La critica dell'Internazionale
alle "Tesi di Roma"

Contributo del Presidium dell'Esecutivo dell'IC al progetto di programma del PCd'I


La lettera dell'Internazionale al PcdI è del marzo 1922. Fu pubblicata in Die Kommunistische Internationale, 1922, n. 23, pp. 142-145. La riprendiamo da Aldo Agosti, op. cit. I/2, pp. 560-564


  Al Comitato centrale del Partito comunista d'Italia

  Compagni!
  Dopo che l'Esecutivo ha esaminato il progetto di programma del vostro partito, apparso il 31 dicembre dello scorso anno su Il Comu­nista, il Presidium dell'Esecutivo ritiene necessario rivolgervi a questo riguardo le seguenti osservazioni:

   1. Il documento in questione non costituisce un progetto di programma, ma espone le tesi sulla tattica del partito comunista italiano. Un programma dovrebbe non solo definire le tendenze dello sviluppo, nonché le forme nelle quali si realizzano i nostri obiettivi finali, ma dovrebbe anche determinare gli obiettivi transitori in vista dei quali conduciamo fin d'ora le masse alla lotta: ora che non si tratta, purtroppo, d'impadronirsi del potere ma di conquistare una minoranza della classe operaia. Nelle vostre tesi non si trova una sola parola su questo. In quanto poi queste tesi si riferiscono alla tattica del partito, siamo pur­troppo costretti a constatare che sono redatte in modo tale da restare certamente incomprese dalla maggioranza dei membri del partito, e che d'altra parte sono, in alcuni dei punti più importanti, in completo disaccordo con le risoluzioni del III Congresso. Intendiamo dimostrarvelo.

   2. Il problema della conquista della maggioranza. Nelle tesi sulla tattica adottate dal III Congresso è detto: «Il problema oggi più importante per l'IC è quello di conquistare un'influenza determinante sulla maggioranza della classe operaia, di introdurre nella lotta i suoi strati determinanti». Questo punto fu adottato dopo una controversia con i rappresentanti della minoranza di sinistra, a cui appartenevano anche i vostri delegati. Le vostre tesi ritornano all'errore che il con­gresso aveva respinto. Vi si legge nel paragrafo 16:

   «D'altra parte non si può esigere che ad una data epoca o alla vigilia d'intraprendere azioni generali il partito debba aver realizzata la condizione di inquadrare sotto la sua direzione o addirittura nelle proprie file la maggioranza del proletariato. Un simile postulato non può essere aprioristicamente affacciato prescindendo dal reale svolgi­mento dialettico del processo di sviluppo del partito e non ha alcun senso nemmeno astratto il confrontare il numero dei proletari inqua­drati nella organizzazione disciplinata ed unitaria del partito, o al seguito di esso, col numero di quelli disorganizzati e dispersi o acco­dati ad organismi corporativi non capaci di collegamento organico ».

   I ragionamenti di questo genere hanno un solo scopo: diminui­scono, banalizzano la necessità della lotta per la conquista della mag­gioranza della classe operaia, cioè relegano in secondo piano il compito più importante che incombe ad un partito giovane come il PCd'I. Invece di dire al partito: lotta per ogni singolo operaio, tentativo di conquistarlo, tentativo di conquistare la maggioranza della classe operaia, le tesi forniscono pretesti dottrinali intesi a provare che il problema non è cosi urgente. Vi è in questo un grave pericolo, di cui l'Esecutivo, senza indietreggiare davanti ad alcun mezzo, avvertirà il partito.

   3. Le situazioni in cui la battaglia diventa necessaria e le possi­bilità della lotta. La seconda esigenza principale che il III Congresso dell'IC aveva additato ai partiti comunisti - secondo una lezione che era basata in primo luogo sulle esperienze dell'azione di marzo - era quella dell'analisi la più meticolosa possibile delle possibilità di lotta, della valutazione dei fatti e delle osservazioni che indicano le difficoltà dell'azione. Il senso generale delle tesi del III Congresso, per ciò che riguarda l'azione, si può riassumere in questo principio: il partito comunista può ingaggiare battaglia solo quando la situazione diventa tale che le grandi masse considerano la lotta come una necessità. In contrasto con queste conclusioni, le tesi del Comitato centrale del PCd'I dichiarano ai paragrafi 24 e 25:

   «l'attendere le situazioni per subirne in modo eclettico e discon­tinuo le indicazioni e le suggestioni è metodo caratteristico dell'oppor­tunismo socialdemocratico. Se i partiti comunisti dovessero essere co­stretti ad adattarsi a questo sottoscriverebbero la rovina della costru­zione ideologica e militante del comunismo.

   «25. Il partito comunista intanto riesce a possedere il suo carat­tere di unità e di tendenza a realizzare tutto un processo programmatico, in quanto raggruppa nelle sue file quella parte del proletariato che ha superato nell'organizzarsi la tendenza a muoversi soltanto per gli im­pulsi immediati di ristrette situazioni economiche. L'influenza della situazione sui movimenti d'insieme del partito cessa di essere imme­diata e deterministica per divenire una dipendenza razionale e volon­taria, in quanto la coscienza critica e l'iniziativa della volontà che hanno limitatissimo valore per gli individui, sono realizzate nella collet­tività organica del partito ».

   Che cosa significano questi sviluppi, se si cerca di cogliere - il che non è facile - il senso di queste parole che riecheggiano piut­tosto il frasario della sociologia borghese che non il marxismo? Signi­ficano solo questo: che utilizzare per la lotta le situazioni create dalla storia è opportunismo. La coscienza critica non ha bisogno di aspettare le condizioni propizie alla battaglia, da cui non dipende che scarsa­mente, ma può prendere liberamente l'iniziativa della lotta. Ragio­nando in questo modo non si fa altro che tornare alla vecchia teoria dell'offensiva condannata dal III Congresso. Certo, l'articolo seguente delle tesi cerca di velare questa realtà, imponendo in quattro parole alcuni limiti a questa teoria dell'avventurismo: ma quest'ultima resta parte integrante e pericolosa delle tesi, e presenterebbe il più grave rischio per il partito se esistesse non solo sulla carta ma anche nei cervelli dei membri dell'organizzazione.


   4. Il fronte unico.

   [Il III Congresso, nelle tesi sulla tattica, ha enunciato i criteri che devono guidare i partiti comunisti nel loro sforzo di realizzare il fronte unico: si rammenta in particolare il paragrafo 6, Prepararsi alla lotta.
Contro queste tesi si esprime il Comitato centrale del PCd'I nel para­grafo 36, pronunciandosi per l'unità del fronte sindacale e contro la creazione di nuclei dirigenti di lotta e di agitazione a cui il partito comunista parte­ciperebbe insieme al partito socialista. Tutte le argomentazioni avanzate dalle tesi del PCd'I trovano una replica nelle tesi del III Congresso, in particolare nel paragrafo sulle lotte e le rivendicazioni parziali delle tesi sulla tattica.]

   Se il Comitato centrale del partito italiano avesse riflettuto, avrebbe compreso che voler limitare la tattica del fronte unico ai sindacati significa abbracciare il punto di vista sindacalista: solo quando si ammette, infatti, che i problemi più gravi posti all'ordine del giorno dagli interessi di classe del proletariato possono essere risolti dalla lotta sindacale, si può pensare di eliminare i partiti politici. Ma poiché le cose non stanno cosi, e poiché la lotta economica, per quanto poco importante, si trasforma in una battaglia politica, è dovere di un partito comunista tentare d'intraprendere la lotta per gli interessi comuni del proletariato in collaborazione con altri partiti operai, per obbligare questi ultimi a unirsi al fronte comune. Solo in questo modo un partito comunista ha la possibilità di smascherare quei partiti, quando, impau­riti dalla lotta, esitano a partecipare al fronte comune. Questa que­stione viene ora risolta definitivamente dalla deliberazione del Comi­tato esecutivo allargato. Se il PCd'I non vuole rompere la disciplina internazionale (e siamo persuasi che non lo vorrà) deve modificare il suo atteggiamento riguardo a questi problemi pratici e decisivi, e accor­darsi con l'Esecutivo per stabilire in qual modo la lotta per l'unità del fronte può essere condotta in Italia.

   5. La parola d'ordine del governo operaio. Il fronte unico operaio è attualmente per l'Italia più importante che mai. I partiti borghesi si rivelano sempre meno capaci di stabilire un regime solido. Il governo attraversa una crisi perpetua. Il partito socialista non ha né il coraggio di rompere con la borghesia e di passare a una lotta aperta contro il governo, né l'audacia di partecipare apertamente a quest'ultimo. In una situazione come questa il partito comunista non può accontentarsi di lanciare la parola d'ordine del «governo dei consigli», né di denun­ciare alle masse il Partito socialista italiano che rifiuta di lottare per un governo dei consigli; deve dichiarare alle masse: voi temete la lotta per la dittatura, volete restare sul terreno democratico; ebbene, questo terreno non basterà nemmeno a soddisfare le esigenze minime della classe operaia. Sarete costretti a ingaggiare la lotta che è neces­saria per instaurare la dittatura proletaria. Ma guardate il disordine, il caos completo che regnano in Italia, dei quali voi siete le vittime prin­cipali. Se volete perseverare nel metodo della lotta democratica, perché non utilizzate i mezzi che vi fornisce la democrazia almeno per tentare di uscire dall'anarchia?

   Noi facciamo appello al partito italiano e gli domandiamo di lottare per lo scioglimento della Camera, al fine di instaurare un governo operaio. I comunisti devono dichiararsi pronti a formare un blocco con il partito socialdemocratico per stabilire un programma minimo delle condizioni che dovranno essere realizzate da questo governo operaio, devono dichiararsi pronti a sostenere questo governo fin tanto che esso rappresenterà gli interessi della classe operaia. Se il PSI è d'ac­cordo, cominceranno delle lotte che non si svolgeranno solo sul terreno parlamentare: così rispondiamo all'accusa secondo la quale la parola d'ordine del governo operaio è in fondo soltanto un pretesto per combi­nazioni meramente parlamentari. Se il PSI respinge la nostra proposta, le masse si renderanno conto che abbiamo indicato loro uno sbocco preciso, mentre il partito socialista non sa quel che vuole. Tutti i timori dei compagni di sinistra, secondo i quali tale tattica potrebbe cancellare le distinzioni fra comunisti e serratiani, sono semplicemente ridicoli. O non è vero che il partito socialista tradisce ad ogni pie' sospinto gli interessi del proletariato, non solo quelli futuri ma anche quelli immediati, e allora sarebbe ridicolo tentare di affermarlo e di persua­derne gli operai, poiché il partito comunista non può basare la sua esi­stenza su una propaganda menzognera; oppure è vero che noi soli rap­presentiamo gli interessi vitali del proletariato italiano, e allora ogni tentativo riuscito o fallito di stabilire il fronte unico smaschererà il partito socialista e rafforzerà il partito comunista.

   Noi esprimiamo la speranza che il PCd'I non s'inchini di fronte alle decisioni del CE allargato soltanto in modo esteriore, ma che la discussione svoltasi in questa riunione faccia chiarezza sui problemi posti e induca il PCd'I ad adottare il punto di vista dell'Esecutivo.

   Tralasciamo di analizzare nei particolari tutte le formule sbagliate che si trovano nel progetto di tesi del Comitato centrale italiano, per­ché quanto detto finora basta a dimostrare che queste tesi sono errate nel principio stesso che le ispira. Il paragrafo 49 delle tesi italiane dice:

   «Il partito perciò, libero dalle sue cure inerenti ad ogni periodo d'incominciamento, deve dedicarsi completamente al suo lavoro di penetrazione sempre più ampia tra le masse costituendo e moltiplicando gli organi di collegamento tra esse e se stesso».

   L'Esecutivo sarebbe lieto di poter far sua questa opinione espressa dal partito italiano. Purtroppo non è possibile. Le tesi dell'organo diret­tivo del partito provano che esso non ha ancora superato la sua malattia infantile, consistente in un radicalismo acerbo e sterile che si esaurisce in una paura settaria del contatto con la vita reale, in una mancanza di fiducia nelle proprie forze e nelle tendenze rivoluzionarie della classe operaia, proprio quando questa scende in lotta, sia pure per obiettivi provvisori. L'Esecutivo è persuaso che il Comitato centrale coglierà queste debolezze e cercherà di liberarsene. È necessario che cominci fin d'ora a modificare le sue tesi. È preferibile che il partito si accon­tenti delle tesi del III Congresso e del CE allargato e che rinunci all'elaborazione di tesi proprie, piuttosto di presentare le tesi in que­stione, che costringerebbero l'Esecutivo a combattere apertamente e nel modo più energico le concezioni del Comitato centrale italiano.