Mao Tse-tung
SULLA TATTICA
CONTRO L'IMPERIALISMO GIAPPONESE


Scritto del 27 dicembre 1935, tratto da: Mao Tse-tung, Opere Scelte, Casa Editrice in Lingue Estere, Pechino, 1969, vol. I, pp. 163-190. Sulle circostanze in cui questo rapporto fu presentato si veda la nota contrassegnata dall'asterisco a pag. 114


LE CARATTERISTICHE
DELL'ATTUALE SITUAZIONE POLITICA


Compagni! Un grande mutamento si è verificato nella situazione politica. Il nostro Partito ha determinato i suoi compiti alla luce della nuova situazione.

Qual è la situazione attuale?

La situazione è oggi caratterizzata principalmente dal fatto che l'imperialismo giapponese vuole trasformare la Cina in una sua colonia.

E' noto che da quasi un secolo la Cina è un paese semicoloniale sotto il dominio congiunto di diversi Stati imperialisti. Grazie alla lotta del popolo cinese contro l'imperialismo e ai conflitti fra le po­tenze imperialiste, la Cina ha potuto conservare una posizione semindipendente. La Prima guerra mondiale aveva dato per un certo tempo all'imperialismo giapponese l'opportunità di stabilire il suo dominio esclusivo sulla Cina. Tuttavia, in seguito alla lotta del popolo cinese contro l'imperialismo giapponese e all'intervento delle altre potenze imperialiste, il trattato che consegnava la Cina al Giappone - le Ventuno richiest [1] - firmato da Yuan Shih-kai [2], il più grande traditore della patria di quel periodo, dovette essere dichiarato nullo. Nel 1922, alla Conferenza di Washington delle nove potenze, convo­cata dagli Stati Uniti, fu sottoscritto un patto [3] che poneva di nuovo la Cina sotto il dominio congiunto di diversi Stati imperialisti. Poco dopo, però, la situazione cambiò ancora. L'Incidente del 18 settembre 1931 [4] segnò l'inizio dell'attuale fase di trasformazione della Cina in colonia giapponese. Poiché l'aggressione giapponese era limitata in quel momento alle quattro province nord-orientali [5], alcuni pensava­no che gli imperialisti giapponesi non intendessero spingersi oltre. Oggi la situazione è del tutto diversa: gli imperialisti giapponesi hanno già manifestato la loro intenzione di penetrare a sud della Grande Muraglia e di occupare tutto il paese. Essi cercano di tra­sformare la Cina, che è ancora una semicolonia divisa tra diversi Stati imperialisti, in una colonia sotto il dominio esclusivo del Giappone. Il recente Incidente dello Hopei orientale [6] e le trattative diplomati­che [7] hanno chiaramente rivelato questa tendenza e minacciano l'esi­stenza stessa del popolo cinese. La situazione pone dinanzi a tutte le classi e a tutti i gruppi politici della Cina il problema: "Cosa fare?". Resistere? Capitolare? O tentennare fra le due soluzioni?

Vediamo come rispondono a questa domanda le varie classi cinesi.

Gli operai e i contadini vogliono la resistenza. La Rivoluzione del 1924-1927, la Rivoluzione agraria iniziata nel 1927 e tutt'ora in corso, e l'ondata antigiapponese che si è sollevata dopo l'Incidente del 18 settembre 1931 provano che la classe operaia e la classe contadina sono la forza più risoluta della rivoluzione cinese.

Anche la piccola borghesia è per la resistenza. I giovani studenti e la piccola borghesia urbana non hanno forse già dato inizio a un vasto movimento antigiapponese [8]? Gli appartenenti a questa sezione della piccola borghesia hanno già partecipato alla Rivoluzione del 1924-1927. La loro situazione economica, al pari di quella dei conta­dini, è tipica dei piccoli produttori, e i loro interessi sono inconciliabili con quelli degli imperialisti. L'imperialismo e la controrivoluzione cinese li hanno gravemente colpiti: molti sono rimasti senza lavoro, molti sono stati parzialmente o totalmente rovinati. Oggi, sotto la minaccia diretta di essere trasformati in schiavi di una nazione stra­niera, non hanno altra via d'uscita che la resistenza.

Come reagiscono dinanzi a questo problema la borghesia nazio­nale, la classe dei compradores, la classe dei proprietari fondiari e il Kuomintang?

I grandi tuhao, i grandi liehshen, i grandi signori della guerra, i grossi burocrati e i grandi compradores hanno fatto già da tempo la loro scelta. Come hanno sempre sostenuto, per essi la rivoluzione (non importa quale) è peggiore dell'imperialismo. E hanno formato il campo dei traditori della patria; per essi non esiste il problema di diventare o no schiavi di una nazione straniera, poiché hanno perduto ogni sentimento di amor patrio e i loro interessi sono inseparabili da quelli degli imperialisti. Il loro caporione è Chiang Kai-shek [9]. Il loro campo, il campo dei traditori, è il nemico giurato del popolo cinese. Se non ci fosse stata questa banda di traditori, l'imperialismo giapponese non avrebbe potuto lanciarsi in questa aggressione con tanto cinismo. Costoro sono i lacchè dell'imperialismo.

La borghesia nazionale costituisce un problema complesso. Questa classe prese parte alla Rivoluzione del 1924-1927, ma, in seguito, spaventata dalle fiamme della rivoluzione, passò nel campo dei nemici del popolo - la cricca di Chiang Kai-shek. Il problema che si pone è questo: nelle circostanze attuali, esiste la possibilità che la borghesia nazionale modifichi il suo atteggiamento? Noi riteniamo che esista, proprio perché la borghesia nazionale si distingue dalla classe dei proprietari fondiari e la classe dei compradores; fra esse esiste una differenza. La borghesia nazionale non ha un carattere feudale tanto spiccato come quello della classe dei proprietari fondiari, né un ca­rattere comprador così marcato come quello della classe dei compra­dores. La frazione della borghesia nazionale più strettamente legata al capitale straniero e alla proprietà terriera cinese è l'ala destra, e per ora non prendiamo in considerazione la possibilità che il suo atteggiamento cambi. Il problema si pone per le altre frazioni della borghesia nazionale che non hanno o hanno pochi legami di tal genere. Noi riteniamo che nella nuova situazione, che vede la Cina minacciata dal pericolo di essere trasformata in una colonia, il loro atteggiamento possa mutare. Particolare caratteristica di questo mutamento sarà l'oscillazione. Da un lato, queste frazioni non amano l'imperialismo, ma, dall'altro, temono una rivoluzione condotta fino in fondo, e oscil­lano fra l'uno e l'altra. Ecco perché hanno partecipato alla Rivolu­zione del 1924-1927 e poi sono passate, verso la fine, dalla parte di Chiang Kai-shek. In che cosa si differenzia il presente periodo dal 1927, anno in cui Chiang Kai-shek tradì la rivoluzione? La Cina era allora una semicolonia, oggi invece è sulla via di diventare una colo­nia. Cosa hanno guadagnato negli ultimi nove anni queste frazioni della borghesia nazionale abbandonando il loro alleato, la classe operaia, e stringendo amicizia con la classe dei proprietari fondiari e quella dei compradores? Nulla, tranne la rovina completa o parziale delle loro imprese industriali e commerciali. Noi riteniamo perciò che nelle attuali circostanze l'atteggiamento della borghesia nazionale possa mutare. Fino a che punto potrà mutare? In generale il tratto caratteristico del mutamento sarà l'oscillazione. Tuttavia, in alcune fasi della lotta sarà possibile che una frazione della borghesia nazio­nale (l'ala sinistra) partecipi alla lotta, e un'altra passi dall'oscillazione a una posizione di neutralità.

Di quali classi rappresenta gli interessi la 19ª Armata comandata da Tsai Ting-kai e da altri [10]? Rappresenta gli interessi della borghesia nazionale, degli strati superiori della piccola borghesia, dei contadini ricchi e dei piccoli proprietari fondiari nelle campagne. Tsai Ting-kai e i suoi seguaci non hanno combattuto accanitamente contro l'Esercito rosso? Sì, ma in seguito hanno concluso con esso un'alleanza per resistere al Giappone e combattere Chiang Kai-shek. Nel Kiangsi avevano attaccato l'Esercito rosso, ma in seguito, a Shanghai, hanno combattuto l'imperialismo giapponese; poi, nel Fukien, hanno con­cluso un accordo con l'Esercito rosso e hanno rivolto le armi contro Chiang Kai-shek. Qualsiasi cosa facciano in futuro Tsai Ting-kai e i suoi seguaci, e nonostante che a suo tempo il loro governo popolare del Fukien, agendo alla vecchia maniera, non abbia mobilitato il popolo alla lotta, il solo fatto che essi abbiano spostato il fuoco, prima diretto contro l'Esercito rosso, sull'imperialismo giapponese e Chiang Kai-shek, deve essere considerato un atto utile alla rivoluzione. Ciò costituisce una scissione nel campo del Kuomintang. Se la situazione creatasi dopo l'Incidente del 18 settembre potè portare al distacco di questo gruppo dal Kuomintang, perché la situazione attuale non potrebbe provocare nuove scissioni nel Kuomintang? Sbagliano quei membri del nostro Partito i quali affermano che il campo dei proprie­tari fondiari e della borghesia è unito e saldo, che nessuna circostanza può provocarvi dei mutamenti. Costoro non solo non comprendono la gravità della situazione attuale, ma hanno anche dimenticato la storia.

Permettetemi di dilungarmi un po' sulla storia. Nel 1926 e 1927, quando l'esercito rivoluzionario avanzò su Wuhan, l'occupò e penetrò nello Honan, Tang Sheng-chih e Feng Yu-hsiang [11] aderirono alla rivoluzione. Nel 1933, Feng Yu-hsiang cooperò per un certo tempo con il Partito comunista, nella provincia del Chahar, all'organizzazione dell'Esercito alleato antigiapponese.

Ed ecco un altro chiaro esempio. La 26ª Armata, che in precedenza aveva attaccato l'Esercito rosso nel Kiangsi assieme alla 19a Armata, non dette vita all'Insurrezione di Ningtu [12], nel dicembre 1931, e non divenne parte dell'Esercito rosso? I capi di questa insurrezione, Chao Po-sheng, Tung Chen-tang e altri, sono ora divenuti dei compagni che combattono risolutamente per la rivoluzione.

Anche le azioni contro gli invasori giapponesi condotte da Ma Chan-shan [13] nelle tre province nord-orientali rappresentano una scis­sione nel campo delle classi dominanti.

Tutti questi esempi dicono che quando l'intera Cina si trova sotto la minaccia delle bombe giapponesi, quando la lotta abbandona il suo ritmo abituale e improvvisamente avanza come un'ondata, si verifi­cano delle scissioni nel campo nemico.

Esaminiamo ora, compagni, un altro aspetto del problema.

E' giusto opporsi al nostro punto di vista, assumendo che la bor­ghesia nazionale cinese è debole politicamente ed economicamente, e concludere che non può mutare atteggiamento malgrado la nuova situazione in cui si trova? Io non lo ritengo giusto. Se a causa della propria debolezza la borghesia nazionale non è in grado di mutare il suo atteggiamento, perché ha potuto farlo negli anni 1924-1927 allorchè, non solo oscillò verso la rivoluzione, ma vi prese addirittura parte? Forse che la debolezza della borghesia nazionale è un difetto acquisito e non un difetto congenito? Forse che è debole oggi ma non lo era allora? Una delle principali caratteristiche politiche ed econo­miche di un paese semicoloniale è la debolezza della borghesia na­zionale. Per questa ragione gli imperialisti osano tiranneggiarla, e da ciò deriva una delle sue particolarità, l'avversione nei riguardi dell'imperialismo. Naturalmente non soltanto non neghiamo ma, al contrario, riconosciamo perfettamente che proprio per la debolezza della borghesia nazionale l'imperialismo, la classe dei proprietari fondiari e quella dei compradores possono facilmente trascinarla dalla loro parte con la lusinga di qualche vantaggio temporaneo; da qui la sua incoerenza nei confronti della rivoluzione. Ma non si può affermare che nell'attuale situazione la borghesia nazionale non dif­ferisca in nulla dalla classe dei proprietari fondiari e da quella dei compradores.

Per questo noi sosteniamo che quando la crisi della nazione rag­giunge un punto cruciale, nel campo del Kuomintang si producono delle scissioni. Esse hanno trovato la loro espressione nell'atteggia­mento oscillante della borghesia nazionale, e anche nella posizione assunta da personalità antigiapponesi come Feng Yu-hsiang, Tsai Ting-kai e Ma Chan-shan, un tempo molto popolari. Queste scissioni sono in sostanza sfavorevoli alla controrivoluzione e favorevoli alla rivoluzione. L'ineguale sviluppo politico ed economico della Cina e l'ineguale sviluppo della rivoluzione che ne deriva, aumentano la possibilità di tali scissioni.

Compagni! Questo per quel che riguarda il lato positivo del pro­blema. Vorrei parlare ora del lato negativo, ossia del fatto che nelle file della borghesia nazionale spesso alcuni elementi sono maestri consumati nell'arte di ingannare le masse popolari. Perché? Perché in seno alla borghesia nazionale, accanto a uomini che appoggiano sinceramente la causa rivoluzionaria del popolo, ve ne sono molti che per un certo tempo appaiono come dei rivoluzionari o dei semirivolu­zionari, e questo dà loro la possibilità di ingannare le masse popolari e rende difficile al popolo scoprire la loro incoerenza nella rivoluzione e la loro demagogia. Per questa ragione la responsabilità del Partito comunista di criticare i suoi alleati, smascherare i falsi rivoluzionari e conquistare la direzione della rivoluzione diventa ancora maggiore. Non riconoscere che in un periodo di grandi perturbazioni la borghesia nazionale possa essere oscillante e possa partecipare alla rivoluzione equivarrebbe ad abbandonare o, almeno, a minimizzare il compito del nostro Partito di lottare per assicurarsi la direzione della rivolu­zione; infatti, se la borghesia nazionale fosse assolutamente identica ai proprietari fondiari e ai compradores e avesse le stesse abiette sembianze dei traditori della patria, il problema della lotta per la direzione non si porrebbe più, o si porrebbe in modo limitato.

Nel fare una analisi generale dell'atteggiamento della classe dei proprietari fondiari e della borghesia nei periodi di grandi perturba­zioni, occorre rilevare un altro aspetto, la mancanza di completa unità perfino nel campo della classe dei proprietari fondiari e della classe dei compradores. Ciò è dovuto allo stato semicoloniale del paese, al fatto che parecchi Stati imperialisti si contendono il dominio della Cina. Quando la lotta è diretta contro l'imperialismo giappo­nese, i lacchè degli Stati Uniti e perfino della Gran Bretagna, obbe­dendo al fischio del padrone, possono impegnare una lotta velata, o anche aperta, contro gli imperialisti giapponesi e i loro lacchè. Si sono avuti molti casi di simili zuffe, e su di essi non mi sof­fermerò. Voglio soltanto ricordare che il politicante del Kuomin­tang Hu Han-min [14], a suo tempo gettato in prigione da Chiang Kai-shek, ha recentemente sottoscritto il Programma in sei punti per la resistenza al Giappone e la salvezza della patria [15] da noi proposto. I signori della guerra delle cricche del Kwangtung e del Kwangsi [16], sui quali si appoggia Hu Han-min, si sono anch'essi opposti a Chiang Kai-shek, lanciando parole d'ordine ingannevoli, come "riconquistare i territori perduti", "resistenza al Giappone e, nello stesso tempo, annientamento dei banditi" [17] (la parola d'ordine di Chiang Kai-shek è invece: "Prima annientare i banditi, poi resistere al Giappone"). Tutto questo vi sembra alquanto strano? Non vi è nulla di strano, è solo una zuffa particolarmente interessante fra molossi e cagnolini, fra cani sazi e cani affamati, non si tratta che di una crepa, di una crepa né grande né piccola, di una irritante e dolorosa contraddizione nel campo nemico. Ma queste zuffe, queste crepe, queste contraddi­zioni sono utili al popolo rivoluzionario, e dobbiamo saperle sfruttare per la lotta contro il nostro nemico principale di oggi.

Per riassumere la questione dei rapporti di classe, si può dire che il mutamento radicale della situazione, dovuto all'invasione della Cina a sud della Grande Muraglia da parte dell'imperialismo giap­ponese, ha modificato i rapporti fra le varie classi del paese, raffor­zando il campo della rivoluzione nazionale e indebolendo il campo della contro­rivoluzione.

Passiamo alla situazione nel campo della rivoluzione nazionale in Cina.

Soffermiamoci innanzi tutto sull'Esercito rosso. Voi sapete, com­pagni, che per circa un anno e mezzo i tre contingenti principali dell'Esercito rosso sono stati impegnati in un grande cambiamento delle loro posizioni. Nell'agosto dell'anno scorso il 6° Gruppo di Armate [18], al comando di Jen Pi-shih [19] e di altri compagni, iniziò il movimento verso la zona del compagno Ho Lung e, in ottobre, anche noi iniziammo il nostro trasferimento [20]. Nel marzo scorso iniziò il trasferimento anche l'Esercito rosso della regione di confine Szechuan-Shensi [21]. Questi tre contingenti dell'Esercito rosso hanno abbandonato le loro vecchie posizioni e sono passati in nuove zone. In seguito a questi trasferimenti generali, i territori che prima occu­pavano sono divenuti zone partigiane. L'Esercito rosso si è notevol­mente indebolito nel corso di questi cambiamenti di posizione. Se si considera la situazione d'insieme sotto questo aspetto, si può dire che il nemico ha ottenuto una vittoria parziale e temporanea e che noi abbiamo subito una temporanea e parziale sconfitta. E' giusta una simile affermazione? Io credo di sì, perché rispecchia la realtà. Tuttavia qualcuno (ad esempio Chang Kuo-tao [22]) afferma che l'Esercito rosso centrale [23] è stato sconfitto. E' giusta questa affermazione? No, perché non corrisponde alla realtà. Nell'esaminare i problemi, un marxista non deve considerare solo la parte, ma anche il tutto. Una rana nel pozzo diceva: 'Il cielo non è più grande della bocca del pozzo". Ciò non è vero, perché il cielo non è limitato alle dimensioni della bocca del pozzo. Se avesse detto: "Una parte del cielo è grande come la bocca del pozzo", avrebbe avuto ragione, perché ciò corri­sponde alla realtà. Noi diciamo che l'Esercito rosso ha, in un senso, subito una sconfitta (non è riuscito a mantenere le sue posizioni pri­mitive), e in un altro senso ha ottenuto una vittoria (ha portato a compimento il piano della Lunga Marcia). Anche l'avversario, in un senso, ha ottenuto una vittoria (ha occupato le nostre vecchie posizioni) e, in un altro senso, ha subito una sconfitta (non è riuscito a portare a termine il suo piano per le campagne di "accerchiamento e annien­tamento" e di "inseguimento e annientamento"). Questa è la sola impostazione giusta, poiché siamo riusciti a compiere la Lunga Marcia.

Parlando della Lunga Marcia, qualcuno potrebbe chiedere: "Quale è il suo significato?". Rispondiamo che la Lunga Marcia è stata una impresa mai vista nella storia, è stata un manifesto, una squadra di propaganda, una seminatrice. Da quando Pan Ku [t1] separò il cielo dalla terra, dall'epoca dei Tre Re e dei Cinque Imperatori [t2], ha mai la storia conosciuto una lunga marcia come la nostra? Per dodici mesi, dal cielo decine di aerei ogni giorno effettuavano ricognizioni e ci bombardavano; a terra un esercito forte di qualche centinaio di migliaia di uomini ci accerchiava, ci inseguiva, ci ostacolava nella nostra avanzata, ci intercettava; difficoltà e pericoli a non finire ci intralciavano il cammino. Nonostante ciò abbiamo percorso con le nostre gambe più di ventimila li, abbiamo attraversato in lungo e in largo undici province. Ditemi, si sono mai avute nella storia marce simili? No, mai. La Lunga Marcia è stata un manifesto. Essa ha annunciato al mondo che l'Esercito rosso è un esercito di eroi, che gli imperialisti e i loro servi, Chiang Kai-shek e simili, sono dei buoni a nulla. Ha proclamato il completo fallimento dei tentativi degli imperialisti e di Chiang Kai-shek di accerchiarci, inseguirci, ostacolarci nella nostra avanzata, intercettarci. La Lunga Marcia è stata anche una squadra di propaganda. Essa ha fatto sapere ai duecento milioni di uomini che popolano le undici province attraver­sate, che solo la via seguita dall'Esercito rosso è la via che porta alla loro liberazione. Senza la Lunga Marcia, come avrebbero potuto le larghe masse popolari sapere così presto che esiste questa grande verità incarnata dall'Esercito rosso? La Lunga Marcia è stata anche una seminatrice. Essa ha gettato in undici province numerosi semi che germoglieranno, e le piante si copriranno di foglie, daranno fiori, frutta e, nel futuro, abbondanti raccolti. In una parola, la Lunga Marcia si è conclusa con la nostra vittoria e la sconfitta del nemico. Chi l'ha portata alla vittoria? Il Partito comunista. Senza il Partito comunista, a una marcia simile non si sarebbe nemmeno potuto pen­sare. Il Partito comunista cinese, i suoi organi direttivi, i suoi quadri, i suoi membri non temono difficoltà e privazioni. Chi mette in dubbio la nostra capacità di dirigere la guerra rivoluzionaria cade nel pantano dell'opportunismo. Con il compimento della Lunga Marcia si è creata una situazione nuova. Nella battaglia di Chihlochen, l'Esercito rosso centrale e l'Esercito rosso del nord-ovest, fraternamente uniti, hanno infranto la campagna di "accerchiamento e annientamento" [24] lanciata dal traditore Chiang Kai-shek contro la regione di confine Shensi-Kansu, ponendo così la prima pietra nell'opera intrapresa dal Comi­tato centrale del Partito - il trasferimento nelle zone nord-occidentali del quartier generale nazionale della rivoluzione.

Questa è la situazione dell'Esercito rosso, che costituisce la forza principale; qual è invece la situazione della guerra partigiana nelle province meridionali? Le nostre forze partigiane hanno subito nel sud alcuni insuccessi, ma non sono state affatto distrutte. In molte località risorgono, si estendono e si sviluppano. [25] Nelle zone controllate dal Kuomintang, gli operai portano la lotta oltre le mura delle fabbriche e passano dalla lotta economica alla lotta politica. Fra le masse della classe operaia fermenta un'eroica lotta contro l'imperialismo giapponese e i traditori della patria e, a quanto pare, il giorno in cui essa divamperà non è lontano.

La lotta dei contadini non è mai cessata. Colpiti dall'aggressione straniera, le guerre intestine e le calamità naturali, i contadini hanno largamente sviluppato la loro lotta sotto forma di guerra partigiana, di sommosse popolari, di rivolte per la fame, ecc. La guerra partigiana contro i giapponesi nel nord-est della Cina e nella parte orientale della provincia dello Hopei [26] è la risposta agli attacchi dell'imperialismo giapponese.

Il movimento degli studenti ha assunto proporzioni considerevoli, e nel futuro si estenderà ancora di più. Tuttavia esso potrà continuare la sua avanzata e spezzare tutte le barriere - la legge marziale im­posta dai traditori e la politica di sabotaggi e massacri praticata dalla polizia, dagli agenti segreti, dai fascisti e dagli abietti despoti che si annidano nel mondo scolastico - solo se coordinerà le sue azioni con la lotta degli operai, dei contadini e dei soldati.

Delle oscillazioni della borghesia nazionale, dei contadini ricchi e dei piccoli proprietari fondiari e della possibilità di una loro parte­cipazione alla lotta antigiapponese, abbiamo già parlato.

Le minoranze nazionali, direttamente minacciate dall'imperiali­smo giapponese, e in particolare i mongoli della Mongolia interna, stanno insorgendo, e con il passare del tempo la loro lotta si fonderà con quella della popolazione della Cina settentrionale e con le opera­zioni dell'Esercito rosso nel nord-ovest.

Tutto ciò dimostra che la rivoluzione sta perdendo il suo carat­tere locale per acquistare un'ampiezza nazionale e che il suo sviluppo, prima ineguale, sta raggiungendo un certo grado di uniformità. Siamo alla vigilia di grandi cambiamenti. Compito del nostro Partito è creare un fronte unito nazionale rivoluzionario, coordinando l'attività dell'Esercito rosso con quella degli operai, dei contadini, degli stu­denti, della piccola borghesia e della borghesia nazionale di tutta la Cina.


IL FRONTE UNITO NAZIONALE


Ora che abbiamo esaminato la situazione esistente nel campo della controrivoluzione e in quello della rivoluzione, possiamo facil­mente definire i compiti tattici del nostro Partito.

Qual è il compito tattico fondamentale del Partito? La creazione di un vasto fronte unito nazionale rivoluzionario, non altro.

Quando la situazione della rivoluzione cambia, occorre mutare di conseguenza la tattica e i metodi di direzione della rivoluzione. Il compito dell'imperialismo giapponese, dei collaborazionisti e dei traditori della patria è trasformare la Cina in una colonia; il nostro compito è invece trasformare la Cina in uno Stato libero, indipendente, che goda dell'integrità territoriale.

Conquistare la libertà e l'indipendenza alla Cina è un grande compito. Per adempierlo bisogna combattere l'imperialismo straniero e la controrivoluzione interna. L'imperialismo giapponese è deciso ad andare fino in fondo. Per ora le forze controrivoluzionarie dei tuhao, dei liehshen e dei compradores sono superiori alle forze rivo­luzionarie del popolo. Non è possibile sconfiggere in un sol giorno l'imperialismo giapponese e la controrivoluzione cinese, e quindi dobbiamo essere pronti a sostenere una lunga lotta; con forze limitate non potremo ottenere la vittoria, per cui dobbiamo accumulare po­tenti forze. In Cina e in tutto il mondo le forze della controrivolu­zione, in confronto al passato, sono divenute più deboli, mentre quelle della rivoluzione si sono rafforzate. Questa valutazione è giusta, ma è solo un aspetto del problema. Noi dobbiamo al tempo stesso rile­vare che le forze della controrivoluzione, in Cina e in tutto il mondo, sono ancora superiori alle forze rivoluzionarie. Anche questa valuta­zione è giusta, e rappresenta l'altro aspetto del problema. L'inegua­glianza nello sviluppo politico ed economico della Cina genera l'ineguaglianza nello sviluppo della rivoluzione. Di regola, la rivo­luzione comincia, si sviluppa e trionfa innanzi tutto là dove la controrivoluzione è relativamente debole, mentre dove la controrivo­luzione è potente la rivoluzione non ha ancora inizio o si sviluppa molto lentamente. Questa è stata per lungo tempo la situazione della rivoluzione cinese. Si può prevedere che in futuro, in determinati momenti, la situazione generale della rivoluzione si svilupperà ancora, ma l'ineguaglianza permarrà. Per trasformare l'ineguale sviluppo della rivoluzione in uno sviluppo più o meno uniforme saranno ancora necessari molto tempo e molti sforzi, e il Partito dovrà adottare una linea tattica giusta. Se la guerra rivoluzionaria diretta dal Partito comunista dell'URSS [27] impiegò tre anni per concludersi, noi dobbiamo essere pronti a consacrare alla guerra rivoluzionaria diretta dal Partito comunista cinese - che già si protrae da molto - tutto il tempo neces­sario per finirla completamente e definitivamente con le forze contro­rivoluzionarie interne ed esterne; la precipitazione, come quella che si è verificata in passato, è inammissibile. E' anche necessario elaborare una giusta tattica rivoluzionaria; se, come in passato, non si esce dal proprio cerchio ristretto, non è possibile compiere nulla di importante. Ciò non significa che in Cina le cose debbano essere fatte con lentezza; bisogna agire con coraggio ed energia perché il pericolo dell'asservi­mento nazionale non ci permette il minimo indugio. D'ora innanzi, anche il ritmo di sviluppo della rivoluzione sarà molto più rapido perché la Cina e tutto il mondo sono sulla soglia di un nuovo periodo di guerre e di rivoluzioni. Ciò nonostante la guerra rivoluzionaria in Cina continuerà a essere una guerra di lunga durata, e questo suo carattere è dovuto alla potenza dell'imperialismo e alla ineguaglianza nello sviluppo della rivoluzione. Noi diciamo che la situazione attuale è caratterizzata dall'imminenza di un nuovo slancio della rivoluzione nazionale, che la Cina è alla vigilia di una nuova grande rivoluzione che interesserà tutto il paese; ecco una delle caratteristiche dell'at­tuale situazione della rivoluzione. Questo è un fatto, e rappresenta un aspetto del problema. Ma dobbiamo anche dire che l'imperialismo rappresenta ancora una forza considerevole, che lo sviluppo ineguale delle forze rivoluzionarie è un nostro serio punto debole e che, per sconfiggere il nemico, occorre prepararsi a una guerra di lunga durata; ecco un'altra caratteristica della situazione attuale della rivoluzione. Anche questo è un fatto, e rappresenta un altro aspetto del problema. Le due caratteristiche, i due fatti si presentano assieme per insegnarci che bisogna modificare, alla luce della situazione, la nostra tattica e i metodi sulla disposizione delle forze per il proseguimento della lotta. L'attuale situazione esige la rinuncia decisa a ogni forma di chiuso settarismo, la formazione di un vasto fronte unito e la vigilanza contro l'avventurismo. Finché non sarà giunto il momento propizio, finché non vi saranno forze sufficienti, non ci si deve gettare nella battaglia decisiva.

Non starò qui a parlare dei rapporti che esistono fra il chiuso settarismo e l'avventurismo, né del pericolo che può presentare l'avventurismo nel futuro, non appena gli eventi avranno acquistato una grande ampiezza; di questo potremo discutere in un secondo tempo. Per il momento mi limiterò a spiegare perché la tattica del fronte unito e la tattica del chiuso settarismo sono del tutto diverse e in diretto contrasto fra loro.

La prima significa reclutare grandi forze per accerchiare e di­struggere il nemico.

La seconda, invece, significa combattere da soli una accanita lotta contro un nemico potente.

I sostenitori della prima tattica dicono: se non faremo una giusta valutazione dei possibili mutamenti delle forze rivoluzionarie e controrivoluzionarie, mutamenti dovuti al tentativo dell'imperialismo giapponese di ridurre la Cina in una colonia, non potremo valutare in modo corretto la possibilità di formare un vasto fronte unito na­zionale rivoluzionario. Senza una giusta valutazione dei punti forti e dei punti deboli sia della controrivoluzione giapponese che della controrivoluzione e della rivoluzione cinese, non saremo capaci né di comprendere appieno la necessità di formare un vasto fronte unito nazionale rivoluzionario, né di prendere energici provvedimenti per porre fine al chiuso settarismo, né di utilizzare il fronte unito come un'arma per organizzare e unire milioni e milioni di uomini e tutte le armate suscettibili di allearsi alla rivoluzione, al fine di attaccare il nostro obiettivo principale, l'imperialismo giapponese e i suoi lac­chè, i traditori cinesi; non saremo capaci di applicare la nostra tattica alla lotta contro l'obiettivo principale, ma disperderemo il nostro fuoco e finiremo col colpire non il nostro nemico principale, ma i nostri nemici secondari o perfino i nostri alleati. Ciò si chiama inca­pacità di individuare il nemico principale e inutile spreco di munizioni. In questo modo non potremo incalzare il nemico e isolarlo, non po­tremo attrarre dalla nostra parte tutti coloro che sono stati costretti a far parte del campo e del fronte nemico, tutti coloro che ieri erano nostri nemici ma che oggi possono divenire nostri amici. Così facendo aiuteremo di fatto il nemico, freneremo e isoleremo la rivoluzione, ne restringeremo i limiti, la trascineremo molto in basso, e perfino sulla via della sconfitta.

I difensori dell'altra tattica dicono: tutte queste argomentazioni sono errate. Le forze della rivoluzione devono essere pure, di una purezza adamantina, e la strada della rivoluzione deve essere diritta, assolutamente diritta. E' vero solo ciò che è scritto nel "Libro Sacro". Tutta la borghesia nazionale è sempre stata controrivoluzionaria, e lo sarà sempre. Ai contadini ricchi non si devono fare concessioni. Contro i sindacati gialli, lotta a morte. Se stringiamo la mano a Tsai Ting-kai, dobbiamo, nello stesso momento, tacciarlo di controrivolu­zionario. Esiste un gatto che non ami il lardo, esiste un signore della guerra che non sia un controrivoluzionario? Gli intellettuali restano rivoluzionari per non più di tre giorni, perciò è pericoloso fare prose­liti fra loro. Di qui la conclusione che il chiuso settarismo sarebbe la panacea per tutti i mali e il fronte unito una tattica opportunistica.

Compagni, cosa è giusto, il fronte unito o il chiuso settarismo? Quale dei due il marxismo-leninismo approva? Io rispondo senz'altro: il fronte unito, non il chiuso settarismo. Un bambino di tre anni può avere molte idee giuste, ma non gli si possono affidare i grandi affari dello Stato o gli affari internazionali perché non li capisce. Il marxismo-leninismo lotta contro la malattia infantile che si manifesta nelle file della rivoluzione. Ed è questa malattia che sostengono a spada tratta i difensori del chiuso settarismo. La rivoluzione, come ogni altra cosa al mondo, segue sempre una via tortuosa, non retti­linea. Lo schieramento delle forze della rivoluzione e della contro­rivoluzione è suscettibile di mutamenti, così come sono soggette a cambiamento tutte le cose del mondo. Due fatti fondamentali sono serviti da punto di partenza al Partito per elaborare una nuova tattica, la formazione di un vasto fronte unito: il fatto che l'imperialismo giapponese vuole trasformare la Cina in una sua colonia e il fatto che attualmente nel campo della rivoluzione cinese vi sono ancora punti molto deboli. Organizzare masse di milioni e milioni di uomini, mettere in moto un potente esercito rivoluzionario, ecco ciò di cui la rivoluzione ha bisogno per attaccare la controrivoluzione. Solo una simile forza sarà in grado di sconfiggere l'imperialismo giapponese, i traditori e i collaborazionisti ; questa è una verità evidente. E quindi solo la tattica del fronte unito è una tattica marxista-leninista. La tattica del chiuso settarismo è invece una tattica di autoisolamento. Il chiuso settarismo "fa rintanare il pesce nel fondo dell'acqua e gli uccelli nel folto del bosco", spinge nelle braccia del nemico quelle masse di milioni e milioni di uomini, quel potente esercito del quale abbiamo parlato prima, e ciò non fa che suscitare l'entusiastica appro­vazione del nemico. In sostanza il chiuso settarismo serve come un umile lacchè gli imperialisti giapponesi, i collaborazionisti e i traditori della patria. La "purezza" e la "dirittura" esaltate dai settari sono condannate dai marxisti-leninisti e lodate dagli imperialisti giappo­nesi. Noi respingiamo decisamente il chiuso settarismo; ciò che vo­gliamo è un fronte unito nazionale rivoluzionario che assesti un colpo mortale agli imperialisti giapponesi, ai collaborazionisti e ai traditori della patria.


LA REPUBBLICA POPOLARE [28]


Se finora il nostro governo è stato basato sull'alleanza degli ope­rai, dei contadini e della piccola borghesia urbana, da oggi in poi esso dovrà essere un governo che comprenda anche quegli elementi delle altre classi che vogliono partecipare alla rivoluzione nazionale.

Oggi il compito fondamentale di un tale governo è quello di opporsi al tentativo dell'imperialismo giapponese di annettere la Cina. Questo governo sarà molto largo e includerà non solo coloro che sono interessati alla rivoluzione nazionale e non alla Rivoluzione agraria, ma anche, se lo vogliono, coloro che non sono in grado di lottare contro gli imperialisti europei e americani per i vincoli che li legano a essi, ma che sono pronti a lottare contro l'imperialismo giapponese e i suoi lacchè. Come questione di principio, il programma di tale governo deve perciò adattarsi al compito fondamentale, la lotta contro l'impe­rialismo giapponese e i suoi lacchè; di conseguenza, dobbiamo oppor­tunamente modificare la politica seguita fino a ora.

Oggi la particolarità del campo rivoluzionario è l'esistenza di un Partito comunista e di un Esercito rosso ben temprati. Ciò ha una enorme importanza. Se non esistessero, ci troveremmo di fronte a immense difficoltà. Perché? Perché in Cina i collaborazionisti e i traditori sono numerosi e forti, ed è inevitabile che ricorrano a ogni mezzo per far naufragare il fronte unito; semineranno zizzania ser­vendosi delle minacce e della corruzione e manovrando fra i vari gruppi; faranno ricorso alle armi per abbattere, schiacciare, una alla volta tutte le forze meno potenti delle loro che vogliono abbandonarli e unirsi a noi nella lotta contro il Giappone. Tutto questo sarebbe difficilmente evitabile se il governo e l'esercito antigiapponese man­cassero di questo elemento vitale: il Partito comunista e l'Esercito rosso. Nel 1927 la rivoluzione fu sconfitta soprattutto perché, in conseguenza della linea opportunistica allora prevalente nel Partito comunista, non fu fatto alcuno sforzo per ingrossare le nostre file (ossia il movimento operaio e contadino e le forze armate guidate dal Partito comunista), ma furono riposte tutte le speranze nell'alleato provvisorio, il Kuomintang. Il risultato fu che l'imperialismo ordinò ai suoi lacchè - i tuhao, i liehshen e i compradores - di allungare i loro numerosi tentacoli e avvinghiare dapprima Chiang Kai-shek e poi Wang Ching-wei, e la rivoluzione fu sconfitta. A quell'epoca il fronte unito rivoluzionario mancava di un pilastro centrale, non aveva forze armate rivoluzionarie possenti e, quando le defezioni comin­ciarono a moltiplicarsi, il Partito comunista dovette battersi da solo e non fu in grado di fronteggiare la tattica adottata dagli imperialisti e dai controrivoluzionari cinesi di schiacciare una alla volta le forze che si opponevano a essi. A quel tempo già esistevano le truppe di Ho Lung e Yeh Ting, ma non erano ancora abbastanza forti politica­mente e il Partito non sapeva dirigerle, per cui furono anch'esse sconfitte. Questa lezione, pagata con il nostro sangue, dimostra che la mancanza di un solido nucleo di forze rivoluzionarie conduce la rivoluzione alla sconfitta. Oggi la situazione è completamente diversa. Abbiamo un forte Partito comunista, un forte Esercito rosso e, in più, basi d'appoggio per l'Esercito rosso. Non solo il Partito comu­nista e l'Esercito rosso sono oggi i promotori del fronte unito nazio­nale antigiapponese, ma nel futuro essi saranno certamente il solido pilastro del governo e dell'esercito antigiapponese; ciò impedirà agli imperialisti giapponesi e a Chiang Kai-shek di raggiungere l'obiettivo della loro politica - lo smembramento del fronte unito. Tuttavia dovremo stare molto in guardia perché gli imperialisti giapponesi e Chiang Kai-shek ricorreranno a ogni sorta di minacce, alla corruzione e a ogni genere di manovre fra i diversi gruppi.

Naturalmente non possiamo attenderci che tutti i settori del vasto fronte unito nazionale antigiapponese manifestino la stessa fermezza del Partito comunista e dell'Esercito rosso. Potrà accadere che nel corso della loro attività alcuni cattivi elementi, sotto l'influenza del nemico, abbandonino il fronte unito. Ma queste defezioni non ci spaventano. Influenzati dal nemico alcuni cattivi elementi se ne andranno, ma in compenso molti buoni elementi, a causa della nostra influenza, entreranno nel fronte. Il fronte unito nazionale antigiappo­nese vivrà e si svilupperà fin quando vivranno e si svilupperanno il Partito comunista e l'Esercito rosso. Tale è la funzione dirigente del Partito comunista e dell'Esercito rosso nel fronte unito nazionale. I comunisti non sono più dei bambini, conoscono il da farsi e il modo di trattare i loro alleati. Se gli imperialisti giapponesi e Chiang Kai-shek possono ordire manovre contro le forze della rivoluzione, anche il Partito comunista può ordire manovre nei confronti delle forze della controrivoluzione. Se essi possono attirare i cattivi elementi che si trovano nelle nostre file, anche noi possiamo attirare gli elementi "cattivi" (ma per noi buoni) che si trovano nelle loro file. Se riusci­remo ad attirare un gran numero di uomini, le file del nemico si diraderanno e le nostre si ingrosseranno. In breve, la lotta si svolge oggi fra le due forze principali; per la logica delle cose, tutte le forze intermedie devono schierarsi nell'uno o nell'altro campo. E la politica di asservimento della Cina praticata dagli imperialisti giapponesi e la politica di tradimento seguita da Chiang Kai-shek non potranno non spingere dalla nostra parte grandi forze; queste entreranno diret­tamente nelle file del Partito comunista e dell'Esercito rosso, o for­meranno con noi un fronte unito. Tutto ciò si verificherà, sempre che la nostra tattica non sia settaria.

Perché trasformare la "repubblica degli operai e dei contadini" in "repubblica popolare"?

Il nostro governo non rappresenta soltanto gli operai e i contadini, ma tutta la nazione. Questo concetto era già implicito nella parola d'ordine "repubblica democratica degli operai e dei contadini", poiché gli operai e i contadini costituiscono l'80-90 per cento della popola­zione. Il Programma in dieci punti [29], adottato dal VI Congresso nazionale del nostro Partito, esprime gli interessi di tutta la nazione, e non degli operai e dei contadini soltanto. Tuttavia la situazione attuale esige che questa parola d'ordine sia cambiata, sia sostituita con quella di "repubblica popolare", perché l'aggressione giapponese ha mutato i rapporti fra le classi in Cina e ha creato la possibilità della partecipazione alla lotta antigiapponese non solo della piccola bor­ghesia ma anche della borghesia nazionale.

Certo, la repubblica popolare non rappresenterà gli interessi delle classi nemiche. Al contrario, essa sarà in diretta opposizione ai tuhao, ai liehshen e ai compradores, lacchè degli imperialisti, e non li con­sidererà come facenti parte del popolo, esattamente come il "Governo nazionale della Repubblica cinese" di Chiang Kai-shek rappresenta solo i ricconi e non la gente semplice che esso non considera parte della nazione. Poiché gli operai e i contadini costituiscono l'80-90 per cento della popolazione cinese, la repubblica popolare dovrà rap­presentare in primo luogo i loro interessi. Tuttavia la repubblica popolare, abbattendo il giogo imperialista per dare alla Cina libertà e indipendenza, abbattendo il giogo dei proprietari fondiari per li­berare la Cina dal regime semifeudale, farà gli interessi non solo degli operai e dei contadini ma anche degli altri strati popolari. Gli interessi della nazione cinese sono costituiti dall'insieme degli interessi degli operai, dei contadini e della rimanente parte del popolo. Sebbene anche i compradores e i proprietari fondiari vivano sul suolo cinese, essi non tengono conto degli interessi della nazione, e quindi i loro inte­ressi sono in conflitto con quelli della maggioranza. Solo con questo piccolo gruppo non abbiamo nulla a che fare e solo con esso ci tro­viamo in urto, per cui abbiamo il diritto di chiamarci rappresentanti di tutta la nazione.

C'è, naturalmente, un conflitto d'interessi anche fra la classe operaia e la borghesia nazionale. E' impossibile sviluppare con suc­cesso la rivoluzione nazionale senza dare alla sua avanguardia, la classe operaia, i diritti politici ed economici e la possibilità di impie­gare le proprie forze contro l'imperialismo e i suoi lacchè, i traditori della patria. Tuttavia, se la borghesia nazionale aderisce al fronte unito antimperialista, la classe operaia e la borghesia nazionale avran­no interessi comuni. La repubblica popolare, nel periodo della rivo­luzione democratica borghese, non abolirà la proprietà privata, a meno che non abbia un carattere imperialista o feudale, non confischerà le imprese industriali e commerciali della borghesia nazionale, ma, al contrario, ne incoraggerà lo sviluppo. Dobbiamo proteggere qualsiasi capitalista nazionale, a condizione che non appoggi gli imperialisti o i traditori della patria. Nella fase della rivoluzione democratica, la lotta fra il lavoro e il capitale ha dei limiti. Le leggi sul lavoro della repubblica popolare salvaguarderanno gli interessi degli operai, ma non saranno dirette contro l'arricchimento della borghesia nazionale e lo sviluppo dell'industria e del commercio nazionale, poiché tale sviluppo nuoce agli interessi dell'imperialismo ed è a vantaggio degli interessi del popolo cinese. Ne consegue che la repubblica popolare rappresenterà gli interessi di tutti gli strati del popolo in lotta contro l'imperialismo e le forze feudali. Il governo della repubblica popolare sarà soprattutto costituito dai rappresentanti degli operai e dei con­tadini, ma includerà anche rappresentanti delle altre classi in lotta contro l'imperialismo e le forze feudali.

Ma non è pericoloso permettere a questi rappresentanti di parte­cipare al governo della repubblica popolare? No. Gli operai e i contadini costituiscono le masse fondamentali di questa repubblica. Concedendo alla piccola borghesia urbana, agli intellettuali e agli altri elementi della popolazione che sostengono il programma antimperia­lista e antifeudale il diritto di esprimere le proprie opinioni e di lavo­rare nel governo della repubblica popolare, e dando loro il diritto di eleggere e di essere eletti dobbiamo fare in modo che non siano violati gli interessi degli operai e dei contadini, delle masse fondamentali. Parte essenziale del nostro programma deve essere la difesa dei loro interessi. La presenza di una maggioranza di operai e contadini, la funzione dirigente e l'azione del Partito comunista in tale governo fanno sì che la partecipazione di altre classi non sia pericolosa. E' evidente che la rivoluzione cinese nella sua fase attuale è ancora una rivoluzione democratica borghese e non una rivoluzione socialista proletaria. Soltanto i controrivoluzionari trotzkisti [30] possono essere tanto insensati da affermare che la rivoluzione democratica borghese in Cina è già stata portata a termine e che qualsiasi altra rivoluzione non potrà quindi essere che socialista. La Rivoluzione del 1924-1927 fu una rivoluzione democratica borghese, ma non fu portata a ter­mine, fu sconfitta. La Rivoluzione agraria, che sotto la nostra guida si protrae dal 1927, è ugualmente una rivoluzione democratica borghese, perché il suo compito è lottare contro l'imperialismo e il feudalesimo e non contro il capitalismo. La nostra rivoluzione conserverà questo carattere per un tempo abbastanza lungo.

Le forze motrici della rivoluzione sono, come per il passato, soprattutto gli operai, i contadini e la piccola borghesia urbana, ai quali può oggi unirsi la borghesia nazionale.

La trasformazione della nostra rivoluzione avverrà in un secondo momento. In futuro la rivoluzione democratica si trasformerà in rivoluzione socialista. Quando si avrà questa trasformazione? Dipenderà dall'avverarsi di tutte le condizioni necessarie, e questo richiederà forse un periodo abbastanza lungo. Non è il caso di parlare di trasfor­mazione fin quando non vi saranno tutte le condizioni politiche ed economiche necessarie, fino a quando questa trasformazione non potrà compiersi a vantaggio e non a danno della schiacciante maggioranza del nostro popolo. Sarebbe errato nutrire dubbi al riguardo e sperare che la trasformazione possa avvenire in un prossimo futuro, così come è accaduto ad alcuni compagni i quali sostenevano che la rivoluzione democratica avrebbe cominciato a trasformarsi il giorno in cui avesse iniziato a trionfare nelle province più importanti del paese. Questi compagni ragionavano così perché non comprendevano che cosa è politicamente ed economicamente la Cina, non si rendevano conto che portare a termine in campo politico ed economico la rivoluzione democratica è molto più difficile in Cina che in Russia e richiede molto più tempo e maggiori sforzi.


L'AIUTO INTERNAZIONALE


Per finire, vorrei dire poche parole sui rapporti che esistono fra la rivoluzione cinese e la rivoluzione mondiale.

Da quando è apparso sulla terra il mostro dell'imperialismo, tutti gli avvenimenti mondiali sono così strettamente intrecciati che è im­possibile isolarli. Noi che formiamo la nazione cinese, siamo pronti a combattere il nemico fino all'ultima goccia di sangue, siamo decisi a riconquistare con i nostri sforzi ciò che abbiamo perduto e siamo capaci di conservare il nostro posto fra le nazioni. Tuttavia questo non signi­fica che possiamo fare a meno dell'aiuto internazionale. No, ai nostri giorni ogni paese, ogni nazione che conduce una lotta rivoluzionaria ha bisogno dell'aiuto internazionale. Un antico filosofo ha detto: "Nell'Epoca delle Primavere e degli Autunni non vi erano guerre giuste" [31]. Oggi, a maggior ragione, possiamo dire che gli imperialisti non possono fare guerre giuste; solo le nazioni e le classi oppresse possono farle. Nel mondo tutte le guerre che il popolo conduce contro i suoi oppressori sono guerre giuste. La Rivoluzione di febbraio e la Rivoluzione d'Ottobre in Russia furono guerre giuste. Le rivoluzioni condotte dai popoli di diversi paesi europei dopo la Prima guerra mondiale furono guerre giuste. In Cina, la Guerra di resistenza per opporsi al commercio dell'oppio [32], la Guerra del Taiping [33], la Guerra dello Yi Ho Tuan [34], la Rivoluzione del 1911 [35], la Spedizione del nord nel 1926-1927, la Guerra rivoluzionaria agraria dal 1927 a oggi, l'attuale guerra per resistere al Giappone e punire i traditori sono tutte guerre giuste. Con l'attuale sviluppo della lotta antigiapponese su scala na­zionale e della lotta antifascista su scala mondiale, le guerre giuste si estenderanno a tutta la Cina e a tutto il mondo. Tutte le guerre giuste si appoggiano reciprocamente, e tutte le guerre ingiuste devono essere trasformate in guerre giuste - questa è la linea leninista [36]. La nostra guerra di resistenza contro il Giappone ha bisogno dell'aiuto dei popoli del mondo intero e in primo luogo dell'aiuto del popolo sovietico, ed essi, naturalmente, ci aiuteranno perché siamo legati da una causa co­mune. In passato Chiang Kai-shek tagliò fuori le forze rivoluzionarie cinesi dal resto delle forze rivoluzionarie mondiali e, in questo senso, eravamo isolati. Oggi la situazione è mutata, ed è mutata a nostro favore. D'ora in avanti la situazione continuerà a cambiare, e sempre a nostro favore. Noi non saremo più isolati. Questa è una delle condizioni necessarie per il conseguimento della vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone e per il trionfo della rivoluzione cinese.


NOTE


[*] Questo rapporto fu presentato dal compagno Mao Tse-tung alla Conferenza degli attivisti del Partito convocata a Wayaopao, nello Shensi settentrionale. La conferenza era stata preceduta dalla riunione dell'Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese tenutasi nella stessa località nel dicembre 1935. Nel corso della riunione, una delle più importanti tenute dalla direzione centrale, fu confutata l'errata concezione, esistente allora nel Partito, secondo cui la borghesia nazionale cinese non avrebbe potuto essere un alleato degli operai e dei contadini nella lotta contro il Giappone, e fu deciso di adottare la tattica del fronte unito nazionale. Nel suo rapporto, il compagno Mao Tse-tung, sulla base delle decisioni dell'Ufficio politico, spiegò dettagliatamente come fosse possibile e importante, in una situazione di resistenza al Giappone, ricreare il fronte unito con la borghesia nazionale. Egli sottolineò l'enorme importanza della funzione dirigente del Partito comunista e dell'Esercito rosso in questo fronte unito, fece rilevare il carattere di lunga durata della rivoluzione cinese e criticò il chiuso settarismo e la tendenza alla precipitazione nella rivoluzione, già da molto esistenti nel Partito e che erano stati la causa fondamentale dei seri insuccessi subiti dal Partito e dall'Esercito rosso nel corso della Seconda guerra civile rivoluzionaria. Nello stesso tempo, il compagno Mao Tse-tung attirò l'attenzione del Partito sulla storica lezione costituita dalla sconfitta della rivoluzione nel 1927, della quale fu causa l'opportunismo di destra di Chen Tu-hsiu, e rilevò che Chiang Kai-shek avrebbe sicuramente cercato di minare le forze della rivoluzione. Egli permise così al Partito di conservare il proprio sangue freddo nella nuova situazione e di evitare perdite alle forze della rivoluzione nonostante gli infiniti intrighi e i ripetuti attacchi armati di Chiang Kai-shek. Nel gennaio 1935, nel corso della Riunione allargata dell'Ufficio politico del Comitato centrale a Tsunyi, nel Kweichow, la vecchia direzione opportunista di "sinistra" del Comitato centrale fu sostituita da una nuova direzione, con alla testa il compagno Mao Tse-tung. La riunione fu tenuta durante la Lunga Marcia dell'Esercito rosso, e perciò dovette limitarsi a prendere decisioni sulle questioni militari più urgenti e sui problemi organizzativi riguardanti la Segreteria e la Commissione militare rivoluzionaria del Comitato centrale. Soltanto dopo che l'Esercito rosso ebbe raggiunto lo Shensi settentrionale, alla fine della Lunga Marcia, il Comitato centrale del Partito potè occuparsi in modo sistematico dei diversi problemi di tattica politica. E sono questi problemi che il compagno Mao Tse-tung analizza a fondo in questo rapporto.

[1] Il 18 gennaio 1915 gli imperialisti giapponesi presentarono al governo cinese di Yuan Shih-kai le loro Ventuno richieste, e il 7 maggio pretesero con un ultimatum la risposta entro 48 ore. Le richieste si dividevano in cinque parti. Le prime quattro comprendevano: il trasferimento al Giappone dei diritti che la Germania si era arrogata nello Shantung e la concessione di nuovi diritti in quella provincia; la concessione del diritto di prendere in affitto e possedere terre nella Manchuria meridionale e nella Mongolia orientale, di soggiornare e svolgere attività industriali e commerciali in queste regioni e la concessione del diritto esclusivo di costruire ferrovie e sfruttare le miniere; la trasformazione del Complesso metallurgico di Han-Yeh-Ping in società mista cino-giapponese; l'accettazione da parte della Cina dell'obbligo di non cedere a terze potenze porti e isole lungo la costa cinese. La quinta parte comprendeva la richiesta di concessione al Giappone del diritto di controllo sugli affari politici, finan­ziari e militari della Cina e sulla polizia, e del diritto di costruire le linee ferroviarie vita­li per congiungere fra loro le province dello Hupeh, del Kiangsi e del Kwangtung. Yuan Shih-kai accettò tutte le richieste a eccezione di quelle della quinta parte che sa­rebbero state oggetto, egli affermò, di "future negoziazioni". Tuttavia l'unanime protesta del popolo cinese impedì al Giappone di vedere le sue richieste soddisfatte.

[2] Capo dei signori della guerra del nord negli ultimi anni della dinastia Ching. Dopo che la Rivoluzione del 1911 ebbe rovesciato la dinastia Ching, Yuan Shih-kai, con l'appoggio delle forze armate della controrivoluzione e dell'imperialismo e approfittando della tendenza al compromesso della borghesia, che dirigeva allora la rivoluzione, usurpò la carica di presidente della Repubblica e costituì il primo governo dei signori della guerra del nord, governo che rappresentava gli interessi delle classi dei grandi proprietari fondiari e dei grandi compradores. Nel 1915, poiché aspirava a diventare imperatore, Yuan Shih-kai, per guadagnarsi l'appoggio degli imperialisti giapponesi, accettò le Ventuno richieste con le quali il Giappone mirava a ottenere il controllo esclusivo sulla Cina. Nel dicembre dello stesso anno, nella provincia dello Yunnan, ebbe luogo un'insurrezione contro la sua assunzione al trono. Questa insurrezione ebbe vasta eco in tutto il paese. Yuan Shih-kai morì a Pechino nel giugno del 1916.

[3] Nel novembre del 1921 il governo degli Stati Uniti convocò a Washington una conferenza di nove potenze alla quale parteciparono, oltre agli Stati Uniti, la Cina, l'Inghilterra, la Francia, l'Italia, il Belgio, l'Olanda, il Portogallo e il Giappone. In questa conferenza si svolse una lotta fra gli Stati Uniti e il Giappone per l'egemonia in Estremo Oriente. Il 6 febbraio 1922 fu sottoscritto un patto fra le nove potenze sulla base del principio, avanzato dagli USA, della "uguale opportunità per tutti i paesi in Cina", o della "porta aperta". Con questo patto si voleva creare una situazione tale da permettere alle potenze imperialiste di esercitare il controllo comune sulla Cina, ma in effetti si apriva la strada all'egemonia degli imperialisti statunitensi per frustrare i piani del Giappone che mirava a instaurare sulla Cina il proprio dominio esclusivo.

[4] Il 18 settembre 1931, l'"Armata Kwantung" dell'esercito giapponese di stanza nel nord-est della Cina, attaccò Shenyang. Le forze armate cinesi (Armata del nord-est) di stanza a Shenyang e in altre zone nord-orientali eseguirono l'ordine di Chiang Kai-shek di "assoluta non-resistenza", e si ritirarono a sud della Grande Muraglia, per cui le forze armate giapponesi occuparono rapidamente le province del Liaoning, del Kirin e dello Heilungkiang. Questo atto aggressivo dell'imperialismo giapponese è conosciuto dal popolo cinese come "Incidente del 18 settembre".

[5] Le quattro province nord-orientali erano allora il Liaoning, il Kirin, lo Heilung­kiang e lo Jehol (corrispondono alle attuali province del Liaoning, del Kirin, dello Heilungkiang, alla parte nord-orientale dello Hopei a nord della Grande Muraglia e alla parte orientale della Regione autonoma della Mongolia interna - N.d.T.). Dopo l'Incidente del 18 settembre, le forze giapponesi di aggressione occuparono dapprima il Liaoning, il Kirin e lo Heilungkiang e poi, nel 1933, lo Jehol.

[6] II 25 novembre 1935, istigato dai giapponesi, il collaborazionista Yin Ju-keng, membro del Kuomintang, costituì un governo fantoccio - l'"Amministrazione autonoma anticomunista dello Hopei orientale" - che abbracciava 22 distretti della parte orientale dello Hopei. Questo fatto è conosciuto con il nome di "Incidente dello Hopei orientale".

[7] Si intendono le trattative fra il governo di Chiang Kai-shek e il governo giapponese sui cosiddetti "Tre principi di Hirota", ossia i "Tre principi su cui basare i rapporti con la Cina", formulati dall'allora ministro degli esteri giapponese Hirota. Essi contemplavano: 1) la repressione da parte della Cina di qualsiasi movimento antigiapponese; 2) la cooperazione economica fra la Cina, il Giappone e il "Manchu-kuo"; 3) la difesa comune della Cina e del Giappone contro il comunismo. Il 21 gennaio 1936 Hirota dichiarò alla Dieta: "Il governo cinese ha accettato i tre principi proposti dall'Impero".

[8] Nel 1935, in tutto il paese il movimento patriottico popolare ebbe un nuovo slancio. Gli studenti di Pechino, sotto la direzione del Partito comunista, furono i primi a organizzare, il 9 dicembre, una manifestazione patriottica, lanciando le parole d'ordine: "Basta con la guerra civile! Uniamoci contro l'aggressione stra­niera!" e "Abbasso l'imperialismo giapponese!". Questo movimento aprì una breccia nel regime di terrore instaurato da lungo tempo dal governo del Kuomintang in collu­sione con gli invasori giapponesi e a esso tutto il popolo fece ben presto eco. Esso è conosciuto come "Movimento del 9 dicembre". Il risultato fu che nuovi cambia­menti si manifestarono nei rapporti tra le varie classi del paese. La politica per la for­mazione di un fronte unito nazionale antigiapponese, proposta dal Partito comunista, fu apertamente appoggiata da tutti i patrioti cinesi. La politica di tradimento del governo di Chiang Kai-shek divenne invece ancora più impopolare.

[9] Questo rapporto del compagno Mao Tse-tung fu presentato nel periodo in cui Chiang Kai-shek, dopo aver venduto le province nord-orientali, negoziava la cessione al Giappone della Cina settentrionale e continuava a condurre accanite operazioni militari contro l'Esercito rosso. Il Partito comunista cinese doveva quindi fare il possibile per smascherare il traditore Chiang Kai-shek, il quale, naturalmente, non fu incluso nel fronte unito nazionale antigiapponese proposto allora dal Partito. Già in questo rapporto il compagno Mao Tse-tung previde la possibilità di scissione nel campo dei proprietari fondiari e dei compradores cinesi a causa delle contraddi­zioni fra le varie potenze imperialiste. L'offensiva lanciata dal Giappone nella Cina settentrionale provocò in seguito gravi conflitti d'interesse fra gli imperialisti giapponesi e gli imperialisti anglo-americani; il Partito comunista cinese giunse quindi alla conclusione che la cricca di Chiang Kai-shek, strettamente legata agli interessi dell'imperialismo anglo-americano, poteva, dietro ordine dei suoi padroni, mutare atteggiamento nei riguardi del Giappone, e adottò quindi una politica di pressione su Chiang Kai-shek per spingerlo sulla via della resistenza al Giappone. Nel maggio del 1936 l'Esercito rosso ritornò dallo Shansi nello Shensi settentrio­nale e propose direttamente al governo del Kuomintang di Nanchino di cessare la guerra civile e di lottare assieme contro il Giappone. Nell'agosto dello stesso anno il Comitato centrale del Partito comunista cinese inviò al Comitato esecutivo centrale del Kuomintang una lettera con la quale proponeva di organizzare un fronte unito dei due partiti per la resistenza comune al Giappone e di nominare rappresentanti delle due parti per aprire le trattative. Ma Chiang Kai-shek rigettò ogni proposta. Soltanto nel dicembre del 1936, allorché fu arrestato a Sian da ufficiali del Kuo­mintang favorevoli all'alleanza con i comunisti per resistere al Giappone, Chiang Kai-shek fu costretto ad accettare la proposta del Partito comunista di cessare la guerra civile e resistere al Giappone.

[10] Tsai Ting-kai era vice comandante della 19a Armata del Kuomintang e comandante di un corpo d'armata. Gli altri due comandanti della 19a Armata erano Chen Ming-shu e Chiang Kuang-nai. Questa armata, che aveva combattuto nel Kiangsi contro l'Esercito rosso, fu trasferita a Shanghai dopo l'Incidente del 18 settembre. L'ondata antigiapponese che investì Shanghai e tutto il paese ebbe un'enorme influenza sulla 19a Armata. La notte del 28 gennaio 1932, quando i fucilieri di marina giapponesi attaccarono Shanghai, essa, assieme alla popolazione, resistette agli invasori. Tuttavia, a causa del tradimento di Chiang Kai-shek e di Wang Ching-wei, la battaglia si concluse con una sconfitta. In seguito, la 19a Armata fu trasferita da Chiang Kai-shek nel Fukien per continuare la lotta contro l'Esercito rosso. A poco a poco i comandanti dell'armata cominciarono a comprendere che questa lotta non offriva una via d'uscita. Nel novembre del 1933, assieme a un gruppo di appartenenti al Kuomintang con alla testa Li Chi-shen e altri, essi ruppero ufficialmente con Chiang Kai-shek, formarono nel Fukien il "Governo rivoluzionario popolare della Repubblica cinese" e conclusero un accordo con l'Esercito rosso per la resistenza comune al Giappone e la lotta contro Chiang Kai-shek. Attaccati dalle forze armate di Chiang Kai-shek, la 19a Armata e il governo popolare del Fukien furono sconfitti. In seguito Tsai Ting-kai e altri passarono a poco a poco alla cooperazione con il Partito comunista.

[11] Nel settembre del 1926, quando l'Esercito rivoluzionario della Spedizione del nord giunse a Wuhan, Feng Yu-hsiang con le sue truppe dislocate nella provincia del Suiyuan (oggi corrisponde alla parte occidentale della Regione autonoma della Mongolia interna - N.d.T.), proclamò la rottura con la cricca dei signori della guerra del nord e aderì alla rivoluzione. All'inizio del 1927 le truppe di Feng Yu-hsiang, partite dallo Shensi, attaccarono la provincia dello Honan insieme all'Esercito della Spedizione del nord. Benché Feng Yu-hsiang avesse partecipato alle attività anticomuniste seguite al tradimento della rivoluzione nel 1927 da parte di Chiang Kai-shek e Wang Ching-wei, i suoi interessi furono sempre in contrasto con quelli della cricca di Chiang Kai-shek. Dopo l'Incidente del 18 settembre si pronunciò per la resistenza al Giappone, e nel maggio del 1933 cooperò con il Partito comunista nell'organizzazione a Changchiakou dell'Esercito alleato popolare antigiapponese. Nell'agosto i suoi sforzi vennero frustrati dagli attacchi di Chiang Kai-shek e dagli invasori giapponesi. Negli ultimi anni della sua vita Feng Yu-hsiang continuò la sua cooperazione con il Partito comunista.

[12] La 26a Armata del Kuomintang fu inviata da Chiang Kai-shek nel Kiangsi per attaccare l'Esercito rosso. Nel dicembre del 1931, rispondendo all'appello del Partito comunista cinese che invitava a resistere al Giappone, oltre 10.000 uomini appartenenti a questa armata, sotto la guida dei compagni Chao Po-sheng e Tung Chen-tang, si sollevarono a Ningtu, nel Kiangsi, e si unirono all'Esercito rosso.

[13] Ufficiale dell'Armata del nord-est del Kuomintang. Le sue truppe erano di stanza nello Heilungkiang. Dopo l'Incidente del 18 settembre, esse resistettero agli aggressori giapponesi che, provenienti dalla provincia del Liaoning, avanzavano nello Heilungkiang.

[14] Noto politicante del Kuomintang. Si oppose alla politica di cooperazione con il Partito comunista cinese proclamata dal dott. Sun Yat-sen e fu complice di Chiang Kai-shek nel colpo di Stato controrivoluzionario del 12 aprile 1927. In seguito, divenuto rivale di Chiang Kai-shek nella lotta per il potere, fu da questi gettato in prigione. Fu liberato dopo l'Incidente del 18 settembre e si trasferì da Nanchino a Canton dove riuscì a contrapporre per lungo tempo la cricca dei signori della guerra del Kwangtung e del Kwangsi al governo di Chiang Kai-shek a Nanchino.

[15] II Programma in sei punti per la resistenza al Giappone e la salvezza della patria era il "Programma fondamentale del popolo cinese per la lotta contro il Giappone" presentato nel 1934 dal Partito comunista cinese e pubblicato con le firme di Soong Ching-ling e di altri. Il Programma comprendeva i seguenti punti: 1) mobilitazione generale delle forze terrestri, navali e aeree per la guerra contro il Giappone; 2) mobilitazione generale del popolo; 3) armamento generale del popolo; 4) confisca dei beni degli imperialisti giapponesi in Cina e dei traditori della patria per coprire le spese della guerra antigiapponese; 5) creazione di un comitato di difesa nazionale armata per tutta la Cina, eletto dai rappresentanti degli operai, dei contadini, dei soldati, degli intellettuali e degli uomini d'affari; 6) alleanza con tutte le forze contrarie all'imperialismo giapponese e relazioni di amicizia con tutti i paesi che avessero osservato una benevola neutralità.

[16] Si tratta di Chen Chi-tang, signore della guerra del Kwangtung, e di Li Tsung-jen e Pai Chung-hsi, signori della guerra del Kwangsi.

[17] La banda di Chiang Kai-shek chiamava il popolo rivoluzionario "banditi" e definiva gli attacchi delle forze armate contro il popolo rivoluzionario e i massacri come "annientamento dei banditi".

[18] II 6° Gruppo d'Armate dell'Esercito rosso degli operai e dei contadini cinesi era dislocato inizialmente nella base d'appoggio della regione di confine Hunan-Kiangsi. Nell'agosto del 1934, dietro ordine del Comitato centrale del Partito comunista cinese, esso spezzò l'accerchiamento nemico e si installò su nuove posizioni. Nell'ottobre si unì, nel Kweichow orientale, con il 20 Gruppo d'Armate comandato dal compagno Ho Lung. Essi costituirono l'Armata del II Fronte dell'Esercito rosso e crearono la base rivoluzionaria Hunan-Hupeh-Szechuan-Kweichow.

[19] Uno dei più vecchi membri e organizzatori del Partito comunista cinese. Eletto nel Comitato centrale al V Congresso nazionale del Partito tenuto nel 1927, fu sempre rieletto in tutti i congressi successivi. Nel 1931 alla quarta sessione plenaria del VI Comitato centrale divenne membro dell'Ufficio politico. Nel 1933 coprì la carica di segretario del Comitato di Partito nella regione di confine Hunan-Kiangsi e, contemporaneamente, quella di commissario politico del 6° Gruppo d'Armate dell'Esercito rosso. Dopo l'unione del 6° Gruppo d'Armate con il 2° Gruppo, fu nominato commissario politico dell'Armata del II Fronte formata da questi due gruppi d'armate. All'inizio della Guerra di resistenza contro il Giappone divenne capo del Dipartimento politico generale dell'Ottava armata. Dal 1940 lavorò nella Segreteria del Comitato centrale del Partito. Alla prima sessione plenaria del VII Comitato centrale, nel 1945, fu eletto membro dell'Ufficio politico e della Segreteria del Comitato centrale. Morì a Pechino il 27 ottobre 1950.

[20] Nell'ottobre del 1934, il 1°, il 3° e il 5° Gruppo d'Armate dell'Esercito rosso degli operai e dei contadini cinesi (l'Armata del I Fronte dell'Esercito rosso, chiamato anche Esercito rosso centrale), partendo da Changting e Ninghua nel Fukien occidentale e da Juichin, Yutu e altre località del Kiangsi meridionale, iniziarono un trasferimento strategico generale. L'Esercito rosso attraversò undici province - Fukien, Kiangsi, Kwangtung, Hunan, Kwangsi, Kweichow, Szechuan, Yunnan, Sikang (oggi corrisponde al Szechuan occidentale e alla parte orientale della Regione autonoma del Tibet - N.d.T.), Kansu e Shensi - e superò alte montagne coperte da nevi eterne e paludi ove non si era mai spinto piede umano. Sopportò privazioni e sofferenze a non finire, rese vani i numerosi tentativi del nemico di accerchiarlo, inseguirlo, ostacolarlo e intercettarlo, e nell'ottobre del 1935, dopo una marcia ininterrotta di 25.000 li (12.500 km), raggiunse trionfalmente la base d'appoggio rivoluzionaria nel nord dello Shensi.

[21] L'Esercito rosso della regione di confine Szechuan-Shensi costituiva l'Armata del IV Fronte dell'Esercito rosso degli operai e dei contadini cinesi. Nel marzo del 1935, lasciata la base d'appoggio della regione di confine Szechuan-Shensi, iniziò il suo trasferimento verso il confine fra le province del Szechuan e del Sikang. Nel mese di giugno si congiunse a Maokung, nella parte occidentale del Szechuan, con l'Armata del I Fronte dell'Esercito rosso; le due armate si diressero verso nord su due colonne parallele. Ma nel settembre, raggiunta la zona di Maoerhkai, presso Sungpan, Chang Kuo-tao, dell'Armata del IV Fronte, contravvenendo agli ordini del Comitato centrale del Partito e agendo di propria iniziativa, guidò la colonna di sinistra verso sud, frazionando così le forze dell'Esercito rosso. Nel giugno del 1936 l'Armata del II Fronte dell'Esercito rosso dopo aver infranto l'accerchiamento, lasciò la regione di confine Hunan-Hupeh-Szechuan-Kweichow, attraversò lo Hunan, il Kweichow e lo Yunnan e si congiunse a Kantze, nel Sikang, con l'Armata del IV Fronte. I compagni dell'Armata del IV Fronte, contro la volontà di Chang Kuo-tao, ripresero la marcia verso il nord insieme all'Armata del II Fronte. Nell'ottobre del 1936, l'Armata del II Fronte e parte dell'Armata del IV Fronte raggiunsero il nord dello Shensi, dove si riunirono all'Armata del I Fronte dell'Esercito rosso.

[22] Traditore della rivoluzione cinese. In gioventù, speculando sulla rivoluzione, si infiltrò nel Partito comunista cinese. Nel Partito commise innumerevoli errori che furono causa di gravi crimini. Il più noto fu quello del 1935 allorché, mosso da spirito disfattista e liquidazionista, si pronunciò contro la marcia a nord dell'Esercito rosso e a favore di una ritirata nelle zone abitate da minoranze nazionali fra il Szechuan e il Sikang; svolse inoltre aperta opera di tradimento contro il Partito e il Comitato centrale, formò uno pseudo-comitato centrale e minò l'unità del Partito e dell'Esercito rosso, cose che provocarono gravi danni all'Armata del IV Fronte. Tuttavia, grazie al paziente lavoro educativo svolto dal compagno Mao Tse-tung e dal Comitato centrale del Partito, l'Armata del IV Fronte dell'Esercito rosso e i suoi numerosi quadri tornarono presto sotto la giusta direzione del Comitato centrale ed ebbero una grande funzione nelle lotte successive. Chang Kuo-tao, invece, si dimostrò incorreggibile. Nella primavera del 1938 fuggì dalla regione di confine Shensi-Kansu-Ningsia e entrò nel servizio segreto del Kuomintang.

[23] L'Esercito rosso centrale, o Armata del I Fronte dell'Esercito rosso, fu creato nella zona Kiangsi-Fukien, e posto sotto la guida diretta del Comitato centrale del Partito comunista cinese.

[24] Nel luglio del 1935 le truppe del Kuomintang lanciarono la terza campagna di "accerchiamento e annientamento" contro la base d'appoggio rivoluzionaria Shensi-Kansu. All'inizio il 26° Corpo d'Armata dell'Esercito rosso dello Shensi settentrionale sconfisse sul fronte orientale due brigate nemiche e ricacciò l'avversario sulla riva orientale del Fiume Giallo. Nel settembre il 25° Corpo d'Armata dell'Esercito rosso, che precedentemente operava nella base d'appoggio Hupeh-Honan-Anhwei, dopo aver attraversato la parte meridionale dello Shensi e la parte orientale del Kansu, giunse nel nord dello Shensi dove si riunì alle forze dell'Esercito rosso dello Shensi del nord, formando così il 15° Gruppo d'Armate dell'Esercito rosso. Nella battaglia di Laoshan, a Kanchuan, questo gruppo d'armate annientò la maggior parte della 110a Divisione nemica, ne uccise il comandante e poco dopo, a Yulinchiao, nel distretto di Kanchuan, distrusse quattro battaglioni della 107ª Divisione nemica. Il nemico organizzò nuovi attacchi. Al comando di Tung Ying-pin (comandante di un corpo d'armata dell'Armata del nord-est), cinque divisioni nemiche attaccarono su due colonne. A oriente una divisione mosse in direzione nord seguendo la strada Lochuan-Fuhsien, a occidente quattro divisioni, partite da Chingyang e Hoshui (Kansu), si diressero verso Fuhsien, nel nord dello Shensi, costeggiando il Fiume Hulu. In ottobre l'Esercito rosso centrale raggiunse il nord dello Shensi. In novembre, insieme al 15° Gruppo d'Armate, distrusse a Chihlochen, a sud-ovest di Fuhsien, la 109a Divisione nemica e nel corso dell'inseguimento annientò a Heishuisze un reggimento della 106a Divisione. Così fu definitivamente sbaragliata la terza campagna di "accerchiamento e annientamento" del nemico contro la base d'appoggio rivoluzionaria Shensi-Kansu.

[25] Nel 1934-1935, quando si trasferirono dalle loro posizioni, le forze principali dell'Esercito rosso della Cina meridionale lasciarono reparti partigiani che condussero un'accanita guerriglia in quattordici zone di otto province. Si tratta delle seguenti zone: Chekiang del sud, Fukien del nord, Fukien orientale, Fukien meridionale, Fukien occidentale, Kiangsi del nord-est, regione di confine Fukien-Kiangsi, regione di confine Kwangtung-Kiangsi, Hunan meridionale, regione di confine Hunan-Kiangsi, regione di confine Hunan-Hupeh-Kiangsi, regione di confine Hupeh-Honan-Anhwei, Monti Tungpai nello Honan meridionale e isola di Hainan (Kwangtung).

[26] Nel 1931, dopo l'occupazione del nord-est della Cina da parte degli imperialisti giapponesi, il Partito comunista cinese chiamò il popolo alla resistenza armata, organizzò reparti partigiani antigiapponesi e l'Esercito rivoluzionario popolare del nord-est, e prestò aiuto ai vari reparti volontari antigiapponesi. Dopo il 1934, sotto la direzione del Partito, tutte queste forze furono riorganizzate nell'Esercito unificato antigiapponese del nord-est al comando del famoso Yang Ching-yu, membro del Partito comunista. Questo esercito condusse per lungo tempo la lotta partigiana antigiapponese nel nord-est. Per guerra partigiana antigiapponese nello Hopei orientale si intende l'insurrezione contadina antigiapponese che ebbe luogo nel maggio del 1935.

[27] Guerra del 1918-1920, nel corso della quale il popolo sovietico respinse l'intervento armato degli Stati imperialisti - Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Giappone, Polonia, ecc. - e soffocò la rivolta delle Guardie bianche.

[28] II potere politico e la politica di una repubblica popolare, di cui il compagno Mao Tse-tung parla, divennero una realtà, durante la Guerra di resistenza contro il Giappone, nelle regioni popolari liberate che si trovavano sotto la direzione del Partito comunista cinese. Questo permise al Partito di dirigere il popolo a condurre con successo la guerra, nelle retrovie del nemico, contro gli invasori giapponesi. Durante la Terza guerra civile rivoluzionaria, scoppiata dopo la capitolazione del Giappone, le regioni popolari liberate si estesero gradualmente a tutta la Cina, e così nacque la repubblica unificata - la Repubblica Popolare Cinese - e l'ideale del compagno Mao Tse-tung circa la repubblica popolare fu realizzato su scala nazionale.

[29] Nel luglio del 1928 il VI Congresso nazionale del Partito comunista cinese adottò un programma composto dei seguenti dieci punti: 1) rovesciamento del dominio imperialista; 2) confisca delle imprese e delle banche appartenenti al capitale straniero; 3) unificazione della Cina e riconoscimento alle minoranze nazionali del diritto all'autodecisione; 4) rovesciamento del governo dei signori della guerra del Kuo-mintang; 5) instaurazione di un governo eletto dall'assemblea dei rappresentanti degli operai, dei contadini e dei soldati; 6) introduzione della giornata lavorativa di otto ore, aumento dei salari, sussidi ai disoccupati, assicurazioni sociali; 7) confisca delle terre ai proprietari fondiari e distribuzione delle terre ai contadini; 8) miglioramento delle condizioni di vita dei soldati e, a essi, distribuzione di terre e garanzia di lavoro; 9) abolizione di tutte le tasse e imposte esorbitanti e adozione di un'unica imposta progressiva; 10) alleanza con il proletariato mondiale e con l'URSS.

[30] II gruppo dei trotzkisti, in origine una fazione antileninista in seno al movimento operaio russo, degenerò in una vera e propria banda di controrivoluzionari. Nel rapporto presentato nel 1937 alla sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS, il compagno Stalin così spiegava l'evoluzione di questo gruppo di rinnegati: "In passato, sette-otto anni fa, il trotzkismo era una delle tendenze politiche nella classe operaia, una tendenza antileninista, è vero, e perciò profondamente errata, ma pur sempre una tendenza politica ... Il trotzkismo attuale non è una tendenza politica nella classe operaia, ma una banda di uomini senza principi e senza ideali, una banda di sabotatori, di informatori, di spie, di assassini, una banda di nemici giurati della classe operaia che agiscono al soldo degli organi di spionaggio di Stati stranieri". Dopo il fallimento della rivoluzione cinese nel 1927, anche in Cina si vide apparire un piccolo numero di trotzkisti che, unitisi a Chen Tu-hsiu e ad altri rinnegati, formarono nel 1929 una piccola cricca controrivoluzionaria. Essi conducevano una propaganda controrivoluzionaria, pretendendo fra l'altro che il Kuomintang avesse portato a termine la rivoluzione democratica borghese, e divennero un vile strumento nelle mani dell'imperialismo e del Kuomintang nella loro lotta contro il popolo. I trotzkisti cinesi si misero apertamente al servizio dello spionaggio del Kuomintang. Dopo l'Incidente del 18 settembre, seguendo le direttive del rinnegato Trotzki di "non impedire l'occupazione della Cina da parte dell'Impero giapponese", essi presero a collaborare con i servizi segreti giapponesi, ricevettero da loro sovvenzioni e si abbandonarono a tutta una serie di attività a favore degli invasori giapponesi.

[31] Citazione da Mencio. In Cina, nell'Epoca delle Primavere e degli Autunni (722-481 a.C.) i feudatari lottavano continuamente fra di loro per il potere, e ciò spiega la frase citata nel testo.

[32] Nel 1840-1842, in risposta all'opposizione del popolo cinese al traffico dell'oppio, l'Inghilterra, con il pretesto di salvaguardare il commercio, inviò truppe per invadere la Cina. Le truppe cinesi al comando di Lin Tse-hsu opposero resistenza. La popolazione di Canton organizzò spontaneamente "Corpi di repressione antinglesi" che infersero gravi colpi agli aggressori.

[33] Guerra rivoluzionaria contadina condotta alla metà del XIX secolo contro il dominio feudale e l'oppressione nazionale della dinastia Ching. Nel gennaio del 1851 i dirigenti di questa rivoluzione, Hung Hsiu-chuan, Yang Hsiu-ching e altri, organizzarono un'insurrezione nel villaggio di Chintien, distretto di Kueiping, provincia del Kwangsi, e proclamarono la costituzione del "Regno celeste del Taiping". L'Esercito del Taiping, lasciato il Kwangsi nel 1852, occupò Nanchino nel 1853 dopo aver attraversato lo Hunan, lo Hupeh, il Kiangsi e l'Anhwei. Una parte delle forze continuò la sua marcia verso nord e si spinse fino ai sobborghi di Tientsin. L'Esercito del Taiping, sia perché non aveva creato solide basi d'appoggio nelle zone occupate, sia perché dopo aver stabilito la capitale a Nanchino il suo gruppo dirigente aveva commesso numerosi errori politici e militari, non fu in grado di resistere agli attacchi congiunti delle truppe controrivoluzionarie della dinastia Ching e degli aggressori inglesi, americani e francesi. La rivolta fu soffocata nel 1864.

[34] La Guerra dello Yi Ho Tuan, scoppiata nel 1900 nella Cina settentrionale, fu un vasto movimento spontaneo di contadini e artigiani che, organizzati in società segrete a sfondo mistico, condussero una lotta armata contro gli imperialisti. Le forze congiunte di otto Stati imperialisti, dopo aver occupato Pechino e Tientsin, repressero crudelmente il movimento.

[35] Vedi nota 3 in Rapporto d'inchiesta sul movimento contadino nello Hunan.

[36] V. I. Lenin, Il programma militare della rivoluzione proletaria. Vedi anche Storia del Partito comunista (bolscevico) dell'URSS, (breve corso), Cap. VI, paragrafo 3.


NOTE DEL TRADUTTORE


[t1] Personaggio della mitologia cinese. Separò il cielo dalla terra e fu il primo dominatore dell'umanità.

[t2] Dominatori dell'antica Cina secondo le leggende popolari.