Il Partito
forza motrice dell'insurrezione

Riassunto del rapporto organizzativo alla Conferenza dei triumvirati insurrezionali [*] tenuta a Milano nei giorni 5-7 novembre 1944. Da La Nostra Lotta, novembre 1944. n. 19-20. Ripreso da Pietro Secchia, op. cit., pp. 285-318.



  ... Debbo dire subito che le cifre delle nostre sta­tistiche, che indicano un totale di 70.000 iscritti al partito soltanto nelle regioni attualmente occupate dalle truppe tedesche, sono incomplete e tutte ante­cedenti alla «leva dell'insurrezione».

   Tra l'altro noi abbiamo dedicato scarsa attenzione al lavoro statistico ed al censimento dell'organizzazione. Non perché ci sia in noi una tendenza a sottovalutare l'importanza della statistica: ogni effettivo lavoro di organizzazione si appoggia sempre su un gran numero di osservazioni, di fatti, di esperienze, perciò ogni lavoro di organizzazione deve cominciare con la regi­strazione dei fatti.

   L'attività di organizzazione si perfeziona perfezio­nando il lavoro di indagine, di ispezione, di controllo, di statistica, di raccolta dei dati e dei fatti. La stati­stica serve a controllare lo sviluppo dell'influenza del partito e delle sue molteplici attività, a segnalare debo­lezze e difetti in questo o quest'altro settore, e costituisce altresì un aiuto serio per lo studio di determi­nati fenomeni e la previsione relativa al successo della politica del partito.

   Pur non sottovalutando l'importanza della stati­stica, abbiamo cercato nel corso di quest'anno di ridurre al minimo i lavori burocratici e di ufficio, per dedicare tutte le energie al potenziamento della lotta armata, della lotta partigiana ed alla sua direzione.

   Un più accurato lavoro di statistica e di censimento sarebbe estremamente utile e verranno i giorni in cui noi potremo dedicare maggior tempo a questo lavoro. Ci sarà dato allora di conoscere meglio le nostre forze, il loro dislocamento, il numero dei quadri, quanti sono i comitati funzionanti, ecc. Senza dubbio questa cono­scenza è essenziale per l'orientamento del nostro lavoro, per la concreta attività di sviluppo dei nostri quadri, per misurare la nostra influenza tra le masse e per migliorare la nostra capacità di organizzare e dirigere i lavoratori.

   Al 25 luglio 1943, il partito contava tra i 5-6.000 iscritti, riuniti in gruppi ed in gruppetti spesso sle­gati tra di loro. Vi erano città nelle quali esistevano tre o quattro centri di organizzazione, ognuno funzio­nante in modo indipendente dall'altro.

   Oggi il numero degli iscritti al partito è aumentato di oltre dieci volte, il 95% degli attuali iscritti è venuto al partito dopo il 25 luglio, il che non è l'ultima causa della nostra «crisi» di quadri.

   Non dobbiamo però sottovalutare l'importanza che hanno avuto nello sviluppo del partito e dell'azione delle masse lavoratrici quelle poche migliaia di iscritti di prima del 25 luglio, la cui attività ebbe un valore decisivo nell'organizzazione e direzione degli scioperi di Torino, di Milano e delle altre località del Piemonte e della Lombardia nel marzo 1943, che rappresentarono la prima grande manifestazione di massa contro la guerra ed il fascismo ed assestarono al regime ditta­toriale un colpo formidabile le cui conseguenze non dovevano tardare a farsi sentire. Così come non deve essere sottovalutata l'importanza del lavoro dei com­pagni che in Italia costituivano la direzione del partito prima del 25 luglio, ed in modo particolare l'attività del compagno Umberto Massola, che tanta parte ebbe nell'organizzazione del partito, dei grandi scioperi e dei movimenti di massa che precedettero la caduta del fascismo.

   Il ritorno dalle carceri e dalle isole di confino di alcune migliaia di prigionieri politici, di antifascisti, per il 90% comunisti, fornì alle organizzazioni del par­tito i quadri necessari al loro sviluppo e permise al partito di superare le grandi difficoltà organizzative in cui si dibatteva subito dopo il 25 luglio, e di affron­tare così in ben altre condizioni il nuovo periodo di lotta iniziatosi con l'8 settembre.

   Rapidamente furono costituite in ogni città delle organizzazioni unitarie; le cellule ed i gruppi comu­nisti, che in molte località avevano sino allora lavorato ignorandosi reciprocamente, furono collegati tra di loro, i compartimenti stagni vennero in parte aboliti, si crearono i comitati di settore, di zona, i comitati fede­rali. Quest'azione non si svolse nelle migliori condizioni, perché era sì caduto il regime fascista, ma si era ben lungi dall'aver conquistato le libertà democratiche. Ben presto sopraggiunse l'8 settembre.

   L'armistizio, la fuga e la disgregazione del governo Badoglio, il tradimento degli agenti fascisti che erano rimasti ancora ai posti di maggiore responsabilità e la conseguente occupazione tedesca ripiombarono nuo­vamente il partito nella situazione di completa ille­galità.

   Immediatamente ci siamo trovati di nuovo nella necessità di adeguare il funzionamento organizzativo del partito alla nuova situazione e di metterci in con­dizione non soltanto di resistere per alcune settimane o per alcuni mesi, ma soprattutto di lavorare, di lot­tare attivamente con le armi alla mano contro l'inva­sore per la liberazione del paese dalle orde hitleriane e dai briganti fascisti.

   Un grande, immenso compito stava davanti al partito; saper organizzare e condurre al combattimento le formazioni partigiane, saper organizzare e condurre alla vittoria la guerra di liberazione nazionale.

   Fu necessario rivedere nuovamente le nostre file, che si erano notevolmente ingrossate nelle settimane precedenti, mettere da parte od adibire soltanto a certi lavori i più deboli, i meno provati, gli inesperti, elimi­nare coloro il cui passato non era chiaro e assai dubbia la fede. Fu riveduta la composizione dei comitati fede­rali, dei comitati di settore e delle altre istanze del partito.

   Il partito si lanciò con tutte le sue energie ad orga­nizzare le formazioni partigiane. Trascinò col suo esempio altri partiti antifascisti. Diede vita prima a «distaccamenti» e a «bande», che poi si trasformarono in unità più forti e meglio organizzate.

   Un anno fa, nell'ottobre costituimmo le brigate d'assalto Garibaldi, le quali sono modello a tutte le formazioni partigiane per organizzazione, per disci­plina e per combattività.

   Sin dall'8 settembre il compito principale, urgente e preminente di ogni organizzazione comunista diventò quello di mobilitare tutte le forze per la guerra di libe­razione, di organizzarle, di farle agire. Tutta l'altra attività venne subordinata a questo scopo.

   Il partito, il 9 settembre, prese l'iniziativa di costi­tuire in ogni regione, in ogni provincia, in ogni città, in ogni villaggio dei comitati di liberazione nazionale, il cui obiettivo doveva essere: chiamare gli italiani alla lotta senza quartiere contro i tedeschi ed i fascisti, organizzare questa lotta, condurla sino alla vittoria.

   Il partito lanciò un appello ai soldati ed agli uffi­ciali, invitandoli a rifiutarsi di farsi arruolare come soldati o come lavoratori nelle armate tedesche e fa­sciste, invitandoli a darsi alla macchia, a formare dei gruppi partigiani, attaccare il nemico, danneggiare le sue linee di comunicazione, assaltare i suoi depo­siti e i suoi magazzini, rendere la vita impossibile all'in­vasore.

   Il partito diramò a tutte le organizzazioni la diret­tiva «per la mobilitazione generale».

   L'attività militare diventò cosi il compito princi­pale del partito. In ogni comitato federale venne costi­tuita una sezione militare, incaricata della mobilita­zione dei compagni per la guerra di liberazione.

   Le nostre direttive organizzative, le ispezioni, la nostra attività in questi mesi hanno avuto di mira l'organizzazione del movimento partigiano e delle unità combattenti, lo studio degli obiettivi, il modo di attac­carli, le misure da prendere prima e dopo la liberazione di un villaggio, i rapporti con le popolazioni, il sabo­taggio nelle fabbriche, il modo di lottare contro le deportazioni, le misure da prendere all'interno delle officine per essere pronti a sfuggire ed a reagire alle razzie.

   Nelle scorse settimane abbiamo lanciato la grande campagna di reclutamento che chiamammo «leva del­l'insurrezione». La campagna si sviluppa con successo, anche se non siamo ancora in grado di dare le cifre dei risultati.

   E attraverso all'attività ed alla lotta il partito ha superato i 70.000 iscritti e la sua organizzazione si è rafforzata.

   La regione che oggi ha il maggior numero di iscritti è l'Emilia (oltre 20.000). L'aumento proporzionale non è stato superiore a quello di altre regioni. Già prima del 25 luglio l'Emilia era la regione dove avevamo il maggior numero di iscritti al partito. Durante i dicias­sette anni di leggi eccezionali e di dittatura fascista, in Emilia più che nelle altre regioni il nostro lavoro organizzativo si sviluppò quasi senza soluzione di con­tinuità. Non vi furono periodi di lunghe interruzioni. Malgrado la reazione ed i numerosi arresti, le nostre condizioni di lavoro furono sempre migliori che nei grandi centri industriali.

   La provincia nella quale abbiamo avuto il più forte aumento di iscritti al partito è Torino, ove contiamo oggi oltre 10.000 compagni.

   A Milano è stato abbastanza forte l'aumento del numero dei compagni in città, circa 5.000: debole però il reclutamento in provincia: circa 4.000.

   Nel corso di quest'anno si è avuto un notevole rafforzamento di alcune nostre organizzazioni di pro­vincia, caratteristiche per la loro vita chiusa, ristretta, settaria, ove vigeva il falso principio dei «pochi ma buoni».

   Bergamo città è passata da 30 iscritti ad oltre 200. Brescia da 80 a 450, Biella città da 18 a 230. La fede­razione di Aosta, che alla fine del 1943 quasi non esisteva, conta oggi 400 iscritti. Mantova, che contava al 25 luglio poche diecine di compagni, ne conta oggi oltre 800.

   Un forte aumento del numero degli iscritti al partito lo si è avuto a Genova ed in tutte le federazioni della Liguria.

   Nel Veneto abbiamo avuto la minore percentuale di aumento degli iscritti, ma anche in questa regione il nostro partito ha avuto dopo il 25 luglio un notevole sviluppo. Prima del 25 luglio la nostra organizzazione era debole e rachitica, mentre oggi vi sono federazioni come Rovigo, Padova, Vicenza che contano ognuna 1.000 iscritti. Punto nero nel Veneto è la Venezia Giulia, ove tutto il nostro lavoro deve essere rafforzato, particolarmente a Trieste.

   Gli iscritti al partito sono quasi esclusivamente degli operai, e se questo fatto è una conferma indiscu­tibile che il nostro partito è il partito della classe operaia, è però anche un indice che non siamo ancora riusciti a fare breccia tra i ceti medi e particolarmente tra la piccola borghesia industriale.

   Nelle campagne un discreto reclutamento fra i con­tadini lavoratori, specie in certe regioni, è stato fatto, ma la debolezza del nostro lavoro politico tra i con­tadini è la conseguenza delle insufficienze organizzative.

   Ma dove non siamo ancora riusciti a far breccia è soprattutto fra la piccola borghesia industriale: inge­gneri, tecnici, professionisti, intellettuali.

   Per la politica che ha condotto, il nostro partito è diventato il partito del popolo italiano, ma la sua base sociale rimane ancora quasi esclusivamente operaia. È questa una nostra grave debolezza. La base sociale del nostro partito deve essere prevalentemente, ma non esclusivamente operaia. Noi non possiamo e non dobbiamo abbandonare al Partito d'azione e ad altri partiti borghesi il monopolio sugli altri ceti sociali. Certi schemi sono stati spezzati dalla politica nazionale del nostro partito. Devono essere spezzati anche sul ter­reno organizzativo. In alcune grandi città come Milano, Torino, Genova sono già stati fatti significativi passi in questa direzione; ma la nostra attività tra i tecnici, i professionisti, gli intellettuali deve essere intensificata.

   Prevenzioni, diffidenze ed incomprensioni debbono essere superate e chiarite. Mai come oggi, quando la parte migliore del nostro popolo è attratta alla lotta, quando il nostro partito e la classe operaia esercitano un'innegabile forza d'attrazione sugli altri ceti sociali, le condizioni sono state favorevoli ad un rafforzamento della nostra organizzazione in questa direzione.


1. Lo sviluppo organico del partito.

L'aumento del numero degli iscritti dice ancora poco sull'aumentata efficienza del partito. Quantitati­vamente il partito è aumentato di oltre dieci volte. Non possiamo dire la stessa cosa dal punto di vista qualitativo. Non sono aumentati ad esempio di dieci volte i nostri quadri qualificati. Non c'è stato uno sviluppo organico del partito. Commetteremmo però un grave errore, se non vedessimo il suo sviluppo anche qualitativo. Noi non siamo soltanto aumentati di numero, ma anche di forza effettiva.

   Il partito, nel corso dell'anno che sta per finire, ha organizzato e diretto i grandi scioperi, tra i quali quello del marzo scorso, in tutte le regioni occu­pate, è stato senza dubbio il più grande movimento di lotta delle masse lavoratrici che vi sia stato nell'Europa occupata dai tedeschi.

   Ha organizzato e diretto la lotta partigiana, dei G.A.P. e delle S.A.P., nelle città e nelle campagne, è stato la forza motrice della guerra di liberazione. Il partito ha dato vita e portato al combattimento 120 bri­gate garibaldine raggruppate in divisioni, senza con­tare il contributo da noi dato alla creazione ed all'attivizzazione delle brigate partigiane di altre correnti politiche ed autonome.

   Contemporaneamente, il partito organizzò nelle di­verse città d'Italia i Gruppi d'azione patriottica (G.A. P.), gli arditi della guerra di liberazione nazionale. Composti questi gruppi dai migliori compagni e simpatizzanti, dai più audaci, dai più devoti, da coloro che tutto erano di­sposti a dare per l'avvenire della patria, cominciarono immediatamente a dare la caccia ai tedeschi ed ai tradi­tori fascisti. Già il 26 settembre dello scorso anno sulla linea Firenze-Bologna, un treno militare tedesco veniva fatto deragliare, il 27 i gappisti di Arezzo incendiavano un treno carico di benzina, il 29, a Milano, facevano sal­tare una batteria contraerea ed un deposito di muni­zioni dei tedeschi, poi il 15 ottobre soldati tedeschi venivano attaccati per le strade di Livorno, il 20 ot­tobre una caserma di militi fascisti veniva assaltata a Sampierdarena, e così via via i colpi si susseguirono ai colpi durante tutto il corrente anno: a Milano, a Torino, a Genova, a Bologna, a Firenze, a Padova, a Trieste, comandi tedeschi sono attaccati in pieno giorno, questori abbattuti, ufficiali tedeschi liquidati, traditori giustiziati, compagni liberati dalle carceri, come il nostro caro Giovanni Roveda.

   Il partito organizzò l'insurrezione non soltanto nelle città, ma anche nelle campagne. Diede vita nei vil­laggi ad una vasta organizzazione armata di massa, un'organizzazione territoriale nella quale sono inqua­drati i contadini più combattivi e gli operai sfollati dalle città. Da qualche mese stiamo organizzando le S.A.P. anche nelle città. Nel giro di poco tempo anche le S.A.P. sono diventate brigate e divisioni. Esse costi­tuiscono l'organizzazione di combattimento del popolo lavoratore, degli operai, dei contadini, degli studenti, degli artigiani che, pur mantenendo le loro normali occupazioni, conducono la lotta armata contro i tede­schi ed i fascisti.

   Abbiamo dato vita alle S.A.P., e dobbiamo ogni giorno potenziarle, perché ormai i G.A.P. non sono più sufficienti; abbiamo bisogno che le azioni di punta delle minoranze audaci siano accompagnate e sostenute da grandi azioni di massa, se vogliamo difendere i prodotti del lavoro dei contadini, il villaggio dalle requisizioni, le fabbriche, gli impianti industriali e gli operai dalle razzie tedesche e dalle deportazioni.

   Un saluto particolare noi inviamo a tutti i parti­giani, a tutti i gappisti ed ai loro comandanti. Non faccio nome alcuno: molto presto i loro nomi, che le norme cospirative ci consigliano di tacere, potranno essere pubblicati e tutti sapranno che cosa essi hanno fatto non soltanto per il nostro partito, per la grande causa dei lavoratori, ma per l'Italia.


2. I nostri caduti

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Migliaia e migliaia dei nostri migliori compagni hanno in questi mesi versato il loro sangue, molti hanno dato la loro vita per la patria, per la conquista della libertà.

   Tra gli altri, per non citarne che alcuni, sono caduti: Giuseppe Srebernic, ex deputato comunista, ucciso dai nazifascisti e gettato nell'Isonzo; Eusebio Giambone, condannato a morte e fucilato a Torino quale dirigente del Comitato di liberazione nazionale; Gino Menconi, dottore in scienze economiche, commissario politico in un comando militare di zona nel Parmense, bruciato vivo dalle belve nazifasciste ; Vincenzo Innamorati, segretario federale di Foligno, caduto durante una missione militare; Alessandro Sinigaglia, già valoroso com­battente tra i garibaldini in Spagna, comandante delle brigate partigiane e gappiste di Firenze, assassinato dai banditi fascisti; Antonio Carini di Caorso, uno tra i più amati e popolari garibaldini, già valoroso com­battente in Spagna, ispettore militare nelle Romagne, arrestato dai nazifascisti, seviziato e assassinato nel­l'infame Rocca delle Caminate; Lorenzo Bietolini di Perugia, ispettore del partito nel Veneto, arrestato dai nazifascisti e fucilato come ostaggio a Vicenza; Vit­torio Mallozzi, ufficiale garibaldino in Spagna, coman­dante gappista a Roma, ivi arrestato e fucilato dai nazifascisti; Piero Pajetta, detto Nedo, eroico com­battente della II brigata Garibaldi biellese, caduto in combattimento alla testa dei suoi uomini; Gaspare Pajetta, uno dei più giovani militanti della gioventù comunista, caduto al suo posto di combattimento tra i partigiani della brigata Valsesia; Oberdan Chiesa di Livorno, già ufficiale garibaldino in Spagna, fucilato a Livorno; Pietro Lari di Arezzo, assassinato nel campo di concentramento di Carpi ; Vittorio Cimarelli di Terni, caduto alla testa di una formazione partigiana umbra; Irma Bandiera, una tra le nostre migliori compagne, valorosa combattente della VII brigata d'assalto gap­pista di Bologna, arrestata ed assassinata dai nazi­fascisti. I comandanti ed i commissari Gardoncini, Casa, il giovane eroe Dante Di Nanni di Torino, Terzo Lori di Ferrara, Ettore Sforai di Firenze, Aldo Sintoni, Dario Cagno, tutti combattenti garibaldini caduti nella lotta, Alessandro Bianconcini di Bologna, fucilato come ostaggio. Buranello, Cascione, eroici comandanti delle brigate liguri. Il compagno Aligi Barducci (Potente), il valoroso comandante della divisione Arno, caduto nei giorni della liberazione di Firenze; con lui sono pure caduti i compagni Lanciotto Bollerini, Faliero Pucci, Bruno Fanciullacci, Chiesa ed altri di cui non conosciamo ancora i nomi.

   Sono questi soltanto alcuni nomi tra le centinaia e centinaia di nostri eroici caduti per la libertà Nel loro nome noi ricordiamo in questo momento tutti i com­pagni che hanno dato il loro sangue e la loro vita per l'indipendenza e la libertà del nostro popolo. Il loro ricordo sarà imperituro nei nostri cuori e nei cuori di ogni italiano. Il nostro partito è fiero di loro. Il loro sacrificio è stato di esempio nella lotta, centinaia e centinaia di italiani hanno preso il loro posto di com­battimento, sono venuti a rafforzare le file del nostro partito.

   Per questo noi possiamo dire con orgoglio che nel corso di quest'anno il partito si è rafforzato non solo quantitativamente ma anche qualitativamente.

   Il partito comunista già si è affermato come il partito veramente italiano, come il partito a cui più stanno a cuore gli interessi del nostro paese e del nostro popolo. Ha saputo affermarsi come avanguardia della classe più progressiva, che è oggi interprete e porta­trice dei destini della nazione. In quanto partito del proletariato, si è affermato e si afferma sempre più come il partito del popolo italiano. È questa però una posizione che noi dobbiamo conquistare non solo poli­ticamente, ma anche organizzativamente.

   La «leva dell'insurrezione», indetta in questi giorni, deve portarci a raggiungere i 100.000 iscritti alla fine dell'anno. Questo obiettivo è possibile realiz­zarlo e lo dobbiamo realizzare, se noi vogliamo poter assolvere alla nostra funzione. Non dobbiamo temere di essere troppi.

   Si tratta oggi di condurre e dirigere la guerra di liberazione nazionale, si tratterà nell'immediato do­mani di ricostruire l'Italia.

   La ricostruzione dell'Italia sarà un'opera immane, si tratterà di ricostruire le nostre industrie, la nostra rete di comunicazioni, le nostre città e le nostre campagne.

   La battaglia della ricostruzione sarà vinta solo se essa sarà combattuta con la partecipazione e lo svi­luppo dell'iniziativa delle larghe masse popolari, con l'autogoverno del popolo, che garantisca la fecondità e l'efficacia del lavoro di ciascuno, con un regime di democrazia veramente progressiva.

   Il nostro partito che è alla testa della guerra di liberazione, dovrà essere anche alla testa della dura battaglia per la ricostruzione del paese.

   Dobbiamo mettere la nostra organizzazione in grado di assolvere a questa funzione.

   Per questo è necessario che il nostro partito sia sempre più forte, sempre più di massa. Per questo è necessario affrontare e risolvere alcuni problemi che sono decisivi per il suo ulteriore sviluppo.


3. Il partito e le brigate Garibaldi.

Noi dobbiamo sentirci responsabili di tutto il movi­mento partigiano e non soltanto delle brigate Garibaldi. I comunisti militano in tutte le formazioni partigiane, garibaldine e non garibaldine, non escluse le stesse for­mazioni autonome, anche in quelle i cui comandanti si professano apertamente anticomunisti ed antigaribaldini.

   Costituendo le brigate d'assalto Garibaldi non ab­biamo inteso costituire delle unità di partito, ma delle unità aperte a tutti i patrioti, qualunque fosse la loro fede politica e religiosa.

   Con la costituzione delle brigate Garibaldi, non abbiamo inteso creare un'organizzazione militare a di­sposizione del partito, non abbiamo inteso separarci dal restante movimento partigiano. Nei primi mesi di confusione e di attesismo dominanti, abbiamo voluto creare, con le brigate d'assalto Garibaldi, delle forma­zioni che servissero d'esempio e di modello a tutte le altre per capacità organizzativa, per disciplina e per combattività. Ciò che le distingue da molte altre è la lotta, è l'azione. Esse intendevano indicare a tutti i patrioti la via del combattimento. Questo scopo è stato raggiunto.

   Come partito noi dobbiamo tendere ad essere pre­senti in ogni unità partigiana, allo stesso modo che tendiamo ad avere una cellula in ogni officina.

   Nell'unità partigiana i comunisti devono fare di tutto per collaborare con il comando e per aiutarlo nella realizzazione dei suoi compiti.

   Noi abbiamo oggi, decine di migliaia di com­battenti nelle file partigiane (senza contare i mem­bri delle S.A.P.). Torino ha inviato nelle forma­zioni oltre 1.000 compagni, Genova oltre 500, Bologna 800 e così via. Ma questi comunisti sparsi in tutte le divisioni, in tutte le brigate, e non solo in quelle gari­baldine, sono per lo più slegati tra di loro. Per costi­tuire una forza essi devono essere organizzati.

   In quelle formazioni partigiane ove i comunisti non sono presenti, non sono organizzati e non svolgono attività, la disciplina è debole, la combattività è scarsa, e vi predomina lo spirito attesista.

   La necessità della lotta contro il settarismo, la necessità di impedire che le unità partigiane venissero ad assumere una fisionomia di partito ci ha portati a trascurare il lavoro politico nelle formazioni parti­giane. In realtà il modo migliore di combattere il set­tarismo è proprio quello di rafforzare il lavoro politico.

   I comunisti nelle formazioni partigiane costitui­scono un elemento di forza e di unità, perché essi sono gli elementi più coscienti, più combattivi, quelli che più di tutti hanno il senso della responsabilità e la coscienza della necessità della guerra di liberazione che il nostro popolo sta conducendo. I comunisti sono e de­vono essere sempre più i partigiani esemplari. Essi de­vono collaborare strettamente con i comandanti ed i commissari delle unità partigiane, e devono essere loro di aiuto specie nei momenti difficili, nei momenti di «crisi».

   La nostra azione politica deve essere tale da raf­forzare l'unità, la coesione, lo spirito combattivo della formazione. Dev'essere tale da non urtare in qualsiasi modo i sentimenti e le opinioni politiche o religiose degli altri appartenenti alle formazioni, siano essi uffi­ciali o gregari.

   Naturalmente, le cellule ed i gruppi di partito nelle unità partigiane debbono funzionare in modo particolare. Dobbiamo avere grande tatto ed agire con ri­guardo, se vogliamo in tutte le unità partigiane e nelle stesse nostre formazioni garibaldine realizzare la più salda unità ed il più forte affiatamento tra tutti i garibaldini.

   Le nostre forme di organizzazione delle cellule de­vono essere molto ela­stiche. Là dove le unità partigiane sono costituite in grande maggio­ran­za da comunisti o da simpatizzanti, le riunioni delle cellule e di gruppi comunisti possono svolgersi in modo aperto, e possono essere invitati a partecipare alla riunione anche i sim­patizzanti e tutti i partigiani che lo desiderano.


4. I compiti del commissario politico

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In alcune formazioni il commissario politico svolge la propaganda del partito comunista ed assolve alla funzione del responsabile della cellula.

   Questo è sbagliato. Il commissario politico è l'orga­nizzatore di tutti i partigiani e non è il rappresentante di un partito, anche se spesso personalmente è un comunista.

   Voi sapete che noi ci siamo battuti a fondo per l'istituzione in tutte le formazioni dei commissari poli­tici specialmente all'inizio, abbiamo dovuto superare le ostilità e l'avversione degli altri partiti che fanno capo al C.L.N.

   I «militari» vedevano in essi un oltraggio alla loro dignità ed al loro prestigio, i «politici» un'invenzione nostra per mettere le mani sulle formazioni militari e volgerle a scopo di partito.

   Si temevano inoltre conflitti tra i comandanti ed i commissari politici. In realtà le funzioni degli uni e degli altri potevano essere, come lo sono state, netta­mente distinte: il comandante è il responsabile della condotta militare della formazione, il commissario della condotta morale e della coscienza politica degli uomini. Efficienza militare e coscienza politica sono stretta­mente interdipendenti, perciò sono necessarie le due funzioni e la stretta collaborazione tra il comandante militare ed il commissario politico per il buon anda­mento dell'unità. Essi sono responsabili in solido di fronte ai loro uomini e al movimento di liberazione nazionale dell'attività e del buon funzionamento del­l'unità partigiana.

   I commissari politici nelle formazioni partigiane devono essere gli animatori e gli educatori dei parti­giani, devono dare ad essi chiara coscienza della lotta che si sta combattendo.

   Il commissario politico è particolarmente responsa­bile del morale, della disciplina e dell'orientamento politico degli uomini. Egli deve, con un lavoro siste­matico e sulla base del programma dei comitati di liberazione nazionale, chiarire continuamente tutte le questioni politiche generali, commentare e spiegare ogni avvenimento politico e militare del giorno, discutere con i propri uomini ogni aspetto della vita della for­mazione e cercare assieme con essi le ragioni delle sue deficienze ed i mezzi per eliminarle.

   Il commissario politico deve preoccuparsi del mi­glioramento continuo della sua unità, specialmente per quanto riguarda la sistemazione, l'alloggiamento, la cucina, la giusta distribuzione dei compiti, dei turni, degli incarichi, delle promozioni; deve promuovere le iniziative e l'emulazione patriottica.

   Il commissario politico deve stare al fianco di ogni partigiano, consigliarlo, aiutarlo a risolvere le sue dif­ficoltà, persuaderlo sulla necessità dell'unità e della solidarietà attiva tra tutte le formazioni partigiane di ogni colore, insegnargli ad ubbidire, non meccanica­mente come avveniva nell'esercito fascista, ma coscien­temente e con passione, agli ordini dei comandanti par­tigiani. Il commissario politico dev'essere a fianco di ogni partigiano nel momento del pericolo.

   Il commissario politico deve curare i buoni rapporti politici con le altre formazioni partigiane, qualunque sia il loro orientamento politico. Ai commissari politici spetta in modo particolare il compito di stabilire legami di fraternità e di solidarietà tra i partigiani e la popo­lazione dei paesi ove le unità partigiane hanno la loro zona di operazione.

   I segretari o responsabili delle cellule del partito comunista devono naturalmente essere d'aiuto ai co­mandanti ed ai commissari politici nell'opera di raf­forzamento dell'unità partigiana, nel renderle più attive, più combattive, più coscienti della loro missione; ma i segretari delle cellule di partito hanno anche un altro compito, ed è quello della propaganda comunista, del proselitismo, della conquista di nuovi aderenti al nostro partito.

   È innegabile che se sin dall'inizio noi avessimo svolto un più intenso lavoro politico nelle unità parti­giane, lo sviluppo dei quadri sarebbe stato favorito ed oggi disporremmo di un maggior numero di coman­danti e commissari capaci.

   Noi ci siamo accorti un po' tardi che lo svilupparsi del movimento partigiano esigeva uno sviluppo, una nuova ramificazione anche della nostra organizzazione.

   Noi dobbiamo essere presenti non solo nelle offi­cine e nei villaggi ma anche tra le file dei combattenti partigiani.

   Il secondo problema grave per il nostro partito è quello dei quadri. Problema assai preoccupante per i compiti grandiosi che il nostro partito è chiamato a risolvere oggi e domani. Che cosa vale avere una giusta linea politica, se noi non abbiamo le forze per realiz­zarla? Esiste una notevole sfasatura tra l'aumento del numero degli iscritti al partito e l'aumento del numero dei quadri. È questa una delle più gravi contraddi­zioni interne del partito. È certamente assai più facile reclutare dei nuovi aderenti che formare dei nuovi quadri. Il processo di formazione di un quadro è lungo e richiede un lavoro assiduo e costante. Questo lavoro è reso particolarmente difficile nelle attuali condizioni di vita dell'Italia occupata.

   La crisi dei quadri è acuita dalle nostre perdite sensibili nella guerra partigiana. Ma la mancanza dei quadri è anche la conseguenza di uno scarso lavoro svolto da noi e dalle nostre organizzazioni, per la loro formazione.

   I quadri non si formano spontaneamente, né si sviluppano automaticamente. La volontà di lotta, l'istinto di classe, lo spirito di sacrificio non sono ele­menti sufficienti per creare quadri capaci di dirigere, di orientare e di realizzare una linea politica conse­guente e di principio. I quadri si creano nella lotta, ma anche col lavoro educativo. La lotta da sola non basta.

   Dobbiamo riconoscere che noi, anche al centro, abbiamo fatto troppo poco in tale direzione. Abbiamo affrontata la situazione come se dovesse durare due o tre mesi. Abbiamo gettato tutte le nostre forze, tutte le nostre energie nella lotta, nel lavoro pratico ed abbiamo trascurato il lavoro educativo.

   Oggi è passato un anno, siamo ancora nell'illegalità, la lotta continua ed ogni giorno richiede nuove forze, la crisi dei quadri si fa duramente sentire. È errato pensare che i quadri si sviluppino da soli o che basti la lotta per crearli. Dobbiamo abbandonare al più presto la pratica della spontaneità in questo campo. Dobbiamo realizzare una svolta decisiva.

   È necessario insistere su alcuni punti fondamentali delle nostre recenti direttive.

   1. Le energie sane ed animate da volontà di lotta nel partito non mancano. Non manca l'intelligenza, non manca cioè la stoffa per formare i quadri. Si tratta di scoprire queste energie, di ben utilizzarle, di met­terle ognuna al suo posto. È necessario dal centro alla base compiere un maggiore lavoro di profondità per mezzo di contatti e di riunioni, per riuscire a sco­prire gli elementi migliori e più promettenti.

   2. Dobbiamo avere maggior coraggio nel portare negli organismi dirigenti delle diverse istanze del par­tito elementi giovani e nuovi. Anche se inizialmente questi nuovi elementi non saranno sufficientemente capaci, porteranno in questi organismi entusiasmo e spirito nuovo. In generale gli elementi giovani hanno maggiore spirito combattivo.

   3. I quadri non si formano essenzialmente con le scuole e con i libri, ma anche il lavoro educativo è indispensabile. I migliori compagni devono sentire il dovere di educare, sia pure solo per mezzo di con­versazioni individuali, almeno un nuovo compagno. Si possono anche, malgrado la difficile situazione, organizzare dei brevi corsi, la diffusione di opu­scoli, ecc.

   Esistono indubbiamente delle difficoltà oggettive, ma noi dobbiamo guardare in faccia le difficoltà, proporci dei compiti realizzabili e concreti, per poterli superare e non indietreggiare di fronte agli ostacoli.

   Il nostro è diventato il partito del popolo ita­liano, già oggi partecipa largamente alla condotta della guerra nazionale ed alla direzione del paese. Do­mani sarà chiamato a dare tutte le sue forze alla rico­struzione della nostra Italia, e per assolvere a questi compiti grandiosi esso deve potersi sviluppare organi­camente, esso ha bisogno di esprimere dal suo seno migliaia e migliaia di quadri dirigenti. I quadri deci­dono di tutto. Se avremo dei quadri buoni e numerosi il nostro partito sarà invincibile, la ricostruzione ed il progresso del nostro paese saranno assicurati.

   Un'altra grave deficienza odierna del nostro partito è la insufficiente vitalità interna. Questo è nello stesso tempo causa ed effetto della crisi dei quadri. La defi­cienza dei quadri è senza dubbio una delle cause della scarsa vitalità interna del partito. L'insufficiente vita interna provoca a sua volta un più lento processo di formazione dei quadri.

   L'insufficiente vita interna del nostro partito non è la conseguenza del fatto che tutte le nostre energie sono concentrate nella lotta esterna: scioperi, guerra partigiana, azioni dei G.A.P. e delle S.A.P., ecc.

   La lotta e la guerra partigiana assorbono, è vero, le nostre migliori energie. Lo stesso partito bolscevico non certo negli anni della guerra civile ha potuto «permettersi il lusso» (per usare un'espressione di Lenin) delle grandi discussioni e della più larga vita democratica.

   Ma la scarsa vitalità interna del nostro partito è soprattutto un prodotto della sua rapidissima «cre­scenza». È anche una conseguenza del fatto che il rapido gonfiamento del nostro partito è avvenuto nel quadro di un sistema organizzativo e di metodi di un'epoca passata, e che tuttavia si sono in parte con­servati per forza d'inerzia. (Criteri organizzativi del collegamento individuale, a catena, invece delle riu­nioni collettive, o del «responsabile» al posto dell'or­ganismo, del comitato). Vi influisce pure l'educazione ed il costume fascista, che hanno lasciato un'impronta specialmente nelle nuove generazioni, l'abitudine ad obbedire agli ordini, alle direttive che scendono dal­l'alto, a riceverle senza discutere.

   Troppo pochi membri del nostro partito hanno com­piti specifici da svolgere. In questi mesi sono sorti centinaia di quadri, ma noi dobbiamo crearli a migliaia. Non basta che su diecimila compagni ve ne siano mille o duemila che hanno un compito specifico cui assol­vere, è necessario che ognuno dei diecimila svolga un'attività concreta.

   Un'intensificazione della vita interna del nostro par­tito non andrà a scapito della lotta esterna; al con­trario, una più intensa vita interna potenzierà la lotta contro il nazifascismo.

   La penetrazione in seno al partito di influenze attesiste, le manifestazioni di settarismo, le oscillazioni e le deviazioni dalla giusta linea politica sono conseguenza della scarsa vitalità interna del partito. Tutto il partito deve vivere politicamente.

   A questo scopo è necessario:

   1. eliminare i residui del sistema di direzione indi­viduale, del «responsabile», e ritornare in tutte le istanze del partito al funzionamento dei «comitati». Le riunioni non devono limitarsi ai soli organi dirigenti - triumvirati, comitati federali, comitati di settore - ma anche le cellule di base devono riunirsi e discutere politicamente;

   2. all'ordine del giorno delle riunioni non vi devono essere solo i problemi pratici, ma sempre almeno un problema politico. Le direttive del par­tito devono essere lette e discusse collettivamente non solo nelle riunioni degli organismi dirigenti, ma anche in tutte le riunioni delle cellule di base. Non è possibile che la massa dei compagni applichi giusta­mente la linea politica del partito, se essa ignora l'es­senza di questa linea, se i compagni non l'hanno assi­milata; per assimilare la linea politica, elemento pri­mordiale è discuterla.

   I frequenti scarti, le oscillazioni dalla linea del par­tito che si notano alla base, le manifestazioni set­tarie, ecc. non sono la conseguenza di una eterogeneità del partito o del permanere in esso di correnti ideolo­giche di sinistra o riformiste, ma sono essenzialmente il prodotto di una scarsa assimilazione della linea del partito, per effetto di insufficiente discussione.

   L'unità ideologica del partito è provata non solo dalla mancanza di correnti contrastanti nel suo in­terno, ma anche dalla liquidazione dei gruppi di oppo­sizione che vivacchiano fuori del partito. Dei vecchi rottami del bordighismo, finiti nella cloaca della Gestapo e della controrivoluzione, si hanno sempre più rare manifestazioni, che consistono nell'apparizione di qualche numero di Prometeo. Lo sviluppo ed i suc­cessi del partito hanno tolto ai gruppi di opposizione la possibilità di poter esercitare una qualsiasi influenza. Vecchi esponenti di questi gruppi hanno chiesto ripetutamente di poter rientrare nel partito. Probabilmente queste richieste nascondono un se­condo fine, costoro intenderebbero tornare al partito per sostenervi all'interno le loro idee, tuttavia è un fatto che fuori del partito sono del tutto impo­tenti.

   Un gruppo operaio di sinistra che raggruppava al­cune centinaia di lavoratori onesti attorno al giornale Il Lavoratore, ha posto fine alla sua esistenza, e tutti i suoi aderenti sono entrati nel partito, dopo un lavoro di chiarificazione durato alcuni mesi. È stato questo senza dubbio un notevole successo della nostra orga­nizzazione a Milano.

   La stessa cosa sta avvenendo, a Torino, del gruppo che faceva capo al giornale Stella Rossa.

   Questi sono oggi i problemi più gravi della nostra organizzazione: scarso sviluppo dei quadri, ed insuffi­ciente vitalità interna del partito. Dalla soluzione di questi problemi dipende la liquidazione del settarismo e dell'attesismo, dipende il rafforzamento della disci­plina, della combattività e di tutto il lavoro del partito.


5. Un anno di lavoro e di lotta.

Poiché il rapporto ha carattere organizzativo, non tratterò qui i problemi dell'attività politica: accennerò solo di sfuggita ad alcuni di essi.

   Dal punto di vista della mobilitazione delle masse (scioperi, agitazioni) e delle azioni militari (G.A.P., partigiani e S.A.P.), Torino è senza dubbio alla testa. Dal marzo di quest'anno in avanti, a Torino fu un susseguirsi di scioperi grandiosi, e non solo a carattere economico, ma essenzialmente politico. Al­cuni di questi hanno carattere ed importanza nazio­nale. Sciopero per la liberazione di Roma, sciopero contro le deportazioni degli uomini e delle macchine, sciopero di solidarietà con gli insorti di Parigi, gran­dioso sciopero dei ferrovieri, scioperi di protesta contro le fucilazioni ed il terrore. Queste manifestazioni, con le quali il proletariato torinese ha dato prova della sua coscienza di classe nazionale e progressiva, sono state accompagnate da comizi nelle fabbriche e da un crescente sviluppo della vita democratica nelle officine.

   Milano ha condotto una larga azione gappista, specie alla fine dello scorso anno e nei primi mesi di questo [1]. Brillanti azioni misero in luce l'eroismo dei nostri compagni, molti dei quali caddero nella dura lotta contro i nazifascisti. Milano è pure stata senza dubbio all'avanguardia nelle lotte di massa e degli scioperi, sino al grande sciopero generale del marzo scorso, che in nessun luogo come a Milano riuscì così completamente. A Milano parteciparono allo sciopero i tranvieri in massa, parte dei ferrovieri, dei postele­grafonici e dei tipografi, al completo gli operai del Corriere della Sera. Dal marzo in poi, in conseguenza della reazione, degli arresti, delle deportazioni e di altre cause, subentrò una fase di stasi. L'attesismo esercitò una notevole influenza. Il ghiaccio è stato rotto nelle officine con lo sciopero del 21 settembre. Questa ripresa è accompagnata da una più intensa lotta dei G.A.P. e delle S.A.P.

   A Genova ed in Liguria si è avuto un forte sviluppo del movimento partigiano che ha dato brillanti prove della sua combattività tanto nelle città (G.A.P.) quanto nelle campagne e nelle montagne (unità partigiane) Meno forte è stata l'azione delle larghe masse, per quanto tanto a Genova quanto a Savona, Imperia, Spezia vi siano stati nel corso di quest'anno numerosi scioperi.

   Bologna, ed in generale quasi tutta l'Emilia, ha dimostrato maggiore capacità di lotta a mezzo delle manifestazioni contadine ed a mezzo dei G.A.P. e delle S.A.P., che hanno assunto un carattere vera­mente di massa ed hanno inferto duri colpi al nemico nazifascista.

   Il Veneto è la regione ove il lavoro del nostro par­tito ha incontrato maggiori difficoltà, ma dove pure si è avuto un forte sviluppo del movimento partigiano. Le organizzazioni di partito della Liguria e del Veneto hanno inviato centinaia e centinaia dei loro migliori nelle file partigiane, e di questo depauperamento hanno poi risentito le organizzazioni stesse nella loro attività in città.

   L'organizzazione di massa che veramente si è affer­mata come tale e che ha conquistato larga popolarità ed autorità nelle fabbriche è quella dei comitati di agitazione, che hanno dimostrato la loro capacità combat­tiva e di direzione nel corso degli scioperi del 1943 e di quest'anno. Il partito ha dedicato molta parte della sua attività nel promuovere la costituzione di questi comitati ed il loro funzionamento. È neces­sario in molte fabbriche estendere la loro base facen­dovi partecipare i rappresentanti delle diverse correnti sindacali.

   Più grande attenzione devono dedicare le nostre organizzazioni allo sviluppo dell'attività tra le donne ed i giovani.

   Dal punto di vista strettamente organizzativo qual è stato il funzionamento del partito in questo anno? Noi abbiamo seguito il criterio di rafforzare notevolmente le direzioni locali delle regioni. In previ­sione delle difficoltà di comunicazioni e di collegamenti, del distacco di determinate regioni d'Italia dalle altre, abbiamo ritenuto che fosse necessario garantire in ogni regione, sul posto, una direzione in grado di dirigere e risolvere tutti i compiti di partito, anche in caso di mancanza di collegamenti col centro dirigente [2]. È evi­dente che, adottando questo metodo di direzione ed inviando i migliori compagni nelle diverse regioni, il nucleo centrale veniva ridotto ai minimi termini. Si è notato come conseguenza un certo distacco tra il nu­cleo centrale e gli elementi responsabili della direzione del lavoro nelle regioni. Altro difetto del sistema è stato quello di un insufficiente lavoro di propa­ganda svolto dal partito nel corso di quest'anno. L'aver ridotto al minimo il nucleo centrale di dire­zione, ha impedito che potesse essere sviluppata una più larga attività di studio e di propaganda, edizioni di dispense, di opuscoli, ecc. Il nucleo centrale ha assi­curato la pubblicazione quindicinale de l'Unità e la pubblicazione pure quindicinale de La Nostra Lotta (oltre, beninteso, alla continuità dell'azione di direzione politica ed organizzativa), e la pubblicazione di una dozzina di opuscoli di propaganda. Ma non siamo riu­sciti a pubblicare alcuni opuscoli su problemi e com­piti immediati del partito. La deficienza del nostro materiale di propaganda si fa sentire, ed ha certamente influito sul lento sviluppo dei nostri quadri.

   Tutto sommato, malgrado i difetti rilevati, il sistema di direzione adottato si è rivelato il più adeguato alla si­tuazione e dev'essere confermato. I difetti sarebbero stati più gravi se avessimo adottato il sistema inverso.

   Il sistema di direzione adottato al centro è stato applicato anche nelle regioni. I migliori elementi sono stati messi alla direzione dei comitati federali e si è ridotto al minimo il numero degli ispettori e degli istruttori.

   Il sistema ha dato buoni risultati anche per le pro­vince, seppure gli inconvenienti sono stati per ovvie ragioni più sensibili che non al centro. È necessario rafforzare, specie in alcune regioni, il numero e la qualità dei compagni ispettori.

   I triumvirati insurrezionali hanno reso molto, e nel complesso si sono dimostrati capaci di dirigere le re­gioni e di risolvere i problemi che si ponevano davanti al partito. Anche questi organismi però hanno dimo­strato insufficiente vitalità politica, nel senso che troppo spesso le loro riunioni hanno carattere di lavoro e si discute poco di politica. Le direttive del centro non vengono sempre discusse collettivamente da tutti i triumvirati. Si ignorano i risultati di tali discussioni. I triumvirati, e specialmente i loro responsabili, devono maggiormente sentirsi parte della direzione del partito e collaborare di più e direttamente all'elabo­razione ed allo sviluppo della linea politica.

   Uno degli inconvenienti più gravi notato nel corso di quest'anno nel funzionamento dei comitati federali e delle nostre organizzazioni di base è stato quello di aver continuato a funzionare con criteri organizzativi sotto molti aspetti uguali a quelli antecedenti al 25 luglio. Legami individuali, a catena, l'individuo in­vece che il comitato, specialmente alla base, nelle cel­lule. I comitati dirigenti delle cellule esistono, ma pra­ticamente il loro funzionamento è scarso, chi finisce sempre per far tutto è il segretario della cellula. I comitati di cellula si riuniscono di rado ed ancor più raramente le cellule d'officina. È certo difficile nella situazione di oggi riunire cellule che contano centinaia di iscritti, i quali possono trovarsi solo a gruppi di quattro o cinque per volta. Ma le difficoltà dobbiamo superarle. Ogni cellula di partito deve vivere politi­camente. Altro difetto è che i comitati federali delle grandi città si sono rivelati troppo deboli, per la loro composizione numerica, a dirigere delle organizzazioni che sono diventati dei veri e propri partiti. Né si tratta di aumentare di due o tre il numero dei componenti un comitato federale. È necessario che ogni membro del comitato federale sia il responsabile di una sezione di lavoro, e che abbia attorno a sè quattro o cinque compagni componenti la sezione di lavoro. Senza voler tracciare uno schema organizzativo unico per tutte le località (non si può prescindere dalle situazioni parti­colari) riteniamo che soprattutto per i grandi centri il criterio indicato sia il migliore, specialmente se applicato in tutte le istanze del partito, cioè non solo nel comitato federale, ma nel comitato di settore, di zona e di cellula.

   Il funzionamento collettivo dei comitati, la divi­sione del lavoro in seno ai comitati, e la creazione accanto ai comitati delle sezioni di lavoro, anche nei settori e nelle cellule, aumenta il numero dei compagni che hanno un compito specifico da svolgere, attivizza il partito, favorisce lo sviluppo dei quadri.

   Senza venir meno all'osservanza delle norme cospi­rative, è necessario che tutti i nostri organismi dirigano di più con riunioni, conferenze d'officina e contatti diretti. I contatti di persona hanno assai più efficacia che non le lettere e le circolari, e ci portano a conoscere gli uomini vivi.

   È necessario intensificare il ritmo di lavoro in tutta l'organizzazione del partito, e organizzare il controllo sistematico e non saltuario sull'applicazione delle diret­tive e delle disposizioni del partito.

   Ripetiamo: tutto questo si deve fare senza venir meno a quelle che sono le regole cospirative che la situazione ancora impone. Non sarebbe di alcuna utilità se l'intensificazione del nostro lavoro portasse al crollo della nostra rete organizzativa; questo significherebbe lavorare a vuoto.

   Non si tratta solo di lavorare con ritmo più celere, ma si tratta anche di lavorare meglio, tenendo conto dell'esperienza di quest'anno di lotta, si tratta di col­pire sempre più fortemente il nemico e con minori perdite nostre.

   Il successo della politica del partito è legato alla capacità di ogni compagno di parlare e di agire in pieno accordo con la politica del partito. Oggi più che mai è necessario combattere ogni manifestazione di settarismo. Tanto le manifestazioni settarie, sini­stroidi, «massimaliste», quanto le deviazioni opportu­nistiche ed attesiste portano alla capitolazione ed osta­colano il successo della politica del nostro partito.

   Non basta che il partito abbia una giusta linea politica, occorre soprattutto saperla realizzare. E questo dipende da ognuno di noi, questo dipende dal senso di responsabilità di ogni compagno, questo dipende dalla capacità di intonare la nostra parola e la nostra azione all'interesse nazionale ed alle aspirazioni di tutto il popolo.

   Il nostro partito deve funzionare sempre più atti­vamente e nel suo complesso. Tutta la massa del par­tito, e non solo una cerchia ristretta di compagni, deve vivere politicamente. La linea politica del partito dev'essere il risultato della vita attiva e della colla­borazione di tutto il partito.

   Dobbiamo intensificare dal centro alla cellula, in tutte le istanze, i contatti di persona più che per iscritto. Meno burocrazia e più lavoro vivo. Sviluppare una maggiore collaborazione tra il centro e i compagni diri­genti delle regioni, un maggiore scambio di esperienze non solo per iscritto, ma anche per mezzo di riunioni interregionali ed interprovinciali.

   Per vincere le difficoltà che ci stanno di fronte, dobbiamo impedire che il lavoro di organizzazione ri­manga indietro rispetto alle esigenze della linea politica e dei compiti del partito. Dobbiamo sforzarci di ottenere che la direzione organizzativa garantisca pienamente l'attuazione delle parole d'ordine e delle decisioni politiche del partito.

   Dobbiamo costruire un partito comunista capace di condurre vittoriosamente l'insurrezione nazionale e di portare i lavoratori alla vittoria.

Note

  [*] In ogni regione occupata dai tedeschi la Direzione del Partito comunista italiano aveva provveduto a costi­tuire dei G.A.P. e S.A.P.) della regione. Questi triumvirati dovevano coordinare l'azione politica e di massa con l'azione mili­tare, dovevano assicurare la direzione politica e militare della regione, anche se questa ad un certo momento fosse rimasta priva di collegamento con la direzione del partito. (P.Secchia, op.cit. Pag.281)

   [1] Dirigente valoroso e capace dei gappisti milanesi era la medaglia d'oro Giovanni Pesce.

   [2] I collegamenti tra il Comando generale delle brigate Gari­baldi e anche dello stesso Comando generale del C.V.L. con i comandi regionali avvenivano in gran parte a mezzo della rete del partito. Questi collegamenti tra il centro e la peri­feria hanno sempre funzionato bene (nessuna direzione regio­nale né del partito né delle formazioni partigiane è mai stata colpita) grazie all'abnegazione ed all'eroismo di decine di staffette che portavano il «corriere», ma grazie anche alla diligenza dei compagni che curavano questo lavoro. Tra di essi in modo particolare il compagno Arcangelo Valli che allora oltre a far parte della sezione di organizzazione era ufficiale di collegamento al Comando generale delle brigate Garibaldi.