Il programma
di ristrutturazione radicale

di Abel Aganbeghjan

Saggio apparso sulla rivista «Eko», diretta dal segretario del dipartimento di economia dell'Accademia delle Scienze dell'Urss, considerato uno dei principali collaboratori di Gorbaciov. Ampi stralci in italiano da "Perestrojka, amici e nemici", Editrice l'Unità, 1988, pp.58-69.


Siamo giunti ad una fase delicata: entro il 1990 dovrà essere costruito il sistema integrato di gestione in modo che il XIII piano quinquennale possa partire con un nuovo meccanismo economico.

Quando parliamo di riforma radicale della gestione, ricordiamo anche che non intendiamo rinunciare a nessuna delle conquiste reali del socialismo. Il nuovo meccanismo economico si costruisce sulla base della proprietà socialista, della pianificazione, della distribuzione secondo il lavoro, del centralismo democratico e dell'intensificazione dei rapporti monetari-mercantili. Le leggi e le categorie economiche del socialismo si sviluppano e si arricchiscono attraverso la perestrojka. L'esigenza di avere «più socialismo», per usare un'espressione di Mikhail Gorbaciov, è determinante nell'analisi di tutti gli aspetti della riforma del sistema economico.

In che consiste, quindi, la radicalità di questa riforma? Nel passaggio dai metodi amministrativi di gestione a quelli econo­mici nello sviluppo della democrazia economica.

Il vecchio meccanismo economico si era formato in condizioni critiche, quando occorreva superare un'arretratezza spaventosa, fronteggiare l'aggressione militare, ricostruire l'economia dissestata dalla guerra. In anni non facili questo sistema ha permesso di risolvere problemi gravi, anche se dobbiamo riconoscere che la pressione dei metodi amministrativi, l'elefantiasi dell'apparato di gestione, i metodi dirigistico-autoritari, il soffocamento della democrazia e la regolamentazione minuta hanno prodotto parecchi effetti negativi, in special modo nell'agricoltura e nei servizi.

Nel dopoguerra le condizioni dell'economia sono completa­mente cambiate e il sistema amministrativo di gestione si è via via trasformato in un freno dello sviluppo.

Nel decimo e undicesimo quinquennio (1976-1980 e 1981-1985) il calo progressivo dei tassi di sviluppo è stato ulterior­mente aggravato dalla disponibilità decrescente di nuove risorse produttive, in particolare di combustibili, materie prime e investimenti. Inoltre, i dati statistici sulla crescita del reddito nazionale in questo arco di tempo non hanno tenuto sufficientemente conto dell'aumento effettivo dei prezzi e quindi risultano alquanto gonfiati. Il rallentamento dello sviluppo economico ha influito inevitabilmente sui redditi reali della popolazione, che, a un certo momento, hanno cessato di aumentare fino a ridursi per alcune categorie di cittadini.

I danni morali della stagnazione sono stati anche più gravi: forte demotivazione dei lavoratori, clientelismo, corruzione, speculazione, uso privato delle cariche pubbliche. Si affermava una cosa e se ne faceva un'altra. Dilagavano l'apatia, l'indifferenza e l'irresponsabilità.

II partito ha trovato in sé la forza di bloccare queste tendenze perniciose. Il Plenum del Cc del Pcus del novembre '82, sotto la direzione di Andropov, decise di rafforzare la disciplina nel lavoro e nella produzione, la legalità e l'ordine, chiese maggiore responsabilità personale a tutti i livelli della gestione. Furono prese iniziative per accrescere la trasparenza, sviluppare la critica e l'autocritica, combattere la corruzione ed altri fenomeni nocivi. Si è avuto allora un certo risanamento della vita sociale con riflessi positivi sull'attività produttiva. Verso la fine del quinquennio 1981-1985 i tassi di sviluppo hanno registrato un lieve aumento, ma la struttura dell'economia ha continuato a essere vecchia ed inefficiente. Prevalevano ancora i metodi amministrativi di gestione e momenti di slancio si alternavano a repentine cadute. Era chiaro che non si poteva in alcun modo migliorare radicalmente le cose con il semplice volontarismo.

Solo al Plenum del Cc dell'aprile '85 fu elaborato un ampio program­ma di superamento delle difficoltà e tracciata la via dell'accelerazione dello sviluppo economico-sociale. Si decise, in quella sede, di avviare la ristrutturazione di tutti gli aspetti della vita sociale, di affermare la glasnost e la democrazia, di promuovere una nuova politica tecnico-scientifica, strutturale e degli investimenti, di iniziare la ricostruzione tecnica di tutti i settori dell'economia sulla base dell'espansione prioritaria del­l'industria meccanica. Due mesi dopo, la conferenza del Cc del giugno '85 sui problemi dell'accelerazione del progresso tecni­coscientifico impresse una spinta decisiva al conseguimento di questi obiettivi e alla soluzione dei problemi sociali.

Alla metà degli anni ottanta, dunque, non si era compresa soltanto la necessità della perestrojka, ma erano stati anche individuati gli indirizzi della riforma e i problemi da risolvere.

Riforma della gestione, problema cruciale

Tuttavia, l'intensificazione, il progresso tecnico e il rilancio dell'inter­ven­to sociale urtavano contro la barriera del sistema di gestione, che costituiva il motore del meccanismo di freno. Era evidente che solo la riforma radicale di questo tipo di gestione poteva permetterci di risolvere i problemi strategici.

Cosa dobbiamo cambiare, dove vogliamo arrivare attra­verso questa riforma radicale?

I metodi amministrativi si basano sugli obiettivi obbligato­ri del piano statale, che ogni anno viene assegnato dall'alto verso il basso, dal Gosplan ai ministeri e alle repubbliche, che a loro volta lo assegnano ai consorzi, alle imprese, ai colcos e ai sovcos. È questa la base del sistema di gestione dirigistico-autoritaria dell'economia, un sistema anacronistico e inefficien­te, ormai destinato allo smantellamento. Le imprese e i consorzi debbono ora compilare e approvare da sé i loro piani, non ci sarà più la distribuzione dall'alto del programma produttivo.

Prima di redigere il suo piano annuale, l'impresa forma il portafoglio degli ordini, partendo dalle richieste dei consumato­ri. Anche gli organi dello Stato possono figurare tra i commit­tenti. Le commesse statali, tuttavia, comprendono solo una parte della produzione e di anno in anno la loro incidenza tenderà a ridursi. Esse riguardano innanzi tutto le attrezzature per la difesa e per il completamento delle grandi opere, nonché i prodotti di cui lo Stato ha maggiore necessità. Non comprenderanno, di regola, la produzione dei beni di consumo e i servizi. In questi due settori, i piani saranno compilati in base agli ordinativi della rete commerciale, vale a dire secondo la domanda della popolazione. Le commesse dello Stato non sono assimilabili alle vecchie direttive del piano, che presupponevano soltanto la responsabilità dell'esecutore. La commessa, invece, viene affidata a conclusione di un contratto con respon­sabilità reciproche: gli organi dello Stato sono tenuti a effettuare il pagamento della commessa, a fornire all'esecutore la docu­mentazione tecnica e i capitali d'investimento entro i termini stabiliti, ad assegnargli una certa quantità di mezzi di produzio­ne distribuiti centralmente e, all'occorrenza, anche la valuta per l'acquisto all'estero di materiali e componenti.

Le commesse statali sono in genere più vantaggiose, poiché offrono alla produzione sbocchi garantiti. Le imprese dovrebbe­ro fare a gara per assicurarsele e infatti se ne prevede l'assegna­zione per concorso.

Formato il portafoglio degli ordini, le aziende calcolano i principali indicatori della propria attività economica secondo normative stabili da fissarsi entro l'inizio di ogni quinquennio e determinano il volume della produzione, tenendo conto del livello dei prezzi sia statali che liberi. Poi calcolano i pagamenti per le risorse produttive, i versamenti al bilancio statale, i fondi a favore dei ministeri e degli organi locali. Se necessario, accendono crediti e regolano i rapporti con le banche. Quel che resta dopo tutte queste operazioni forma il reddito dell'azienda, di cui il collettivo dispone autonomamente. L'ammontare del fondo-salari viene stabilito attraverso un parametro preciso, in modo che dipenda direttamente dai risultati finali della produzione. Se il collettivo si ritaglia un piano poco impegnativo, stipulando meno contratti e ottenendo commesse per un valore limitato, il fondo-salari diminuisce insieme agli utili dell'impresa. Dal profitto dipende pure la consistenza dei fondi aziendali per lo sviluppo della scienza e della tecnica (cui si aggiungono gli ammortamenti e il ricavato dalla vendita delle attrezzature inutili), per l'edilizia abitativa e sociale, per l'incentivazione materiale. Una volta ogni cinque anni, più o meno un anno prima dell'inizio del quinquennio, l'impresa riceve dall'ente superiore le cifre di controllo per questo arco di tempo più le normative economiche. Queste cifre, però, non debbono trasfor­marsi in una nuova forma di assegnazione dall'alto del piano statale. Innanzi tutto non possono essere dettagliate come il piano statale, che ancora oggi include centinaia di indicatori. Le cifre di controllo sono orientative, tracciano la soglia minima di efficienza dell'impresa e stabiliscono i compiti di natura sociale. Non hanno carattere di direttiva, né pongono il collettivo in uno stato di costrizione. Al contrario, gli lasciano margini di scelta delle soluzioni utili e dei partner affidabili. È importante che le cifre di controllo non siano frazionate per anno, mentre i piani dettagliati tuttora in vigore sono non solo quinquennali, ma anche annuali. La nuova metodologia di pianificazione presume che le imprese e i consorzi debbano impostare la propria attività produttiva sull'autonomia, l'autosufficienza, l'autofinanziamento e l'autogestione. Sono questi i quattro cardini della nuova economia aziendale. Solo in queste condizioni il collettivo può diventare padrone dell'impresa, proprietario e amministratore unico dei mezzi di produzione affidatigli. L'impresa, naturalmente, deve attenersi alle regole del calcolo economico e coprire tutte le spese con i propri guadagni.

Allo stato attuale il reddito dell'impresa copre solo i costi correnti, mentre il grosso degli investimenti è a carico del bilancio statale. Il calcolo economico pieno esige invece una completa autosufficienza: i ricavi devono coprire sia i costi correnti che le spese di capitale.

Un'altra regola del calcolo economico pieno prevede che l'impresa paghi un contributo per tutte le risorse: materie prime, manodopera e attrezzature. Attualmente non esiste alcun prelievo per le risorse naturali, né per la forza-lavoro, sebbene esso sia giustificato dalla rendita differenziale, in un caso, e dalla necessità di risarcire le spese pubbliche di riproduzione della forza-lavoro, nell'altro. Queste ultime, infatti, superano di molto il salario medio e consistono nei fondi previdenziali, nelle sovvenzioni statali a sostegno dei prezzi al minuto, del basso canone d'affitto, ecc.

La chiave di volta per l'assunzione dei metodi economici sta nella fondatezza delle normative, principali regolatori dell'attività aziendale. Tali normative, evidentemente, debbono essere stabili e valide almeno per cinque anni. Ma non basta. Infatti possono anche essere individuali o per gruppi di imprese. Se calcolate per ciascuna azienda, le normative si differenzieranno ben poco dalla pianificazione dall'alto. Nella industria automobilistica, degli strumenti, petrolchimica e di raffinazione si è proceduto proprio così, quando all'inizio dello scorso anno le fabbriche di questi comparti sono passate all'autofinanziamento. A titolo di giustificazione si è detto che gli obiettivi già fissati dal piano quinquennale non potevano essere modificati, ma solo espressi in forma diversa. I mesi in cui le imprese dei summenzionati comparti hanno applicato i princìpi dell'autofi­nanziamento dimostrano con chiarezza che qui non si è avuto nessun aumento sensibile di efficienza. Esse non funzionano meglio di quelle degli altri comparti meccanici affini non ancora passate all'autofinanziamento. In una parola la montagna ha partorito un topolino. Lo si poteva prevedere, poiché le normative individuali producono pur sempre una gestione di tipo amministrativo. Le imprese migliori vengono a trovarsi ancora nella situazione peggiore, poiché debbono versare al bilancio una più alta percentuale di utili, mentre quelle arretrate ottengono favori e sconti. In una situazione del genere, le spese programmate, siano o no giustificate, ricevono una copertura automatica. La Zil (fabbrica automobilistica), ad esempio, ha disposto un piano di ricostruzione, orientandosi sui mezzi del bilancio statale. La fabbrica non ha badato a spese e queste si sono rivelate enormi. Il nuovo modello di autocarro, pur avendo la stessa portata, è risultato più pesante del suo predecessore, il che ha fatto lievitare sensibilmente i costi. Inoltre, nonostante la riduzione dei volumi di produzione, si pretendeva di aumentare il numero degli addetti. Dopo le critiche di Mikhail Gorbaciov questo progetto di ricostruzione è stato «ritoccato» alla svelta: si è accettata la riduzione degli organici, ma in cambio si son chiesti ulteriori investimenti per poter effettuare i tagli. La Zil avrebbe preparato un progetto ben diverso, se avesse dovuto provvedere alla ricostruzione attraverso il credito bancario, come fanno le case automobilistiche straniere e magari a tassi dell'8-12% all'anno.

Anche dopo il passaggio all'autofinanziamento, alla Zil si è lasciato quasi tutto il profitto da essa accumulato in virtù dei prezzi ingiustificatamente alti dell'obsoleto e antieconomico autocarro che sta producendo. Questo profitto va ora a finan­ziare la ricostruzione. In altri termini si è mantenuto il finanzia­mento dal bilancio. Difatti lo Stato preleva da questo consorzio una quota miserevole di utili. Al contrario, la KamAZ (fabbrica automobilistica del Rama), che per adesso non necessita di ristrutturazione, si vede sottrarre non solo una parte considere­vole degli utili, ma anche la maggior parte degli ammortamenti, tanto da non poter assicurare neppure la riproduzione semplice degli impianti, rinviata così a tempo indeterminato.

Le cose andrebbero del tutto diversamente, se ci fosse un'unica normativa economica, se ad esempio tutte le imprese, indipendentemente dalla loro redditività, fossero tenute a versa­re al bilancio la metà dei profitti. È chiaro che le imprese altamente produttive verrebbero a trovarsi in una situazione migliore, mentre quelle a scarso profitto navigherebbero in cattive acque. L'aliquota unica dell'imposta sui profitti, vigente in molti paesi capitalistici, costituisce un buon incentivo per l'incremento della redditività.

Ai fini del calcolo economico è di vitale importanza la ristrutturazione dei prezzi, delle finanze e del credito, del meccanismo di approvvigionamento industriale. L'impresa può essere autonoma, solo se esiste il commercio all'ingrosso con molteplicità di canali, inclusi anche i legami commerciali diretti. Essa deve poter scegliere il proprio fornitore. Il sistema delle forniture centralizzate, basato sulle assegnazioni, è il principale veicolo dei metodi amministrativi e toglie all'azienda la libertà di azione. Perciò la sostituzione dell'approvvigiona­mento dal centro con il commercio dei mezzi di produzione costituirebbe il passo decisivo verso i metodi economici di gestione.

Cosa lo impedisce? Il primo ostacolo è il sistema dei prezzi in vigore. Il prezzo del masut, ad esempio, in molte regioni è più basso di quello del carbone. Se passassimo al commercio all'ingrosso di questo combustibile, diventerebbe conveniente introdurlo al posto del carbone nelle centrali elettriche, costrui­re caldaie a masut, eccetera. Ma non sarebbe vantaggioso per lo Stato, che, al contrario, deve ridurre il consumo di masut (200 milioni di tonnellate, il quadruplo rispetto agli Stati Uniti). Dobbiamo quindi aumentare sensibilmente i prezzi di questo combustibile, come anche di altri combustibili e materie prime, avvicinandoli ai prezzi internazionali.

È importante differenziare i prezzi per tipi di prodotti, considerandone la qualità e il grado di utilità. In una parola, ci serve una riforma globale di tutti i prezzi (all'ingrosso, all'am­masso, al consumo) e delle tariffe.

Supponiamo ora che i prezzi siano quelli giusti, che corrispondano cioè alle spese socialmente necessarie e tengano conto dei pagamenti differenziati per l'uso di tutte le risorse. Basterebbe per introdurre il commercio all'ingrosso? No, perché oltre ai prezzi c'è anche la moneta. È impossibile passare al commercio all'ingrosso finché nel sistema economico si ha eccedenza di moneta in circolazione. Questa eccedenza trae origine innanzi tutto dal credito, di cui finora non sempre si è garantito il rimborso. Soltanto i colcos e i sovcos hanno prelevato dalle banche quasi 100 miliardi di rubli. È evidente che essi non potranno mai restituirli. Questi soldi non guada­gnati dovranno essere in gran parte regalati, ripianando per l'ennesima volta i debiti delle aziende agricole.

Un altro canale attraverso cui scorre denaro non guada­gnato è rappresentato dalla tassa sul giro d'affari, che viene pagata prima della vendita del prodotto. La merce può tran­quillamente restare sui banchi dei negozi, mentre i soldi di quest'imposta sono già entrati in bilancio e vengono spesi. È necessario riformare il sistema finanziario e creditizio per riportare in equilibrio la circolazione monetaria con quella delle merci; occorre restituire al credito la sua autentica vocazione, rendendolo conveniente sia alle banche (che stanno passando al calcolo economico) che alle imprese e ripristinando l'obbligato­rietà del rimborso.

La riforma dei prezzi, del credito e delle finanze creerà i presupposti per l'approvvigionamento delle industrie attraverso il commercio all'ingrosso. Gli attuali fenomeni di penuria traggono origine soprattutto dall'infondatezza dei prezzi, dalla presenza di un eccesso di moneta e dal sistema dei rifornimenti centralizzati. Quando metteremo ordine in tutto ciò, i casi di penuria si ridurranno al minimo.

Tuttavia, una parte di questi fenomeni sono di natura strutturale e derivano dallo sviluppo insufficiente di una serie di comparti. È questo il conto pagato al distacco della produzione dalle preferenze dei consumatori. La produzione, in pratica, è cresciuta orientandosi su indicatori propri. Così, fabbrichiamo alcune cose in quantità maggiori rispetto ai bisogni sociali e altre in quantità minori. Ci vuole del tempo per riportare la produzione in equilibrio con la struttura dei bisogni e la domanda solvibile. Perciò dobbiamo mantenere ancora per qualche tempo le assegnazioni limitate di alcuni tipi di risorse particolarmente scarse. Tuttavia, il commercio all'ingrosso sarà in futuro la forma principale di reperimento dei mezzi di produzione. I limiti si ridurranno gradualmente fino a svolgere una funzione ausiliaria.

Lo sviluppo del commercio all'ingrosso presuppone un considerevole allargamento del mercato socialista e l'intensifi­cazione dei rapporti monetari e mercantili. L'impresa opererà sul mercato come produttore di merci a tutti gli effetti. Ma per fare del mercato uno strumento di valutazione dell'utilità sociale e dell'efficienza della produzione, occorre che ci sia competizione tra i produttori e venga meno il monopolio di questi o quei mezzi di produzione da parte di singole imprese. A tal fine ci deve essere la produzione parallela di uno stesso prodotto. Le cooperative di produzione e in certi casi anche i produttori individuali contribuiranno a che si determini un clima di concorrenza.

Il mercato socialista è un mercato particolare. Esso non ammette la compravendita delle risorse naturali, né in questa fase della perestrojka si prevede la creazione di un mercato dei titoli e la circolazione cambiaria. Alcuni paesi socialisti stanno muovendo i primi passi verso il mercato dei titoli. In Ungheria, a esempio, le imprese possono vendere azioni ai privati cittadini (attraverso le banche). Il loro rendimento supera quello dei depositi bancari. In certi casi gli acquisti sul mercato azionario procurano qualche agevolazione. L'acquisto di azioni delle società telefoniche, a esempio, accelera i tempi di installazione del telefono. Da noi, per ora, non si prevedono cose del genere. Dobbiamo ancora apprendere molto, dobbiamo imparare a padroneggiare il mercato delle merci, visto che ancora non sappiamo fare neanche questo. Poi, con cognizione di causa, possiamo passare anche al mercato dei titoli.

Va sottolineato che il mercato socialista è un mercato regolabile: lo Stato fisserà centralmente i prezzi dei prodotti più importanti (combustibili, energia elettrica, principali materie prime, laminati e attrezzature più diffuse, beni di consumo essenziali). Ciò serve a controllare la dinamica dei prezzi, a prevenire l'inflazione, a evitare i rincari arbitrari. Nel contempo la formazione dei prezzi verrà notevolmente decentrata e un numero crescente di beni sarà venduto a prezzi contrattati o liberi. Inoltre gli organi dello Stato possono pilotare il mercato attraverso le normative economiche, incentivando la produzio­ne di certe merci e limitando quelle di altre.

A mio avviso il problema più difficile della perestrojka è come ottenere l'interessamento dei lavoratori ai risultati finali. L'esistenza di prezzi fondati e dei beni necessari, l'eliminazione dell'eccesso di moneta e l'introduzione del commercio all'in­grosso non porteranno automa­ticamente alla saturazione della domanda delle imprese e dei cittadini. Occorre anche che gli addetti alla produzione e al commercio traggano vantaggio dal soddisfacimento dei bisogni della comunità, che vi siano interes­sati. Ecco perché è tanto importante istituire una dipendenza diretta del salario dai risultati del lavoro. Il calcolo economico pieno e l'autofinanziamento permettono di raggiungere questo obiettivo.

Autonomia e crescita democratica

Se le imprese devono operare in autonomia le loro scelte, rispondendone anche materialmente, non è più ammissibile l'ingerenza amministrativa sull'economia aziendale, che ancora oggi ha luogo. Le funzioni dei centri di pianificazione, degli organi ministeriali e territoriali vanno radicalmente ristrutturate. La pianificazione deve concentrarsi innanzi tutto sulle normative economiche, sui prezzi, sulle finanze e il credito, sugli incentivi, nonché sulle commesse pubbliche per un numero via via decrescente di prodotti. Rimangono oggetto di pianificazio­ne statale i nuovi settori, le grandi opere, le infrastrutture di base, le aree urbane, ecc. Sono i problemi strategici il campo d'azione dei pianificatori, che dovranno rinunciare alla regola­zione corrente dei processi produttivi. I ministeri, da parte loro, debbono trasformarsi in centri di organizzazione del progresso tecnico e di pianificazione economica dei rispettivi settori, senza pretendere di regolamentare in dettaglio l'attività delle imprese.

Il nuovo meccanismo economico attribuisce diritti assai ampi agli organi territoriali, la cui competenza si estende sulla produzione dei beni di largo consumo e sullo sviluppo sociale. L'inerzia di molte di queste strutture dipende dalla lentezza e dal timore con cui va avanti la democratizzazione della nostra vita. Questi organi non subiscono una pressione valida da parte delle masse lavoratrici, che avrebbero già dovuto sostituire i dirigenti apatici con altri attivi e coraggiosi. Pertanto lo sviluppo della democrazia, come è stato giustamente detto al Plenum del Cc del Pcus del giugno dello scorso anno, è la condizione prima della perestrojka, di un mix efficace di gestione settoriale e territoriale. Attraverso la democratizzazione le masse dei lavoratori vengono coinvolte nella perestrojka, sono chiamate a costituire i consigli dei collettivi, a eleggere i dirigenti aziendali, a imparare l'arte della gestione.

Quando dico che sono state gettate le basi del nuovo sistema integrato di gestione è ben lungi da me l'idea che tale sistema sia adeguato alle condizioni di sviluppo del socialismo, che esso risolva tutti i problemi dell'accelerazione economico-sociale. Probabilmente col tempo passere­mo a un sistema ancora più efficiente. Adesso però non bisogna indu­giare, occorre rinsaldare le posizioni sul terreno delle decisioni già prese.

Per molti versi condivido il radicalismo di quanti ritengono che il nuovo meccanismo economico e il nuovo sistema di gestione siano il risultato di uno scontro di opinioni, di giudizi contraddittori, che si tratta di una sorta di compromesso tra coloro che vogliono modificare immediatamente e rivoluzionariamente le forme di gestione e coloro che sono per il perfeziona­mento evolutivo. Ma non possiamo dimenticare che la respon­sabilità è enorme. Ogni mossa sbagliata provocherebbe danni di parecchi milioni di rubli. Allo stato attuale delle conoscenze, delle analisi scientifiche e dell'esperienza pratica noi dobbiamo garantire all'economia una determinata accelerazione, intensificazione e crescita qualitativa. Forse le nostre iniziative odierne non sono così radicali come si vorrebbe, ma in seguito potremo precisare la direzione di marcia, correggere e approfondire. Disponiamo di un programma d'azione abbastanza chiaro per ristrutturare il sistema di gestione. Comincia adesso una nuova fase, il passaggio dalle elaborazioni progettuali alle azioni su vasta scala. Il nostro futuro dipende da come andrà avanti questo lavoro.