La difesa del socialismo nei paesi dell'Europa orientale

"Una via scivolosa"

Articolo non firmato in polemica con le posizioni espresse dal Pci a sostegno della controrivoluzione in Polonia, pubblicato su "Kommunist", 1982, n. 2. Ripreso da "Socialismo reale e terza via: il dibattito sui fatti di Polonia nel Cc del Pci, Roma 11-13 gennaio 1982. I documenti sulla polemica con il PCUS", Editori Riuniti, Roma, marzo 1982, pp.268-284.


L'umanità è oggi testimone di attacchi violenti dell'impe­rialismo contro le forze della pace e del socialismo, contro il movimento di liberazione nazionale e i partiti comunisti e operai. Nel tentativo di prendersi una rivincita sociale nei con­fronti delle molteplici sconfitte degli ultimi anni, l'imperiali­smo - e, in primo luogo, quello americano - punta all'ac­crescimento della potenza bellica, alla rottura dell'equilibrio militare e strategico tra Urss e Usa, tra l'organizzazione difen­siva del Patto di Varsavia e la Nato. Negli stati maggiori delle potenze Nato si elaborano piani militari diretti contro i paesi del socialismo, intere regioni del globo terrestre vengono di­chiarate «sfera degli interessi vitali degli Usa», echeggiano minacce nei confronti di Cuba, Nicaragua, Angola e altri paesi che hanno rotto con il sistema capitalistico.

Si sviluppano sempre nuove spirali nella corsa agli arma­menti le cui spese hanno raggiunto cifre astronomiche. Basti dire che il bilancio militare dei soli Stati Uniti, per l'anno in corso, supera i duecento miliardi di dollari. Tutto ciò porta a un inasprimento senza precedenti della già complessa situa­zione internazionale. Si susseguono interventi che sfidano le norme elementari del diritto internazionale e dei rapporti fra gli Stati. Si tenta di esercitare una dura pressione sui paesi socialisti, di ingerirsi nei loro affari, si fanno minacce esplicite accompagnate da ricatti e pressioni economiche. Ciò aggrava ancor più la congiuntura mondiale. L'attuale situazione inter­nazionale desta la viva preoccupazione di milioni di uomini.

Molti esponenti dei più diversi strati della popolazione, pri­ma lontani dalla politica internazionale, capiscono oggi da dove viene la minaccia alla pace. Sempre più ampie e vigorose di­ventano le iniziative a difesa della pace, contro la linea diretta alla corsa agli armamenti, diretta al confronto, capace di por­tare il mondo a una catastrofe nucleare.

Ultimamente il mondo è stato testimone di manifestazioni senza precedenti per il numero dei partecipanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di cittadini della Rft, Italia, Bel­gio, Olanda, Inghilterra, Portogallo e altri paesi dell'Europa occidentale, i quali si sono riversati nelle strade per dire un deciso «no» alla politica avventuristica dell'imperialismo che crea la minaccia di una guerra nucleare.

I comunisti, come è sempre stato nel passato, si pongono all'avanguardia della lotta per la pace, per la distensione in­ternazionale, per la soluzione delle controversie attraverso trat­tative. Si possono citare numerosi esempi dell'attivo impegno dei partiti comunisti fratelli dell'Europa occidentale, dell'Ame­rica latina e di altri continenti che difendono fermamente nei loro paesi la nobile causa della pace e della sicurezza interna­zionale dei popoli. Essi dimostrano in modo convincente il si­gnificato decisivo, per la causa della pace, della politica estera di pace dell'Unione Sovietica, degli altri paesi del socialismo, l'enorme contributo del Pcus, del suo Cc, del segretario gene­rale del Cc del Pcus, presidente del presidium del Soviet su­premo dell'Urss, compagno L.I. Breznev, che si esprimono con tutta una serie d'iniziative di politica estera estremamente im­portanti, dirette a un risanamento della situazione internazio­nale.

Rispetto a ciò le dichiarazioni della direzione del Partito comunista italiano hanno risuonato in netta dissonanza. Re­centemente essa ha pubblicato una dichiarazione in relazione agli avvenimenti in Polonia e in seguito ha tenuto una sessione plenaria speciale del Cc nella quale è intervenuto, con una relazione, il compagno Berlinguer. Una serie di articoli è stata pubblicata dal giornale l'Unità. Durante la riunione plenaria del Cc la situazione mondiale, la politica estera e interna del Pcus, sono state presentate come in uno specchio deformante. I dirigenti del Pci hanno più volte dichiarato che la questione principale del momento attuale, la premessa per un ulteriore progresso dell'umanità, sta nel mantenimento e nel consolida­mento della pace. Ora invece essi si presentano con documenti in cui sminuiscono il socialismo reale, la comunità socialista, che rappresentano il principale baluardo - materiale e poli­tico - del mantenimento della pace universale, un importan­tissimo bastione sulla strada delle velleità imperialiste, contro ogni tentativo di arrestare e di invertire il corso del progresso sociale ovunque sulla terra. Sebbene in una o due frasi i diri­genti del Pci dicano di essere lungi dall'ignorare la funzione internazionale dell'Urss, tuttavia essi asseriscono subito dopo che «in altri casi», la politica dell'Urss contraddirebbe gli interessi dei popoli.

Nell'editoriale del 15 dicembre 1981, l'organo centrale del Pci, il giornale l'Unità, ha messo in diretta contrapposizione gli interessi della garanzia di sicurezza dell'Urss con quelli dei popoli dei paesi socialisti dell'Europa dell'Est, mentre il com­pagno Berlinguer nella sua relazione al Comitato centrale ha collegato il rallentamento del processo distensivo e i suoi limiti nientemeno che con l'aspirazione dell'Urss alla «difesa delle sue sfere d'influenza». Questa posizione, lontana da una valu­tazione dei fatti obiettiva, di classe, da comunisti e certamente ancora più lontana dall'internazionalismo proletario, ha una sua triste origine. Il fatto è che, da un po' di tempo a questa parte, i dirigenti del Pci esaminano e valutano la politica estera dell'Urss al pari di quella mondiale - malgrado i fatti e mal­grado le valutazioni e le analisi tradizionali dello stesso par­tito italiano - attraverso il prisma del tutto falso della fami­gerata «politica dei blocchi». Ma questa formula mette prati­camente su uno stesso piano la Nato e l'organizzazione del Patto di Varsavia, l'Urss e gli Usa, attribuendo loro uguali intenti e una uguale politica. Con un tale approccio si trascura la cosa essenziale: lo stesso contenuto e la sostanza di classe della politica estera degli Stati, ivi incluso il carattere pacifico e pro­gressista dell'attività dei paesi socialisti sull'arena internazio­nale. Un tale approccio fa ai dirigenti dei Pci un cattivo ser­vizio. A parole essi dichiarano che non si può sacrificare agli «interessi dei blocchi» le trasformazioni sociali e politiche nella vita dei popoli e, al tempo stesso, si prendono la libertà di pronunciarsi contro gli atti dell'Urss che sono serviti e ser­vono da garanzia contro l'esportazione della contro­rivo­lu­zione, contro i grossolani tentativi del blocco imperialistico di rom­pere e mutare a proprio vantaggio il rapporto di forze creatosi nel mondo, di invertire il processo di trasformazioni sociali e politiche nella vita dei popoli. No, la politica mondiale non è riconducibile all'interno dello schema astratto e «al di sopra delle classi» di simili ragionamenti. In sostanza questo schema artificioso non lascia spazio a una valutazione obiettiva ed equa del ruolo internazionale dell'Unione Sovietica e di tutta la co­munità dei paesi socialisti. La comunità socialista risolve con­giuntamente i problemi della garanzia della propria sicurezza e della difesa della pace in tutto il mondo, partendo in questo, come in tutti gli altri casi, dai principi di uguaglianza dei di­ritti, di aiuto reciproco, di collaborazione, dai principi la cui sostanza è l'internazionalismo socialista. E sono proprio i paesi fratelli, i nostri amici in ogni parte del mondo, a sottolineare che l'Unione Sovietica sopporta la maggior parte dell'onere per la tutela della sicurezza di tutta la comunità socialista dalla minaccia imperialista, è il principale sostegno delle loro conquiste e la speranza di tutti i popoli amanti della libertà sulla strada della libertà e del progresso.

È dubbio che la dirigenza del Pci non sappia tutto ciò o non lo comprenda. Non solo ai comunisti e a molti altri circoli progressisti e democratici è chiaro che la borghesia imperialista contemporanea avrebbe portato inesorabilmente la lotta di clas­se a uno scatenamento universale della più barbara reazione se non ci fosse stato un «contrappeso» all'imperialismo come quello rappresentato dall'Unione Sovietica e dai suoi alleati socialisti.

Gli avvenimenti polacchi costituiscono l'ultimo esempio in ordine di tempo a conferma di questa verità. È triste consta­tarlo, ma resta il fatto che la dirigenza del Pci, con il suo approccio «fuori dai blocchi» verso gli affari internazionali, porta praticamente acqua al mulino di un solo blocco, preci­samente a quello imperialista.

Le ultime dichiarazioni della direzione del Pci e il Comitato centrale hanno sottoposto a una revisione anche l'atteggiamento generale verso i paesi della comunità socialista, verso l'Umone Sovietica quale paese socialista. Si è arrivati al punto che i compagni Napolitano, Ingrao e altri membri della direzione del Pci hanno addirittura cominciato a mettere in discussione l'esi­stenza del socialismo in Urss.

A pretesto sono stati scelti gli avvenimenti in Polonia. Ma, indipendentemente dagli avvenimenti polacchi, la dirigenza del Pci già da tempo propendeva per un allontanamento dal mar­xismo-leninismo e per un passaggio a posizioni estranee e pre­giudizievoli per la causa del socialismo e della pace. Ora, con la scusa di esaminare la crisi polacca, il Cc del Pci ha portato a compimento la linea di tendenza che si intravedeva nei do­cumenti e dichiarazioni precedenti della direzione del Pci: schie­rarsi contro gli Stati socialisti, colorare di nero le grandi con­quiste storiche del Pcus, del popolo sovietico, dei popoli degli altri paesi della comunità socialista.

Gli autori della dichiarazione della direzione del Pci, il re­latore e ancor più alcuni degli intervenuti al Cc (G. Napoli­tano, P. Ingrao, E. Macaluso e altri) si sono lanciati in duri attacchi contro l'Urss, contro gli altri paesi della comunità socialista. Ne hanno dette di tutti i colori! A onta dei fatti reali e delle opinioni della schiacciante maggioranza dei co­munisti di tutti i paesi, questi oratori hanno affermato che il socialismo avrebbe perduto la spinta propulsiva, avrebbe ces­sato di svilupparsi. Si è arrivati al punto che i dirigenti del Pci, usando la terminologia dei nemici del socialismo e dell'Unione Sovietica, si sono permessi di dichiarare un'«involu­zione» dei paesi della comunità socialista.

Con queste affermazioni essi, come numerosi anticomunisti di ogni stampo, si rifiutano di vedere che è stato proprio il sistema esistente in questi paesi a realizzare per primo, nella viva realtà, le idee dei grandi teorici del socialismo e le spe­ranze secolari del popolo dei lavoratori.

I lavoratori di tutto il mondo sono ben consci del fatto che proprio la vittoria della rivoluzione socialista in Urss e poi in una serie di altri paesi ha portato alla creazione di una società libera dallo sfruttamento, ha emancipato il lavoro e ha in tal modo garantito un'autentica libertà dello sviluppo dell'individuo. Si può dire lo stesso dell'Italia e degli altri paesi capitalistici che ostentano la loro «democrazia», se in essi lo sfruttamento di milioni di lavoratori da parte di un vertice poco numeroso, costituito dalle classi abbienti che ingrassano illimitatamente a spese del lavoro altrui, rimane la base di tutta la vita sociale?

Com'è possibile negare che il socialismo vittorioso - e solo esso - ha concesso all'uomo la cosa più importante: il di­ritto al lavoro, la libertà dalla miseria e dalla disoccupazione, che ha assicurato un'ascesa, mai vista nella storia, delle forze vitali e dei talenti popolari, e salvaguarda tutto ciò dagli atti aggressivi dell'imperialismo? Com'è possibile negare che il so­cialismo vittorioso ha sostituito, per la prima volta nella storia, il potere degli sfruttatori con il potere degli uomini del lavoro, ossia con la più larga democrazia delle masse popolari? Certo, questa democrazia ha superato, sia per la sua sostanza, sia per le forme della sua espressione, i limiti e gli schemi della de­mocrazia borghese. Ma proprio la democrazia socialista, i suoi frutti materiali, tutto quello che ha dato al lavoratore, hanno aperto una nuova epoca nella storia moderna!

E ora, oggi i paesi della comunità socialista continuano il proprio sviluppo progressivo. Ciò riguarda sia l'economia che la vita sociale e culturale. Ciò riguarda anche, naturalmente, la democrazia socialista. Nei paesi socialisti avviene un costan­te perfezionamento delle forme e dei metodi di realizzazione dell'autentico potere del popolo, la cui essenza consiste, non nel criticismo astratto e neanche nel gioco sterile dell'opposi­zione, bensì in una partecipazione sempre più ampia dei lavo­ratori alla gestione quotidiana della cosa pubblica e dello Stato, nella loro reale libertà politica e sociale.

«Non esiste una sola grande questione di politica interna ed estera alla cui discussione i lavoratori non prendano parte attiva e diretta», ha detto al XXVI Congresso del Pcus il capo­squadra dei minatori della miniera Mologvardieiskaja del consorzio Krasnodonugol della regione di Vorosilovgrad, A. Kolesnikov. «Il ruolo della classe operaia nella gestione del paese e della società è sempre stato alto. Ma esso è cresciuto parti­colarmente dopo l'adozione della nuova Costituzione. Nella nostra regione, come in tutte le altre, decine di migliaia di ope­rai sono stati eletti nei comitati di partito, nei soviet dei de­putati popolari, negli organismi sindacali e del Komsomol, negli organi di controllo popolare, nelle altre organizzazioni sociali. Il sempre crescente livello politico e culturale consente alla classe operaia di dirigere la società, di essere il vero pa­drone del paese».

C'è da notare che negli ultimi anni si è reso davvero note­volmente più attivo sia tutto il sistema degli organi della de­mocrazia rappresentativa sovietica (cioè degli organi del potere del popolo attraverso i rappresentanti eletti dalla popolazione), che il sistema della democrazia diretta (cioè il sistema della partecipazione diretta delle masse all'esercizio di questa o quel­la funzione del potere). Ad esempio, solo negli ultimi anni in Unione Sovietica si sono attuate enormi iniziative nazionali, quali la discussione dei progetti della nuova Costituzione, de­gli orientamenti fondamentali dello sviluppo economico e so­ciale dell'Urss per gli anni 1981-1985 e fino al 1990, di una serie di leggi e piani di un'ulteriore crescita dell'economia. E questa è proprio un'autentica discussione da parte di tutto il popolo delle questioni della politica del partito e dello Stato, delle prospettive e delle vie dell'edificazione comunista. Si con­duce continuamente una ricerca creativa di metodi e forme più efficaci di pianificazione e di gestione dell'economia nazionale. I collettivi di lavoro sottopongono ad aspra critica, attraverso i mass-media, i fenomeni antisociali.

Tutto ciò costituisce l'indubbia testimonianza e garanzia di un avanzamento, la testimonianza della più vasta partecipa­zione delle masse popolari alla gestione dello Stato. Con tutto ciò, certamente, gli Stati socialisti non sono affatto intenzio­nati a dare carta bianca a quanti, ignorando e violando la le­galità socialista, e appoggiandosi sull'istigazione e l'aiuto ester­no, tentano di silurare l'ordinamento socialista, massima ga­ranzia dei diritti e libertà delle masse popolari. Cosi agendo il socialismo non solo non viola i principi della democrazia e dei diritti umani, ma, al contrario, ne assicura la difesa reale.

Nei paesi del socialismo esistono sia difficoltà che difetti. È anche comprensibile. Perché si ergono di fronte ad essi pro­blemi e compiti da pionieri su una strada inesplorata. Né sono eliminate le stigmate del capitalismo dalla coscienza e dalla psicologia degli uomini. La corsa agli armamenti alimentata dall'imperialismo e i suoi sforzi per scaricare sul socialismo l'onere degli sconvolgimenti creati dalle crisi proprie dell'eco­nomia capitalistica, esercitano un'influenza negativa sull'eco­nomia socialista. Delle difficoltà e dei difetti degli Stati socia­listi si parla apertamente sia ai congressi del partito che, quo­tidianamente, sulla stampa, nelle riunioni, ecc. Ma la cosa più importante è che se ne parla affinché i difetti siano corretti, le difficoltà superate. Presentare queste difficoltà come pro­dotto della stessa natura politica ed economica del sistema dei paesi socialisti, come fa la dirigenza del Pci, significa capovol­gere tutto. Di questo si occupa da tempo la propaganda bor­ghese. Ora anche dei rappresentanti del Pci si sono messi sulla stessa strada.

Né si può dimenticare quanto segue. Nel novero delle cause, e non certamente di poca importanza, delle difficoltà nella vita dei singoli paesi socialisti è inclusa la vivacissima attività sov­versiva del nemico di classe. Sarebbe sicuramente un bene se non esistessero fenomeni come l'ingerenza imperialistica, la co­stante attività sovversiva contro il socialismo. Sarebbe più sem­plice se queste forze non celassero la loro attività dietro slogan che suonano bene, contando di far breccia, con tale propa­ganda, su quelli che sono più malleabili. Ma, sfortunatamente, nella vita tutto ciò avviene. La lotta di classe sull'arena inter­nazionale non cessa. E, visto che così è, non solo ogni comu­nista, ma ogni sincero avversario dell'imperialismo e della guerra deve definire nettamente la propria posizione in tale lotta.

Purtroppo si è costretti a constatare che la dirigenza del Pci definisce la propria posizione in modo tale da trovarsi prati­camente nello stesso campo delle forze che lottano contro il socialismo. Di questo ci si deve veramente dolere. Nei docu­menti della dirigenza del Pci, con toni diversi, è ripetuta an­che un'altra affermazione trita e ritrita nei confronti del nostro partito. Il discorso verte sul fatto che il Pcus imporrebbe a qualcuno il proprio «modello» di socialismo. Il Pcus nega decisamente questa tesi e la stessa nozione di questi «modelli». Non esiste il «modello» sovietico. Esiste l'esperienza sovietica che contiene, come è ritenuto nel movimento comunista, tratti di valore universale e tratti nazionali specifici. Esattamente come l'esperienza di ogni altro paese socialista. È perfetta­mente evidente che l'Ungheria o Cuba, la Jugoslavia o la Mon­golia, il Vietnam o la Cecoslovacchia, la Bulgaria o la Polonia hanno tutti realizzato le loro rivoluzioni a modo loro, nelle forme loro proprie. Le peculiarità nazionali si sono manife­state anche nella fase successiva, della formazione e del raf­forzamento della società socialista, di edificazione del socialismo.

Com'è noto il XXVI Congresso del Pcus ha dato un'ulteriore energica conferma alla convinzione del nostro partito che ogni partito rivoluzionario ha il diritto inalienabile alla scelta delle vie e delle forme della lotta per il socialismo e per l'edificazione socialista. «Non molto tempo fa le direzioni di alcuni partiti comunisti - ha dichiarato al congresso il compagno L.I. Breznev - sono intervenute energicamente a difesa del diritto alla speci­ficità nazionale delle vie e delle forme della lotta per il socia­lismo e per l'edificazione socialista. Però, se si affronta la questione senza preconcetti, allora bisogna riconoscere che nes­suno impone a nessuno alcuna matrice e schema che ignori le peculiarità di questo o quel paese». Ma i compagni italiani fanno finta di non conoscere questa impostazione di principio del Pcus e sfondano una porta aperta esortando a «nuove scelte».

I dirigenti del Pci dichiarano di voler costruire nel loro paese «un loro socialismo» che sia migliore e più perfetto di quello esistente in altri paesi. Ebbene! I comunisti sovietici, come probabilmente anche molti altri, possono soltanto dire: è affar vostro, vi auguriamo successo. Ma essi non ricono­sceranno mai giusto e degno il fatto che una tale aspirazione alla creazione di un socialismo futuro si tenti di fondarla, come fanno i dirigenti del Pci, non su nuove elaborazioni, veramente serie, che tengano conto delle peculiarità dell'Italia, bensì su ragionamenti astratti sulla democrazia e su dichiarazioni gra­tuite circa l'«assenza di prospettive» per le società socialiste attuali, già esistenti. Società che si sviluppano dinamicamente, la cui esperienza storica generale e la cui pratica vivente hanno in grande misura definito - e definiscono - il volto del mon­do contemporaneo.

I compagni italiani presentano sotto una falsa luce anche la prassi del socialismo mondiale. Laddove questa è la prassi del­l'edificazione di una società che non ha riscontri nella storia, è una fonte fertilissima di arricchimento delle idee del socia­lismo scientifico, fonte della loro permanente vitalità. Bisogna chiudere gli occhi di fronte a tutto l'enorme mondo che ab­braccia oggi la nozione del socialismo reale, di fronte alla sua ricchissima pratica, per non vedere il suo autentico legame vivificante con l'ideologia marxista-leninista.

Nei fatti risulta che il nuovo sconosciuto «modello» di socialismo che i dirigenti del Pci vogliono palesemente im­porre anche ad altri partiti comunisti e paesi è stato avanzato solo per dipingere di nero, per denigrare il socialismo vera­mente esistente da più di mezzo secolo. Questa conclusione deriva anche dalla posizione che assumono alcuni esponenti del Partito comunista italiano nei confronti del socialismo scien­tifico, del marxismo-leninismo. Di quest'ultimo si è parlato, al Comitato centrale, in modo estremamente negligente, come di un certo insieme di verità dogmatiche rigide.

Simili affermazioni, attacchi gratuiti alla concezione scien­tifica del mondo e all'arma teorica dei comunisti di tutto il mondo possono soltanto disorientare coloro che combattono per il socialismo. Essi travisano completamente il ruolo che ha svolto, svolge oggi e svolgerà in futuro, nella trasformazione rivoluzionaria del mondo, la teoria marxista-leninista, le sue idee, che hanno conquistato enormi masse e sono diventate la forza grandissima di questa trasformazione. Tra i numerosis­simi rivoluzionari della nostra epoca che hanno riconosciuto questa grande forza trasformatrice del marxismo-leninismo, An­tonio Gramsci, il fondatore del Partito comunista italiano, ne scrisse in modo vivido e persuasivo e da qui partì nella pro­pria attività rivoluzionaria. Non si deve neanche dimenticare, infine, che l'ideologia è un'espressione concentrata della essenza di classe di questa o quella prassi sociale, e quindi ogni inde­bolimento delle posizioni ideologiche dei comunisti significa cedere posizioni di classe.

Bisogna altresì dire francamente quanto segue. Sullo sfondo degli insistenti interventi dei compagni italiani a proposito dei presunti tentativi dell'Unione Sovietica di imporre ad altri paesi il «modello unico» del socialismo, appaiono particolar­mente strane le loro pretese di svolgere il ruolo di mentori che suggeriscono ai partiti che hanno costruito il socialismo come e su quali esempi spetta loro di operare, di ergersi ad arbitri supremi dell'esperienza altrui, di esprimere giudizi peren­tori contrari alle valutazioni di quei partiti di cui giudicano l'attività, di avere il diritto di affibbiare etichette umilianti e, cosa più importante, di imporre ad altri in definitiva la propria concezione («modello», se si vuole) del socialismo.

Su quali basi? Le ambizioni pressoché messianiche dei diri­genti del Pci si riducono in sostanza alla vecchia idea social­democratica dell'«eurocentrismo», ristretta per giunta da loro ai limiti dell'Europa occidentale. È vero che nelle loro dichia­razioni s'incontrano ripetutamente espressioni che dicono che il socialismo è «un processo aperto», «un movimento storico che si sviluppa su scala mondiale», ecc., ma la straordinaria molteplicità e poliedricità, l'autentico carattere mondiale e la profondità del processo rivoluzionario contemporaneo, la inscin­dibile correlazione dei suoi componenti rimangono con tutto ciò, nel migliore dei casi, uno sfondo, un certo materiale ausiliario per il compimento della missione principale che i dirigenti del Pci ascrivono al «nuovo socialismo» europeo occidentale.

Resta da aggiungere che, anche nell'ambito di questa decre­scente «visione mondiale» del processo rivoluzionario, essi non trovano posto per i paesi in cui il socialismo è già stato costruito. Secondo tutto questo schema, all'Unione Sovietica, a tutta la comunità socialista, non resta che adattarsi al «rin­novamento» che un giorno verrà portato dall'Europa occiden­tale. È ovvio che il Pcus, che non intende dare disposizioni ad altri partiti, ha decisamente respinto e respinge ogni velleità di tal genere, da qualunque parte essa provenga.

La vita non sopporta né schemi striminziti, né dottrinarismo speculativo. E se oggi i partiti comunisti, in una serie di paesi capitalistici altamente sviluppati, partono dalla prospettiva di trasformazione socialista con l'utilizzazione di mezzi relativa­mente pacifici e democratici di lotta politica, questa possibilità, come è stato ripetutamente sottolineato dai comunisti di questi paesi, compresi i compagni italiani, risale con le sue origini alla vittoria del Grande Ottobre in Russia, alle trasformazioni socialiste realizzate in altri paesi, al fatto che nella nostra epoca esiste già sulla terra il mondo stabile del socialismo. Una pre­messa internazionale necessaria della realizzazione di questa possibilità è la potenza del socialismo mondiale, la politica estera di pace e internazionalista dei paesi socialisti. I dirigenti del Pci, a dar retta alle loro formulazioni, intendono «aprire una nuova fase della lotta per la pace e per il socialismo». Ma con la loro concezione attuale esiste un serio pericolo che, celandosi dietro questo slogan, essi si volgano proprio contro le forze reali che conducono, nei fatti, la lotta per la pace e per il socialismo e non contro coloro dai quali viene la minaccia sia alla pace, sia alla causa del progresso sociale. E questa è una strada assai scivolosa.

L'erroneità e il danno dei documenti del Pci vengono accre­sciuti dal fatto che i suoi dirigenti li hanno pubblicati, come s'è già detto, nel pieno della violenta campagna politica, economica, ideologica che i circoli aggressivi dell'imperialismo, con a capo gli Usa, hanno sviluppato proprio contro il socia­lismo reale. Gli obiettivi di questa campagna sono trasparen­temente chiari. In primo luogo minare la distensione, far rina­scere la «guerra fredda» e, in questa situazione, sotto la coper­tura delle gazzarre sulla «lotta per la libertà in Polonia», bloccare il processo di trasformazione sociale, frenare il movi­mento di liberazione dei popoli, la loro aspirazione all'indipen­denza e al progresso sociale, ripristinare e assicurare il dominio passato, lo spadroneggiare impunemente dell'imperialismo dappertutto nel mondo, in Africa, in Asia, in America latina. In secondo luogo, tentare di screditare e indebolire il mondo del socialismo, la politica dei partiti comunisti al governo e anzitutto del Pcus, presentare il comunismo, la sua ideologia, la sua prassi come inconsistenti. In questa direzione si muovono anche gli impetuosi tentativi degli imperialisti di impedire la stabilizzazione della situazione in Polonia, di silurare gli sforzi atti a superare la situazione di crisi e, se riuscirà loro, di farla anche rinascere.

Non si può non notare che tutta questa campagna diventa tanto più aspra e sfrontata quanto più chiaro appare che la Polonia popolare si incammina con sempre maggiore sicurezza sulla strada del superamento dei fenomeni di crisi. La situa­zione del paese, in seguito all'introduzione dello stato d'asse­dio che ha costituito un atto sovrano del potere statale della Rpp, giunge a normalizzarsi. Ciò riguarda l'economia che co­mincia, per la prima volta nell'ultimo anno e mezzo, ad ac­quisire un normale ritmo di lavoro. Ciò riguarda l'atmosfera sociale e politica che si fa più operosa, sempre meno impedita dai continui confronti. Ciò riguarda il Partito operaio unificato polacco, la cui attività è divenuta notevolmente più intensa e la cui politica di principio riscuote sempre più ampio sostegno.

Il nemico di classe si invelenisce proprio perché lo Stato socialista in Polonia ha incominciato ad assolvere coerentemente e fermamente la funzione che gli compete, di difesa delle con­quiste socialiste dei lavoratori polacchi dall'attività sovversiva, controrivoluzionaria, dei nemici interni ed esterni del socialismo.

Ma questi fatti, evidentemente, non raggiungono la coscienza della dirigenza del Partito comunista italiano. Dai suddetti do­cumenti del Pci emerge chiaramente che la dirigenza del Pci non solo interviene contro le misure adottate dal governo della Rpp, anzitutto contro lo stato d'assedio da questo intro­dotto, ma che essa praticamente solidarizza con la linea delle forze di opposizione, antisocialiste, dichiarandole forze con­duttrici... del «rinnovamento democratico del socialismo» in Polonia.

Noi indubbiamente non ci sentiamo in diritto, come fanno i compagni italiani, di insegnare al Poup quali conclusioni esso debba trarre dalla sua storia e in che modo debba agire per superare completamente la crisi in atto. È un affare interno del popolo polacco, dei comunisti polacchi. E soltanto loro. A metà dicembre 1981 i comunisti polacchi, la direzione polacca sono arrivati alla conclusione che non c'era altra via d'uscita che l'introduzione dello stato d'assedio per imbrigliare la criminosa anarchia controrivoluzionaria, per scongiurare il crollo econo­mico e la minaccia di una vera e propria fame.

Nell'appello al popolo polacco, il compagno Jaruzelski ha dichiarato: «Le parole pronunciate a Radom, la riunione di Danzica, hanno smascherato definitivamente le reali intenzioni dei circoli dirigenti di Solidarnosc. Tali intenzioni vengono con­fermate in modo massiccio dalla pratica quotidiana, dalla cre­scente aggressività degli estremisti, dall'esplicita volontà di di­struggere completamente il carattere statale del socialismo po­lacco... Un ulteriore mantenimento di questa situazione con­durrebbe a una catastrofe inevitabile, al caos assoluto, alla mi­seria, alla fame... in questo contesto l'inazione sarebbe un cri­mine nei confronti del popolo... bisogna legare le mani agli avventurieri prima che questi spingano la patria nell'abisso della lotta fratricida».

Il programma di Solidarnosc approvato dal congresso di Danzica è divenuto una testimonianza evidente della prova di forza di fronte agli organi statali del potere e anche di fronte a quelle organizzazioni sociali e politiche che non si sono sotto­messe a Solidarnosc. Per la prima volta al Congresso è stato dichiarato che Solidarnosc non è tanto un sindacato quanto un movimento politico di opposizione.

Poi sono cominciati gli attacchi alle strutture del partito e i tentativi di espellerle dalle aziende. Hanno avuto inizio i pre­parativi per la formazione di nuclei armati di Solidarnosc. Per il 17 dicembre era prevista l'uscita di commandos nelle strade di Varsavia, mentre l'ampio apparato propagandistico-ideologico creato da Solidarnosc e dai suoi consiglieri antisocialisti, col forte appoggio dei sostenitori dell'Occidente, ha dato il via a un frenetico osanna alla politica della Polonia borghese-feudale, compreso il suo dittatore reazionario Pilsudski!

Le forze antisocialiste avevano intenzione, dopo aver portato all'estremo il caos nel paese, di trasformare Solidarnosc in un ariete per distruggere la struttura politica ed economica dello Stato popolare polacco. Tutti questi fatti sono di per sé eloquenti.

Tuttavia, alla dirigenza del Pci è totalmente estraneo un approccio di classe agli avvenimenti in Polonia. Essa ha igno­rato l'analisi e le valutazioni della situazione fornite dalla dire­zione polacca sia prima del 13 dicembre 1981, sia successiva­mente. Gli esponenti del Pci non desiderano prestare fede al dirigente, legalmente eletto, del Poup e dello Stato polacco e praticamente si associano alle affermazioni calunniose dei «fal­chi» d'oltreoceano. Oggi non è più un segreto per nessuno (la stampa borghese è addirittura piena di commenti al riguar­do) che l'Occidente, e innanzitutto gli Usa, si ingerisce da tempo effettivamente negli affari interni della Polonia. È risaputo che centri occidentali fornivano aiuti materiali alle forze anti­socialiste in Polonia, per non parlare dell'elaborazione della stessa concezione di una controrivoluzione «silenziosa» (e neanche troppo) e dei consigli concreti su come realizzarla. I circoli dirigenti di una serie di Stati capitalistici, in primo luogo degli Usa, hanno sfruttato cinicamente i loro legami eco­nomici con la Rpp, per esercitare una pressione politica su questo paese. In sostanza l'amministrazione Reagan e coloro che negli altri paesi ne appoggiano la linea, hanno presentato al governo sovrano della Rpp un ultimatum: o cedete il potere alle forze antisocialiste o vi soffocheremo economicamente. Non ci sono dubbi che la controrivoluzione polacca abbia agito negli interessi della reazione imperialista, come un fantoccio da essa diretto.

Il suo scopo era quello di liquidare lo Stato socialista in Polonia. La reazione imperialista collegava a questo le proprie speranze di minare tutta la comunità socialista, di mutare i rapporti di forza in Europa e in tutto il mondo. È chiaro il pericolo che rappresentavano questi piani per la sovranità della Polonia, per il socialismo mondiale, per la causa della pace.

La macchina propagandistica dell'imperialismo mondiale si è fatta in quattro per creare il necessario clima psicologico e ingannare l'opinione pubblica dei rispettivi paesi, cercando di presentare la controrivoluzione polacca come una forza che sosterrebbe gli ideali della democrazia, della giustizia e delle libertà civili. E qualcuno, compresa la dirigenza del Pci, ha abboccato all'amo. Sia nella dichiarazione della direzione del Partito comunista italiano che nei documenti della sessione ple­naria del Comitato centrale del Pci, i veri fatti della realtà polacca vengono sostanzialmente ignorati. I dirigenti del Pci si pronunciano contro la normalizzazione della situazione in Polo­nia, condannano la decisione del Consiglio di Stato della Rpp che ha posto fine allo scatenamento del pericolo controrivolu­zionario. Vengono ignorati altresì completamente anche i fatti che concernono l'interferenza imperialista negli affari interni della Rpp.

Ma c'è di più: nei documenti del Pci è contenuta una dichia­razione assai pericolosa - che confina con la rinuncia ai prin­cipi più essenziali per i comunisti - e cioè che le misure adot­tate dal governo non possono essere giustificate neppure dalla necessità di salvare il sistema socialista nel paese. Tutto ciò viene formulato sotto il vessillo della difesa della «democra­zia». Ma l'appello alla democrazia risulta la copertura di un pratico rifiuto di difendere le conquiste socialiste. Come tutto ciò ricorda quello che consigliavano ai comunisti sovietici Kautsky e compagnia, negli anni 1917-18!

I dirigenti del Pci, in una forma offensiva per i comunisti e i patrioti polacchi, ritengono possibile intervenire con critiche inappellabili a proposito delle «violazioni della democrazia» in Polonia, sebbene, in realtà, la democrazia nel corso di un anno e mezzo, sia stata violata mille volte dalla direzione estre­mista di Solidarnosc. Sono stati proprio i caporioni di Solidar­nosc a portare, con le loro azioni antidemocratiche, allo stato d'emergenza. La dirigenza del Pci è indubbiamente a cono­scenza dei relativi fatti. Essa però non trova spazio per questi ultimi nelle sue divagazioni a proposito della crisi polacca, di­chiarando che non si può ascriverla alle manovre delle forze reazionarie ostili al socialismo. Al contrario, la dirigenza del Pci sostiene la linea dell'opposizione antipartitica e antistatale in Polonia, e addirittura «esige» che le sia concessa la piena libertà d'azione.

Al Comitato centrale sono stati menzionati solo molto breve­mente, di passaggio, alcuni «estremismi ingiustificabili» da parte di Solidarnosc. Le sistematiche azioni sovversive della controrivoluzione sono raffigurate come eccessi insignificanti, come rivendicazioni «irrealistiche». E, anche in questo caso, ad onta di ogni logica, la responsabilità delle azioni delle forze antisocialiste viene addossata... al governo e al Poup!

Ma questo non è ancora tutto. Andando dietro alla direzione del blocco della Nato, la dirigenza del Pci individua il principale «colpevole» della crisi polacca nell'... Unione Sovietica e nei paesi del Patto di Varsavia. Nel corso dell'ultimo anno e mezzo la propaganda borghese in Occidente ha ostinatamente maneg­giato la tesi «dell'ingerenza dall'esterno» che minacciava la Polonia, intendendo, con ciò, riferirsi all'Unione Sovietica. Sem­brava che le misure decise dalla direzione polacca dovessero azzittire tutti questi «profeti». Ma essi trovano il modo di presentare anche quest'atto sovrano della Polonia popolare come il risultato di una qualche «ingerenza» dell'Unione Sovietica. È sbalorditivo, ma gli esponenti del Pci, gettando ombra sui rapporti sovietico-polacchi, ripetono, quasi alla lettera, le inven­zioni di Reagan, Weinberger, Haig, Brzezinski e altri politici imperialisti. Si è costretti a constatare che i dirigenti del Pci, ragionando sul tema della «pressione dall'esterno» sulla dire­zione polacca, si sono incanalati, praticamente, anche su que­sto aspetto, nell'alveo generale della propaganda antisocialista avviata dall'Occidente, la quale arreca un grande danno alla causa della distensione e al consolidamento della pace.

Se si deve parlare d'ingerenza negli affari interni della Polonia gli esempi si possono prendere dagli stessi materiali della riunione del Comitato centrale del Pci. In effetti «richieste» come la liberazione delle persone internate o arrestate per l'opposizione alle autorità, per la pressione sullo Stato sovrano socialista, allo scopo di ottenere da esso concessioni alle forze controrivoluzionarie non si possono chiamare altrimenti che grave ingerenza negli affari interni della Polonia. Al proposito i dirigenti del Pci hanno riconosciuto, al Comitato centrale, l'ingerenza da parte del Pci e hanno finanche ostentato il fatto che la posizione della direzione del Pci sulla Polonia «è più dura e ferma di quella di altri partiti e governi che non sono di sinistra». In una parola hanno superato una certa parte della borghesia nella pressione sulla Polonia socialista e ne vanno orgogliosi!

E un'altra circostanza ancora. La dirigenza del Pci, eviden­temente, non si preoccupa minimamente del fatto che aizzando in pratica le forze antisocialiste in Polonia a nuove azioni con­tro l'ordine sociale nel paese e contro la sua politica estera, essi favoriscono lo sviluppo degli avvenimenti in una direzione che può portare a un tragico conflitto nel centro dell'Europa, con pesanti conseguenze per la causa della pace universale.

Che siano gli stessi comunisti italiani a trarre le conclusioni da tutto ciò.

Una cosa è chiara, e cioè che anche in questa questione la posizione della dirigenza del Pci contraddice gli interessi sia del socialismo che del consolidamento della pace. Il documento della direzione del Pci è stato pubblicato senza alcuno scambio preliminare di opinioni con il Pcus o con il Poup. Eppure tra loro e il Partito comunista italiano, nel corso di molti anni, sono esistiti normali rapporti tra compagni, si sono tenuti numerosi incontri nel corso dei quali i compagni italiani hanno avuto pie­na possibilità di chiarire tutto ciò che li interessa, di prendere conoscenza della vita interna dei paesi socialisti e della loro politica estera, di esporre francamente le loro vedute e di discu­tere seriamente e senza pregiudizi le questioni che sorgevano, senza fare il gioco dell'imperialismo.

Soltanto poco più di due anni fa il compagno Berlinguer, nel comunicato sull'incontro con il segretario generale del Comitato centrale del Pcus, ha dichiarato esplicitamente la necessità della lotta contro l'antisovietismo e l'anticomunismo. E ora, una svolta di 180 gradi. E invece la natura dell'ordinamento sovie­tico, dello Stato sovietico non è mutata. Essa è la stessa di due anni fa e di molti anni prima. In egual misura ciò riguarda sia la politica estera che quella interna degli altri paesi del socia­lismo. Quindi i motivi della svolta - diciamolo pure, biasimevole - compiuta dai dirigenti del Pci vanno ricercati non nella realtà obiettiva né nel mondo esterno, bensì in qualche parte del loro proprio ambiente, nell'ambito dei loro calcoli e ambi­zioni. Come in concreto vadano le cose, i compagni italiani cer­tamente lo vedono meglio da soli.

A ogni modo, il nemico di classe ha subito apprezzato questa «svolta qualitativa nella politica del Pci» (parole del segreta­rio politico del partito borghese della Democrazia cristiana ita­liana, sul giornale Il Popolo). Preoccupate della testardaggine dell'Europa occidentale nei confronti delle azioni dell'ammini­strazione Reagan, le autorità ufficiali di Washington hanno intravisto nella posizione della direzione del Pci uno dei «raggi di luce» (dalla lettera informativa ai parlamentari, funzionari governativi e giornalisti). Il Pci viene lodato, come si è espresso il giornale borghese italiano La Repubblica, per la sua «felice eresia», per «l'aspra condanna del socialismo reale» e «la negazione del suo significato ideologico» (Il Corriere della Sera), per «il grande passo in avanti» sulla strada della rottura con l'Urss (La Stampa). Non solo si loda, ma si provoca e si spinge a passi ulteriori, si chiede al Pci di finirla con «le idee mitizzanti a proposito dell'Unione Sovietica, le quali, a giudicare dall'insieme, esistono nella base del partito a differenza della direzione» e di sopprimere «la resistenza che da quella pro­viene» (Il Messaggero).

Intervenendo contro l'Unione Sovietica e contro gli altri paesi del socialismo, contro la schiacciante maggioranza dei partiti comunisti e operai, nei confronti dei quali il Pci si di­chiara libero da ogni «vincolo ideologico, politico e organizza­tivo», i dirigenti del Partito comunista italiano si condannano all'assenza di sostegno da parte delle possenti forze del socia­lismo, della pace e della libertà. I comunisti sovietici conoscono i meriti del Partito comunista italiano nella lotta contro il fascismo, per gli interessi della classe operaia, dei lavoratori del paese, nella lotta per la comune causa rivoluzionaria. Biso­gna ritenere che anche i comunisti italiani conoscano il ruolo svolto dal Pcus, dallo Stato sovietico, dal popolo sovietico nella disfatta del fascismo in Europa, compresa l'Italia, conoscano l'immutabile solidarietà e il sostegno da parte del Pcus alla lotta di liberazione dei lavoratori italiani e del loro partito comunista. Nel corso di molti anni i comunisti hanno diffuso in Italia la verità sull'Unione Sovietica. E riteniamo che nell'attuale situa­zione internazionale ciò rivesta una grande importanza positiva, anche per lo stesso popolo italiano e per la sua battaglia contro lo sfruttamento capitalistico, contro il pericolo militare, per i suoi interessi vitali.

Per questo la posizione che ha trovato la sua espressione alla riunione del Comitato centrale del Pci è cosi estranea e nociva non solo alla causa della pace e del socialismo nel suo complesso, ma anche agli interessi del popolo lavoratore ita­liano. Nelle attuali condizioni internazionali è più che mai importante la coesione di tutte le forze amanti della pace, anti­militariste, antimperialiste e, soprattutto, la coesione dei com­battenti più tenaci per la grande causa della pace e del sociali­smo: i partiti comunisti e operai e i movimenti di liberazione.

Questo sacro dovere internazionalista dei comunisti è stato ancora una volta imperiosamente ricordato dagli avvenimenti in Polonia. Non ci sono e non ci possono essere dubbi sul fatto che i popoli della comunità socialista, risolvendo con successo i propri problemi, respingendo decisamente gli attacchi dell'im­perialismo nell'arena internazionale, continueranno, anche in futuro, a camminare con sicurezza sulla strada della rivoluzione d'Ottobre. E nessuno riuscirà a deviarli da questa strada maestra. Non ci sono dubbi sul fatto che il rafforzamento dell'Unione Sovietica, della comunità socialista, l'ulteriore pro­gresso del socialismo mondiale, continueranno, anche in futuro, a consolidare le posizioni di tutte le forze che si schierano sotto la bandiera della pace, della democrazia, e del progresso sociale.