Enrico Berlinguer

Perché il PCI persegue un'alternativa democratica
e non una alternativa «di sinistra»

Da "Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile", Rinascita, ottobre 1973. Testo ripreso da "Berlinguer, governo di unità democratica e compromesso storico - discorsi 1969-1976", a cura di Gustavo Tomsic, Sarmi, Roma 1976, pp.99-105.


  Se è vero che una politica di rinnovamento demo­cratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti poli­tici, tale che favorisca una convergenza e una colla­borazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica.

   D'altronde, la contrapposizione e l'urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappre­sentate, conducono a una spaccatura, a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico.

   Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato - e oggi l'esperienza cilena ci rafforza in questa persua­sione - che l'unità dei partiti dei lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per ga­rantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco dei partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra. Il problema politico centrale in Italia è stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la de­stra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista - e di riu­scire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente demo­cratiche.

   Ovviamente, l'unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i par­titi e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l'opera di un governo che fosse l'espressione di tale 51%.

   Ecco perché noi parliamo non di una «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica», e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comu­nista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamen­to democratico.

   La nostra ostinazione nel proporre questa prospet­tiva è oggetto di polemiche e di critiche di varia pro­venienza. Ma la verità è che nessuno dei nostri critici e obiettori ha saputo e sa indicare un'altra prospettiva valida, capace di far uscire l'Italia dalla crisi in cui è stata gettata dalla politica di divisione delle forze de­mocratiche e popolari, di avviare a soluzione gli im­mani e laceranti problemi economici, sociali e civili che sono aperti e di garantire l'avvenire democratico della nostra repubblica.

   E del resto, a veder bene, le polemiche e i tenta­tivi di rendere impossibile la prospettiva che noi pro­poniamo non hanno impedito che essa si sia affermata o si affermi nella coscienza di sempre più larghe masse popolari e nei loro movimenti reali, come anche, in una certa misura e in vari modi, nella stessa vita poli­tica e nei partiti. Sta qui la comprova che il problema da noi posto diventa ogni giorno più maturo e urgente. E se nessuno è in grado di prospettare una diversa alternativa democratica altrettanto valida e credibile rispetto a quella da noi proposta, ciò è perché tale di­versa alternativa, in Italia, non c'è.