Da "Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile", Rinascita, ottobre 1973. Testo ripreso da "Berlinguer, governo di unità democratica e compromesso storico - discorsi 1969-1976", a cura di Gustavo Tomsic, Sarmi, Roma 1976, pp.99-105.
Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica.
D'altronde, la contrapposizione e l'urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura, a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico.
Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato - e oggi l'esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione - che l'unità dei partiti dei lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco dei partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra. Il problema politico centrale in Italia è stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista - e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente democratiche.
Ovviamente, l'unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l'opera di un governo che fosse l'espressione di tale 51%.
Ecco perché noi parliamo non di una «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica», e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.
La nostra ostinazione nel proporre questa prospettiva è oggetto di polemiche e di critiche di varia provenienza. Ma la verità è che nessuno dei nostri critici e obiettori ha saputo e sa indicare un'altra prospettiva valida, capace di far uscire l'Italia dalla crisi in cui è stata gettata dalla politica di divisione delle forze democratiche e popolari, di avviare a soluzione gli immani e laceranti problemi economici, sociali e civili che sono aperti e di garantire l'avvenire democratico della nostra repubblica.
E del resto, a veder bene, le polemiche e i tentativi di rendere impossibile la prospettiva che noi proponiamo non hanno impedito che essa si sia affermata o si affermi nella coscienza di sempre più larghe masse popolari e nei loro movimenti reali, come anche, in una certa misura e in vari modi, nella stessa vita politica e nei partiti. Sta qui la comprova che il problema da noi posto diventa ogni giorno più maturo e urgente. E se nessuno è in grado di prospettare una diversa alternativa democratica altrettanto valida e credibile rispetto a quella da noi proposta, ciò è perché tale diversa alternativa, in Italia, non c'è.