratici, degli agrari e dei col­laborazionisti fuggiti con gli hitleriani, e i go­verni della Gran Bretagna e degli USA deci­sero di allacciare relazioni diplomatiche con l'Ungheria.

Nel nuovo governo, presieduto da Zoltàn Tildy del Partito dei piccoli proprietari, questo partito aveva la metà dei posti: 9 su 18. Quat­tro posti ministeriali erano andati ai rappre­sentanti del partito comunista e di quello so­cialdemocratico. Del governo faceva parte an­che un membro del Partito nazional-contadino.

E poiché i ministri socialdemocratici seguivano per lo più il Partito dei piccoli proprietari, il contrattacco della reazione su tutti i fronti del­la lotta politica, economica, sociale e culturale risultava facilitato.

Le iniziative progressiste dei ministri comuni­sti si scontravano inesorabilmente con la mag­gioranza reazionaria del Parlamento e con la parte reazionaria del governo. Malgrado ciò il Partito comunista ungherese, ricorrendo alle più diverse forme e metodi di mobilitazione della classe operaia, riuscì lentamente a far sì che il controllo operaio dal basso, introdotto in molte imprese capitalistiche, assumesse una importanza sempre maggiore e che, per inizia­tiva dei comunisti e con l'appoggio della mag­gioranza dei socialdemocratici, diventasse con­trollo di Stato, esercitato dall'alto con prov­vedimenti di carattere antimonopolistico e an­ticapitalistico. La creazione degli organi del controllo operaio, che ebbe luogo in un clima di acuta lotta di classe, nel corso della quale il Partito comunista ungherese sostenne la maggioranza della classe operaia, fu un grande successo della democrazia ungherese.

Su insistenza del Partito comunista ungherese fu formato un consiglio centrale economico per la direzione di tutti i lavori necessari per ri­costruire l'economia del paese. Poggiando su uno dei reparti più numerosi e coscienti del proletariato ungherese, quello dei minatori, i comunisti riuscirono a far sì che nel dicembre 1945 l'Assemblea nazionale approvasse una legge che nazionalizzava, a partire dal 1° gen­naio 1946, le miniere di carbone. La ritirata delle destre su questo punto e l'appoggio dei socialdemocratici, furono determinati dal fat­to che il sabotaggio dei proprietari delle mi­niere non andava solamente contro gli interes­si della classe operaia, ma anche contro quelli di molti capitalisti che avevano bisogno di vedere i loro stabilimenti riforniti di combu­stibile.

Le forze di sinistra, guidate dai comunisti, ot­tennero un nuovo grande successo con la pro­clamazione dell'Ungheria a repubblica, avve­nuta il 1° febbraio 1946. Contro la repubblica all'Assemblea nazionale votò solo un piccolo gruppo di deputati: i monarchici e i clericali estremisti. Tildy fu eletto presidente della re­pubblica, mentre uno dei dirigenti di destra del Partito dei piccoli proprietari, Ferenc Nagy, veniva nominato primo ministro.

Scendendo a compromessi su una serie di questioni che non toccavano le basi del capi­talismo, la reazione sfruttava la propria pre­ponderanza nel Parlamento e le proprie posi­zioni nel governo per passare all'offensiva con­tro la principale conquista popolare: la ri­forma agraria. La destra del Partito dei pic­coli proprietari presentò un progetto di revi­sione della riforma agraria. Nelle diverse lo­calità gli organi reazionari delle amministra­zioni aiutarono gli agrari a cacciare i contadini dalle terre. Già nel gennaio 1946 in alcuni circondari un quinto delle terre distribuite era stato restituito ai vecchi proprietari o dichiarato soggetto alla restituzione.

Il Partito comunista ungherese fece di tutto per mobilitare i contadini in difesa delle loro conquiste, assicurando loro l'appoggio della classe operaia. Il partito comunista lanciò parole d'ordine diventate immediatamente po­polari: «Difendiamo la terra!», «Non resti­tuiremo la terra!». La paventata possibilità di veder restaurata la grande proprietà ter­riera mise in movimento le grandi masse dei lavoratori dei campi. Fu proprio in questo momento che si verificò un notevole cam­biamento nello stato d'animo dei contadini, che videro nei comunisti i veri difensori dei loro interessi e nella classe operaia un loro alleato. I contadini si misero ad appoggiare la richiesta del Partito comunista ungherese rivolta a epurare l'apparato statale dai rea­zionari.

Lo sviluppo del movimento di massa e l'esten­sione dell'influenza del partito comunista pro­vocarono l'attivizzazione della sinistra social­democratica e di quella nazional-contadina. Queste insistevano perché fosse accettata la proposta comunista della creazione, nel qua­dro del Fronte nazionale ungherese per l'in­dipendenza, praticamente paralizzato dalle de­stre, di un blocco più ristretto, costituito dal­le sole forze di sinistra, con alla testa la classe operaia. Il 5 marzo 1946 fu costituito il Blocco delle sinistre, del quale entrarono a far parte il Partito comunista ungherese, i par­titi socialdemocratico e nazional-contadino e i sindacati. La costituzione di questo Blocco non aveva solo lo scopo di riunire le forze democratiche, ma anche quello di aiutare le forze progressiste che si trovavano nel Par­tito dei piccoli proprietari e gli strati conta­dini e piccolo-borghesi che l'appoggiavano, nella lotta contro la reazione.

Il 7 marzo, promossa dal Blocco delle sinistre, ebbe luogo una grande manifestazione. A es­sa parteciparono 400 mila operai che non si limitarono a chiedere che le terre distribuite ai contadini fossero loro lasciate, ma chiesero anche che la riforma agraria fosse portata fino in fondo, che dall'apparato statale e dal Partito dei piccoli proprietari fossero allontanati tutti gli elementi reazionari, che fossero nazionaliz­zati alcuni settori dell'industria. Fu allora che una parte del Partito dei piccoli proprietari, capeggiata da Istvan Dobi, si dichiarò dispo­sta ad appoggiare il Blocco delle sinistre.

La pressione delle forze democratiche era stata tanto forte da indurre i capi del Par­tito dei piccoli proprietari a fare alcune con­cessioni. Furono espulsi dal partito 21 depu­tati che si erano maggiormente compromessi con la reazione. Il 3 maggio 1946, l'Assem­blea nazionale approvò una legge che vietava di togliere ai contadini le terre da essi avute con la riforma.

In questo modo la classe operaia, diretta dal partito comunista e da tutto il Blocco delle sinistre, riuscì ad arrestare l'offensiva della reazione. L'alleanza della classe operaia con i contadini, posta sul solido terreno della lotta per le trasformazioni democratiche, si conso­lidò sempre più, come sempre più si rafforzò l'egemonia della classe operaia e la funzione dirigente del Partito comunista ungherese nel blocco delle forze democratiche.

Nel tentativo di ostacolare la ricostruzione economica e la stabilizzazione politica del­l'Ungheria, le autorità americane e britanni­che trattennero le riserve d'oro e di valuta pregiata della Banca Nazionale d'Ungheria che gli hitleriani e i collaborazionisti erano riu­sciti a trafugare nelle zone della Germania occupate dalle truppe delle due potenze. Qui era trattenuto anche il materiale rotabile del­le ferrovie ungheresi, le attrezzature asportate dal paese, eccetera. Ostacolando in tutti i mo­di lo sviluppo economico dell'Ungheria, gli USA e la Gran Bretagna cercavano di pre­sentare le difficoltà economiche come conse­guenza del permanere delle truppe sovietiche nel paese e dell'aumento della cooperazione magiaro-sovietica.

Una funzione positiva nello sviluppo dell'eco­nomia ungherese venne esercitata dalle so­cietà per azioni magiaro-sovietiche, costituite nell'aprile 1946 con i beni germanici che in base agli accordi di Potsdam erano stati as­segnati all'Unione Sovietica. I 69 stabilimenti amministrati da queste società contribuirono alla rinascita del paese e successiva­mente, ce­duti a titolo gratuito al popolo ungherese, servirono a rafforzare il settore socialista del­l'economia ungherese.

Il 1° agosto 1946, allo scopo di lottare contro la speculazione e l'inflazione, fu messa in circolazione, al posto del pengö svalutato, una nuova unità monetaria: il fiorino. Con la fornitura di merci, la rinuncia alla sua parte di riparazioni e altre forme di aiuto l'URSS contribuì a rafforzare la nuova valuta unghe­rese. Il superamento dell'inflazione, che per i capitalisti era stata una fonte di superprofitti e uno strumento di disorganizzazione dell'economia, migliorò le condizioni dei la­voratori. Dopo la realizzazione della riforma monetaria, per iniziativa del Partito comuni­sta ungherese e delle sinistre degli altri par­titi, allo scopo di stabilizzare l'economia, fu­rono introdotti gli ammassi obbligatori dei prodotti agricoli e il pagamento in natura delle imposte agricole. Queste, e alcune altre misure, contribuirono a mettere un po' d'or­dine nei rifornimenti delle popolazioni urba­ne. Ma poiché questi provvedimenti non le­devano gli interessi dei soli contadini ricchi bensì anche quelli dei contadini medi, gli elementi reazionari e la destra socialdemo­cratica e del Partito nazional-contadino cer­carono di sfruttarli per minare l'alleanza ope­raio-contadina, cacciando le sinistre dai ri­spettivi partiti e liquidando lo stesso Blocco delle sinistre.

La lotta per tener unite tutte le forze demo­cratiche, per rafforzare l'alleanza della classe operaia con i contadini lavoratori, per con­solidare i legami del partito con la maggio­ranza della classe operaia che lo sosteneva, fu posta al centro dell'attenzione del III congresso del Partito comunista ungherese, svoltosi dal 28 settembre al 1° ottobre 1946, sedici anni dopo il II congresso. Il partito giunse al congresso come una grande orga­nizzazione di massa, che contava già più di 650 mila iscritti. In un proclama al popolo, il congresso affermò che soltanto una vera democrazia popolare era in grado di svilup­pare le forze produttive e migliorare le sue condizioni di vita. Il congresso lanciò parole d'ordine quali «Non costruiamo il paese per i capitalisti, ma per il popolo», «Via dalla coalizione i nemici del popolo», e elaborò un concreto programma d'azione per migliorare le condizioni dei lavoratori, che suscitarono vivo interesse e incontrarono l'approvazione di vasti strati popolari.


LO SMASCHERAMENTO DEL COMPLOTTO REAZIONARIO
L'ANNO DELLA SVOLTA

L'inflenza del partito comunista sulle masse era ormai tanto grande e il partito aveva po­sizioni così solide nella più grande organiz­zazione di massa della classe operaia - i sin­dacati, che nel 1946 contavano già più di un milione di aderenti - da costringere il go­verno, nel dicembre del 1946, a trasferire allo Stato, praticamente a nazionalizzare, 14 delle maggiori imprese dell'industria pesante. Alla fine del 1946 lavoravano per il settore statale già più del 43 per cento degli operai occupati nelle industrie manifatturiere ed estrattive.

Le posizioni chiave dell'economia venivano concentrate sempre di più nelle mani dello Stato, benché il potere non fosse ancora sta­to rimesso al popolo.

Nel gennaio 1947, attenendosi strettamente alla linea intesa a smantellare le posizioni delle forze reazionarie e a rafforzare quelle della classe operaia e delle masse lavoratrici, il Partito comunista ungherese pubblicò il progetto di un piano triennale per il ripri­stino dell'economia del paese. Questo piano, accuratamente preparato, era diretto al mi­glioramento del livello di vita dei lavoratori e al rafforzamento di un nuovo regime, de­mocratico, in Ungheria. Ciò avrebbe dovuto essere ottenuto con un sostanziale aumento dello sviluppo prebellico dei principali set­tori dell'industria, con la liquidazione delle maggiori sproporzioni nello sviluppo e nelle dimensioni delle forze produttive, con il rag­giungimento del volume d'anteguerra della produzione agricola. Era prevista l'attuazio­ne del piano grazie all'applicazione di una imposta progressiva sulle proprietà, cioè con una limitazione dei profitti dei capitalisti, e una giusta utilizzazione delle entrate statali.

Una delle condizioni decisive per la riorga­nizzazione dell'econo­mia, avrebbe dovuto es­sere rappresentata dalla nazionalizza­zione del­le banche, cioè dei centri finanziari che diri­gevano lo sviluppo di tutta l'economia. Ma il Partito dei piccoli proprietari riuscì a im­pedire, temporaneamente, la nazionalizzazione delle banche. I suoi dirigenti affermavano con insistenza che una misura del genere avrebbe fatto fallire l'economia del paese, che avreb­be potuto essere salvata solo da prestiti degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali.

Nello stesso tempo le destre socialdemocra­tiche, dirette da K. Peier, espulso dal par­tito nel 1946, e quelle del Partito nazional-contadino dirette da Imre Kovacs, tentavano di far saltare in aria il Blocco delle sinistre. Tale tentativo, però, fu decisamente condan­nato dalla maggioranza dei delegati del XXXV congresso del Partito socialdemo­cra­tico che si svolse dal 31 gennaio al 3 feb­braio 1947.

A quell'epoca si seppe di un complotto che si stava preparando contro la repubblica. Il complotto fallì, grazie alle misure adottate tempestivamente.

Il governo degli USA, che sosteneva i cospi­ratori, tentò più volte di esercitare pressioni sulle autorità ungheresi per impedire che i controrivoluzionari fossero smascherati. Ma questi tentativi non fecero che denunciare la partecipazione al complotto delle autorità statunitensi.

A mano a mano che il quadro del complotto andava delineandosi, cresceva l'indignazione delle masse. Una parte degli elementi di de­stra del Partito dei piccoli proprietari fu espulsa, un'altra parte uscì dalla direzione e dal partito. Il 3 giugno fu eletto presidente del partito uno dei suoi dirigenti di sinistra, Istvan Dobi. A capo del governo nuovamen­te formato per volontà del Parlamento fu posto, in rappresentanza del Partito dei pic­coli proprietari, Lajos Dinnyés. Ben presto fu imposto il controllo statale sull'attività delle grandi banche. In seguito, per inizia­tiva del partito comunista, l'Assemblea na­zionale approvò una legge sul completamento della riforma agraria, un articolo della quale vietava ai tribunali di dar corso alle denunce degli ex proprietari fondiari contro i conta­dini che avevano ottenuto la terra in virtù della riforma.

Il fallimento del complotto controrivoluzio­nario predeterminò quello di tutti i tentativi delle destre intesi a trascinare l'Ungheria nel sistema del «piano Marshall». L'11 luglio 1947 l'Assemblea nazionale approvò una leg­ge in base alla quale il 1° agosto 1947 sa­rebbe entrato in vigore il piano economico triennale elaborato dal partito comunista. Al successo della sua attuazione doveva contri­buire il trattato commerciale sovietico-magiaro, concluso il 15 luglio 1947, che garan­tiva la fornitura delle principali materie pri­me necessarie all'industria ungherese.

Tra i risultati del fallimento del complotto antipopolare ci fu l'allontanamento dagli or­gani centrali e locali del potere dei dirigenti reazionari. Poiché era apparso che le posi­zioni del Partito dei piccoli proprietari nel governo e nel Parlamento non corrisponde­vano più alla sua funzione e alla sua influen­za, fortemente diminuite, i partiti del Blocco delle sinistre riuscirono a far sciogliere il Parlamento e a far indire le elezioni all'As­semblea di Stato (nuova denominazione del Parlamento) per il 31 agosto 1947.

La campagna elettorale si svolse nel mezzo di una accanita lotta politica. I partiti rea­zionari rinfocolarono gli stati d'animo anti­comunisti e antisovietici. I circoli governati­vi statunitensi vennero incontro agli interessi della controrivoluzione tentando di intromet­tersi nella campagna elettorale, appoggiando il cardinale Mindszenty e altri monarchici che stavano preparando un nuovo complotto e organizzavano azioni terroristiche e sabotatrici. Non fu accolta la proposta del Partito comunista ungherese di creare un blocco elet­torale dei partiti governativi, con la presen­tazione di un'unica lista di candidati. Alle elezioni presero parte, oltre ai quattro partiti governativi, sei partiti, in rappresentanza dei diversi circoli reazionari.

Alle elezioni del 31 agosto il Partito comu­nista ungherese si aggiudicò 1 milione 118 mila voti, vale a dire 318 mila voti in più del 1945, e 100 seggi. Esso disponeva così della rappresentanza più considerevole nel massimo organo del potere statale. L'analisi dei risultati della consultazione dimostrò che per i candidati del partito comunista avevano votato dal 70 all'80 per cento dei minatori e il 65 per cento degli elettori dei centri dell'industria pesante. Nelle sei più grandi cit­tà del paese i comunisti avevano ottenuto più voti dei socialdemocratici. Il Partito comuni­sta ungherese era avviato con successo alla conquista della maggioranza della classe ope­raia. I risultati delle elezioni avevano dimo­strato che anche i contadini si erano spostati a sinistra: i comunisti ricevettero dai conta­dini 500 mila voti, i socialdemocratici 200 mila, il Partito nazional-contadino 350 mila.

In totale, i partiti di sinistra, che erano favo­revoli all'alleanza degli operai con i contadini, avevano ottenuto 1 milione 50 mila voti con­tadini. Questi partiti disponevano ora di qua­si la metà dei seggi parlamentari. Il Partito dei piccoli proprietari, che avevano perduto quasi 2 milioni di voti, aveva ottenuto solo 68 seggi, contro i 245 del 1945. Ma se molti elettori che in passato avevano sostenuto il Partito dei piccoli proprietari questa volta avevano votato per i partiti di sinistra, se in questo stesso partito si era registrato un raf­forzamento del suo nucleo democratico, parte dei suoi ex elettori aveva votato per partiti apertamente reazionari, che nell'Assemblea statale disponevano di 116 seggi. In questo modo la reazione, rappresentata soprattutto dal Partito democratico popolare, che poggia­va su una parte considerevole del clero catto­lico, e dal Partito ungherese dell'indipenden­za, filo-fascista, continuava a godere dell'ap­poggio di una parte degli elettori.

I partiti apertamente reazionari, con l'aiuto degli elementi di destra rimasti nel Partito dei piccoli proprietari e dei socialdemocratici di destra, cercarono di isolare il partito comu­nista nell'Assemblea di Stato. La destra so­cialdemocratica temeva le proposte del parti­to comunista intese al superamento della scis­sione della classe operaia e alla creazione di un unico partito marxista-leninista. Ma essa non riuscì ad approfondire le divergenze nel movimento operaio.

Con un chiaro programma governativo, rivol­to alla attuazione del piano triennale, alla eliminazione del passivo del bilancio statale, alla lotta contro il carovita, la speculazione e la corruzione, e con l'obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori e di riunire le for­ze della democrazia ungherese, il partito co­munista fece appello alle masse popolari, che lo sostennero con poderose manifestazioni.

Nel Partito socialdemocratico si rafforzò l'ala sinistra, diretta da György Marosan, Jozsef Horvath e altri, che erano fermamente su po­sizioni di stretta collaborazione con i comu­nisti.

Il 23 settembre 1947 fu formato il nuovo governo, nel quale entrarono 5 comunisti, 4 socialdemocratici, 4 membri del Partito dei piccoli proprietari e due membri del Partito nazional-contadino. Il governo era ancora pre­sieduto da Lajos Dinnyés e la sua composi­zione e il suo programma stavano a dimostra­re che il potere democratico-rivoluzionario an­dava trasformandosi con successo nella ditta­tura del proletariato, per via pacifica, con la conquista della maggioranza parlamentare.

Una manifestazione di questo processo si era avuta il 21 novembre 1947 con l'approvazio­ne della legge sulla nazionalizzazione delle banche. Secondo questa legge diventavano proprietà dello Stato anche tutte le aziende delle quali le banche possedevano più del 20 per cento delle azioni. La nazionalizzazione delle banche e il rafforzamento del settore sociale dell'economia che essa comportava, la nazionalizzazione delle miniere di bauxite e dell'industria dell'alluminio che la seguirono, consentirono che il settore statale dell'econo­mia, mentre si rafforzava la funzione dirigen­te della classe operaia, divenisse un fattore decisivo della vita economica del paese.

Contemporaneamente alla conquista da parte della classe operaia di posizioni decisive nel­l'economia del paese si andavano rafforzando anche le sue posizioni politiche. Nell'ottobre-novembre 1947 fu eliminato dalla vita poli­tica il Partito ungherese dell'indipendenza, fi­lofascista, del quale furono annullati i seggi parlamentari e confiscati i beni. In questo mo­do veniva eliminato un altro pilastro della con­trorivoluzione.

Nell'autunno del 1947 gli organi dirigenti del partito comunista, che stavano elaborando le direttive per la politica economica e studiando le modifiche da apportarsi all'agricoltura, giun­sero alla conclusione che la piccola conduzione non avrebbe mai potuto esistere a lungo indi­pendente, né soddisfare le necessità dello Stato in prodotti agricoli. Nelle direttive si dice­va che la politica economica del potere popo­lare a lungo termine avrebbe potuto essere attuata solo con la cooperazione, che avreb­be portato l'agricoltura «dai binari del capita­lismo a quelli del socialismo». Ma prima di risolvere il problema della riorganizzazione so­cialista dell'agricoltura era necessario risolvere una serie di altri problemi economici e sociali.

Il 25 marzo 1948 fu approvata la legge che nazionalizzava, con certi indennizzi, tutte le imprese con più di 100 dipendenti. Con l'ap­plicazione di questa legge il settore socialista divenne predominante nell'economia del pae­se. I grandi cambiamenti economici e sociali prodottisi nella situazione della classe operaia, elevatasi fino alla direzione del paese, influi­rono anche sull'aumento della coscienza degli operai. Nel gennaio 1948 si tenne la III con­ferenza del Partito comunista ungherese. Essa lanciò la parola d'ordine: «Il paese è tuo, ricostruiscilo per te!», che determinava l'es­senza dell'emulazione che si andava sviluppan­do nella produzione. Gli operai della fabbri­ca «Csepel», in un appello a tutta la classe operaia, dichiararono: «Stiamo ricostruendo la nostra patria, lavoriamo per migliorare e ab­bellire la nostra stessa vita [...] siamo diven­tati i padroni del paese; esso è nostro e lo ricostruiamo per noi!».

Lo sviluppo dell'emulazione coincise con il pe­riodo della lotta per superare la scissione po­litica, ideologica e organizzativa della classe operaia. Sostenuto dai sindacati e dalla parte fondamentale del Partito socialdemocratico, il partito comunista si schierò contro la teoria della «terza via» con la quale i riformisti ten­tavano di tener legata a sé la classe operaia. Il XXXVI congresso straordinario del Partito socialdemocratico, svoltosi dal 6 all'8 marzo 1948, si pronunciò per la creazione di un par­tito unico della classe operaia, con l'unifica­zione del partito social­democratico e di quello comunista. Dopo il congresso cominciarono le trattative in merito tra i due partiti.

Nel maggio 1948 furono pubblicati i progetti del programma e dello statuto del futuro par­tito unico della classe operaia ungherese. I do­cumenti, preparati in comune da comunisti e socialdemocratici, si basavano sui principi del marxismo-leninismo.

La formazione del partito unico dei lavoratori ungheresi, avvenuta al congresso di unifica­zione del partito comunista e di quello social­democratico, svoltosi a Budapest dal 12 al 14 giugno 1948, è stata una grande conquista della classe operaia ungherese. Presidente del nuovo partito venne eletto Arpad Szakasits, segretario generale Mathias Rakosi. Il nuovo Partito dei lavoratori ungheresi contava più di un milione di iscritti, su una popolazione di nove milioni di abitanti.

La creazione del Partito dei lavoratori unghe­resi, che si era avuta quando si stava raggiun­gendo con successo l'obiettivo del primo an­no del piano triennale, completava l'instaura­zione della dittatura del proletariato. Più tar­di il 1948 è stato chiamato «l'anno della svol­ta», in quanto, cominciato con il complotto controrivoluzionario del maggio 1947, era fi­nito con il congresso di unificazione del giu­gno 1948.


LA LINEA DI EDIFICAZIONE DELLE BASI DEL SOCIALISMO.
APPROVAZIONE DELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA POPOLARE UNGHERESE

Nell'affrontare i compiti dell'edificazione del­le basi del socialismo, il Partito dei lavoratori ungheresi e il potere popolare dedicarono grande attenzione alla formazione di una nuo­va concezione del mondo, alla democratizza­zione della cultura e della scienza. Il 16 lu­glio 1948 fu promulgata una legge che nazio­nalizzava le scuole. Passarono così allo Sta­to 6505 tra istituti scolastici e asili infantili, di cui 5032 scuole che si trovavano sotto la giurisdizione della Chiesa. Contemporanea­mente veniva iniziata l'azione per eliminare l'analfabetismo della popolazione adulta del paese.

Il 30 luglio Tildy si dimetteva da presidente della repubblica e il 3 agosto 1948 al suo posto veniva eletto l'ex esponente dell'ala sinistra della socialdemocrazia, uno dei dirigenti del Partito dei lavoratori ungheresi, Arpad Sza­kasits. A partire dal 10 dicembre 1948 il go­verno fu presieduto da Istvan Dobi.

Alla fine del 1948 il volume della produzione industriale superava il livello d'anteguerra. All'Ungheria si ponevano i compiti comples­si derivanti dalla necessità di modificare le strutture economiche. L'istituzione del mono­polio del commercio con l'estero, lo sviluppo del movimento di emulazione patriottica dei lavoratori nella produzione, la collaborazione dell'URSS, la. crescente cooperazione con gli altri paesi di democrazia popolare, aiutarono a risolvere i grandi problemi economici del paese.

Poggiando sulla funzione politica consolidata della classe operaia e sulla sua alleanza con i lavoratori dei campi, nonché sui successi del­l'industria, il potere popolare, nella seconda metà del 1948, passò a sviluppare l'agricol­tura statale e alla preparazione della produ­zione cooperativa delle aziende agricole. Ini­zialmente, di regola, entrarono a far parte delle cooperative i contadini più poveri. I soci delle cooperative avevano diritto, nella distribuzione dei proventi, oltre a quanto spettava loro per il lavoro prestato, anche a un compenso per la terra messa in comune.

Lo sviluppo della produzione cooperativa si scontrò con molte difficoltà, che derivavano dalla complessità dei problemi da risolvere.

Queste furono aggravate, sia dal ricorso a metodi amministrativi, sia dalla tendenza a frenare il processo di cooperativizzazione e a conservare le grandi aziende agricole indivi­duali, sostenuta dal ministro dell'agricoltura, Imre Nagy.

La lotta per l'attuazione del piano triennale e la linea diretta a creare le basi del sociali­smo, incontrarono la resistenza accanita dei nemici di classe.

Furono attuati numerosi atti di sabotaggio e danneggiamenti. I controrivoluzionari orga­nizzarono complotti. All'inizio del 1949 ne fu scoperto uno dei clericali e dei legittimisti, diretti dal cardinale Mindszenty, collegati ai circoli reazionari degli USA e agli Asburgo che si trovavano all'estero.

Lo sviluppo positivo dell'industrializzazione socialista, nonostante la complessità della si­tuazione, e i cambiamenti avvenuti nella strut­tura della popolazione, suggerivano la neces­sità di riorganizzare il Fronte nazionale unghe­rese dell'indipendenza. Nel febbraio 1949 es­so fu sostituito dal Fronte popolare ungherese per l'indipendenza, a far parte del quale entra­rono il Partito dei lavoratori ungheresi, il Par­tito nazional-contadino, il Partito dei piccoli proprietari, i sindacati e altre organizzazioni di massa. In relazione a ciò furono indette elezioni anticipate per l'Assemblea di Stato.

Nelle elezioni, svoltesi il 15 maggio 1949, il 95 per cento dei votanti diedero il loro suf­fragio ai candidati unici del Fronte popolare. Il 18 agosto 1949 l'Assemblea di Stato appro­vò la Costituzione della Repubblica Popolare Ungherese, che sanciva le principali conquiste del popolo ungherese e definiva le vie fondamentali lungo le quali il paese doveva avviar­si verso il socialismo.

In relazione ai compiti generali posti dallo svi­luppo economico e sociale, nella seconda metà del 1949 il governo nazionalizzò tutte le pic­cole imprese commerciali. Il 29 dicembre 1949 veniva approvato un decreto che, dietro un determinato indennizzo, nazionalizzava tutte le imprese industriali e dei trasporti che aveva­no più di dieci dipendenti e 60 stabilimenti, appartenenti a capitalisti stranieri, che non erano stati nazionalizzati in precedenza.

Nel dicembre 1949 i lavoratori dell'Ungheria raggiunsero in anticipo, in due anni e cinque mesi, gli obiettivi posti dal piano economico triennale. La produzione industriale, nel 1949, superava il livello di quella del 1938 del 53 per cento. Ma la produzione mercantile agrico­la rimaneva al 74 per cento di quel livello. Il 10 dicembre 1949 fu approvato il piano quin­quennale di sviluppo dell'economia della Re­pubblica Popolare Ungherese per gli anni 1950-1954.


LA POLITICA ESTERA

Da quando, il 20 gennaio 1945, fu firmato a Mosca tra i governi alleati e quello ungherese un accordo di armistizio, l'URSS continuò a prestare ogni genere di aiuto alle forze demo­cratiche dell'Ungheria, in lotta per estirpare le radici del fascismo e per assicurare al paese uno sviluppo libero e indipendente. L'accordo di cooperazione economica tra l'URSS e l'Un­gheria, concluso il 27 agosto 1945, fu il primo accordo economico dell'Ungheria postbellica.

Il 25 settembre 1945, seguirono il riconosci­mento diplomatico dell'Ungheria da parte del governo dell'URSS e la ripresa delle relazioni diplomatiche, con il che si cominciava a met­ter fine all'isolamento internazionale del paese. I rappresentanti dell'URSS, che erano a capo della commissione alleata di controllo, fecero sì che questa fosse guidata nella sua attività da obiettivi conseguentemente democratici.

Allorquando, nel novembre 1945, le forze rea­zionarie riuscirono a conseguire un momen­taneo successo in Ungheria, i governi degli USA e della Gran Bretagna si affrettarono ad allacciare con essa relazioni diplomatiche. Le missioni occidentali a Budapest diventarono i centri ispiratori della reazione ungherese. I legami con i governi occidentali erano facilitati dal fatto che il ministero degli esteri unghere­se e i suoi organi all'estero, erano a quell'epo­ca pieni di diplomatici hortisti e di altri diri­genti antipopolari.

Nel giugno 1946 una delegazione governativa ungherese guidata da Ferenc Nagy, visitò gli USA, la Gran Bretagna e la Francia. La rea­zione ungherese divenne considerevolmente più attiva mentre erano in corso le trattative per la conclusione del trattato di pace. Essa cercò di ostacolare l'appoggio finanziario dei paesi occidentali e giunse fino a condannare le rivendicazioni territoriali nei confronti del­la Romania, che i dirigenti del Partito dei pic­coli proprietari si apprestavano a presentare alla imminente conferenza della pace. Ma la Unione Sovietica non permise che nel trattato di pace fosse incluso nessun punto che limitas­se la sovranità dell'Ungheria o che facesse ina­sprire i rapporti con i suoi vicini. Una grande importanza per il rafforzamento della sovranità dell'Ungheria hanno avuto il largo aiuto eco­nomico prestatole dall'URSS e lo sviluppo di relazioni amichevoli con i paesi di democrazia popolare.

Il 6 dicembre 1947 fu sottoscritto il trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza magiaro-jugoslavo. Un analogo trattato fu fir­mato il 24 gennaio 1947 con la Romania, dopo che erano stati risolti i problemi oggetto di disaccordo tra i due paesi. Trattati analoghi, infine, furono firmati con la Polonia, il 17 giugno 1947, la Bulgaria, il 16 luglio, e con la Cecoslovacchia, il 16 aprile 1949.

Un fattore decisivo per la stabilizzazione della situazione internazionale dell'Ungheria fu il trattato di amicizia, cooperazione e mutua as­sistenza firmato il 18 febbraio 1948 dall'Unio­ne Sovietica e dall'Ungheria. Questo trattato, diretto alla difesa della pace e della sicurezza internazionali, costituiva una seria garanzia per lo sviluppo socialista dell'Ungheria.

Relazioni diplomatiche furono anche allacciate con una serie di paesi capitalistici quali l'Au­stria, la Turchia, l'Italia e altri.

Scatenata la «guerra fredda» e ostacolata, co­me per la Romania e la Bulgaria, l'ammissione dell'Ungheria all'ONU, i paesi occidentali, so­prattutto gli USA, tentarono più di una volta di immischiarsi negli affari interni dell'Unghe­ria, per proteggere e sottrarre alle giuste mi­sure di condanna i diversi nemici del potere popolare e per ostacolare lo sviluppo economi­co e culturale del paese. Ma l'Ungheria, so­stenuta dall'Unione Sovietica, respinse ener­gicamente tutti gli intrighi degli imperialisti. Essa prese posizione contro il «piano Mar­shall», condannò la politica di divisione della Germania seguita dagli USA e dai loro allea­ti e l'appoggio da essi dato ai militaristi e ai revanscisti tedesco-occidentali. L'Ungheria popolare salutò nel 1949 la na­scita della Repubblica Popolare Cinese e della Repubblica Democratica Tedesca, allacciando con entrambe relazioni diplomatiche.

Nel gennaio 1949 l'Ungheria prese parte alla costituzione del Consiglio di mutua assistenza economica.