Nel quadro della documentazione su Stalin ci sembra particolarmente interessante fare un confronto tra due posizioni di Pietro Secchia, prima e dopo il XX Congresso.
Già vicesegretario del partito e responsabile dell'organizzazione, Secchia è stato sempre definito un critico di sinistra della linea togliattiana e come tale è stato accreditato da quei settori comunisti che hanno fatto di lui una sorta di simbolo di quello che il PCI avrebbe dovuto essere.
Certamente Secchia nella dialettica all'interno del gruppo dirigente del Partito comunista italiano ha rappresentato una tendenza che cercava di porre un argine alla deriva istituzionale e alla illusione di una via italiana al socialismo. Secchia in sostanza proponeva una strategia di lotta più avanzata, senza peraltro definire in quale prospettiva questa strategia andava collocata. Anche per questo negli incontri tenuti a Mosca con i dirigenti del PCUS alla fine del 1947 fu evidente che da parte sovietica non si aveva intenzione di modificare l'appoggio alla linea togliattiana. I sovietici diffidavano della spregiudicatezza di Togliatti, ma condividevano l'asse su cui egli si muoveva. La vicenda di Seniga, segretario particolare di Secchia, che fuggì col malloppo dei fondi segreti del partito e il cui ruolo effettivo non è stato mai chiarito (durante la Resistenza andava e veniva dalla Svizzera), determinò il crollo politico di Secchia che fu ripagato da Togliatti con la sua emarginazione totale.
Ma ciò che ci interessa della vicenda Secchia è la sua posizione su Stalin.
Nel primo testo che pubblichiamo, una prefazione del 1953 a una raccolta di scritti di Stalin sulle questioni della pace e sulla situazione internazionale, c'è un elogio sperticato al grande dirigente comunista. Una posizione che viene ribaltata da Secchia nel suo intervento al CC del PCI che si tenne dopo il XXII congresso del PCUS. In quel congresso, allo scopo di creare una reazione emotiva che coprisse la svolta kruscioviana e la rottura con la tradizione leninista, era stato esplicitato quello che era scritto nel 'rapporto segreto' del 1956.
Nel CC del PCI che si tenne il 10 e l'11 novembre del 1961, al ritorno da Mosca della delegazione italiana che aveva partecipato al XXII congresso del PCUS, le tesi kruscioviane furono riprese in pieno e servirono di pretesto anche a un attacco in piena regola a Palmiro Togliatti, al quale fu mossa l'accusa che 'non poteva non sapere' quello che succedeva in URSS dal momento che, come dirigente dell'Internazionale comunista proprio a Mosca risiedeva.
Nell'intervento che Pietro Secchia pronuncia al CC con molta sorpresa scopriamo che egli si unisce al coro degli antistalinisti e denuncia gli errori e gli orrori della 'degenerazione' del sistema sovietico di cui lo stesso Stalin è ritenuto responsabile.
E' credibile che dallo scritto del 1953 alla situazione determinatasi dopo il XX congresso si sia potuta fare una conversione a 360 gradi? I dirigenti del PCI non potevano addurre l'alibi di non sapere che cosa fosse l'URSS in cui Stalin aveva diretto il partito e lo stato sovietico. Questo vale ovviamente anche per Secchia e la posizione che egli prende nel 1961 svela dunque anche la natura della sua opposizione nel partito, che non esce in realtà dal solco delle vie nazionali al socialismo.