V
Il social-imperialismo
e la politica internazionale della Cina

Un aspetto importante e drammatico per il movimento comunista, assieme allo scontro tra il PCC e la dirigenza sovietica sul terreno teorico e politico, è stato il trasferimento del conflitto nei rapporti internazionali e nelle relazioni tra stati socialisti.

Le vicende sono note, ma è bene riassumerle nella loro gravità. Di fronte alle critiche cinesi alla svolta del XX congresso, il PCUS manovra per la condanna e l'isolamento della Cina dentro il movimento comunista e compie il primo grave atto, il ritiro degli esperti sovietici, che innescherà una catena successiva di provocazioni di cui lo scontro alla frontiera cino-sovietica e la fornitura di armi all'India durante il conflitto cino-indiano saranno gli episodi eclatanti, anche se non unici.

Non vi è dubbio che le responsabilità sovietiche in questo contesto sono molto gravi. Kruscev credeva di poter imporre la sua linea anche usando mezzi diversi da quelli politici, aumentando le difficoltà cinesi sul piano militare e delle relazioni con paesi che avevano, come nel caso dell'India, questioni territoriali aperte. Queste scelte rompevano definitivamente con un rapporto internazionalista e di solidarietà antimperialista e creavano uno steccato insanabile, dando l'immagine di una disgregazione definitiva dell'area dei paesi socialisti.

Questa deriva, che anticipava gli avvenimenti europei dell'89, diventava un dato strutturale e registrava episodi come lo scontro di frontiera cino-vietnamita, che è rimasta una macchia indelebile sui responsabili e un affronto per i comunisti di tutto il mondo che hanno sostenuto la guerra del Vietnam contro gli americani.

Il PCC dava di questi comportamenti, che erano alla base dei gravi episodi di cui stiamo parlando, una interpretazione teorica che definiva l'URSS come stato socialmperialista che ormai si presentava alla ribalta mondiale in concorrenza e sullo stesso piano dell'altro imperialismo, quello americano. Per certi versi, il socialimperialismo sovietico era anche definito più pericoloso di quello americano.

Riportiamo [qui] lo scritto 'Leninismo o social­impe­riali­smo', attribuito a Mao, in cui i comunisti cinesi, ribadendo le tesi leniniane sulla socialdemocrazia europea che aveva appoggiato il primo conflitto mondiale, le applicavano ai comunisti sovietici per dimostrarne il sostanziale parallelismo.

Queste valutazioni, a nostro parere, introducevano una visione deformata dei processi storici in atto e della effettiva dislocazione delle forze e del ruolo che esse giocavano nell'arena mondiale.

Sostenere che la caratteristica mondiale degli anni '70 del secolo scorso fosse rappresentata dal socialmperialismo sovietico il cui obiettivo era quello di parlare di socialismo ma, nei fatti, di asservire i paesi che in vario modo erano in rapporto con esso, era profondamente sbagliato. Non solo perchè proprio in quegli anni gli USA stavano conducendo una guerra feroce contro il Vietnam socialista, ma anche perchè gli atti concreti dell'URSS sul terreno mondiale andavano in senso contrario.

Si può definire socialimperialismo l'intervento cubano in Angola contro i mercenari armati dal Sudafrica razzista? Si può definire socialimperialismo l'intervento sovietico in Afghanistan a sostegno di un governo attaccato da forze tribali sostenute dagli americani? Si può sostenere che la difesa dell'Etiopia dalle forze disgregatrici dell'Ogaden fosse un atto imperialista? E che differenza esiste tra l'approvazione cinese dell'intervento sovietico in Ungheria per liquidare la controrivoluzione e l'intervento del patto di Varsavia in Cecoslovacchia nel 1968 definito 'socialimperialista'? E che cosa è avvenuto, infine, nel mondo dopo il crollo dell'URSS e dei paesi socialisti dell'Est europeo che ha prodotto la guerra infinita di Bush e portato la NATO ai confini con la Russia e l'umanità alla soglia di una nuova guerra mondiale, anticipata da ciò che sta accadendo in Medio Oriente?

Le responsabibilità cinesi e di Mao nel teorizzare la nuova fase socialimperialista, una teorizzazione legata anche a quella dei 'tre mondi', risultano oggi evidenti. Ma già allora l'Albania metteva in guardia il movimento comunista rispetto alla deriva cinese. Nel commento di Enver Hoxa del novembre 1977 [qui], le contraddizioni cinesi vengono ben evidenziate.

A proposito del socialimperialismo, c'è poi anche da mettere in evidenza il ruolo dei gruppi che si facevano carico di propagandare questa teoria nelle varie parti del mondo. Prendiamo il caso italiano che conosciamo bene: considerando la fine fatta da certi personaggi 'maoisti', viene in mente di paragonare quei gruppi a quelli trotskisti che all'epoca di Stalin prima, in Polonia in Cecoslovacchia e in Afghanistan poi, svolgevano un ruolo di provocazione al servizio degli agenti dell'imperialismo.

La politica estera cinese degli anni '70 riservava però anche ben altre sorprese perchè, in piena epoca di rivoluzione culturale e con Mao ancora vivo, la strategia internazionale cinese cambiava verso e viene il sospetto che la teoria del socialimperialismo coprisse già da allora la svolta che si preparava. Difatti, la Cina fino ad allora aveva mantenuto due punti fermi nella valutazione della situazione internazionale. Il primo riguardava il giudizio sulla politica kruscioviana, che veniva definita un cedimento all'imperialismo americano. Il secondo era riassumibile nell'appello di Mao a tutti i popoli del mondo di unirsi contro l'imperialismo americano definito, peraltro, una tigre di carta. Improvvisamente - siamo nell'estate del 1971 - arriva la visita di Kissinger (luglio) che prepara l'arrivo in Cina del presidente americano Nixon. Nel settembre la Cina entra all'ONU e riprende il suo posto nel Consiglio di Sicurezza. La domanda è: esiste una relazione tra questi avvenimenti e la teorizzazione del socialimperialismo? Se poi si aggiunge il fatto che a partire da questi avvenimenti si modificano i rapporti internazionali della Cina rispetto, in particolare, a una serie di paesi in precedenza definiti reazionari e fascisti come il Congo di Mobutu o la Birmania di Ne Win, si capisce che il PCC aveva deciso di modificare gli obiettivi rispetto alle scelte effettuate con la rivoluzione culturale e con la battaglia antirevisionista.

Un teorico di Bandiera Rossa, Hung Yuan, scrive (Peking Information) nell'agosto 1972: 'La Cina è ancora in via di sviluppo. Abbiamo ancora molto da fare per condurre a termine la rivoluzione nella sovrastruttura, consolidare e sviluppare le basi economiche del socialismo, accrescere le forze produttive e diventare un paese socialista dotato di una industria, una agricoltura, una scienza e una cultura moderne'. Le priorità cambiano e assieme a queste la storia del movimento comunista.

Non a caso parliamo di cambiamento della storia del movimento comunista e non solo degli sviluppi della situazione in Cina, perchè riteniamo che le due questioni vadano tenute separate. Perchè, se è vero che la vecchia talpa scava e i processi storici non svaniscono improvvisamente e danno i loro frutti seguendo un percorso che non è quello che spesso ci immaginiamo, è anche vero che negli scorsi decenni il combinato disposto tra crollo europeo del socialismo e ritiro della Cina dal fronte di lotta internazionale ha permesso all'imperialismo di scatenare nuove guerre, di portarci alla vigilia di una nuova grande guerra mondiale, di far regredire i popoli del terzo mondo a scontri tribali, di bloccare e disgregare il movimento comunista.

Ora bisognerà discutere seriamente, fuori dalla retorica, su come la grande umanità si rimetterà in marcia dal punto di vista della teoria e della pratica, tenendo conto di ciò che è avvenuto in questi decenni.

Almeno su un punto la discussione è già aperta: la via cinese al socialismo ha dimostrato che l'insegnamento di Deng era l'unico passaggio possibile per sciogliere le contraddizioni emerse dal movimento comunista dal XX congresso in poi?

Ancora una volta ci ritroviamo di fronte ai due schieramenti: i soliti critici da manuale da un lato e dall'altro quelli che hanno finalmente riscoperto da che parte vengono le idee giuste (e tra questi un gruppo residuale italiano che organizza convegni sul socialismo con caratteristiche cinesi). L'argomento è serio, ma l'apologia, che sembra spesso la nota dominante, non aiuta a capire, anche se presentata con pretese scientifiche. Si rischia infatti di ritrovarsi nella stessa condizione di quelli che, in varie parti del mondo, agitavano il libretto rosso di Lin Piao.

La questione cinese è troppo complessa e troppo seria per essere affrontata in questo modo.