Lin Piao
Discorso sugli incidenti di Wuhan

Il discorso, del 9 agosto 1967, è ripreso da Lin Piao, Scritti e discorsi della rivoluzione culturale, Samonà e Savelli, Roma, 1969, pp.105-108 ed è preceduto da una cronaca degli avvenimenti


I fatti di Wuhan

Il periodo che comprende gli ultimi due mesi del 1966 e il gen­naio 1967 è contrassegnato dal progressivo acuirsi dello scontro in tutta la Cina. Ora però non si trovano più di fronte soltanto « ribel­li » e burocrati ma piuttosto « ribelli » e strati di classe operaia sotto il controllo sindacale. Nello stesso periodo si segnalano anche i primi screzi all'interno del fronte rivoluzionario; sono gli inizi di quel fenomeno di divisione e contrapposizione tra vari organismi di massa che colpirà soprattutto il movimento degli studenti e che verrà definito «fazionalismo». A testimonianza di questo inasprirsi della lotta si posson citare alcuni dazibao che all'inizio di dicembre parlano di arresti che si starebbero effettuando a Pechino nei con­fronti di persone che sono state riconosciute sostenitrici della bor­ghesia e del revisionismo. Tra gli arrestati figurerebbero l'ex sindaco della capitale P'eng Ch'en [1] e P'eng Teh-huai [2], predecessore di Lin Piao al Ministero della difesa.

A metà dicembre violenti scontri si svolgono in particolare a Shanghai tra ribelli rivoluzionari e operai. «Bandiera rossa», am­mettendo la gravità degli incidenti, ne attribuisce la responsabilità al piccolo gruppo antipartito che sobilla le masse contro la giusta linea della rivoluzione culturale. Il 1° gennaio 1967 in un editoriale congiunto che fa il punto della situazione, il «Quotidiano del po­polo» e «Bandiera rossa» indicano le tre direttive principali lungo le quali deve svolgersi nel nuovo anno il movimento rivoluzionario. Esse sono: a) estendere la rivoluzione nelle fabbriche e nelle cam­pagne sotto lo slogan «portare avanti la rivoluzione e promuovere la produzione»; b) favorire l'intervento organizzato di studenti, in­segnanti e intellettuali rivoluzionari nelle fabbriche e nelle campa­gne; c) intensificare «il pieno sviluppo della democrazia di massa sotto la dittatura del proletariato» dal momento che «nel corso della grande rivoluzione culturale proletaria i nostri organi di ditta­tura del proletariato debbono risolutamente garantire l'esercizio dei diritti del popolo e garantire che la libera esposizione del proprio punto di vista, l'affissione di dazibao, i grandi dibattiti e lo scambio di esperienze rivoluzionarie su scala nazionale procedano in modo normale».

Nel gennaio, dopo aspri scontri, i ribelli rivoluzionari restano padroni di Shanghai. È un successo importantissimo per la linea di Mao Tse-dun che solo pochi mesi prima nella grande città era mino­ritaria. Il successo registrato a Shanghai non doveva però trovare im­mediato riscontro nelle altre province, dal momento che il 23 gen­naio il presidente Mao Tse-dun in un dazibao attribuitogli ordina all'esercito di intervenire nella lotta. «È necessario - dice il testo del dazibao - mandare l'esercito ad aiutare la sinistra e le masse rivoluzionarie. L'esercito potrebbe estendere il suo intervento do­vunque vi fossero veri rivoluzionari e in qualunque momento essi chiedessero aiuto. La cosiddetta non-ingerenza è una falsa non-inge­renza. Essa è divenuta ingerenza molto tempo fa. Di conseguenza io chiedo che l'ordine costituito sia spazzato via e che un nuovo ordine sia stabilito». Indipendentemente dall'autenticità o meno del dazibao citato, sta di fatto che alla fine di gennaio l'Esercito popolare entra massicciamente nel processo rivoluzionario.

Nelle zone «liberate» dai ribelli rivoluzionari, frequenti comin­ciano a farsi gli accenni alla Comune di Parigi. La stampa ufficiale è costretta a invitare i rivoluzionari alla prudenza. Scrive in propo­sito il «Quotidiano dello Shansi» in data 2 febbraio: «Noi abbiamo proclamato i metodi elettivi della Comune di Parigi. Tuttavia sol­tanto quando le frazioni rivoluzionarie avranno vinto, essendo ormai completamente spodestato, abbattuto e screditato il piccolo gruppo di dirigenti che hanno imboccato la via capitalistica e soltanto quando le forze della conservazione saranno state spazzate via del tutto, solo allora potrà esserci un'elezione generale per la direzione della sinistra». Il 4 febbraio comunque viene dichiarata la Comune di Shanghai.

Nel periodo di marzo una svolta importante segna il cammino della rivoluzione. La grande alleanza delle masse rivoluzionarie, auspi­cata da sempre al vertice del partito, trova in questo periodo le sue concrete forme d'attuazione nella costituzione di «comitati rivolu­zionari». Lanciati dal gruppo per la rivoluzione culturale, tali comi­tati costituiscono organismi di potere politico che dovrebbero essere installati sia a livello provinciale che locale, cui partecipano per un terzo ciascuno rispettivamente i ribelli rivoluzionari, i quadri dell'esercito e i quadri di partito rimasti o tornati su posizioni rivolu­zionarie. Certo le esigenze che avevano spinto il vertice del partito a questa soluzione potevano essere molteplici; ma tra queste può essere ricordata l'esigenza di arrivare a una forma organica d'inter­vento nei luoghi di lavoro per non danneggiare il processo produt­tivo che già per quest'anno appare notevolmente compromesso. Altra spinta notevole alla formazione dei comitati deve averla data la co­scienza del profondo disprezzo con cui tutti i quadri di partito sono trattati dalle masse rivoluzionarie e di conseguenza la necessità di reinserire quei militanti politici realmente rivoluzionari in un nuovo strumento di potere e d'altra parte così facendo reinserire nella lotta rivoluzionaria lo stesso apparato di partito che in quanto organismo staccato dalla rivoluzione, anzi, nella maggior parte dei casi contrap­posto ad essa, rischiava di essere travolto dal processo politico in atto. Infine certamente presente nell'adozione di quella soluzione doveva essere la coscienza della necessità di mantenere un equilibrio tra le componenti che costituendo forze d'urto organizzate della ri­voluzione, in pratica l'esercito e i ribelli, tendevano o ad entrare in conflitto tra di loro o ad egemonizzare unilateralmente la situazione.

Rimane ancora da dire che la formazione dei comitati rivolu­zionari per tutto l'anno resterà nella maggior parte del paese più un obiettivo da raggiungere che non una realtà su cui contare.

Nell'aprile ha inizio la grande campagna contro il «Kruscev cinese», mai citato con il vero nome ma facilmente individuabile in Liu Shao-qi per i continui riferimenti ai suoi due libri 'Come essere un buon comunista' e 'Sull'autoeducazione'. Il 19 aprile, dopo un'as­senza durata più di 5 mesi, ricompare in una manifestazione ufficiale il maresciallo Lin Piao. Si ignorano le cause della sua lunga assenza. Nello stesso aprile si forma a Pechino il comitato municipale rivo­luzionario; è il sesto comitato rivoluzionario dopo quelli formati a Shanghai, nello Heilungkiang, nello Shantung, nello Shansi e nel Kweichow.

Si intensifica la campagna contro tutti gli esponenti della destra e il 9 aprile uno dei giornali delle guardie rosse scrive che un incon­tro al vertice si sarebbe svolto alla fine di marzo tra Mao Tse-dun, Lin Piao, Ch'en Po-ta, K'ang Sheng e Li Pu-ch'un. Da tale incontro sarebbe uscita la condanna ufficiale nei confronti del gruppo di de­stra ancora saldamente ancorato ai posti di comando nel partito. I principali esponenti di questo gruppo sarebbero - sempre secondo il giornale delle guardie rosse - Liu Shao-qi, Teng Hsiao-p'ing, T'ao Chu, Chu Teh e Ch'en Yun. Sta di fatto comunque che tali personaggi, sebbene attaccati ormai da vari mesi, mantengono tutti il loro posto all'interno del partito. Continuano frattanto le lotte al­l'interno delle province: non solo in quelle in cui ribelli ed esercito non hanno preso il potere, ma anche in quelle già conquistate si as­siste a forti contrattacchi da parte della linea anti-maoista. Il 16 mag­gio viene ripubblicata e ritrasmessa per radio la circolare di Mao Tse-dun che esattamente un anno prima aveva segnato la sconfitta di P'eng Ch'en e la costituzione di un nuovo gruppo incaricato della rivoluzione culturale.

In generale l'intero periodo di maggio e giugno vede in quasi tutte le province cinesi un alternarsi di vittorie e sconfitte per i soste­nitori della rivoluzione culturale, mentre attraverso la pubblicazione o la riedizione di documenti dell'anno precedente si intensifica la campagna contro i capi della destra. È nel luglio che scoppia uno degli incidenti più gravi e più difficili da risolvere per la dirigenza maoista: i fatti di Wuhan.

Nel mese di luglio prendono il via da Pechino una serie di mis­sioni cosiddette di «pacificazione» con lo scopo di ricomporre me­diante una vera e propria iniziativa diplomatica, quelle profonde frat­ture che già da molto tempo si vanno verificando all'interno del fronte rivoluzionario. Una prima missione parte il 3 luglio, inviata da Mao Tse-dun, per il Kunming, dove una spaccatura verticale si è verificata nello schieramento rivoluzionario contrapponendo due grossi gruppi ribelli. La missione si conclude favorevolmente e gli stessi dirigenti che hanno condotto in porto quella missione, Hsieh Fu-chin, ministro per la pubblica sicurezza e Wang Li, membro del gruppo per la rivoluzione culturale, vengono inviati il 14 luglio a Wuhan con il compito di risolvere un caso analogo. Giunti a Wuhan però i due vengono immediatamente arrestati e percossi, essendo la situazione locale sotto il controllo di un'organizzazione denominatasi «Un milione d'eroi», sostenuta dal locale comando militare. Su pressione di Pechino i due vengono rilasciati quasi subito mentre giunge immediatamente a Wuhan Ciu En-lai. Nella città il primo ministro pronuncia un discorso in cui definisce conservatrice l'orga­nizzazione «Un milione d'eroi», quindi torna a Pechino lasciando ai due inviati il compito di riportare la situazione alla normalità. La situazione sembra tornare calma. Gli inviati si incontrano con i vari gruppi ribelli, l'accordo sembra ormai vicino quando il 19 luglio, avendo Wang Li ribadito l'errore commesso dai militari nell'appog­giare «Un milione d'eroi», il comandante della divisione locale fa nuovamente arrestare e picchiare a sangue i due inviati e i loro ac­compagnatori. In tale situazione Pechino ordina immediatamente al comandante di Wuhan, Chen Tsai-t'ao, di garantire l'incolumità dei due dirigenti e invia di nuovo nella città Ciu En-lai.

All'aereoporto, ad attendere il primo ministro, si trova Chen che, malgrado gli ordini ricevuti, è rimasto schierato con «Un milione d'eroi». L'aereo di Ciu En-lai avvertito in tempo è costretto a dirot­tare per sottrarsi alla cattura. Fallite le trattative tra governo cen­trale e provincia, il gruppo dirigente maoista decide di far ricorso alla forza e sette giorni dopo truppe paracadutate dell'esercito s'im­padroniscono dei punti chiave della regione. Le divisioni ribelli ven­gono disarmate e così pure l'organizzazione «Un milione d'eroi». Il 23 luglio tornano a Pechino i due inviati: ad attenderli all'aereoporto sono, segno tangibile dell' importanza della vicenda, Ciu En-lai, Ch'en Po-ta, K'ang Sheng e Jiang Qing. Il 9 agosto «i compagni più intimi del presidente Mao Tse-dun » s'incontrano con il nuovo comandante in capo di Wuhan e con il nuovo commissario. È in questa occasione che Lin Piao pronuncia il discorso qui riportato. [3]

Lin Piao

Il discorso del 9 agosto 1967

In diverse regioni gravi errori sono stati commessi da parte di alcuni compagni.

Uno di questi compagni è Chen Tsaitao ...

Si deve cercare di salvare coloro che ancora possono essere salvati. Ci auguriamo che coloro che non sono ancora caduti non cadranno. Ma ciascuno deve impegnarsi per riparare ai pro­pri errori; se non lo fa e insiste nel seguire la via errata, allora non può essere salvato.

Per evitare di sbagliare debbono sussistere 3 condizioni:

a) Bisogna essere sempre perfettamente padroni della si­tuazione che ci si presenta. Al fine di comprendere la situazione, l'inchiesta e la ricerca debbono essere condotte sia nei confronti della sinistra, che della destra, che di ogni tipo di organizzazione. Il presidente Mao Tse-dun ha posto l'accento sui meriti fonda­mentali dell'inchiesta e della ricerca. È soltanto dopo aver com­preso a fondo la situazione che ci si può accingere a dare soluzione ai problemi.

b) Bisogna seguire completamente le direttive che giun­gono dal centro del partito. Bisogna chiedere e ricevere istru­zioni dal presidente Mao, dal Comitato centrale, dal gruppo per la rivoluzione culturale. Non si deve pensare che si è ca­pito tutto da soli e che non c'è bisogno di riferire al centro; non si deve pensare che è tutto chiaro e che ciascuno può risol­vere tutto per conto suo. Non si deve ritenere di essere così intelligenti da non aver bisogno di riferire e chiedere istruzioni, né si deve aver paura di creare problemi al centro. Nessun argomento è troppo grande o troppo piccolo, tutti debbono es­sere riferiti e per ognuno richieste istruzioni. Il primo ministro e tutti i compagni del gruppo per la rivoluzione culturale la­vorano giorno e notte. Si possono mandare telegrammi o fare telefonate interurbane; ma se si fanno telefonate soltanto poche persone possono saperlo e inoltre le comunicazioni sono lente, se invece si manda un telegramma ognuno può vederlo. Si può anche partire e arrivare qui in aereo nel giro di poche ore. Comunque ciò che non si deve assolutamente fare è adottare il metodo del «così deve essere», volendo agire da furbi e in accordo col solo proprio punto di vista. Voglio sottolineare ripetutamente questo concetto, dal momento che lo ritengo il più importante delle 3 condizioni.

c) La rivoluzione culturale dura già da un anno. È ora possibile vedere chiaramente la differenza tra la destra e la sini­stra. Voi non dovete però distinguere i destri dai sinistri sulla base del fatto che hanno attaccato o meno le regioni militari, do­vete invece vedere se hanno sostenuto o meno la grande rivo­luzione culturale proletaria diretta personalmente dal presidente Mao Tse-dun e se vogliono proteggere o no il presidente Mao Tse-dun sulla base di questa distinzione tra destra e sinistra. Voi dovete stare saldamente al fianco del presidente Mao Tse-dun, al fianco delle sinistre e delle masse e non potete risol­vere la questione semplicemente tenendo conto del fatto che l'origine di classe è buona o meno o del fatto che c'è una forte presenza di quadri del partito . . .

Per parlarvi apertamente, io mi sto riferendo a quei nostri compagni che si sono assunti importanti compiti commettendo degli errori. Questo non è certo un successo per il gruppo per la rivoluzione culturale e al momento noi facciamo affidamento sugli uomini dell'Esercito popolare di liberazione. Sarà meglio se essi non commetteranno errori, e se vorranno evitarli do­vranno fare affidamento sulla sinistra o sulle masse. La cosa più importante è che chiedano istruzioni dal centro e dal gruppo per la rivoluzione culturale. Se essi commetteranno degli errori dovranno manifestare una nobile attitudine, dovranno ammet­tere cioè, senza perder tempo, i loro errori e fare l'autocritica. Prima si correggeranno e meglio sarà. Le masse saranno soddi­sfatte e capiranno. Se qualcuno invece ha commesso errori e non li ammette, li nasconde, allora sarà peggio. Rifiutarsi ostinata­mente di correggere i propri errori potrebbe essere molto peri­coloso. Nell'iniziare la grande rivoluzione culturale proletaria l'esercito è giunto sul fronte di battaglia con grande celerità. I militari non conoscono le situazioni ed è inevitabile che essi commettano errori, ma se dopo averli commessi non li ammet­teranno, allora li prenderemo per i codini . . .

I problemi discussi dal presidente Mao Tse-dun nel corso del secondo Plenum del VII Comitato centrale hanno un grande significato per la rivoluzione socialista. [4] Si tratta infatti di un grande sviluppo del marxismo. Ma il nostro grado di compren­sione è ancora molto inadeguato. Noi stiamo facendo molte cose nuove ma le nostre teste sono piene di roba vecchia. Il nostro è un partito proletario, ma fino a qualche tempo fa soltanto i dirigenti erano fino in fondo genuinamente marxisti-leninisti, l'intero apparato, e non soltanto poche persone, avevano una mentalità borghese e alcuni erano veri e propri borghesi. Vorrei ancora sottolineare queste 3 condizioni e particolar­mente la seconda. Mi dispiace il fatto che voi abbiate potuto commettere degli errori, avrei voluto piuttosto che gli incarichi fossero stati eseguiti magari con più lentezza. Se non c'è nulla che richiede una considerazione eccezionale voi non dovete af­frettarvi. Se una cosa è dilazionata di qualche giorno non cadrà il cielo. Il primo ministro, Chen Pota e Jiang Qing lavo­rano giorno e notte. Io spero che ciascuno si curerà di riferire e di chiedere istruzioni.[5]

Note

[1] P'eng Ch'en, insieme ad altri quattro dirigenti, aveva avuto l'incarico di formare il primo gruppo per la rivoluzione culturale nel febbraio del 1966 e di redigere anche un documento sulla rivoluzione culturale. Il 16 maggio dello stesso anno però una circolare del Comitato centrale del partito annullava il documento redatto da P'eng Ch'en e procedeva alla costituzione di un nuovo gruppo per la rivoluzione culturale. All'inizio di giugno, come abbiamo già visto, P'eng Ch'en si dimetteva da ogni sua carica.

[2] P'eng Teh-huai, ministro della difesa fino all'estate del 1959, fu desti­tuito nel periodo delle polemiche interne al partito suscitate dallo scarso suc­cesso del « grande balzo in avanti ». P'eng Teh-huai, rappresentante della tecno­crazia militare, si alleò in quella occasione con l'ala economicista del partito che accusava il gruppo dirigente maoista di velleitarismo nella conduzione del processo produttivo. La linea di destra di P'eng Teh-huai fu difesa poi nel 1960 a Bucarest dallo stesso Chruscev.

[3] II discorso del 9 agosto, per quanto ci risulta, non è mai stato pubbli­cato sulla stampa comunista ufficiale. Il testo che qui riportiamo, non integrale ma costituito da ampi stralci, è stato pubblicato sul numero 32 della rivista «The China Quarterly» e da lì tradotto.

[4] Sul significato politico del secondo Plenum del VII Comitato centrale, citiamo qui una nota della Commissione del CC incaricata dell'edizione delle opere scelte di Mao Tse-dun: «La seconda sessione plenaria del VII Comitato centrale del Partito comunista cinese fu tenuta nel villaggio di Hsipaipo, di­stretto di Pingshan, nella provincia dello Hopei, dal 5 al 13 marzo 1949. Erano presenti trentaquattro membri e diciannove membri candidati del Comitato centrale. La sessione, convocata alla vigilia della vittoria della rivoluzione popo­lare cinese su scala nazionale, fu di estrema importanza. Nel suo rapporto a questa sessione il compagno Mao Tse-dun espose i principi politici che avreb­bero permesso di giungere a una rapida vittoria della rivoluzione in tutto il paese, e di organizzare tale vittoria. Egli spiegò che con questa vittoria il centro di gravità del lavoro di partito doveva spostarsi dalla campagna alla città; definì la politica fondamentale in campo politico, economico e diplomatico che il partito avrebbe dovuto adottare dopo la vittoria; fissò i compiti generali e la strada principale da seguire per trasformare la Cina da paese agricolo in paese industriale, da società di nuova democrazia in società socialista. In parti­colare egli analizzò la situazione dei vari settori dell'economia cinese e stabilì quale era la politica giusta che il partito doveva adottare, indicò l'unica strada da prendere per realizzare la trasformazione socialista in Cina, criticò le devia­zioni di " sinistra " e di destra su questo problema, ed espresse la ferma con­vinzione che l'economia cinese si sarebbe sviluppata con un ritmo abbastanza rapido. Il compagno Mao Tse-dun fece una valutazione sulla nuova situazione che si sarebbe venuta a creare nella lotta di classe all'interno e fuori del paese con la vittoria della rivoluzione democratica popolare in Cina, e mise in guardia, a tempo, contro le " pallottole ricoperte di zucchero " della borghesia, che sarebbero diventate il pericolo maggiore per il proletariato. Per tutte queste ragioni il presente documento continuerà a rivestire un grande significato per un lungo periodo storico».

[5] Dopo aver citato il discorso di Lin Piao, «The China Quarterly» scrive: «Durante il suo discorso Lin ha anche notato che uno o più quadri dirigenti del dipartimento politico generale dell'esercito, riferendosi probabilmente a Hsiao Hua, non hanno tenuto il passo con la rivoluzione culturale e hanno commesso errori. "Perfino ora dobbiamo pensare al modo di spingere questo o quelli a migliorare". Lin Piao ha anche affermato che deve essere costituito un nuovo apparato statale; dal momento che in quello vecchio ci sono molte cose capitalistiche e revisio­niste, "se esso si abbatte non c'è nulla di sbagliato"».