Pietro Secchia

Ancora sul viaggio a Mosca del 1947

Secchia parla nuovamente del suo viaggio a Mosca nel gennaio 1958 nelle "Memorie perchè si sappia la verità", Quaderno n.4, Archivio Pietro Secchia, cit. pp.421-427.



[...] Che cosa volevo? fare la rivoluzione? No, questa è la solita baggianata, la solita stolta accusa mossa da chi ha interesse a falsare le posizioni dell'avversario per poterle combattere, "liquidare".

   Non penso affatto che nel 1945 si potesse fare la rivoluzione. Il nostro paese era occupato dagli anglo-americani, ecc. Condivido pienamente l'analisi fatta dal par­tito in quel periodo e le conclusioni cui è giunto. Ma si trattava di difendere di più certe posizioni e di fare qualcosa di serio e di positivo quando eravamo al gover­no. Inoltre gli anglo-americani ad un certo momento se ne sono andati e noi avrem­mo dovuto puntare maggiormente i piedi.

   Comunque, a farla corta, si legga un documento che contiene l'analisi che io fa­cevo della situazione italiana nel dicembre 1947, documento che presentai a Mo­sca il 16 dicembre 1947. [1]

   I punti essenziali di quel mio rapporto sono:

   1. Situazione economica del paese.

   2. Situazione politica. Giudizio dei governi succedutisi dalla liberazione in poi. Come si è prodotta l'attuale situazione? Sarebbe un errore se esaminassimo la si­tuazione che si è creata tenendo presenti soltanto le condizioni del nostro paese.

   3. Esame situazione internazionale e sua ripercussione in Italia.

   4. Politica delle socialdemocrazie.

   5. Politica dell'imperialismo americano per conquistare rapidamente posizioni di dominio e di forza dirigente del mondo capitalista.

   6. Prospettiva di una terza guerra mondiale: deve considerarsi reale

   7. Potevamo evitare il rafforzamento delle posizioni del capitalismo nel nostro paese? Era assai difficile, a nostro modo di vedere, evitare questo processo di ripre­sa e rafforzamento delle posizioni conservatrici e reazionarie perché mancava la possibilità che nel nostro paese la lotta politica si sviluppasse all'infuori dell'influen­za e dell'intervento delle forze straniere. Le cose sarebbero andate senza dubbio di­versamente se noi non fossimo stati un paese sconfitto e occupato dagli anglo­americani.

   Questo non significa che anche da parte nostra e del movimento democratico in generale non siano stati commessi degli errori, senza i quali noi avremmo po­tuto mantenere determinate posizioni di forza o almeno mantenerle più a lungo.

   La tattica seguita dai capitalisti italiani per riconquistare determinate posizio­ni: da una parte hanno cercato di provocare con ogni mezzo e ad ogni occasione la rottura del fronte democratico nazionale e di spingere il paese verso la guerra ci­vile; dall'altra hanno cercato di impedire che i governi che si fondavano sul blocco di forze democratiche potessero sviluppare una politica anticapitalista.

   Ogni volta che noi comunisti assieme ai socialisti e alle altre forze democratiche cercavamo di strappare determinate misure di ordine economico e politico che avrebbero fatto progredire la democrazia, immediatamente le forze conservatrici insorgevano e ci si minacciava con la rottura della situazione che avrebbe provoca­to la guerra civile, l'intervento straniero, ecc.

   Le forze democratiche furono così costrette a segnare il passo. Ritengo però che in certi casi noi ci siamo lasciati dominare troppo da queste minacce e dal pe­ricolo della rottura, della guerra civile.

   Il mio rapporto continua mettendo in luce le conquiste raggiunte dopo la libera­zione, concludendo che le posizioni conquistate non debbono essere sottovalutate. Però è altrettanto chiaro che sinora noi non siamo riusciti a consolidare queste posizioni e non siamo riusciti a realizzare nessuna modificazione di struttura della società capitalista italiana.

   8. Come siamo giunti all'attuale situazione? Esposizione della situazione ita­liana immediatamente dopo la liberazione. Comitati di liberazione nazionale; lot­te nel loro seno; nostra influenza; differenza tra Nord e Sud. Quali sono le cause obiettive che hanno portato a questa situazione. Esposizione.

   Ma a creare questa situazione, oltre alle cause oggettive indicate che condizio­navano fortemente l'avanzata della democrazia, hanno contribuito senza dubbio debolezze che erano insite nella natura stessa dello schieramento democratico, de­ficienze ed errori dei partiti democratici ed anche del nostro partito. Quali sono queste debolezze e questi errori?

   - Debolezza dello schieramento democratico era la paura delle masse popolari.
- le prevenzioni anticomuniste.
- Il nostro partito condivide la responsabilità di non avere valorizzato a suffi­cienza il movimento partigiano. Non abbiamo opposto sufficiente resistenza all'al­lontanamento dei partigiani dai posti di direzione dello stato e della vita nazionale.
- Avremmo dovuto batterci con maggior forza per tenere in vita i CLN quali organismi democratici che facilitavano la partecipazione delle masse popolari alla vita politica e alla direzione del paese.
- Non abbiamo risposto con un movimento di massa alle manovre dei liberali concordate con i dirigenti della DC per mettere in crisi il governo Parri. Il rovescia­mento del governo Parri segnò l'inizio della controffensiva da parte delle forze con­servatrici e reazionarie che si proponevano di impedire lo sviluppo di un regime democratico.
- Nella nostra azione di governo vi sono state senza dubbio debolezze ed er­rori, determinate posizioni non sono state difese come avremmo voluto, altre ab­biamo abbandonato senza impegnare la necessaria lotta.

   Specialmente al momento della nostra esclusione dal governo, come ebbe a dire il compagno Longo alla riunione dell'Informbureau del settembre scorso, il nostro partito è stato particolarmente debole quando siamo stati esclusi dal governo e gettati nell'opposizione. In tale circostanza la nostra opposizione si è manifestata so­prattutto in modo verbale nella stampa e nei comizi.

   Si è affermato da taluni che l'elemento favorevole a noi è soprattutto il fatto che siamo usciti dal governo senza dare la parola d'ordine dell'insurrezione, il che ha accresciuto il prestigio del nostro partito in determinati strati sociali. [2]

   Questo giudizio non è esatto perché non si trattava già di dare la parola d'or­dine dell'insurrezione, ma di organizzare una grande mobilitazione di popolo pri­ma ancora che fossimo esclusi dal governo. Dal non fare nulla al fare l'insurre­zione ci corre. Ci siamo fatti mettere fuori dal governo senza una grande protesta di massa, senza proclamare uno sciopero di ventiquattro o quarantotto ore. È vero che non era facile avere successo in tale pressione, perché per avere successo in tale pressione dal basso avremmo dovuto poter mobilitare forze e masse diverse da quelle che seguono il nostro partito. Poiché le manifestazioni erano contro i diri­genti della DC avremmo dovuto poter mobilitare anche delle forze della DC. Ma proprio perché era De Gasperi che prendeva l'iniziativa di escluderci dal governo, era difficile mobilitare contro tale iniziativa le masse democristiane.

   Difatti, poiché si era mandato a dire al congresso della CGL, che si teneva in quei giorni a Firenze, che la confederazione doveva organizzare una grande manife­stazione per reclamare che i partiti dei lavoratori restassero al governo, non riu­scimmo a fare accogliere la nostra proposta perché i dirigenti de facenti parte de­gli organismi direttivi della CGL si proclamarono subito contrari a tale manifesta­zione, minacciando se l'avessimo fatta malgrado loro di uscire dalla CGL. Avrem­mo cioè avuto allora la scissione sindacale.

   Malgrado queste ed altre difficoltà reali, ritengo però che non avremmo dovu­to lasciarci estromettere dal governo senza impegnare una forte lotta di massa, anche se forse sarebbe stata una battaglia persa. Ma vi sono battaglie che occorre combattere anche se si sa di perdere sul momento. Esse servono per il domani. In ogni caso credo si perda di più ogni volta che si cedono delle posizioni impor­tanti senza dare battaglia.

   Le proteste a mezzo della stampa e dei comizi servono a poco. Avevamo già avuto l'esempio dell'ottobre 1945 all'epoca del rovesciamento del governo Parri. I nostri avversari constatarono allora che le manifestazioni di massa a base di grandi comizi non portavano a nulla di positivo e si convinsero che noi non potevamo an­dare più avanti, che non eravamo in grado di assestare colpi più forti e realizzaro­no una sterzata a destra. È da allora, dall'ottobre 1945, a mio parere, che comincia il declino dei partiti popolari e l'afflusso verso la DC.

   9. La forza del movimento democratico. Esame della forza elettorale, dei sindacati e organizzazioni di massa, UDÌ, cooperative, ecc. Altri partiti. La DC, sue caratteristiche e sua evoluzione, legami col Vaticano, con le forze capitalistiche; partito qualunquista, il pericolo principale non viene dal qualunquismo; i liberali; i socialdemocratici; il partito repubblicano; il partito socialista; il partito comunista, numero iscritti, composizione sociale, sua forza, Nord e Sud.

   Accenno nel rapporto ad alcune debolezze del partito: "Vi è una certa indiffe­renza del partito per quanto riguarda la comprensione e la discussione della sua linea politica, per quanto riguarda l'acquisizione della sua ideologia. Si studia, si discute, si dibatte poco. Le questioni ideologiche e di linea politica interessano scar­samente. Si tratta di un fenomeno abbastanza grave al quale dobbiamo porre at­tenzione".

   I punti deboli del tesseramento si trovano proprio nei centri industriali, è un fenomeno che ci deve preoccupare. Se questo dato lo avviciniamo a quello dei risul­tati delle elezioni del giugno 1946 diventa ancora più preoccupante. Le elezioni del giugno 1946 hanno indicato debolezze particolari nelle regioni del Nord e precisa­mente in Piemonte, Lombardia, Veneto.

   Ma mi sembra che il difetto principale sia quello di una grande massa di iscritti inattivi; specialmente in un periodo in cui abbiamo cessato di essere un partito di governo questo rappresenta un pericolo. Questa massa che non lavora a un cer­to momento cesserà di essere una massa passiva, diventerà una massa che se ne va. E quella che se ne va, anche se si tratta della parte passiva del partito, costi­tuirebbe un pericolo serio perché potrebbe favorire l'offensiva dell'avversario.

   Dopo aver accennato alla forza dei sindacati occorre accennare anche ad alcu­ne loro debolezze serie. Pericolo maggiore che minaccia la CGL è la scissione sin­dacale. I dirigenti democristiani dei sindacati si sono fatti sempre più difensori e protagonisti della politica reazionaria e antioperaia di De Gasperi. Essi cercano di sabotare ogni azione di lotta e di spezzare l'unità dei lavoratori. Non è possibile dire sino a quando riusciremo ad impedire la scissione sindacale, certo essa co­stituisce il più serio pericolo che minaccia il movimento sindacale e democratico italiano.

   Un'altra deficienza del lavoro sindacale è che per molti anni gli operai, i lavo­ratori ed anche molti compagni si sono disabituati alla lotta, non hanno condotto delle lotte. Anche le conquiste che si sono fatte dopo la liberazione sono state fat­te sull'ondata del successo del 25 aprile, non sono state ottenute con grandi lotte sindacali. Scala mobile, blocco dei licenziamenti, ecc., sono stati ottenuti in un cer­to senso dall'alto.

   Soltanto dopo che siamo usciti dal governo si sono combattute delle grandi lotte degli operai e dei contadini. Prima avevamo rinunciato a lotte sindacali che avremmo dovuto condurre. Abbiamo ad esempio capitolato di fronte all'argomento non giusto che veniva portato da molti in Italia che non si possono aumentare i salari altrimenti aumenterebbero i prezzi.

   10. Prospettive. Senza essere pessimista ritengo sarebbe un errore se il partito dalla sua politica di alleanze e di classe traesse una conseguenza che ci portasse a sottovalutare la gravità della situazione nella quale ci troviamo.

   La situazione nella quale ci muoviamo in Italia è determinata da due elementi fondamentali: la lotta accesissima di classe che si svolge nel nostro paese e la lotta internazionale che si svolge tra le forze del socialismo e quelle dell'impe­rialismo.

   Noi non abbiamo tutti i dati per prevedere se questa lotta internazionale si accentuerà nel prossimo avvenire ancora di più o se verrà attenuandosi attraverso accordi, sia pure temporanei, che diano luogo a spostamenti di posizione. Non ab­biamo la presunzione di affermare che il nostro paese, l'Italia, sia al centro di que­sta lotta internazionale (al centro c'è la Germania, non noi). Siamo uno dei paesi ai quali guardano gli imperialisti americani, inglesi, francesi. È evidente che la nostra prospettiva non può essere vista in modo indipendente e slegato dallo svi­luppo degli avvenimenti e della situazione internazionale.

   Ci troviamo, a nostro modo di vedere, in un momento molto delicato e direi an­che decisivo della vita e della storia del nostro paese. Personalmente penso che si tratta di decidere oggi se impegnarci in battaglie decisive o meno. Il seguire una strada piuttosto che un'altra può avere conseguenze decisive per lo sviluppo della democrazia in Italia nei prossimi anni.

   Possiamo ritornare al governo? Oggi non ne vedo la possibilità e ritengo che dati gli attuali rapporti di forza può passare molto tempo prima che si creino le possibilità per un nostro ritorno al governo.

   Propongo di cambiare la nostra prospettiva o di lavorare con due prospettive? No, non propongo di cambiare l'obiettivo di lotta: per un regime di democrazia popolare, di democrazia progressiva. Ma il problema è quello di vedere come por­tiamo avanti la democrazia in una situazione quale si è creata nel nostro paese. Non dobbiamo illuderci, i dirigenti della grande borghesia italiana e della DC, con De Gasperi alla testa, impiegheranno tutti i mezzi per colpire il nostro partito e le forze democratiche, per portare la divisione nel movimento operaio e socialista. Possiamo fidare soltanto sullo sviluppo e sulle progressive vittorie elettorali?

   Avendo il governo nelle loro mani le elezioni ce le prepareranno sempre in mo­do da limitare i nostri successi e da impedire successi decisivi. Non credo che essi pensino ad una restaurazione del fascismo in Italia, questo non è loro possibile. Un'azione violenta tendente a mettere il PC, il PSI e i partiti democratici nell'ille­galità sarebbe destinata al fallimento. L'azione violenta, tipo fascista, contro di noi darebbe immediatamente nuovo slancio e vigore alle forze democratiche. I lavora­tori difenderebbero con le armi le libertà conquistate. Il pericolo è un altro ed è che il governo De Gasperi, d'accordo con i grandi industriali, con gli agrari, con­duca una politica tesa ad impedire oggi un movimento di massa, domani a strap­pare una piccola conquista, dopodomani un'altra, cercando di dividere i lavoratori, facendo agli uni una concessione, mostrando i denti agli altri. Il pericolo dal quale dobbiamo guardarci è quello di cedere oggi una posizione, domani un'altra e tro­varci poi nella condizione di non poter più avere l'iniziativa.

   La tattica che l'avversario persegue è quella di ridurre la forza del nostro partito, di isolarlo da altre forze, di staccare a poco a poco da noi quelli che pos­sono essere i nostri alleati. La loro mira è quella di portare la scissione in seno al movimento sindacale e di massa.

   Ripeto, non propongo di abbandonare la nostra prospettiva di lotta per uno sviluppo democratico, dobbiamo però avere coscienza che questa lotta diventa più difficile, sarà sempre più difficile creare il blocco di forze democratiche in grado di rovesciare l'attuale situazione.

   D'altra parte non possiamo restare sulla difensiva in attesa degli eventi. Se noi non riusciremo ad andare avanti, andremo indietro; sulla cresta dell'onda non ci si ferma. E la cresta dell'onda secondo me è già passata; il riflusso è cominciato secondo me dall'ottobre 1945. Il 2 giugno 1946 ha già segnato una flessione, la vit­toria repubblicana fu di misura; la migliore votazione per il PSI rivelava che sta­vano entrando sulla scena politica forze sino allora inerti e forze non di avanguar­dia. Cominciarono sin dal giugno 1946 ad avere la loro influenza, il loro peso gli strati più arretrati, meno coscienti, più oscillanti, più legati al riformismo.

   Che fare? Secondo me dobbiamo orientarci verso lotte più ampie, più dure, più decise; orientarci a lotte più ampie e più dure non significa rinunciare alla politica delle alleanze. Anche se in avvenire dovessimo essere impegnati in una lotta diversa da quella legalitaria, in una lotta violenta contro i gruppi reazionari, affinché tale lotta possa avere successo dovrà essere condotta con ampie azioni di massa unitarie, con la più ampia alleanza delle forze democratiche.

   Noi lottiamo per realizzare le riforme di struttura, per la pace, per la libertà, si tratta di obiettivi democratici, però questa lotta non possiamo combatterla sol­tanto in Parlamento; ritengo, oggi più che mai, necessario sottolineare che deve es­sere combattuta soprattutto fuori dal Parlamento. Non si tratta di avviarci verso avventure, ma non dobbiamo però lasciar consolidare l'attuale governo De Gasperi, che si avvia ad essere un regime. Dobbiamo avere la consapevolezza del pericolo che esso rappresenta, dobbiamo avere la consapevolezza che l'offensiva del nemi­co la possiamo fermare soltanto con la lotta. Se non riusciamo a dare ampie bat­taglie unitarie sul terreno economico, politico, sindacale, se noi ci lasceremo strap­pare altre posizioni, ad una ad una, saremo portati ad un certo momento a non poter più essere una forza decisiva, a dover contare soltanto più sul fattore esterno.

   Il pericolo della situazione italiana sta nel fatto che le forze conservatrici e reazionarie con alla testa De Gasperi e la DC non adottano la tattica frontale, ma quella del carciofo, strappano una foglia oggi e una foglia domani, ci tolgono oggi un diritto, domani una posizione, dopodomani un'altra, oggi una misura reaziona­ria, domani un'altra; passo passo siamo portati a perdere terreno e a trovarci in posizione sempre più critica.

   Il pericolo sta nel fatto di non apprezzare appieno le posizioni che si perdono, di ragionare a questo modo: non vale la pena di impegnare una grande battaglia per una questione che non è fondamentale e che può compromettere tutto, vedre­mo poi. E così, di posizione in posizione, che prese una ad una sembrano di non grande importanza, si finisce poi per perdere, se esaminate nel loro complesso, po­sizioni decisive.

   Oggi la situazione italiana è tale che a mio modo di vedere possiamo ancora prendere l'offensiva, vi sono le forze per farlo e se il nemico cercasse di sbarrarci la strada con la violenza, malgrado le misure che con l'aiuto dell'imperialismo ame­ricano già ha prese, tuttavia noi disponiamo ancora di un potenziale di forza tale che saremmo in grado di spezzare ogni loro violenza e di portare i lavoratori ita­liani al successo decisivo.

   Per contro ho il timore che malgrado i numeri di voti, di iscritti al partito, ai sindacati, le posizioni nei comuni, nelle province, in Parlamento, la larga influenza, se non ci impegniamo con decisione, se il governo De Gasperi dovesse consolidar­si, si creerebbe per noi una posizione sempre più difficile, una situazione di cedi­menti e di ritirata tale che ci porterebbe via via a perdere tutto e a trovarci in un regime diverso, di tipo reazionario, senza neppure avere dato battaglia.


Quando feci questa esposizione, prima a Andrei, che mi chiese di metterla per iscritto, poi messa per iscritto fui convocato e mi trovai con Giuseppe, Viance, Gre­gorio, Andria, Laur, si discusse [3]. Obiezioni: oggi non è possibile.

   Ma non si tratta di questo, non si tratta di porre il problema dell'insurrezione, ma di condurre lotte economiche e politiche più decise, con maggiore ampiezza. Ma, mi si disse, nella sostanza ciò che dici porterebbe inevitabilmente a quello sbocco. Oggi non si può. Dovete però rafforzarvi, prepararvi bene, ecc.

   Sulle questioni Trieste, trattato di pace, trattato commerciale, flotta, ecc., non si fa politica dell'imperialismo americano alla rovescia.

   Il mio rapporto non era tutto frutto del mio sacco; le analisi della situazione economica, politica, caratteristiche dei diversi partiti, rapporti di forza erano quel­le che faceva il partito. Anche per quanto riguarda gli errori commessi si possono trovare quelle cose dette da Togliatti prima del VI congresso (in riunioni di direzione, di CC) e al VI congresso. Le sole cose mie erano quelle che riguardavano il che fare. A mio modo di vedere la situazione era tale che poteva ancora essere salvata, ma impegnando delle lotte più decise.

   Mia era l'insistenza che andando di quel passo e per quella strada non ci sa­remmo rafforzati, ma indeboliti.

   Questo documento, che ho riassunto, rispecchia fedelmente le mie posizioni, il mio dissenso. Non si trattava dunque di impostare la lotta insurrezionale o meno. Non ho mai sostenuto che nel 1945 (aprile) si dovesse fare la rivoluzione; so molto bene quali erano le condizioni allora. Non ho mai messo in discussione la politica di Salerno, anche se ritengo che si poteva concedere di meno e che soprattutto do­po la liberazione del Nord avremmo dovuto esigere di più. Noi abbiamo lamentato che nel Sud i CLN fossero qualcosa di diverso che nel Nord, che più forti fossero in essi le influenze reazionarie; però le eccessive concessioni insite nella politica di Salerno non erano fatte per rafforzare le nostre posizioni nei CLN del Sud.


Note


[1] Il documento, che viene di seguito riassunto, è quello pubblicato [qui]. (NdR)
[2] Cit. dall'intervento di Togliatti al CC del 1° luglio 1947.
[3] Giuseppe è Stalin; Viance è Vjacslav Molotov, Gregorio è probabilmente il Grigorian già citato, Andrea è Andrej Zdanov, Laur. è Lavrenti Beria.