Lettera del Comitato esecutivo dell'Internazionale
al Partito comunista d'Italia

La lettera, del 4 settembre 1925, fu pubblicata su l'Unità del 7 ottobre. Il testo è ripreso da: Aldo Agosti, La Terza Internazionale - Storia documentaria, Editori Riuniti, Roma 1976, vol. II/1, pp. 353-368


[Da più di tre anni non si riunisce un congresso del PCd'I: tre anni di lotta aspra contro il fascismo e il riformismo e anche di grave crisi in­terna. Il prossimo congresso, portando la discussione alla base, avrà una enorme importanza.]


La vita e l'esperienza del partito


  Nella vita interna del partito questo periodo si divide in due fasi separate dal delitto Matteotti e dal V Congresso dell'Internazionale comunista. Nella prima fase la vita del partito fu soprattutto determina­ta dalla violenza con la quale esso e la classe lavoratrice furono battu­ti dalla reazione fascista. Il partito fu ridotto a una attività quasi completamente illegale e dovette costruirsi un nuovo apparato organiz­zativo. Esso subì però in questa stessa fase le conseguenze della crisi nei rapporti con l'Internazionale provocata dalla politica di Bordiga. Da una parte ne fu diminuito il suo prestigio tra le masse, mentre occorse un lungo periodo di assestamento prima che si ricostituisse al centro un gruppo capace di dargli una sicura guida politica. Il partito si ridusse a una vita negativa, completamente ripiegato su se stesso, assorto in discussioni interne riservate ai militanti, do­tato di un'azione esteriore sindacale e politica estremamente ridotta. La maggioranza dei soci del partito non era nemmeno più organizzata nei sindacati: il partito era in regresso in conseguenza dei colpi infertigli dalla reazione fascista, dello stato di torpore in cui era caduto il movimento operaio e dell'assenza di una tattica che malgrado la rea­zione lo mantenesse in contatto con le masse.

   Il delitto Matteotti fu un avvenimento nella vita politica italiana che accelerò fortemente il risveglio delle masse operaie di cui le elezioni dell'aprile 1924 erano state il segno precursore. Il partito comunista tras­se largamente profitto da questo risveglio, ma non avrebbe potuto farlo in così grande misura se non avesse in pari tempo risolutamente modi­ficato la sua politica e accettato, al V Congresso, di applicare in Italia la tattica dell'Internazionale comunista. Questo mutamento della tattica generale del partito, l'abbandono dello sterile settarismo della vecchia direzione, e la applicazione della tattica dell'Internazionale comu­nista concretata al V Congresso in un programma di azione per il par­tito italiano permisero di sfruttare con successo la situazione politica più favorevole e di strappare strati importanti delle masse operaie all'influenza dei riformisti e dell'opposizione borghese. Dopo aver accet­tato di applicare con lealtà la tattica dell'Internazionale e dopo aver ammesso una corrispondente modificazione della sua politica, il parti­to svolse una grande attività. Esso cessò di dedicarsi completamente alle discussioni interne e si rivolse alle masse degli operai e dei con­tadini con la ferma intenzione di conquistarle col suo lavoro e con la sua lotta quotidiana. Durante questo secondo periodo, grazie alla sua politica giusta il partito ha ottenuto importanti successi che l'In­ternazionale vuole mettere bene in luce perché sono la prova che essa aveva ragione nell'opporsi alla politica settaria e sterile di Bordiga.

   Il partito ha imparato a compiere delle manovre - senza per­dere la sua netta impronta comunista e rivoluzionaria - allo scopo di conservare sempre il contatto con le masse. Esso ha applicato verso il blocco riformista borghese dell'Aventino una tattica che gli ha per­messo di smascherare i capi riformisti e di distruggere la loro influen­za sopra strati sempre più vasti di operai e contadini. La partecipazio­ne al boicottaggio del parlamento e alla riunione delle opposizioni immediatamente dopo l'assassinio Matteotti, le proposte che furono fatte dal nostro partito di mobilitare le masse, la uscita dal blocco dopo i suoi primi tradimenti, l'aver preso fin dal primo momento e mantenuto anche durante questa manovra la posizione di centro di collegamento delle forze rivoluzionarie antifasciste, e poi le lettere aper­te all'Aventino con la proposta di anti-parlamento e di blocco anti­monarchico, - tutto ciò, accompagnato dalla azione energica svolta dal partito nel parlamento e nel paese contro il fascismo, - ha con­tribuito ad accrescere l'influenza del partito stesso sul proletariato e a farlo diventare un fattore sempre più importante della politica italiana. Quanto più diminuisce l'influenza dell'Aventino, tanto più aumenta quella del partito nostro, perché la sua tattica ha contribuito a illumina­re le masse, a far loro perdere ogni illusione e a conquistare la loro fiducia. Il partito ha svolto in pari tempo una azione sistematica in seno ai sindacati, ha saputo mantenere l'unità sindacale resistendo alle molteplici provocazioni dei riformisti che vorrebbero spingerlo alla scissione, ed ogni elezione, ogni congresso sindacale segna un progresso delle sue forze. Le nomine delle commissioni interne provano che anche le masse disorganizzate hanno fiducia in noi.

   La creazione di una sezione agraria, il lavoro sistematico che essa ha svolto e l'applicazione anche in questo campo della tattica del fronte unico hanno già dato una forte base al nostro partito nelle campagne. Tutti i soci del partito constatano nell'officina che il partito comunista conquista rapidamente la fiducia degli operai. Questa conquista delle masse e delle loro organizzazioni, questa forza di attrazione di cui oggi il nostro partito è il centro, non sono soltanto dovute alle condizio­ni politiche più favorevoli, ma anche e, soprattutto alla giusta politica che l'attuale direzione ha condotto, in accordo con l'Internazionale comunista.

   [La tattica dell'IC si è rivelata giusta anche nella questione del PSI. La fusione terzinternazionalista ha avuto vari effetti positivi.]

   Dopo la scissione della frazione terzinternazionalista e la sua fu­sione col partito comunista il vero carattere del massimalismo è net­tamente apparso. Rapidamente il partito è precipitato a destra verso il riformismo e la controrivoluzione. Esso si è strettamente legato alla borghesia clericale e monarchica dell'Aventino per recarle l'appoggio di una parte della classe operaia nel tradimento che essa compie della lotta antifascista. Nel movimento sindacale esso costituisce un blocco con i capi riformisti i quali continuamente provocano alla scissione sinda­cale, civettano con Mussolini e col fascismo e non sono capaci di lottare con energia se non contro gli operai rivoluzionari e contro il partito comunista. Il PSI non ha più nessuna indipendenza politica, esso fa la stessa politica di Turati e D'Aragona e tutti gli operai com­prendono oggi che le sue frasi demagogiche non servono ad altro che a mascherare un'azione puramente riformista e controrivoluzionaria. L'equivoco del centrismo politico è finito. La classe operaia non ha più la scelta fra tre politiche corrispondenti ai tre partiti che si con­tendono la sua fiducia, essa non ha davanti a sé che due politiche, quella del blocco massimalista-riformista e quella del partito comunista.

   [Anche sul piano internazionale il PCd'I è la sola forza rimasta a battersi per l'unità sindacale internazionale e contro i pericoli di guerra e di aggressione all'Unione Sovietica.]

   Gli operai socialisti in sempre maggior numero constatano questi fatti e capiscono che il solo partito della classe operaia è il partito comunista. Delle sezioni massimaliste si sciolgono e i loro componenti si rivolgono al nostro partito come all'unica forza rivoluzionaria. Que­sta diserzione dei migliori elementi proletari dal Partito socialista ita­liano è ancora oggi conseguenza della politica dell'Internazionale nei confronti del partito socialista e della giusta applicazione della tattica del fronte unico fatta dal partito comunista.


Le responsabilità del partito


  Questa crescente influenza del nostro partito sulle masse operaie e contadine in una situazione politica ed economica instabile come quella che il fascismo ha creato in Italia pone il partito stesso davan­ti a gravi responsabilità. Il nostro partito diventa un partito di massa e se continua ad applicare con successo la tattica dell'Internazionale che gli ha fruttato gli importanti successi dell'anno passato, esso avrà conquistato nel prossimo avvenire la maggioranza della classe operaia ed avrà legato ad essa, per la lotta, strati importanti di contadini.

   [Il fallimento dell'opposizione piccolo-borghese è apparso in tutta la sua chiarezza e impone al PCd'I una responsabilità storica ancora maggio­re. Perciò l'IC segue con particolare attenzione la preparazione del con­gresso e combatte la tendenza contraria al marxismo-leninismo che si mani­festa in una parte del partito.]


La bolscevizzazione del partito


  La risoluzione relativa al vostro partito che è stata votata nell'ul­tima sessione dell'Esecutivo allargato ha espresso la necessità di bolsce­vizzare il partito, di creargli un'ideologia leninista e di combattere quindi l'ideologia di estrema sinistra di Bordiga in tutto ciò che essa ha di contrario al leninismo.

   Questo sarà il compito essenziale del vostro prossimo congresso, questo deve pure essere lo scopo della preparazione ideologica di esso. Il partito attraverso la discussione preparatoria deve acquistare una chiara coscienza di principi tattici che hanno guidato la sua azione nel corso di questo ultimo anno. Soltanto a questa condizione la linea tattica fissata dall'Internazionale d'accordo con la maggioranza della delegazione italiana al V Congresso ed applicata con lealtà e con succes­so dal partito italiano potrà essere mantenuta e sviluppata, potrà acquistare maggiore fermezza, potrà guidare il partito a nuovi importanti successi nella conquista delle masse operaie e contadine, condizione necessaria alla vittoria sul fascismo e sulla borghesia.

   [Bordiga non è mai stato leninista, come dimostrano non solo il suo astensionismo del 1919-20 ma tutta la concezione generale della tattica rivo­luzionaria che egli sostenne al II Congresso. Questa concezione impresse sempre un segno netto alla base ideologica e all'attività del PCd'I. Al III Congresso il PCd'I si oppose alla tesi leninista della conquista delle masse e poi alla tattica del fronte unico. Bordiga ha sempre cercato di tacere gran parte delle sue divergenze tattiche nelle riunioni dell'IC: così ad esempio al V Congresso. Nel PCd'I però ha cercato di sabotare l'applica­zione della linea dell'IC. Dopo essersi allontanato dalle responsabilità del lavoro quotidiano di partito per qualche mese, Bordiga si è pronunciato a favore di Trotskij e ha poi rifiutato di partecipare al V Plenum, orga­nizzando invece la lotta di frazione in Italia, e scatenando contro l'IC un'offensiva parallela a quella degli imperialisti e dei socialdemocratici.

   Il partito italiano ha reagito contro quest'opera di disgregazione, men­tre Bordiga ha aggravato la sua posizione pubblicando i Punti della sini­stra, un documento non degno di comunisti. La stragrande maggioranza del PCd'I condanna il suo atteggiamento. Occorre però discutere a fondo tutte le questioni su cui egli si è trovato in contrasto con l'IC]


1. L'astensionismo e il fatalismo nella politica di Bordiga


  Bordiga è stato uno dei più ardenti difensori dell'antiparlamenta-rismo, e aveva chiamato la sua frazione «astensionista» mettendo così in rilievo il suo carattere essenziale. Il suo ragionamento consiste­va nell'affermare che il partito comunista non può incontrarsi con al­tri partiti politici e collaborare con essi nel campo parlamentare. L'In­ternazionale non ha cessato di ricordare la utilità di sfruttare la tribu­na parlamentare per l'agitazione rivoluzionaria e mai ha fatto questione di «collaborazione» parlamentare. Ma per Bordiga il solo fatto di es­sere nel parlamento davanti ai rappresentanti di altri partiti era un pericolo e una manifestazione di opportunismo. Il carattere stesso del suo ragionamento faceva prevedere che l'astensionismo non era per lui un principio applicabile solamente al terreno parlamentare, ma che esso sarebbe stato il carattere costante di tutta la sua politica. Lo stesso modo di ragionare influì difatti in numerose occasioni sull'attività del partito. Bordiga si oppose alla tattica del fronte unico e della lettera aperta per evitare al partito comunista ogni contatto diretto con altre organizzazioni politiche, non ammettendo egli se non il contatto che si stabilisce nelle organizzazioni economiche, nei sindacati, nelle commis­sioni interne ecc. In questo modo egli rese più difficile al partito l'intervento attivo nelle lotte politiche quotidiane. Partendo dallo stes­so principio egli isolò il partito nella sua lotta contro il fascismo prima della marcia su Roma. Mentre le masse erano in movimento e resi­stevano spontaneamente al fascismo, Bordiga invece di lanciare il par­tito in una lotta che veniva sfruttata e sostenuta da uomini politici borghesi, cercando di accordare l'azione del partito con quella delle mas­se e strapparle nel corso stesso della lotta all'influenza di quei po­liticanti che di esse volevano servirsi, preferì organizzare l'azione e la resistenza autonoma del partito comunista isolandolo nella lotta antifa­scista dalle masse in movimento, e non riuscì a fare di esso il lievito di un vasto movimento popolare antifascista di cui avrebbe potuto diventare, durante la lotta, la guida e il capo.

   Lo stesso astensionismo fu adottato da Bordiga di fronte al lavoro di disgregazione degli altri partiti politici forniti di una base tra le masse operaie e contadine. Bordiga si rifiutò categoricamente di costi­tuire dei «nuclei» nel seno di altre organizzazioni politiche, in parti­colare del partito massimalista, allo scopo di strappare delle masse operaie traviate all'influenza controrivoluzionaria dei loro capi. Nel cor­so dell'ultimo anno, fedele al suo astensionismo, Bordiga condannò ogni intervento diretto del partito nelle lotte politiche: condannò la proposta di antiparlamento la quale permise al partito di smascherare le opposizioni e che segnò l'inizio del loro vergognoso fallimento, con­dannò la proposta di blocco repubblicano che divise le opposizioni e obbligò i partiti che si appoggiano a masse proletarie a discussioni interne che possono servire a strappare alle masse che li seguono le il­lusioni e la fiducia che esse continuano a nutrire, e così via.

   Questo costante astensionismo, che riserva al partito un compito di astratta propaganda senza contatto con le masse, e senza comprensio­ne della necessità di conquistare gli operai socialisti, che gli riserva un compito di agitazione dei principi generali del comunismo e lo tiene lontano dalle lotte politiche quotidiane, ha come conseguenza una passività che isola il partito dalle masse operaie e contadine le quali dal partito attendono di giorno in giorno le direttive per la lot­ta. Esso è anche una prova di sfiducia nel partito stesso e nel prole­tariato che ne forma l'elemento costitutivo. Bordiga teme che i com­pagni i quali si incontrano con avversari di altri partiti politici si corrompano e facciano cadere il partito nell'opportunismo, egli non ha fiducia nella vigilanza degli operai e nel loro istinto di classe per pre­servare il partito dalle deviazioni. Egli non ha fiducia nella coscienza proletaria perché, come vedremo in seguito, la sua concezione del parti­to non è quella dell'Internazionale comunista. Se il partito, come affer­ma Bordiga nei Punti della sinistra, ha la funzione di sintetizzare delle spinte individuali e se la sua composizione sociale fa un posto ai disertori della borghesia, senza dubbio i più gravi pericoli lo minacciano. Ma il partito non è la caricatura piccolo-borghese che ne fa l'estrema sinistra italiana, e Bordiga conclude all'astensionismo appunto perché egli ha una nozione completamente falsa della funzione del partito.

   Nonostante la sua passività politica e il suo isolamento dalla masse il partito, come lo concepisce l'estrema sinistra deve però storicamente conquistare il potere. Bordiga sviluppa perciò una specie di fatalismo. Quando la situazione sarà rivoluzionaria, il partito uscirà dal suo asten­sionismo per prendere la direzione delle masse e guidarle alla conqui­sta del potere. Come accadrà ciò? Bordiga pensa che ciò sarà il risul­tato della situazione rivoluzionaria e di un atto di volontà e di deci­sione del partito, atto che farà seguito alla sua campagna di agitazione e di propaganda per lo scopo finale del comunismo. Ma è chiaro per chiunque non ragioni nell'astratto e conosca l'esperienza rivoluzionaria del proletariato che il partito comunista potrà trascinare le masse alla conquista del potere, anche nella più favorevole delle situazioni rivolu­zionarie, non se ne ha soltanto la volontà, ma solo se ha creato tra sé e le masse legami solidi e molteplici, se le ha trascinate dietro a sé nelle lotte parziali nelle quali esse hanno imparato a riconoscerlo come guida sicura e se le ha strappate all'influenza degli altri partiti politici smascherando il loro vero carattere antiproletario. Senza questo lavoro politico preparatorio incessante, senza un intervento costante nelle lot­te di tutti i giorni, mai il partito potrà trascinare le masse all'azione rivoluzionaria. L'astensionismo farà di lui una setta fatalista, una so­cietà di propaganda e di agitazione per le idee generali del comunismo, mai un partito leninista capace di cogliere tutte le possibilità di azione per conquistare la fiducia delle masse e mobilitarle per la rivoluzione.


2. Una falsa analisi del fascismo


  Lo schematismo astratto che caratterizza tutto il modo di pensare di Bordiga lo condusse in una situazione storica particolarmente seria a commettere un grave errore di analisi della situazione, errore che rese falsa tutta la tattica del partito. L'analisi fatta da Bordiga del fa­scismo in formazione non corrispondeva alla realtà, ma soltanto alla costruzione teorica che egli se ne era fatta. Per Bordiga, il fascismo era sinonimo di «borghesia» presa in blocco. Invece di fare un'anali­si dei diversi strati sociali che formavano la base del fascismo, dei lo­ro interessi e dei loro contrasti, Bordiga considerò il fascismo come un blocco omogeneo, come lo strumento della lotta armata illegale della borghesia. La piccola borghesia, i cui interessi sono sovente opposti a quelli della grande borghesia, la classe dei contadini, la socialdemocrazia stessa erano da lui semplicemente assimilate al fascismo.

   Nella prospettiva generale dello sviluppo storico, ad esempio, i socialisti sono legati al fascismo. Essi hanno dato la prova di ciò in tutto il loro atteggiamento in Italia nei confronti del fascismo a cominciare dalla tregua firmata tra il partito socialista e il partito fasci­sta, tregua che permise a quest'ultimo di concentrare i suoi colpi contro il partito comunista e contro gli operai rivoluzionari, fino alle recenti dichiarazioni fatte da D'Aragona e Baldesi a un giornalista fascista, le quali provano che un anno dopo l'assassinio di Matteotti i capi social-riformisti - che i massimalisti hanno sempre appoggiato e difeso - cercano un terreno di collaborazione e di intesa con il fascismo, e de­plorano la ostilità che la classe operaia nutre contro di esso. Formando l'ala sinistra della borghesia, i socialisti e i massimalisti sono legati al fascismo per la difesa dell'ordine e degli interessi capitalistici contro la rivoluzione proletaria. Considerati in una prospettiva storica generale essi formano dunque anche l'ala sinistra del fascismo, ma la tattica del nostro partito, pur non perdendo di vista questa prospettiva generale, non può nella sua azione quotidiana trascurare le differenze esistenti tra le diverse correnti della borghesia per cercare di opporle le une alle altre e strappare alla loro influenza le masse operaie momentaneamente disorientate.

   Bordiga non vide che la prospettiva generale, egli non comprese che la tattica del partito doveva utilizzare le opposizioni esistenti nel campo stesso della borghesia e del fascismo, non seppe mobilitare contro il fascismo, a fianco del partito comunista, gli operai socia­listi e i piccoli contadini, in una parola, non comprese la tattica di fronte unico che in quel momento doveva far uscire il partito dal suo isolamento e procurargli degli alleati. L'analisi sommaria e falsa da lui compiuta doveva portare a una tattica falsa poiché Bordiga non poteva venire che a una conclusione: la lotta armata del partito comunista isolato contro il fascismo. Il settarismo di Bor­diga giunse così lontano nell'isolare il partito, che un comunicato della centrale pubblicato nella stampa proibiva alle organizzazioni di combat­timento del partito di arruolare operai che non fossero comunisti prova­ti ed escludeva persino gli operai della frazione terzinternazionalista. Il partito in quel periodo comprese il suo dovere come un dovere essenzialmente militare. Esso venne completamente meno ai suoi com­piti politici. La lotta contro il fascismo doveva certamente avere un lato militare, ma in quel periodo di formazione il compito del partito doveva essere anzitutto un compito politico, allo scopo di contendere al fascismo la conquista delle masse. L'astensionismo da una parte, una falsa analisi del fascismo dall'altra furono la causa di questa assenza di azione politica da parte del partito comunista contro il fascismo. Per non avere visto le opposizioni di interessi esistenti in seno alla borghesia, Bordiga, al momento della marcia su Roma, si accontentò di dire «è un farsa, è una commedia».

   Oggi, meglio che allora, il partito può giudicare quanto era sbaglia­ta questa analisi sommaria del fascismo. Le contraddizioni interne e le lotte di interessi appaiono oggi più nette e il partito comprende che deve trascinare nella lotta antifascista degli elementi indecisi e malcon­tenti della piccola borghesia e dei contadini. Ma queste opposizioni di interessi il partito avrebbe dovuto risvegliarle, metterle a nudo, avviar­le con la sua politica nel periodo di formazione del fascismo, per impe­dirgli di riuscire. Trattando il fascismo come un blocco omogeneo con­tro il quale il partito doveva lottare da solo e militarmente, Bordiga contribuì a consolidare il fascismo nascente. Fu questo uno dei suoi errori fondamentali, e il partito deve scorgerlo chiaramente perché la sua azio­ne antifascista di oggi e di domani dipende da una giusta analisi del fascismo e degli interessi economici dei diversi strati sociali che lo seguono e lo subiscono.


3. La concezione della tattica


  [Su questo punto l'opposizione di Bordiga al leninismo è sempre stata assoluta. La tattica leninista è per eccellenza una tattica mobile. Bordiga vuol preservare il partito dalle deviazioni chiudendolo in una tattica rigi­da, anche a costo di isolarlo dalle masse. Lo dimostrano tutta una serie di questioni particolari:

   a) Necessità della conquista delle masse. Su questo punto il PCd'I si è opposto alle tesi tattiche di Lenin e alla condanna della teoria dell'of­fensiva.]

   L'estremo sinistrismo di Bordiga è in effetti ben differente da quello che animava nel 1921 un buon numero di operai rivoluzionari impazienti di agire. Nel momento in cui la depressione cominciava a manifestarsi nelle masse, una minoranza proletaria rimasta fermamente rivoluzionaria voleva, con l'azione eroica di una avanguardia, scuotere il torpore delle masse stesse. Questa impazienza di agire, malgrado le cir­costanze oggettive sfavorevoli, provocò il putschismo e l'estremo sini­strismo del 1921. Il sinistrismo di Bordiga non si manifesta invece come una impazienza di agire, ma come un dottrinarismo intellettuale che ha come conseguenza la passività del partito: il suo dottrinarismo intransigente e passivo non si cura però nemmeno di conquistare le masse con lo sforzo e con il lavoro quotidiano del partito; perciò il PCI si opponeva al III Congresso alla tattica della conquista delle masse e a tutte le conseguenze derivanti da questa parola d'ordine. L'estremo sinistrismo di Bordiga è della stessa natura di quello che si manifesta in certe sezioni dell'Internazionale comunista, in Germania, in Polonia, e che recluta i suoi aderenti essenzialmente tra intellettuali che hanno perduto la fede rivoluzionaria e nelle file del partito comunista fanno eco alla campagna antimoscovita della borghesia e della socialdemo­crazia. Nel momento in cui la borghesia e i capi socialdemocratici scatenano una offensiva generale contro Mosca, è naturale che que­sta campagna trovi anche nei nostri partiti una eco, tra gli elementi sfiduciati e logori. In Italia come in Germania l'estremo sinistrismo è nettamente antimoscovita; la risposta del Comitato d'intesa è un docu­mento di velenosa insinuazione contro l'Internazionale e contro la sua direzione. Questo sinistrismo non ha niente di rivoluzionario.

   [b) Tattica della lettera aperta. Di questa tattica, che ha lo scopo di smascherare i partiti che ingannano la classe operaia, il PCd'I si è più volte servito con risultati positivi. Bordiga continua ad opporvisi.
   c) Il fronte unico. Questa tattica presenta indubbiamente pericoli, che il V Congresso ha denunciato. Le tesi di Roma del PCd'I la respingevano, anche perché non erano allora conosciuti i principali documenti dell'IC sull'argomento. Ora la discussione va affrontata a fondo.
   d) Il governo operaio e contadino. Questa parola d'ordine, sinonimo di dittatura del proletariato, è la più adatta a porre alle masse il problema del potere e la necessità dell'alleanza con i contadini. Bordiga vi si è op­posto non solo per le deviazioni opportuniste che può provocare ma per la concezione rigida che ha della tattica.
   e) Questioni nazionali e questioni dei contadini. Bordiga afferma di fare delle riserve sul modo in cui le tesi sulle questioni agraria e nazio­nale del II Congresso sono applicate. Nel momento in cui l'Esecutivo ha insistito con forza sull'importanza della lotta dei contadini e dei popoli coloniali, Bordiga ha il dovere di esprimere chiaramente il suo pensiero.]
   f) L'unità sindacale. Uno dei più grandi successi riportati dal­l'Internazionale comunista nel corso dell'ultimo anno è certamente stato quello ottenuto mediante la sua tattica di unità sindacale. Questa è stata la chiave che ci ha permesso di penetrare profondamente nella classe operaia inglese. Il comitato anglo-russo non è solo un colpo terribile portato ai capi riformisti di Amsterdam e un avvenimento di prima importanza nel movimento operaio mondiale; esso costituisce pure un fattore importante della politica internazionale, un serio impedimento all'imperialismo inglese nella realizzazione dei suoi piani controrivoluzionari contro la Russia dei soviet. La tattica di unità sindacale crea la possibilità di raggiungere nuovi strati del proletariato ancora ieri sottoposti all'influenza riformista, di realizzare una vasta campagna di fronte unico internazionale e di far comprendere agli operai che i so­cialdemocratici sono responsabili della scissione delle forze operaie. I ca­pi riformisti temono l'unità perché sanno quale enorme immediata in­fluenza rivoluzionaria avrebbero i rivoluzionari in un'Internazionale uni­ca. Ed è proprio nel momento in cui essi si smascherano come sabota­tori della unità che Bordiga leva la voce per affermare che egli è d'ac­cordo con essi contro l'unità organica del movimento sindacale!

   [Tutta la tattica dei capi di Amsterdam negli ultimi anni è consistita nell'escludere i comunisti dai sindacati e nel rigettare su di loro la colpa delle scissioni. L'IC si è sforzata di salvare l'unità del movimento sinda­cale, si è battuta contro la tendenza ad abbandonare i sindacati. Grazie alla parola d'ordine dell'unità sindacale internazionale, l'IC ha paralizzato la volontà scissionista della destra di Amsterdam ed è riuscita a collegarsi in un ampio fronte unico a grandi masse di socialdemocratici.]

   Questa tattica ha abbattuto il muro che i riformisti avevano ele­vato tra gli operai socialdemocratici e i comunisti. Il contatto è sta­bilito con nuovi strati proletari. Ma questa tattica non mira soltanto a costituire il fronte unico e a prendere il contatto suindicato, essa ten­de realmente alla costruzione dell'unità sindacale internazionale. Il gior­no in cui i rivoluzionari potranno, nella stessa organizzazione in cui sono i riformisti, difendere le loro proposte davanti alle masse ope­raie socialdemocratiche, il regno dei capi riformisti sarà seriamente minacciato.

   I capi riformisti non si fanno a questo proposito nessuna illu­sione e per questo non hanno cessato di cacciare i nostri compagni e si sforzano di resistere alla corrente di unità sindacale internazionale.

   Il partito comunista, che lotta in Italia con tenacia in favore dell'unità della CGdL contro le mene scissioniste riformiste e massima- liste, ha già compreso il valore dell'unità sindacale internazionale e sa- rà certamente stupito di trovare Bordiga d'accordo coi capi riformisti contro l'unità organica del movimento sindacale internazionale.

   [g) Nuova tattica elettorale. Per Bordiga la borghesia forma un blocco omogeneo che va dai fascisti ai socialdemocratici. Egli non avverte che un governo socialdemocratico o borghese di sinistra e un governo fascista non sono la stessa cosa, giacché il primo farebbe crollare le illusioni democra­tiche e riformiste delle masse mentre il secondo inevitabilmente le rafforza.]

   Il partito comunista non può dunque disinteressarsi della forma del governo borghese sotto il quale esso deve svolgere la sua azione. D'altra parte le masse che noi dobbiamo convincere e conquistare non ci comprenderanno mai se con la nostra tattica elettorale noi favoriremo il trionfo della peggiore reazione. L'elezione di Hindenburg in Ger­mania, per confessione dei capi stessi del partito tedesco, ha fatto sorgere un muro tra la classe operaia socialdemocratica e il partito comunista e tutti i partiti dell'Internazionale ne hanno sentito il con­traccolpo.

   Il Partito comunista italiano assumerebbe davanti al proletariato la responsabilità di mantenere il fascismo al potere se avesse la possi­bilità di provocare la sostituzione di esso con l'Aventino? Bordiga opponendosi a questa tattica dimostra di non aver compreso la neces­sità di conquistare le masse né quella di smascherare i partiti di sini­stra spingendoli al potere. Quando poi afferma che si fanno con questi partiti dei compromessi elettorali egli deforma la tattica dell'Interna­zionale per poterla meglio combattere. Il partito comunista intervenen­do con le sue forze elettorali in favore dell'uno o dell'altro degli av­versari borghesi non conclude nessun compromesso e non fa nessun mercato elettorale. Esso resta padrone assoluto della sua azione e, sen­za nulla attendere in cambio se non la disillusione delle masse che verranno sotto la sua influenza, liberamente dispone della sua forza elettorale per battere la reazione oggi e creare le condizioni favore­voli alla propria vittoria di domani sopra il liberalismo e la social­democrazia.


4. Funzione, carattere e organizzazione del partito


  Abbiamo già visto che l'opposizione di Bordiga alla tattica ge­nerale del leninismo aveva una delle sue cause nella falsa concezione della funzione del partito comunista.

   La parte dei Punti della sinistra che ha più vivamente colpito i membri del PCI e provocato la loro più forte opposizione è certa­mente quella che parla della funzione del partito comunista. In questa parte del suo programma l'estrema sinistra italiana rivela nettamente una tendenza piccolo-borghese e la sua intransigenza verbale non riesce a nascondere le concezioni nettamente socialdemocratiche. Sei anni dopo la fondazione dell'Internazionale comunista, Bordiga ritorna a que­sta concezione puramente liberale e socialdemocratica della funzione dei partiti: «esso sintetizza e unifica le spinte individuali e di gruppi e di conseguenza il suo tipo di organizzazione deve porsi al di sopra delle diverse categorie e sintetizzare esso pure gli elementi che provengono dalle diverse categorie del proletariato, dei contadini, dei diserto­ri della classe borghese, ecc. ecc.». Questa concezione della natura e della organizzazione del partito è in assoluta opposizione ai principi fondamentali del comunismo e del marxismo. Essa lascia assolutamente da parte la nozione di classe. Per i comunisti il partito non sintetiz­za e non unifica spinte individuali, ma «è» l'avanguardia del prole­tariato che esprime non la volontà degli individui o dei gruppi, ma gli interessi della classe operaia ai quali subordina le spinte individuali e di gruppi. Esso non può di conseguenza essere organizzato se non in modo che assicuri nel seno stesso del partito la egemonia del proleta­riato e subordini ad esso gli elementi che possono venire da altri ambienti sociali. Porre come fa Bordiga i contadini, i disertori della borghesia e due «ecc. ecc.» pieni di mistero sullo stesso piano del proletariato è voler togliere al partito comunista la sua base di classe, e commettere l'errore profondo degli intellettuali menscevichi i quali non hanno fiducia nella classe operaia e vedono la funzione e l'organiz­zazione del partito come una sintesi delle aspirazioni di diversi grup­pi sociali. L'esperienza della socialdemocrazia ha dimostrato a sufficien­za che in questa sintesi i disertori della borghesia e gli «ecc. ecc.» acquistano l'egemonia e portano il partito al servizio della borghesia e dell'imperialismo.

   Partendo da una concezione fondamentale così falsa della natu­ra e dell'organizzazione del partito non vi è da stupirsi che Bordiga manchi di fiducia in un partito di masse e preferisca un partito di capi scelti tra i disertori della borghesia, che egli al pari di Trotskij attribuisca una funzione decisiva ai capi e una importanza secon­daria alla massa e all'organizzazione stessa di partito e che egli riduca la funzione del partito a un lavoro di propaganda e di agitazione dei principi comunisti. Si comprende pure in questo modo che Bordiga abbia per un partito simile una grande sfiducia e voglia preservarlo da ogni incontro con altri partiti politici. La sua è del resto pena per­duta perché i piccolo-borghesi e i disertori della borghesia faranno sen­za dubbio deviare un simile partito verso l'opportunismo anche se esso rimane passivo e prigioniero di una tattica rigida e intransigente. L'esempio attuale di Bordiga è di ciò la dimostrazione evidente. La sua concezione della funzione del partito è falsa e falsa risulta quindi tutta la sua linea politica.

   Il partito comunista italiano davanti ai Punti della sinistra non può avere dubbi sulla vera natura dell'estremo sinistrismo italiano. Esso è una tendenza di destra nettamente piccolo-borghese. Alla concezione socialdemocratica dell'organizzazione e della funzione del partito che esso propugna si ricollega pure l'opposizione alle cellule di officina e l'idea che alla vigilia di un congresso ogni disciplina sparisce per far posto alla attività delle frazioni. Il partito forte della sua esperienza e del suo istinto di classe ha già risposto e condannato severamente l'estrema sinistra su questi punti.


5. Trozkismo e leninismo


  Questa opposizione costante di Bordiga al leninismo che noi ritro­viamo nei problemi di tattica come in quelli di organizzazione ha deter­minato il suo atteggiamento nelle discussioni sul trotskismo.

   Trotskij assunse politicamente in tutta la storia del movimento rivoluzionario russo una posizione intermedia tra il bolscevismo e il menscevismo. I grandi servizi da lui resi alla rivoluzione dopo il 1917 non possono far dimenticare che sui problemi della funzione e della organizzazione del partito, su quello dei contadini e in una serie di questioni tattiche (Brest-Litovsk, compito dei sindacati, ecc.) egli si è separato dal leninismo. Bordiga su alcuni punti condivide le opinio­ni di Trotskij e dopo avere esitato ha definitivamente aderito all'attac­co che i trotskisti hanno condotto contro il leninismo nell'Internazio­nale comunista. Egli ha fatto ciò in un articolo che è pieno di ine­sattezze.


I compiti dell'avvenire immediato


  Rispondendo chiaramente alle questioni che abbiamo enumerato e accettando non per disciplina formale ma per convinzione la tattica dell'Internazionale il Partito comunista d'Italia avrà fatto un serio pro­gresso nella via della bolscevizzazione. Il suo livello ideologico verrà elevato e la sua tattica liberatasi dalle deviazioni di sinistra, potrà ispirarsi sempre meglio al leninismo il quale soltanto condurrà il pro­letariato italiano alla vittoria.

   Ma la bolscevizzazione non è fine a se stessa. Essa è necessaria perché il partito diventi sempre più partito di massa. Praticando la tat­tica di Bordiga il partito si isola e diventa una setta impotente; pra­ticando la tattica dell'Internazionale esso diventa un partito di massa la cui influenza si estende sulla massa operaia e contadina. L'esperienza dell'anno trascorso è una dimostrazione di questa verità. Il partito deve dunque discutere tutte queste questioni di tattica non in modo astratto come fa Bordiga, ma tenendo conto da una parte della sua esperienza e tenendo presente il suo scopo essenziale che è di diventare un partito di massa, di conquistare la maggioranza del proletariato e delle sue organizzazioni di classe (sindacati, cooperative, commissioni interne, ecc.), e di conquistare le masse contadine facendone le alleate del proletariato.

   La situazione politica ed economica dello Stato italiano è insta­bile. La profonda crisi politica provocata dall'assassinio di Matteotti e le difficoltà economiche che il fascismo è incapace di risolvere entro i quadri della società capitalistica offrono al nostro partito grandi pro­spettive di azione. Il fallimento delle opposizioni costituzionali appare oggi così chiaro alle masse che le loro illusioni democratiche spariscono. Esse hanno perduto la speranza di una soluzione pacifica della crisi. La disfatta dell'Aventino ha recato vantaggio al fascismo il quale ha da­to una certa stabilità al suo regime di oppressione, ma se alcuni stra­ti della borghesia e della piccola borghesia si sono nuovamente colle­gati al fascismo, le masse popolari, il proletariato e i contadini si vol­gono con maggior simpatia verso l'unica forza capace di combattere il fascismo e di vincerlo: il partito comunista.

   Il congresso del partito deve accettare la tattica dell'Internazionale non soltanto per liquidare un conflitto tra il partito e l'Internazionale stessa o per la sua bolscevizzazione ideologica: esso deve farlo anzi­tutto per collegarsi profondamente colle masse e diventarne la guida. Nella situazione presente soltanto la tattica del fronte unico, della let­tera aperta e della penetrazione nelle organizzazioni proletarie, soltanto l'intervento incessante in tutta la lotta politica raccoglieranno dietro il nostro partito le masse che sono deluse per la politica dell'Aventino ma restano profondamente antifasciste.

   [Per adempiere a questi compiti il PCd'I deve proporsi tre obiettivi essenziali: a) la mobilitazione e l'organizzazione delle masse nella lotta contro il fascismo attraverso la parola d'ordine dei Comitati operai e con­tadini; b) l'unità sindacale e la conquista della CGdL; c) la conquista delle masse contadine, un terreno questo su cui il partito ha già compiuto grossi progressi.]


Con l'Internazionale


  Il partito non può adempiere ai suoi compiti in modo soddisfa­cente né fissare per l'avvenire una linea politica giusta se esso non condanna chiaramente le deviazioni di Bordiga e non dà una comple­ta adesione al leninismo.

   Da tutto ciò che abbiamo detto è chiaro che Bordiga non rappre­senta una tendenza di sinistra, ma rappresenta sempre più chiaramente una tendenza di destra. Le sue concezioni sulla organizzazione e sulla natura del partito, il suo accordo con la socialdemocrazia nell'osteggiare la unità sindacale internazionale, la sua difesa del trotskismo, la pas­sività alla quale la sua tattica conduce, i suoi attacchi ingiuriosi all'In­ternazionale che l'Avanti! ha salutato come un'eco delle sue campagne, sono altrettante manifestazioni di destra che la fraseologia di sinistra non può più mascherare. Il Partito comunista d'Italia ha oggi suffi­ciente esperienza politica per non lasciarsi più ingannare da frasi sono­re e per sapere discernere ciò che esse ricoprono. È anche chiaro che soltanto l'adesione senza riserve al leninismo liquiderà definitivamen­te il conflitto tra il partito e l'Internazionale e permetterà una stret­ta collaborazione del partito con l'Esecutivo dell'Internazionale, condi­zione indispensabile per lo sviluppo e il successo del partito stesso. Il V Congresso mondiale ha dato al partito una direzione decisa ad applicare effettivamente le decisioni dell'Internazionale comunista e a collaborare strettamente col suo Esecutivo. Il partito deve giudicare oggi questa direzione e la sua politica generale. L'Internazionale non esita ad affermare che questa politica è stata buona, che ha sviluppato l'influenza del partito, e lo ha rafforzato. L'Internazionale spera che il congresso darà di questa politica un giudizio eguale al suo, il quale permetterà al partito di proseguire lo sforzo iniziale diventando sem­pre più un partito di massa e rafforzando i legami con l'Internaziona­le. Senza l'appoggio dell'Internazionale, senza una intima collaborazione con essa, il partito non potrà accrescere la sua influenza né lavorare con frutto. La via che Bordiga gli vorrebbe far prendere conduce a una crisi acuta la quale non potrebbe chiudersi se non con una rottura con l'Internazionale. Dipende oggi da Bordiga e dai suoi amici - pro­seguendo nella via per la quale si sono messi - il raggiungere Levi, Hoglund, Souvarine e i piccolo-borghesi intellettuali disillusi che ci han­no lasciato per aver perduto la loro fede rivoluzionaria e, disertori della borghesia, sono ritornati alla loro classe e alla sua opera controrivolu­zionaria. L'Internazionale desidera che Bordiga ed i suoi amici si fer­mino a tempo su questa via e rimangano nelle nostre file. Il Partito comunista italiano questa via non la abbandonerà certamente e fedele alle idee di Lenin farà del suo insegnamento e della sua tattica la base della propria politica. Fermamente legato all'Internazionale e sostenu­to da essa il partito condannerà la politica di coloro che vorrebbero al­lontanarlo dal comunismo e rivolgerlo contro l'Internazionale e svol­gerà la sua azione più cosciente e più forte sino alla rivincita del pro­letariato italiano sul fascismo e alla sua vittoria definitiva sulla bor­ghesia.