Necessità di una svolta

Discorso pronunciato da Togliatti l'8 gennaio 1930 al CC della Federazione giovanile. Il testo si trova in Palmiro Togliatti, Opere, a cura di Ernesto Ragionieri, vol. III/1: 1929-1935, Roma, Editori Riuniti, 1973. Qui ripreso da "Da Gramsci a Berlinguer...", op. cit. pp. 467-477.


I compagni Botte e Lovera [1] hanno esaminato i problemi della Federazione gio­vanile comunista d'Italia ponendosi dal punto di vista delle risoluzioni della re­cente riunione plenaria dell'Esecutivo del KIM [2], risoluzioni che voi dovete rea­lizzare. Devo dichiarare che gli organismi dirigenti del nostro partito, sulla base dei documenti che sono a loro conoscenza e dei rapporti che hanno avuto sui la­vori dell'Esecutivo del KIM, dichiarano di essere pienamente d'accordo con le ri­soluzioni che dall'Esecutivo del KIM sono state prese. Noi riteniamo che l'Esecu­tivo recente del KIM ha dato una giusta soluzione ai problemi del movimento gio­vanile comunista internazionale; e daremo alla Federazione giovanile italiana tutto l'aiuto necessario per la applicazione nella situazione italiana delle direttive che esso ha stabilito. In particolare riteniamo sia stato del tutto opportuno e giusto mettere all'ordine del giorno nel movimento giovanile comunista la necessità di combattere contro l'opportunismo che è il principale pericolo che oggi ci minac­ci, e contro il pericolo dell'estremismo di sinistra, considerato come l'ostacolo che impedisce di compiere un lavoro di massa e di realizzare una svolta nel movi­mento comunista giovanile verso le masse. Le spiegazioni date su questo punto dal relatore e dal compagno Lovera mi sembrano complete ed esaurienti. Il mio intervento consisterà quindi in uno sforzo per collocare i problemi della vostra Federazione e del vostro lavoro nel quadro dei problemi generali del movimento comunista e del movimento operaio italiano nel momento presente.

   Che nel momento attuale si pongano al Partito comunista d'Italia dei proble­mi nuovi, tutta una serie di problemi nuovi e di compiti nuovi, nessuno lo può negare. Questi problemi e compiti nuovi derivano dalla situazione stessa oggetti­va che sta davanti a noi e dai prevedibili sviluppi di essa, dalla disposizione che stanno prendendo le masse lavoratrici della città e della campagna e dalla stessa nostra situazione di partito. I risultati delle nostre analisi della situazione ogget­tiva e della disposizione delle masse lavoratrici possono essere riassunti, come abbiamo fatto, nella affermazione che in Italia, oggi, noi vediamo venire a matura­zione gli elementi di una situazione rivoluzionaria acuta. Questa nostra conclu­sione è in accordo con le conclusioni generali alle quali è arrivata la decima riu­nione plenaria del Comitato esecutivo della Internazionale, è una nuova confer­ma di esse. A determinare il giudizio che noi diamo della situazione italiana at­tuale contribuisce del resto in prima linea la considerazione del modo come si sviluppa la crisi internazionale, mondiale, del regime capitalistico. Ma io non vo­glio qui ripetervi i dati, gli elementi di fatto e le dimostrazioni che voi conoscete perché ne abbiamo parlato in altre riunioni e sulla rivista del partito. Desidero piuttosto porre e discutere un altro problema, l'esame del quale deve stare alla base di ogni discussione sui compiti particolari e generali del partito nostro nel movimento presente: il problema del modo come, per quanto è dato prevedere, la situazione si svilupperà, del modo come noi arriveremo a una situazione rivo­luzionaria acuta. Lo studio di questo problema è, in sostanza, lo studio del modo come si svilupperà il movimento rivoluzionario delle masse operaie e contadine italiane contro il fascismo, del modo come si svilupperà in Italia la rivoluzione proletaria. Il problema è vasto, difficile, di estrema importanza. Non potremo risolverlo se non attraverso uno studio collettivo, attento, minuto, completo, di tutti gli elementi di fatto che ci risultano, attraverso una esatta interpretazione del valore di essi, del loro intrecciarsi e svilupparsi, attraverso una interpretazione che sia guidata dai principi del marxismo rivoluzionario, del leninismo. Ma è so­lamente nella misura in cui riusciremo a comprendere chiaramente i termini di questo problema che potremo veder chiaro nella situazione italiana e stabilire una direttiva generale la quale dia unità alle soluzioni che dovranno dare a tutti i nu­merosi problemi particolari della nostra attività, del nostro lavoro. Senza voler dar fondo al problema, intendo toccare alcuni aspetti di esso, i più caratteristici ed importanti.

   Si sente ripetere spesso questa affermazione, che, accentuandosi la crisi econo­mica e politica della società italiana, assisteremo a un distacco dal fascismo della borghesia, la quale, spinta dalla situazione stessa, diventerà «antifascista» e sba­razzerà il campo di una grande parte delle istituzioni, dei metodi di governo, ecc. in cui consiste l'attuale regime reazionario italiano. La Concentrazione e tut­ti i «democratici» basano la loro politica su questa prospettiva. Ma una conce­zione simile, e, almeno, dei riflessi di essa, si trovano, senza dubbio, in alcuni strati delle classi lavoratrici italiane e persino in elementi del nostro partito. Que­sta concezione, del resto, può essere presentata in forme più attenuate, ma che, in sostanza, si riducono sempre ad essa.

   Vi è una cosa che possiamo, anzi, che dobbiamo ammettere ed è che non si giunge ad una situazione acuta senza che si determinino almeno in una parte delle classi dirigenti degli stati d'animo di panico, o anche solo di mancanza di fiducia nelle proprie forze. La creazione di questi stati d'animo è una conseguen­za delle difficoltà insuperabili della situazione oggettiva. Queste difficoltà fanno sì - come si esprimeva Lenin - che le classi dirigenti hanno la impressione di «non poter più» andare avanti. Non possediamo ancora elementi sufficienti per dire in quale misura precisa esiste, oggi, del panico nelle classi dirigenti italiane, - è sintomatico però che si ha già di casi di fuga di capitali dall'Italia, e del resto, come abbiamo già dimostrato, la polemica del «terzo tempo» ci ha forni­to un esempio di grave esitazione nelle sfere dirigenti del fascismo a proposito di alcuni problemi politici fondamentali. La riorganizzazione attuale del PNF co­me partito di combattimento è certamente una preparazione a fare fronte a fatti gravi da parte delle masse, ma in pari tempo è un provvedimento che tende a rafforzare la unità delle classi dirigenti sul terreno della difesa armata dalla avan­zata delle masse. Aggravandosi ancora la situazione oggettiva non è dubbio che i sintomi e anche le manifestazioni aperte (come la situazione italiana consente) di incertezza e di panico in seno alle classi dirigenti si moltiplicheranno. Non si arriverà nel cuore di una situazione rivoluzionaria acuta senza queste manife­stazioni. Ma se questo è vero, è d'altra parte ancora più vero che noi commette­remmo un gravissimo errore se alla base della nostra politica e del nostro lavoro ponessimo questa prospettiva, che le manifestazioni di incertezza e di panico delle classi dirigenti porteranno alla costituzione di un campo «antifascista borghe­se», cioè porteranno ad uno schieramento antifascista di queste classi dirigenti.

   Il motivo principale per cui questa prospettiva è da scartare risiede nel caratte­re stesso della crisi economica e politica italiana, la quale è una crisi radicale e rivoluzionaria, che investe non un aspetto o una parte solamente della società italiana, e la forma esteriore dei rapporti economici, di classe e politici, ma inve­ste la base e la sostanza intima di questi rapporti, la base e la sostanza del capita­lismo italiano. Il fascismo è la resistenza organizzata del capitalismo italiano. Il fascismo è la resistenza organizzata del capitalismo italiano alla rivoluzione pro­letaria. Per questo la classe operaia che è l'antagonista storica del capitalismo, è alla avanguardia della lotta. Per questo non è concepibile nessuna rottura del­l'attuale equilibrio instabile della situazione senza che irresistibilmente erompa­no i problemi stessi della rivoluzione proletaria, - il problema della impossibili­tà per il capitalismo di soddisfare le esigenze primordiali delle masse lavoratrici, il problema della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio, il problema della terra, il problema del potere, - per questo non è concepibile una rottura senza che irrompano sulla scena politica le masse del proletariato, alle quali stori­camente spetta di risolvere questi problemi.

   Ma, oltre a questo motivo principale, altri motivi vi sono, che derivano dalla particolare forma organizzata che la società italiana ha assunto nell'attuale perio­do dalla particolare organizzazione che il fascismo ha dato alle classi dirigenti, allo Stato. Questa organizzazione è tale che impedisce e taglia le possibili vie di ritirata della borghesia e riduce quasi al nulla le sue possibilità di manovra, op­pure le riduce a manovre da compiersi dal fascismo stesso, oppure tali che non intaccano la sostanza delle cose (di questo genere era la manovra cui si accennava nella polemica sul «terzo tempo»). Sotto la spinta di una situazione economica molto grave e di un minaccioso movimento di massa le classi dirigenti borghesi potrebbero concepire una manovra e tentarla quando si offrisse loro la possibilità di far fronte al movimento delle masse ricorrendo a una organizzazione diversa dalla organizzazione attuale del fascismo e dello Stato. Ma questa organizzazio­ne si è sviluppata nel corso di questi ultimi anni, in modo da diventare la orga­nizzazione stessa della borghesia e del capitalismo italiano. E dove esiste, oggi, in Italia, una organizzazione la quale possa fronteggiare un movimento di massa stabilendo dei contatti con le masse stesse? Come organizzazione reazionaria di combattimento, poi, la organizzazione fascista è ancora, nonostante tutto, la più efficiente. La situazione, sotto questo punto di vista, è più radicale oggi di quan­to non lo fosse nel 1924, perché allora esisteva ancora la massoneria, esistevano due partiti socialdemocratici, esisteva una stampa antifascista a diffusione enor­me, la quale da sola rappresentava già un potente fattore di organizzazione, di vaste masse piccolo-borghesi e lavoratrici. Per dare un esempio, - che dovrà es­sere inteso in modo relativo, perché tra le due situazioni corrono molte altre grandi differenze, - nel 1917-18-19, quando si sfasciò la Germania guglielmina, la ma­novra che la borghesia tedesca compì lasciando che il potere, nei momenti più acuti, fosse preso dalla socialdemocrazia, ebbe tra le sue condizioni anche que­sta, - che la socialdemocrazia disponeva di un potentissimo apparato di control­lo e di direzione delle masse il cui movimento doveva essere paralizzato con tutti i mezzi. Per questo fanno ridere i riformisti italiani che se ne stanno a Parigi, al Caffè della Rotonda, ad aspettare che gli industriali li mandino a chiamare per salvare la situazione e intanto si sforzano di dare tutte le prove possibili che sono diventati reazionari sul serio, che sono disposti a prendere il potere, a man­tenerlo in qualsiasi situazione e a fucilare gli operai allo stesso modo che fanno i loro fratelli socialdemocratici tedeschi e il loro cugino Mussolini. Le intenzioni non bastano. Occorre disporre di qualcosa di solido anche come organizzazione, per poter fare i boia di un movimento rivoluzionario di massa in sviluppo. E' que­sto il motivo per cui la crisi della socialdemocrazia italiana e la sua trasformazio­ne in socialfascismo prendono degli aspetti così singolari, in cui le manifestazioni più ripugnanti di spirito reazionario e di avvicinamento al fascismo si uniscono a segni così evidenti di impotenza e di stupidità.

   Il carattere stesso dell'attuale crisi italiana e le forme in cui il capitalismo si è organizzato per fare fronte ad essa contribuiscono dunque a spiegare perché questa crisi deve inesorabilmente approfondirsi, perché le posizioni intermedie scompaiono, perché la crisi procede sopra una linea di differenziazione di classe rigorosa. Naturalmente le cose non devono essere intese nel senso che le forze della borghesia, avvicinandosi una situazione acuta, aumentino la loro compat­tezza. Al contrario, vedremo prodursi delle crepe nello stesso edificio della orga­nizzazione fascista nel senso stretto della parola, assisteremo alla disgregazione di una parte di questo edifìcio; ma tutto questo non ha niente a che fare con «la borghesia che si mette contro il fascismo», di cui parlano i concentrazionisti.

   Consideriamo ora il modo come si sviluppa il movimento delle masse. Nessu­no vorrà negare che i fatti recentemente registrati in questo campo significano il passaggio di questo movimento ad un gradino più alto. Ma questo passaggio è una necessità della situazione stessa, deriva dal modo come la crisi si sviluppa, deriva dal modo come la borghesia reagisce aumentando sino al limite estremo la pressione sopra le masse lavoratrici, deriva dalla impossibilità in cui si trova la borghesia di soddisfare anche una minima parte dei bisogni, delle esigenze dei lavoratori, e deriva dalla stessa posizione che hanno oggi le masse, dal fatto che si è preclusa la via delle manifestazioni e agitazioni «legali» e la insofferen­za crescente della situazione non può tradursi in altro che in una azione diretta delle masse contro i loro oppressori. Questa tendenza non potrà che accentuarsi nell'avvenire.

   Possiamo quindi stabilire questi tre punti: 1) l'aggravamento della situazione sarà accompagnato e si accompagnerà con una accentuazione ed estensione della tendenza delle masse a intervenire con la loro azione diretta, e questa azione di­retta avrà il carattere di lotta aperta, violenta, contro le classi capitalistiche e contro il regime; 2) il movimento delle masse e l'aggravamento della situazione og­gettiva avranno inevita­bilmente delle ripercussioni gravi nel senso di disgregare le basi di massa del regime fascista e di rendere meno servibili alcuni dei suoi strumenti di dominio politico e di repressione; 3) nelle file delle classi dirigenti aumenteranno i segni di incertezza e si giungerà anche al panico reale e diffuso. La situazione però è tale che non consente di avere la prospettiva di «un distacco della borghesia del fascismo», ma impone di avere come prospettiva che nel fa­scismo e attorno al fascismo si manterrà la unione degli strati decisivi della bor­ghesia italiana (capitale finanziario, grandi industriali, agrari), i quali sentono che qualsiasi manovra la quale possa essere tentata in un istante supremo non esimerà la borghesia italiana dalla necessità di difendere con la più spietata pres­sione reazionaria e con le armi alla mano, con la guerra civile contro i lavoratori, le sue posizioni economiche e politiche.

   In parole povere, noi andiamo verso un periodo di gravi lotte e di profonda disgregazione sociale, nel quale l'elemento predominante sarà dato dalla rivolta, dalla insurrezione, dalla guerra civile delle masse lavoratrici guidate dal proleta­riato contro le classi dirigenti capitalistiche. La nostra analisi dovrà essere ancora approfondita, sopratutto nella ricerca del modo come, prevedibilmente, entre­ranno in lotta le masse lavoratrici, della direzione e delle forme che assumerà il movimento delle diversi parti di esse, - del proletariato industriale, del proleta­riato agricolo, dei contadini poveri del Mezzogiorno e delle isole, di quella parte della piccola borghesia rurale e anche urbana (artigiani) che sarà spinta e potrà essere guidata a una lotta contro il capitalismo e contro lo Stato e di quella parte che invece potrà essere solamente neutralizzata. Dovremmo approfondire la ana­lisi di questo campo soprattutto per riuscire a comprendere il modo come si rea­lizzerà la unione tra il proletariato e le masse lavoratrici nella lotta. Per rimanere però nei limiti della indagine precedente, ci si può limitare a fare questa osserva­zione data la mancanza di una vasta organizzazione la quale leghi assieme tutte le masse lavoratrici, l'entrata di esse nel movimento prenderà la forma di una moltiplicazione di episodi sporadici di azione diretta e di guerra civile, con una tendenza alla unificazione ed estensione regionale di questi episodi. La Sicilia, la Emilia e le Romagne e la Venezia Giulia, per esempio, sono regioni nelle quali esistono particolari motivi di una acutizzazione rapida della situazione, ma in ogni regione d'Italia la crisi assume degli aspetti particolari e noi dobbiamo co­noscerli a fondo, perché solamente la conoscenza di essi ci permetterà veramente di adattare la nostra attività alle circostanze, di compiere il massimo degli sforzi per ottenere che i diversi movimenti delle diverse parti del proletariato e delle masse lavoratrici confluiscano tutte nella direzione unica del movimento genera­le rivoluzionario contro il fascismo e contro il regime capitalistico, per la instau­razione di un governo operaio e contadino.

   A parte la necessità di ulteriori analisi e differenziazioni, rimane ferma la con­statazione fondamentale - noi andiamo verso una situazione insurrezionale, noi andiamo verso la guerra civile. Guai a noi, se dopo aver fatta questa constatazio­ne, non ne valuteremo e comprenderemo a fondo il significato, guai a noi se non comprenderemo che l'aver fatto questa affermazione vuol dire aver posto il com­pito di diventare il partito della insurrezione e della guerra civile, non a parole, nei fatti; guai a noi se non comprenderemo che alla necessità di adempiere que­sto compito deve essere oggi subordinato tutto il lavoro del partito; guai a noi se non vedremo tutte le difficoltà, se non sapremo scagliarci con la energia neces­saria al superamento di esse.

   Ho parlato di difficoltà. Ed esse sono in realtà molto grandi. Esse risultano es­senzialmente da due fatti: 1) dal fatto che esiste ancora un distacco enorme tra la situazione politica e i compiti che derivano da essa e la nostra situazione orga­nizzativa; 2) dal fatto che questo distacco dovrà essere superato da noi nel corso di una situazione la quale verrà continuamente aggravandosi. E in particolare so­pra questo secondo elemento che dobbiamo fermare la nostra attenzione. Noi escludiamo la prospettiva di una cosiddetta «fase transitoria», cioè di un perio­do di rivoluzione democratica borghese che preceda lo sviluppo della rivoluzione proletaria. Questo vuol dire che non possiamo e non dobbiamo lavorare con la prospettiva che la situazione si svilupperà in modo che sarà consentito alle masse lavoratrici e alla loro avanguardia, il proletariato e il partito comunista, un perio­do di legalità o di semilegalità del movimento, nel quale poter riordinare le forze senza essere giorno per giorno e profondamente disturbati dal nemico. Questo periodo, che fu consentito ai bolscevichi russi dopo la vittoria della rivoluzione borghese del marzo 1917, non sarà consentito a noi. La organizzazione delle no­stre forze per le lotte più alte dovrà avvenire in una situazione che non differirà dalla attuale se non per la sua maggiore acutezza, e nel corso di questa situazione saremo esposti a sopportare e sopporteremo colpi gravissimi via via che la rivolu­zione verrà maturando. I momenti attraverso i quali passeremo saranno costituiti da fatti ed episodi di lotta diretta delle masse e di guerra civile, e ognuno di que­sti episodi provocherà una reazione accanita dell'avversario. Insomma, dobbia­mo riuscire a organizzare l'azione diretta delle masse nel corso di essa, a organiz­zare la guerra civile nel corso stesso della guerra civile, a risolvere sotto il fuoco del nemico, si può dire, tutti i problemi della organizzazione e della direzione della rivoluzione. Il modo come debbono essere poste tutte le questioni del no­stro lavoro è quindi completamente diverso dal modo come esse dovevano porsi alla fine, mettiamo, del 1927. Allora dovevamo riuscire per un certo periodo di tempo a perdere il contatto con il nemico, per poter riordinare a fondo le forze, oggi sarebbe errato, assurdo, fuori della realtà, proporsi uno scopo simile. Oggi si deve risolutamente andare in avanti e nel corso stesso della marcia in avanti ordinare le forze, superare le debolezze, suscitare e raccogliere attorno a sé nuove energie, riempire i vuoti inevitabili, formare nuovi quadri di combattenti. Altri­menti rimarremo addietro alla situazione.

   E evidente che, per evitare il pericolo di rimanere addietro alla situazione, do­vranno essere posti e risolti molti problemi nuovi. Politicamente, questi proble­mi si riassumono però in un problema unico fondamentale, - è necessario, sulla base della situazione attuale e delle sue esigenze continuare, estendere, appro­fondire la lotta contro il pericolo dell'opportunismo.

   Voi sapete come è stato posto fino ad ora, nel nostro partito, il problema della lotta contro l'opportunismo. A questo proposito ci sono state fatte, alla decima riunione plenaria del Comitato esecutivo della Internazionale, alcune critiche. Esteriormente queste critiche erano dirette contro il modo nel quale era stato trattato da noi l'opportunista Angelo Tasca, in sostanza esse riguardavano tutta una serie di problemi del partito. Essenzialmente si può dire che le critiche fatteci consiste­vano: a) in un richiamo a precisare la linea politica del partito, in accordo con le direttive dell'Internazionale e con la situazione, e correggendo alcuni errori commessi; b) in un richiamo a dare alla linea politica del partito un rilievo mag­giore e non a mascherare i dissensi e le discussioni attorno ad essa e i dissensi sulla politica della Internazionale; c) in un richiamo a condurre con maggiore intensità, chiarezza ed efficacia la lotta contro l'opportunismo di destra sia negli organi dirigenti come in tutti i campi della nostra attività. Oggi, a distanza di alcuni mesi, non solo dobbiamo riconoscere che questi richiami erano giustificati e fondati, ma che essi ci vennero fatti nel momento opportuno e ci aiutarono potentemente ad impostare e a iniziare il lavoro per la soluzione di una serie di questioni assai importanti. L'impostazione e l'inizio della soluzione di queste que­stioni si fece nel CC di settembre di cui voi conoscete quali furono i risultati: espul­sione di Tasca, estrema intensificazione della lotta contro l'opportunismo, deter­minazione del contenuto ideologico di questa lotta, precisazione della linea poli­tica del partito in accordo con la situazione, indicazione e correzione di alcuni errori, abbandono aperto e critica di certe parole d'ordine. Tutto questo costitui­sce una base solida per la lotta contro l'opportunismo. Su questa base però la lotta non si è ancora sviluppata come è necessario e come la situazione richiede. Le decisioni della Centrale di settembre sono state portate a conoscenza della ba­se, spiegate ampiamente ai rappresentanti delle principali organizzazioni, ma noi non possiamo ancora dire che lo spirito e la sostanza di esse siano penetrate a fondo in tutto il partito, in tutti i compagni, in tutti i campi del nostro lavoro. Questo invece è necessario che avvenga.

   E un passo in avanti in particolar modo dobbiamo compiere. Dobbiamo fare ciò che è stato fatto in tutti i partiti della Internazionale, dove la lotta contro l'opportunismo si è sviluppata passando dal terreno ideologico e politico genera­le al terreno della azione pratica quotidiana che i comunisti debbono svolgere per essere all'altezza della situazione e alla testa delle masse. Su questo terreno della azione pratica dobbiamo riuscire a individuare dove sta il pericolo, quali sono le tendenze errate in cui potremmo cadere e che, sviluppandosi, potrebbero realmente impedirci di superare lo squilibrio che esiste tra la situazione e le no­stre forze e tenerci addietro. Le direttive generali, la autocritica, le analisi non bastano: bisogna anche essere molto chiari e d'accordo sulle conseguenze prati­che che derivano da tutte queste cose. Altrimenti non si fa che della frase.

   Ho già detto quanto sia grave, preoccupante, il distacco che esiste tra la situa­zione oggettiva e la situazione nostra organizzativa. Noi corriamo il pericolo che, in conseguenza di questo distacco e sulla base di esso, si diffondano nelle nostre file delle opinioni e dei punti di vista i quali si riducono, in un modo o nell'al­tro, alla adozione di una dottrina della spontaneità delle masse. Questo è uno degli aspetti che può essere assunto oggi tra noi dall'opportunismo. Questa è la via per la quale l'opportunismo «nella pratica» può penetrare nelle nostre file.

   Il primo errore che si può commettere, in questa direzione, è quello di ritenere che la radicalizzazione delle masse e i nuovi atteggiamenti che le masse tendono a prendere attualmente sono cose che si producono «spontaneamente», senza che sia intervenuto, a determinarli, un fattore consapevole e organizzato, - l'attività dell'avanguardia comunista. Questo errore ci può portare a svalutare il ri­sultato del nostro lavoro negli ultimi diciotto mesi, a considerare che il nostro lavoro non abbia lasciato nessuna traccia, che sia stato un pestar l'acqua nel mor­taio. Errore. Il lavoro che abbiamo fatto, e non parlo solo di lavoro politico gene­rale, ma di lavoro organizzativo nel senso stretto della parola, ha contribuito gran­demente a determinare gli atteggiamenti delle masse. Nel 1929, dal plebiscito al Primo agosto e dal Primo agosto in poi, noi siamo stati nuovamente presenti, ci siamo fatti nuovamente sentire, e in alcuni momenti, nella agitazione del Pri­mo agosto, ad esempio, in modo vasto e generale. Ricordiamo i rapporti sul Pri­mo agosto della Venezia Giulia e di Milano. Le masse lavoratrici - così risulta da questi rapporti - hanno avvertito la presenza, alla loro testa, di una avan­guardia di combattenti e un fremito ha scosso la loro passività. E' stato questo, sì o no, un contributo, una spinta, una direzione dati al processo di radicalizzazione delle masse? Ma vi è di più, in fatti ed episodi che ora non stiamo a citare. Dobbiamo dunque vedere con freddezza, chiaramente che cosa ci manca - e abbiamo già detto che ci manca molto, moltissimo - ma non dobbiamo com­mettere l'errore di svalutare, di deprezzare quello che abbiamo fatto. Questo er­rore può infatti avere come conseguenza diretta di impedirci di concepire il no­stro prossimo lavoro come un passo in avanti, come posizione e risoluzione di problemi nuovi. E potrebbe, inoltre, contenere i germi della sfiducia e del pessimismo.

   Molto più grave, e legato con questo, è l'errore di ritenere che lo svolgimento del processo rivoluzionario, il passaggio delle masse a posizioni sempre più avan­zate, la moltiplicazione ed estensione degli episodi di lotta aperta e la organizza­zione del movimento abbiano luogo «spontaneamente». Questo è l'errore più grave, perché ci potrebbe portare a non scorgere affatto o a negare la necessità di effettuare nel lavoro organizzativo e pratico, nella attività quotidiana del par­tito una svolta, una svolta decisa, nel senso di un acceleramento del «tempo» di lavoro, di un maggiore avvicinamento alla situazione italiana, di una estensio­ne dei contatti con le masse, e nel senso della posizione di alcuni problemi nuo­vi. Certamente la situazione è spinta in avanti in modo inesorabile, da una serie di fattori oggettivi, ma questo non basta. Questo, soprattutto, non basta a ga­rantire la direzione del processo rivoluzionario e ad assicurare la vittoria alle mas­se in movimento, alla testa delle quali deve essere, concretamente e di fatto, la avanguardia comunista. Il fattore «lavoro del partito comunista», «attività or­ganizzata del partito comunista tra le masse», è insomma un fattore di impor­tanza primaria nel quadro della situazione, di importanza tanto più grande quanto più la situazione è acuta. La direttiva generale deve quindi essere quella di un maggiore intervento diretto nella situazione, di una più grande concentrazione di forze, di una utilizzazione più efficace di esse in una direzione determinata, di un più grande sforzo sistematico per essere alla testa delle masse, per organiz­zarle e dirigerle concretamente.

   La applicazione di questa direttiva porta a mettere con acutezza due problemi molto importanti - il problema dei comitati di lotta e il problema dello sciope­ro generale.

   Il problema dei comitati di lotta non è stato posto sino ad ora davanti al parti­to e davanti alle masse con quella acutezza, con quella convinzione profonda e con quella chiarezza che sono imposte dalle circostanze. Alla conferenza sindacale quasi non se ne è parlato ed è stato un errore grave. Si è parlato delle commis­sioni operaie che sorgono spontaneamente nelle fabbriche in occasione di una agitazione, con l'incarico di trattare con i padroni, ma è sbagliato confondere i comitati di lotta con le commissioni operaie, quantunque vi sia qualche punto di contatto tra queste due forme organizzative. L'elemento che esiste nei comita­ti di lotta in misura prevalente, mentre esiste in misura minore nelle commissio­ni operaie, è precisamente l'intervento della attività organizzata e organizzatrice di una minoranza attiva, la quale si propone consapevolmente di preparare, or­dinare, guidare tutta la massa nelle sue lotte, e di guidarla innanzi tutto a crearsi degli organismi adatti alla situazione e ai compiti del momento. E' errato quindi concepire il comitato di lotta come qualcosa che viene su da sé, come un frutto esclusivo della spontaneità delle masse. Il comitato di lotta deve essere un organi­smo di «massa» in tutto il senso della parola, deve essere la espressione di un orientamento e di un movimento reali delle masse, ma esso non sorge, nella maggior parte dei casi, senza la iniziativa e la attività organizzata di un nucleo comunista, o di un nucleo di operai nei quali la nostra agitazione e la nostra propaganda abbiano creato un chiaro orientamento circa la necessità e il modo di organizzare il movimento in sviluppo. Porre il problema dei comitati di lotta e sforzarsi di risolverlo nella pratica, facendo sorgere dei comitati di lotta in occasione di tutte le agitazioni e di tutti i movimenti possibili è una delle cose che si richiedono da noi se vogliamo essere presenti tra le masse nella misura più grande e più effi­cace che sia possibile, - ed è anche un prendere posizione, praticamente, contro ogni infiltrazione possibile della dottrina della spontaneità. E corrisponde a una direttiva precisa della Internazionale. La Internazionale non ha messo all'ordine del giorno il problema dei comitati di lotta per attirare l'attenzione sul fatto che nel momento presente le masse si organizzano da sé, ma per attirare la attenzio­ne sulla necessità che venga fatto da parte dei comunisti il più grande sforzo per organizzarle nel corso delle lotte attuali.

   Il problema dello sciopero generale e particolarmente dello sciopero generale politico è importante per noi perché lo sciopero generale è la forma caratteristica del movimento delle masse operaie quando esso si pone degli obiettivi radicali e tende a urtare contro le basi stesse della società capitalistica, perché lo sciopero generale è una forma caratteristica della rivoluzione proletaria in sviluppo. Il pro­letariato italiano ha fatto, nel passato, molti scioperi generali. L'ultimo fu quello del 19 febbraio. Possiamo essere certi che mentre nelle campagne la forma più diffusa del movimento offensivo dei contadini sarà l'attacco ai comuni, nelle cit­tà lo sciopero generale sarà la forma che tenderà a prendere il movimento offensi­vo dei proletari. Noi, avanguardia, dobbiamo essere su questa direttiva, inizian­do energicamente la propaganda dello sciopero generale politico, e iniziando la preparazione allo sciopero generale sia delle nostre organizzazioni che delle mas­se. Anche i movimenti i quali non interessano solamente i proletari, ma interes­sano pure delle masse piccolo borghesi o semiproletarie, quando riusciremo a da­re ad essi un carattere generale, dovremo fare tutti gli sforzi per farli sboccare in uno sciopero generale. Pensiamo, per fare un esempio, a un movimento con­tro l'aumento delle pigioni. La forma della lotta, in questo caso, è già una garan­zia della direzione proletaria e del contenuto rivoluzionario dell'agitazione. Ma la propaganda dello sciopero generale e la preparazione ad esso delle masse sono cose inconcepibili come manifestazioni «spontanee», sono concepibili solamente in relazione con l'attività organizzata dell'avanguardia comunista. Infine, mettere il problema dello sciopero generale vuol dire, nella situazione italiana, mettere il problema della preparazione rivoluzionaria materiale. Anche questo è uno di quei problemi che debbono essere posti con acutezza se non si vuole rimanere addietro.

   Infine, e qui tocco il punto più delicato, vi è la questione del modo in cui bisogna lavorare [...].

   Ho detto, incominciando, che mi proponevo di attirare la vostra attenzione sopra una serie di problemi e di compiti nuovi del nostro partito. Ma essi sono in pari tempo problemi e compiti della Federazione giovanile comunista. Il vo­stro compito fondamentale credo sia quello di riuscire ad avere in questo mo­mento una politica giovanile e a svilupparla ampiamente tra le masse enormi di giovani che il fascismo opprime, sfrutta e cerca di corrompere. Dovete riuscire a portare in questa massa di giovani lo spirito di rivolta e la rivolta effettiva con­tro il fascismo e contro il regime capitalistico. Dovete riuscire ad essere voi a fare di questi giovani una avanguardia. In seno a questa massa dovete riuscire a svol­gere un'attività molteplice di agitazione e propaganda, di penetrazione nelle for­mazioni avversarie per disgregarle. Nel Comitato centrale di settembre, avete già compiuto un esame analitico di questa attività, ne avete tracciati i limiti e segna­to le direttive che il KIM ha approvate. Mancano ancora, queste direttive, di con­cretezza, almeno per una parte, ma questa concretezza esse non potranno acqui­starla che nell'applicazione e per la applicazione, si richiede che voi abbiate una base organizzativa più solida dell'attuale. [...]

   Il piano di lavoro che la segreteria ci presenta e che la Centrale del partito cer­tamente approverà, impegnandosi a darvi tutto l'appoggio necessario perché pos­siate realizzarlo, mi pare sia sufficientemente concreto e preciso. L'importante è che voi sappiate che il vostro lavoro è un lavoro d'importanza primaria per tutto il partito. Un fenomeno che venga seminato e che si diffonda su di un terreno così favorevole, tra le masse giovanili, sarà un contributo potente per l'accelera­mento del corso non solo del vostro lavoro, ma del movimento rivoluzionario in generale.

   E' evidente che i problemi ed i compiti cui abbiamo accennato non sono che una parte di quelli che ci si pongono, essi sono però problemi e compiti caratteri­stici del momento presente, quelli che bisogna porre, e con acutezza, in quanto discendono dalla situazione nuova e dagli elementi nuovi della situazione che ci sta davanti. Altri compiti dobbiamo assolvere, numerosissimi ed importanti, che vanno dallo sviluppo intenso del lavoro sindacale, alla penetrazione e disgre­gazione delle formazioni avversarie, dall'intensificazione della lotta contro la so­cialdemocrazia, dal lavoro tra i contadini e tra le minoranze nazionali all'agita­zione contro la guerra tra i giovani, tra le donne, al contatto con le regioni dove la situazione è più acuta, e così via. Ma per l'adempimento di ognuno di questi compiti, - questo dev'esser ben chiaro, - oggi si deve lavorare con spirito nuo­vo, con nuovi metodi, con nuove forze, con profonda consapevolezza di ciò che vi è di nuovo nella situazione, e del modo come la situazione si svilupperà, di quello che ci attende.

   E lo stesso dicasi di altri problemi, che non sono di «politica» nel senso stretto della parola, ma che debbono essere risolti e risolti bene, se si vuole essere in grado di fare una buona politica e di svolgere una buona attività organizzativa. Il problema della creazione continua di nuovi quadri, innanzi a tutto, della ricer­ca sistematica di essi, della loro educazione nel lavoro stesso, della loro formazio­ne rivoluzionaria. Decisi passi in avanti debbono esser compiuti in questo campo se non si vuole perdere tempo. E poi il problema di assicurare la massima com­pattezza e solidità interiore degli organismi di direzione del partito, di dirigere bene i compagni, di avere delle sezioni di lavoro le quali funzionino bene, come è necessario per l'addestramento collettivo di tutti i militanti, il problema di eli­minare ogni possibile attrito tra il centro e l'apparato del partito, di avere un apparato di rivoluzionari, di militanti intelligenti, devoti, entusiasti, rotti ad ogni lavoro, il problema di fare nuovi progressi nel campo della tecnica e così via. Pro­blemi di varia indole, che non si risolvono né colla buona volontà, né con le pre­diche, ma si risolvono solamente facendo la svolta che è stato detto nel metodo e nella direttiva generale del lavoro, in accordo con la situazione, senza perdere nulla di tutto ciò che già si è acquistato in capacità, sicurezza e solidità, senza rinunciare per nulla ai risultati della critica di noi stessi che abbiamo esercitato in altri momenti ed in altre occasioni, ma senza arrestarci, senza rinviare a doma­ni le cose che domani sarà molto più difficile di oggi di realizzare.

   Compiti nuovi. Nuovo lavoro. Nuove lotte. Ecco delle espressioni che non so­no, oggi, per noi, espressioni retoriche e prive di senso. Compiti che dobbiamo risolvere ad ogni costo, superando, vincendo, eliminando ogni esitazione perico­losa, chiamando a raccolta i quadri nuovi e i vecchi quadri, mobilitando tutte le forze. Perché se non riusciremo a risolverli questo non sarà soltanto la prova di una incapacità, ma sarà una sconfitta del proletariato italiano e della rivoluzione.

Note

[1] Pietro Secchia e Luigi Amadesi.
[2] KIM: Internazionale comunista della gioventù.