Palmiro Togliatti

Contro il governo della discordia

Seduta CCXXXIV - 26 settembre 1947

Verbale ripreso da Palmiro Togliatti, Discorsi alla Costituente, cit. pp. 251-275.


Sono poste in discussione tre mozioni di sfiducia al governo De Gasperi firmate rispettivamente da Nenni per il PSI, Togliatti per il PCI e Canevari per i saragattiani. Togliatti svolge la sua mozione che suona: «L'Assemblea costituente, di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al governo e passa all'ordine del giorno». Seguono nel corso del dibattito e alla sua fine, una precisazione biografica, la replica e la richiesta che il voto avvenga per divisione.


  Presidente. Ha facoltà di parlare l'onorevole Togliatti per svolgere la mozione da lui presentata.

  Togliatti. Signor presidente, signore, onorevoli colleghi! Spero que­sta volta di intrattenere l'assemblea per breve periodo di tempo. La mozione di sfiducia al governo che il gruppo parlamentare co­munista mi ha incaricato di presentare, chiedendo all'assemblea di votarla, è stata formulata da noi sulla base di una interpellanza che io, quale primo firmatario, e alcuni altri colleghi del mio gruppo, avevamo presentato pochi giorni prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari.

  Essa è stata trasformata da noi in mozione di sfiducia, prima di tutto per la gravità dei fatti che l'avevano provocata, in secondo luogo perché ci sembrava che, svolgendosi in questa assemblea un dibattito sulla fiducia al governo, aperto dai colleghi e compagni socialisti, era giusto che le nostre critiche per la politica interna, e quindi per la politica generale del governo, venissero riversate in questo dibattito. E ciò tanto più perché da più parti era stato avan­zato il sospetto che il fatto che noi non presentassimo una mozione di sfiducia all'assemblea nel momento in cui un partito a noi al­leato presentava una mozione di sfiducia, volesse significare, non solo un raffreddamento dei legami con questo partito, ma una no­stra intenzione di trasportare la lotta politica contro il governo da questa assemblea, che è la sua sede naturale, esclusivamente sulle piazze. Anche per questo motivo, cioè per dissipare questo sospetto, abbiamo voluto trasformare la nostra interpellanza in mozione, chie­dendo, a nome del nostro gruppo, che l'assemblea esprima la sfi­ducia al governo per la sua politica interna e per la sua politica generale. La mia mozione quindi concerne in parte il ministro del­l'Interno che non vedo presente a quei banchi e che, con la sua assenza, non credo abbia voluto sottolineare una sua mancanza di riguardo, non dico per la mia persona, ma per questa assemblea...

  De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri. E' dovuto an­dare in Sicilia.

  Togliatti. ... e per il resto concerne tutto il governo. Motivo dell'interpellanza presentata da noi nel mese di luglio era stato una serie di atti compiuti da autorità di polizia e prefet­tizie, nei quali avevamo rilevato false interpretazioni e non ammis­sibili applicazioni di determinati testi di legge, false interpretazioni e non ammissibili applicazioni le quali portavano a una effettiva, concreta, reale limitazione di quelle libertà democratiche per ricon­quistare le quali noi e la grande maggioranza dei colleghi di que­sta aula abbiamo combattuto, riportando una vittoria che è gloria comune di tutti noi.

  Potrà forse però sembrare ad alcuni dei colleghi che i fatti che io citerò all'inizio della mia esposizione non abbiano un peso tale da giustificare un atto così importante e così solenne come una mozione di sfiducia. Ma la realtà non è questa; la realtà non è questa, perché in questi atti abbiamo rilevato una tendenza, la qua­le poi si è sviluppata, e ha dato via via i suoi frutti nel corso del­l'attività governativa. Questa tendenza si è del resto manifestata immediatamente dopo la costituzione di questo governo e può essere quindi considerata come una delle caratteristiche della sua fisiono­mia, della sua personalità.

  Incomincio dunque da questi atti. Si tratta essenzialmente di una limitazione delle fondamentali libertà democratiche, consisten­te nel vietare pubblicamente le critiche e l'attacco al governo e ai membri di esso. Concretamente, si tratta di «ordini severi» - così dicevano i rappresentanti del governo nelle province, ai cittadini che si presentavano a chiedere chiarimenti - di «ordini severi» impartiti dal ministro dell'Interno per impedire l'affissione di de­terminati manifesti di propaganda di partito, nei quali venivano esposti, in quella forma concisa, incisiva e drammatica che si usa nei manifesti - e a cui del resto sapete fare ricorso anche voi - gli stessi giudizi che di questo governo avevamo dato qui, davanti a voi, quando si svolse il dibattito generale sulla sua composizione e sul suo programma.

  Il governo attuale veniva quindi definito come governo della discordia, ripetendo una definizione data da me stesso e come go­verno che favorisce le forze della speculazione, ripetendo in questo caso una definizione che, credo venne data allora dal collega Scoccimarro.

  In un altro di questi manifesti venivano accusati e investiti del­la loro responsabilità determinati membri del governo, personal­mente rappresentandoli con la loro effige, nella loro persona, coi loro detti e coi loro fatti, ricordando naturalmente anche, per al­cuni di loro, quei fatti che si riferivano ad attività da loro esplicate nell'ambito di determinate organizzazioni fasciste. Il richiamo di questi fatti in sé, non credo dovrebbe offendere, poiché si tratta di cose vere e non è quindi offensivo il ricordarle.

  Questo, però, secondo il ministro dell'Interno, non doveva av­venire. Ordini severi, ripeto, vennero dati a tutte le autorità di tutta la Repubblica, di non permettere l'affissione di questi mani­festi; vennero mobilitate le forze di polizia, motorizzate con jeep, mitragliatrici, ecc., non soltanto per impedire l'affissione - e di qui una serie di incidenti - ma per lacerare persino i manifesti già affissi servendosi di soldati delle forze di polizia adibiti a questa poco eroica funzione.

  In tutto questo noi ravvisiamo, ripeto, la violazione di una fon­damentale libertà democratica : quella della critica e dell'attacco al governo (commenti al centro), la quale deve essere garantita a tutti i partiti e a tutti i cittadini; la quale noi abbiamo voluto garantire quando abbiamo scritto quegli articoli della Costituzione che tutti insieme qui abbiamo elaborato e approvato.

  Si è citato - e chiedo scusa all'assemblea se devo all'inizio in­trattenermi in dettaglio di questi aspetti della questione - un arti­colo del codice penale, il quale, a detta del ministro degli Interni, giustifica questa violazione della libertà democratica e la relativa repressione; articolo che poi ha le sue code nella legge di pubblica sicurezza e nel relativo regolamento.

  Ma vedete la strana edizione di questo articolo - che è l'arti­colo 290 - il quale dice esattamente così: «Chiunque pubblica­mente vilipende la corona, il governo del re, il gran consiglio del fascismo, ecc.» (ilarità a sinistra) è sottoposto a determinate sanzioni.

  Onorevole Scelba, onorevole De Gasperi, ci troviamo forse qui di fronte a un lapsus ideologico, di tipo freudiano (commenti al centro). A me non risulta che il governo che Ella presiede, onorevole De Gasperi, sia il governo del re (commenti al centro).

  Si tratta del secondo o terzo governo della Repubblica.

  Uberti. E il governo della Repubblica si può vilipendere?

  Togliatti. Mi lascino parlare, onorevoli colleghi! Il governo del­la Repubblica è un governo il quale deve rispettare quelle liber­tà che la Repubblica ha voluto che fossero restaurate e sancite, e che considera come la propria sostanza, l'essenza propria. Altri­menti non è un governo repubblicano (commenti al centro).

  Lo so, l'onorevole Presidente del consiglio e il suo ministro dell'Interno possono dire che questo articolo esiste ancora, come esiste la legge di pubblica sicurezza col suo regolamento.

  L'argomento si ritorce contro di voi. Perché? Per due motivi. Perché prima di tutto voi la legge di pubblica sicurezza dovete oggi applicarla tenendo conto che essa è e rimane una legge fascista, nelle quale trovate ad ogni passo disposizioni che a nessuno di voi passerebbe per il capo di applicare, il che vuol dire che queste leggi devono essere applicate in armonia con la nostra nuova Costitu­zione, tenendo conto che non avete avuto ancora il tempo di cam­biarle, ma che dovete cambiarle e che bisogna cambiarle. In questo modo abbiamo proceduto, onorevoli colleghi, in tutti i governi, an­che prima della proclamazione della Repubblica, quando si trat­tava di leggi di questo genere.

  Ma voi avete anche un'altra responsabilità. So che esisteva un progetto Romita di riforma della legge di pubblica sicurezza, che da voi è stato messo a dormire. Perché? Forse perché vi serve di più la vecchia legge fascista? Forse perché vi fa più comodo? Qui vi è dunque una duplice vostra diretta responsabilità! (interruzione dell'onorevole Benedet­ti­ni).

  Presidente. Onorevole Benedettini, la prego.

  Togliatti. Si dice: voi non potete vilipendere il governo. Ma si tratta di vedere che cosa vuol dire vilipendere e come la inter­pretazione di questo concetto fatta dai funzionari di polizia sia compatibile col rispetto della libertà democratica.

  Ecco un esempio di ciò che viene considerato come vilipendio. In uno dei manifesti incriminati si dice : «De Gasperi si allea, contro gli interessi e contro la volontà degli stessi lavoratori demo­cristiani, in Sicilia, coi grandi agrari».

  Io trovo qui un giudizio politico. Voi direte che è falso, io dico che è vero, altri potranno contrastarne o limitarne la validità. Ma dov'è il vilipendio?

  Questa espressione è considerata invece dalla questura che ne vieta l'affissione, come una «insinuazione che può turbare l'ordine pubblico». Quello che qui manca è proprio l'insinuazione. Quello che noi vogliamo dire, soprattutto quando si tratta di giudizi così chiari, lo diciamo in tutte lettere.

  Lascio stare poi tutte le azioni che hanno accompagnato il di­vieto dei nostri manifesti, gli arresti, le minacce di arresto perfino ai tipografi, cosa che nemmeno il regolamento di polizia fascista permette. È vero, i fascisti lo facevano ed evidentemente ritiene di poter continuare a farlo un questore ex fascista, per forza d'abitu­dine, o per «ordini severi» ricevuti dal ministro dell'Interno.

  Un tipografo è persino stato chiamato, a Roma, a dar conto di quello che era stato stampato nella sua tipografia, mentre non esiste, né nella nostra legislazione penale e nemmeno nel regolamento di polizia, una norma che imponga delle autorizzazioni per la stam­pa. Si chiedono autorizzazioni, se mai, per rendere pubblico il testo stampato.

  Tutto questo vuol dire che ci troviamo di fronte a una serie di atti i quali iniziavano una minacciosa offensiva contro elemen­tari libertà democratiche.

  Naturalmente vi è stata una resistenza e del nostro partito, e, credo, di tutti i partiti di questa sinistra, che in tutte le località (e sono state quasi tutte le province d'Italia) dove gli arbitrari atti della polizia furono compiuti, si unirono per protestare, richiesero che la libertà democratica fosse rispettata e, in qualche caso, riu­scirono anche a imporre la loro volontà.

  Questi atti furono però seguiti da una serie di altre manifesta­zioni dello stesso genere. Così si venne all'offensiva contro i gior­nali murali. E qui parlo d'una cosa che può essere considerata di piccolo rilievo; ma io non la considero così! In un paese in cui i giornali escono a due sole facciate, in un paese dove noi stessi ab­biamo abituato il popolo, durante la lotta contro la tirannide fa­scista e contro l'invasore straniero, ad apprezzare il valore del do­cumento elaborato dal piccolo gruppo che protesta, che combatte, che si sforza di trovar tutti i modi per diffondere le proprie idee e manifestare il proprio pensiero e la propria volontà sino a quello di affiggerlo sui muri, per sollecitare il consenso altrui, la offensiva contro i giornali murali è inammissibile e pericolosa (commenti al centro).

  Io ritengo che i giornali murali siano una delle manifestazioni di attività democratica più interessanti e originali di questo primo periodo della rinascita di un regime democratico in Italia dopo la tirannide fascista.

  Il signor ministro dell'Interno ha trovato che per questi gior­nali murali, che sono giornali anche se si affiggono al muro, è necessario introdurre ciò che non abbiamo voluto introdurre nella Costituzione riguardo alla stampa in generale: la censura e il se­questro preventivo ad opera della polizia. E per giornali murali e manifesti, oggi bisogna andare a discutere con il questore per sa­pere se le frasi in essi contenute non sono dalla polizia considerate offensive per qualche membro del governo o per il governo in ge­nerale. Questo non è più, o signori, un regime di libertà. Ma noi ce la siamo conquistata la libertà. Volete ora ritogliercela? Perché? Chi ve ne dà il diritto?

  Per i comizi di fabbrica è la stessa cosa. Se ne discusse qui per l'aspetto sindacale e io non voglio ripetere quella discussione. Pon­go invece la questione politica. Come partito democratico e popo­lare, ci siamo conquistato il diritto di parlare, e di parlare di poli­tica, anche nelle fabbriche. Sissignori. Gli operai italiani si sono conquistati, con la loro lotta, questo diritto e non se lo lasceranno strappare (applausi a sinistra; commenti al centro e a destra).

  Una voce al centro. Nelle fabbriche si lavora (proteste a sinistra).

  Togliatti. Dall'attività politica che si è svolta nelle fabbriche sono sorti alcuni dei movimenti che sono stati all'inizio della nostra lotta di liberazione contro il fascismo e a cui dobbiamo il primo scuotimento della tirannide fascista (commenti al centro). È in que­sto modo, è attraverso questi movimenti che la classe operaia si è conquistata il diritto di fare della politica nelle fabbriche, il diritto per gli operai di riunirsi nelle fabbriche e discutere di tutte le que­stioni che interessano i lavoratori e la nazione.

  Se mai, la questione sarà da dibattersi fra i padroni e gli ope­rai; lo Stato non c'entra. Il ministro di polizia, pardon, il mini­stro dell'Interno non ha qui niente da dire: se mai, ripeto, sono i padroni che possono discutere di questo diritto, dato che sono loro i proprietari delle fabbriche. Finora però non mi risulta che l'ab­biano fatto, come non mi risulta che i comizi politici nelle fab­briche abbiano dato luogo a conflitti nelle fabbriche stesse.

  Ci troviamo qui di fronte a un altro tentativo che va nella stessa linea di restringere le libertà democratiche, di limitarle, di negarle a una parte del popolo e precisamente a quella che è in opposizione al governo. Ad ogni modo sia ben chiaro che alla libertà di fare comizi anche politici nelle fabbriche i nostri operai e noi stessi non rinunceremo mai e poi mai (applausi a sinistra).

  Vorrei ora dire alcune parole circa un'altra attività molto so­spetta sviluppata dal ministro dell'Interno nei confronti delle am­ministrazioni comunali rette da partiti diversi dal suo, attività che si è esplicata soprattutto in quelle province emiliane dove le ammini­strazioni comunali, tenute a schiacciante maggioranza dal partito socialista e da noi, hanno dato esempio meraviglioso di attività costruttiva e di disciplina nell'opera di ricostruzione, tanto nella campagna quanto nelle città. Questi meriti non valgono nulla però agli occhi del ministro dell'Interno. Queste amministrazioni comu­nali devono essere particolar­mente bersagliate, e vengono bersa­gliate con misure illegali, che sono vere e proprie trasgres­sioni di legge. Io non voglio nemmeno discutere se quei determinati sindaci della provincia di Bologna, che sono stati accusati di aver trasgredito a determinate norme della legge sugli ammassi, fossero col­pevoli. So che non lo erano. Discuto però la legittimità delle misure che li hanno colpiti, perché esiste una legge dello Stato secondo la quale prima di colpire un sindaco con qualsiasi misura per un atto da lui compiuto nell'esercizio delle sue funzioni è necessario che la sospensione della garanzia amministrativa venga chiesta dal mini­stro dell'Interno al ministro Guardasigilli, il quale a sua volta deve sollecitare il parere del Consiglio di Stato, e se decide in senso con­trario a questo parere deve porre la questione al Consiglio dei mi­nistri. Nulla di questo vien fatto quando si tratta di un sindaco socialista o comunista. Basta un telegramma del ministro dell'Interno ed egli è sospeso, o minacciato di arresto, o arrestato per atti della sua amministrazione che ha compiuto in quanto sindaco. Oltre a tutto poi, vi abbiamo ampiamente dimostrato e nella stampa e in pubblici comizi - e voi non avete potuto smentirlo, non ostante i vostri calunniosi manifesti sull'argomento - che questi atti erano, nella maggior parte dei casi, atti compiuti, anche se formalmente fa­cendo eccezioni a qualche articolo di legge, per ovviare a situazioni gravi, in modo tale che hanno recato vantaggio alla leg­ge sugli ammassi e del popolo e non l'hanno in nessun modo dan­neggiata (commenti).

  Se non siete convinti e volete gli esempi, ve li daremo. Siamo in cento e più che possiamo intervenire in questo dibattito e lo faremo non ostante le vostre interruzioni. Anche in questo campo risulta una pericolosa tendenza alla violazione delle leggi democra­tiche e delle istituzioni democratiche, e anche in questo campo que­ste violazioni sono fatte per sopprimere i diritti di quella parte poli­tica che è contro il governo. Voi non avete ancora capito, signori del governo democristiano, che le libertà democratiche ci sono an­che per l'opposizione, anzi, particolarmente per l'opposizione.

  E vengo a una serie di fatti, i più gravi forse, quelli avvenuti nel goriziano nei giorni scorsi. Il passaggio all'amministrazione ita­liana ha significato in questa provincia lo scatenamento di una of­fensiva di tipico stampo fascista contro quelle popolazioni (interru­zioni al centro).

  Voci al centro. Non è vero!

  Togliatti. Qui ci sono i fatti. Nella città di Gorizia, nello spazio di tre giorni, quarantasette abitazioni, locali pubblici, laboratori di artigiani, ecc., sono stati assaliti, devastati, saccheggiati.

  Una voce. Pochi! (vivissimi rumori; proteste all'estrema sinistra; commenti).

  Presidente. Onorevoli colleghi, desidero sapere se l'intenzione è di dare un tono ordinato a questa discussione oppure se essa sarà un seguito di tulmulti.
 Costato che, purtroppo, sono sempre gli stessi pochi colleghi che suscitano gli episodi rumorosi e desidero - senza richiamarli per nome - invitarli molto cortesemente a saper contenere i loro interventi.
 Onorevole Togliatti, la prego, continui.

  Togliatti. Il Centro diffusione della stampa slovena è stato devastato e il materiale incendiato. Per quattro volte è stata assalita la federazione comunista di Gorizia, con tentativi di incendio, che recavano danni rilevanti. Sono state assalite e distrutte le sedi del Partito comunista italiano di Gradisca, Staranzano, Ronchi; danneggiata quella di Monfalcone; distrutte le sedi dell'Unione donne italiane, del Fronte della gioventù, dell'Associazione partigiani giuliani, del Circolo di cultura di Gradisca; a Gorizia, Monfalcone, Ronchi, Vermigliano, San Pier d'Isonzo, venivano lanciate bombe e fatte esplodere cariche di tritolo contro abitazioni di antifascisti, italiani e sloveni; a Villesse, durante una festa popolare, da un ca­mion trasportante fascisti in camicia nera venivano lanciate bombe, che distruggevano luoghi di ritrovo e ferivano tre persone, tra cui una ragazza diciottenne gravemente; a Gradisca veniva aggredito da un gruppo di ex fascisti un ex carabiniere e un ex mastro della posta; a Selz tutta la popolazione fuggiva dal villaggio sui monti per scampare alle aggressioni fasciste.

  Bettiol. Non ci sono i monti (proteste a sinistra).

  De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri. In che giorno ciò è avvenuto? (interruzioni dell'onorevole Pratolongo).

  Presidente. Onorevole Pratolongo, la prego taccia.

  Togliatti. Onorevole presidente, voglia perdonare all'onorevole Pratolongo, che porta ancora sul corpo le tracce di quelle violenze fasciste (applausi a sinistra).
 Particolare abominevole: venivano aggrediti gli ammalati slo­veni dell'ospedale di Gorizia.

  Bettiol. Questo non è vero (vivi applausi prolungati al centro).

  Togliatti. Onorevoli colleghi!... (rumori al centro e a destra).

  Presidente. A un certo momento devo pensare che non sono più degli impulsi irrefrenabili che provocano le interruzioni. Facciano silenzio, per favore!

  Togliatti. Onorevoli colleghi, non mi sarei deciso a portare alla tribuna di questa assemblea questi fatti, se un'attenta ricerca e un'accurata inchiesta che ho fatta fare non mi avessero convinto della verità di tutte le informazioni che ho qui recato (commenti al centro).

  Una voce al centro. Polizia privata?

  Togliatti. No, controllo parlamentare! Ho sentito dire da qual­cuno di voi che queste notizie non sono vere; ma forse malaugu­ratamente quello che voi pensate nel fondo dell'animo vostro l'ha detto quello di voi che poco prima ha detto che questi atti di violenza e di barbarie «sono pochi». Perchè vive ancora in alcuni di voi, forse in molti, spero non in tutti...

  Una voce a sinistra. In molti!

  Togliatti. ...lo stato d'animo con il quale i fascisti ressero nel passato quelle province gettando i germi di quella che è stata la rovina del nostro paese (vivi commenti al centro).  Io domando all'onorevole Sforza cosa pensa di questi fatti, egli che ha sempre affermato di essere uno strenuo fautore di una po­litica di amicizia con tutti i popoli che confinano con noi. Voglia il cielo che le conseguenze di questa politica in questo modo da voi iniziata non ricadano ancora una volta sulla nostra patria! (com­menti).

  Ma perché succedono questi fatti? Questi fatti si inquadrano in uno stato d'animo e in una politica generali; non per nulla a capo della polizia in uno dei maggiori centri della Venezia Giulia è sta­to mandato un ufficiale che fu capo di una delle formazioni fasci­ste che operavano in quella regione. Vi è quindi una logica in que­sta pazzia: vi è una logica che non è democratica, ma antidemo­cratica. Nel tempo stesso, infatti, in cui avvengono gli atti e i fatti che vi denunzio e che significano una deliberata volontà del mini­stro dell'Interno di limitare le libertà democratiche di coloro che so­no in opposizione al governo, che cosa fa questo governo nei con­fronti delle numerose organizzazioni fasciste e neofasciste che ve­diamo pullulare e che sappiamo pullulare da tutte le parti? Cono­sce il governo l'esistenza di queste organizzazioni con i loro bizzar­ri appellativi: le RAAM, la Lupa, l'AIL, la SAM, il MACRI e via dicendo? Conosce il governo che queste organizzazioni sono costituite su una base di cospirazione e su una base militare e ar­mata per preparare la lotta contro la democrazia? Conosce il go­verno queste cose?

  Quel governo che è così sollecito tutore della correttezza di espressione, quando si tratta di attacchi al governo stesso e ai suoi membri, conosce i termini che vengono usati nei manifesti che ven­gono affissi per le strade dalle organizzazioni fasciste? Lo sa il go­verno che il giorno stesso in cui veniva vietata l'affissione di no­stri manifesti che lo accusavano di essere un governo di discordia nazionale, come siamo convinti che sia, venivano liberamente af­fissi in Roma, in occasione della visita di non so quale signora straniera alla nostra capitale, manifesti in cui veniva esaltata la guerra fascista? Quei manifesti sono stati stracciati? Ne sono stati cer­cati i responsabili? E' stato ammonito il tipografo che li ha stam­pati? No, perché tutto va bene per il ministro dell'Interno di questo governo quando si esalta il fascismo. Conosce il ministro dell'In­terno i termini, ad esempio, di un manifesto, uno fra i molti, che insulta una nostra compagna e collega chiamandola «sporca, schi­fosa, che sbava con le nari dilatate e lo sguardo vitreo, come sotto l'azione di un afrodisiaco di basso prezzo?».

  Né io parlo a difesa di questa nostra collega, che non ne ha bisogno; ma qui veramente siamo di fronte al vilipendio di un rappresentante del popolo, e quindi dell'assemblea stessa di cui ella fa parte.

  Non voglio avanzare l'ipotesi che documenti simili vengano fabbricati da militanti nel partito stesso del ministro dell'Interno; ma perché la sua polizia non si accorge di queste cose? Perché la legge sulla difesa della Repubblica, la quale era stata promessa e poi presentata dal precedente governo De Gasperi, e che questo quarto governo De Gasperi assumendo il potere non dichiarò a que­sta assemblea di voler ritirare, perché quella legge non è stata an­cora varata? Perché non ne sollecita il governo l'approvazione? Per­ché non l'approva d'urgenza, com'è nel suo diritto, per far fronte a casi così gravi, come quelli che ho denunciato per quello che riguar­da le province della Venezia Giulia; o il recente attentato alla sede del partito comunista in Milano?

  Di tutto questo non si parla più, mentre il fuoco viene con­centrato in un'altra direzione: il bersaglio siamo noi, il bersaglio è l'opposizione, e nell'opposizione - non nascondiamolo - il bersa­glio preferito è precisamente il partito comunista.

  L'onorevole ministro dell'Interno ha persino avuto il coraggio, alla vigilia della manifestazione del 20 settembre, cioè di una gran­de manifestazione legale, pacifica, di massa, come si fanno in tutti i paesi, a iniziativa del nostro partito e del partito socialista, e alla quale avevano aderito numerosi altri partiti, come quello repub­blicano, quello democratico del lavoro, quello d'azione, ha avuto il coraggio, in un'intervista lanciata due giorni prima di questa manifestazione, di concentrare il fuoco contro di noi e sentite in qual modo. «Sono ben pochi in Italia - dice il ministro in questa in­tervista - coloro i quali credono che il Partito comunista italiano abbia scartato dal suo programma la conquista violenta del potere e l'istaurazione di una dittatura totalitaria di tipo fascista». Dun­que amici, (rivolto ai banchi comunisti) i fascisti siamo noi (ilarità a sinistra). «La minaccia, quindi - prosegue l'intervista - di un tentativo violento, allorché le circostanze favorevoli si presentassero, è sempre potenziale in tutti i paesi in cui il partito comunista rag­gruppa forze cospicue di militanti».

  Che le forze le quali si raggruppano attorno al nostro partito siano cospicue, è verissimo; e più lo saranno domani (commenti). Ma come si permette il ministro dell'Interno di fare una dichiara­zione simile a proposito della nostra posizione politica? Potrei an­cora tollerare una dichiarazione simile da parte di un giornalista irresponsabile, ma non da parte del ministro dell'Interno, nel mo­mento ch'egli parla come responsabile dell'ordine pubblico, due giorni avanti una grande manifestazione di massa, legittima, de­mocratica, e che egli sa che si manterrà nell'ambito della democrazia. Come si permette il signor ministro di parlare in questo modo, di accusare un partito come il nostro di volere istaurare una ditta­tura fascista? (proteste al centro).

  Signori democristiani, vi ho sentito parecchie volte strillare che non bisogna fare il processo alle vostre intenzioni, e sono sicuro che ripetereste questa protesta con alte strida se qualcuno dicesse, per esempio, che il vostro acceso regionalismo è un modo come un altro di fare a pezzi l'Italia, per rifare a ritroso quel processo uni­tario che culminò proprio il 20 settembre 1870 (applausi a sinistra).

  Voi non avete il diritto di fare il processo alle intenzioni, e un ministro dell'Interno deve giudicare ogni partito a seconda di quello che dice e fa. Egli sa quello che il nostro partito dice, egli sa quello che il nostro partito ha fatto e fa ogni giorno per mantenere e rafforzare la democrazia, perché se non lo sa vuol dire ch'egli viene meno al suo compito. Questo non è il modo come si può esprimere un ministro dell'Interno serio, democratico, repubblicano. Questo, se mai, è il modo di esprimersi di chi voglia, insultando e calunniando, provocare disordini e turbamenti nell'ordine pubblico; esso è nella linea di quel ridicolo allarme che venne lanciato non appena costituito il quarto governo De Gasperi, come se in quella notte stessa noi avessimo dovuto fare l'insurrezione, e persino i telefoni di casa nostra vennero tagliati ad opera del ministro del­l'Interno, mentre noi tranquillamente dormivamo.

  De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri. Ho dormito anch'io tranquillamente.

  Togliatti. No, non si eludono questi problemi con uno scher­zo. Si tratta di cose molto gravi. Si tratta di tutta una ispirazione di politica interna di carattere provocatorio, che mina la unità delle forze democratiche e semina discordia. Ma da quale parte viene questa ispirazione? Credo che venga da lontano. Di là dai fiumi! Di là dagli oceani!

  Un giornale cosiddetto indipendente ci ha sollazzato mostran­doci a viso aperto una delle fonti di questa ispirazione. Un grande giornalista americano (bocca della verità, quindi, per l'onorevole De Gasperi e per il conte Sforza) ha rivelato nientemeno che i piani della «vasta» insurrezione che si preparava nell'Emilia. (Evidentemente dove volete che si prepari se non in Emilia una insurrezione?!) E si preparava proprio per il 20 settembre, in occasione dell'inizio della evacuazione delle truppe americane dall'Italia. I piani del movi­mento insurrezionale naturalmente sono descritti con molta preci­sione; si afferma nientemeno che l'esercito degli Stati Uniti ha sco­perto depositi di armi e munizioni presso i comunisti. Ma chi si è accorto di questo? Dove sono queste armi? Nessuno le ha viste. Viene quindi una «armata clandestina» pronta a occupare l'Italia settentrionale appena l'armata americana l'avesse abbandonata. Agen­ti americani travestiti - continua il racconto - hanno partecipato a comizi comunisti (Ma perché mai comunisti? E non potevano venirci al naturale? Tutti, anche senza travestimento, possono par­tecipare ai nostri comizi!) (commenti) venendo a conoscenza dei nomi dei capi, tra cui l'onorevole Dozza, sindaco di Bologna, e naturalmente Luigi Longo, vicecomandante dell'Associazione na­zionale partigiani, e Ilio Barontini, e poi un ignoto Cucco. A que­sto punto viene svelato il piano militare della insurrezione per in­tiero, e quindi il piano tenebroso della notte di San Bartolomeo, nella quale gli esponenti anticomunisti e i capi non favorevoli ver­rebbero eliminati da gruppi specializzati di nostri gappisti. Per finire, c'è un maresciallo e un alto ufficiale russo, seguito da un pacifico cittadino bolognese che si chiama Bottonelli, e il tutto si chiude con un nome pittoresco, che forse suggerirà alla fantasia dell'onorevole Micheli l'immagine del pasto con le lasagne al forno e il vino di Lambrusco consumati sotto la pergola di un paese di Romagna, il nome pittoresco, ripeto, di un non meglio precisato Memmo Gottardi (ilarità a sinistra).

  Onorevoli signori, mi rincresce di ripetere cose che ho già af­fermato fuori di qui. Se non lo volete io non dirò più, anche se lo penso, che sono dei cretini coloro che scrivono cose simili o che le pubblicano. Dico però che cretini sono coloro che credono a queste cose; ma non vorrei che nel novero di questi ci fosse il ministro dell'Interno o l'onorevole Presidente del consiglio!... (ila­rità; applausi a sinistra).

  Ho citato questa pittoresca intervista non soltanto a scopo di divertimento mio e vostro anche, spero; ma per dimostrare che ci troviamo di fronte a una deviazione fondamentale del modo di concepire la nostra situazione interna, che può essere proprio solo di provocatori. Ma si arriva a questo punto di insania, quando si incomincia a fare il processo alle intenzioni, a voler per forza re­spingere dalla famiglia democratica un grande partito come il nostro, che ha il merito di tanto aver fatto nella lotta per la democrazia. Quando si vuole per forza arrivare a mettere al bando questo par­tito e le forze che lo seguono, ecco dove si arriva: si incomincia da un discorso come quello della Basilica di Massenzio e si arriva a queste insanie e stupidità.

  Ma a questo punto vorrei allargare un po' l'orizzonte del mio intervento e venire al problema centrale di questo dibattito (com­menti al centro).

  Credo, del resto, di essermi strettamente mantenuto fino ad ora nei limiti della mia precedente interpellanza e attuale mozione (commenti al centro).

  Sulla base delle osservazioni critiche che ho fatto e sulla base di altre osservazioni e critiche che facciamo all'attività del governo in altri campi, noi riteniamo che bene farebbe l'Assemblea costi­tuente a negare la sua fiducia a questo governo.

  Questo governo può governare l'Italia? Questa è la domanda alla quale tutti assieme dobbiamo sforzarci di dare una giusta risposta. Ma che cosa vuol dire governare un paese, onorevoli colle­ghi? Governare un paese vuol dire dare soddisfazione alle esigenze fondamentali della vita della nazione. Oggi noi abbiamo alcune esi­genze fondamentali, e io cercherò di ridurle a poche, alle essenziali.

  Mi pare che una prima esigenza fondamentale, che tutti sen­tiamo, e che è di carattere economico e finanziario, è che sia evi­tato al nostro paese il disastro della inflazione e del crollo della moneta.

  A proposito dei problemi concreti connessi con questo, altri deputati del nostro gruppo avranno modo di esprimere la nostra opinione. Mi limito per ora a costatare come questa esigenza sia ancora da soddisfare. Sia per quanto riguarda la massa del circo­lante, sia per quanto riguarda l'altezza dei prezzi, voi non siete stati in grado di mettere un freno all'inflazione, di arrestare quel processo di caduta della nostra moneta che avevate detto di voler arrestare. Diceste che formavate un governo come questo, anzi, che correvate il rischio di un governo come questo, perché ciò era condizione necessaria per arrestare quel processo. Avete invece fatto il contrario; avete ottenuto un risultato opposto a quello che vi pro­ponevate, e soprattutto noi, rappresentanti delle classi disagiate, dei lavoratori del campo, dell'officina e dell'ufficio, abbiamo ragione di essere ogni giorno più preoccupati nel veder andare avanti, ancora con una certa lentezza, è vero, ma con un ritmo continuo, il pro­cesso di svalutazione della moneta. Dove andremo a finire per que­sta strada?

  Seconda esigenza fondamentale è quella di alleviare l'indigen­za del nostro popolo, e in primo luogo quella dei lavoratori. So che voi ci parlerete di misure che avete preso, per lo più sotto la pressione di determinati movimenti di categorie impiegatizie. Con­frontate però queste misure con il valore della moneta quando voi avete preso il potere ed oggi, e datemi poi una risposta oggettiva circa l'efficacia di ciò che avete fatto. La risposta la dà tutti i giorni la donna che va a fare la spesa e conclude che non ce la fa più, che ogni giorno si sta peggio di prima, che di questo passo non si può più andare avanti.

  Non mi sembra dunque che fino a questo punto il governo abbia soddisfatto nemmeno a questa esigenza fondamentale del popolo italiano; né credo che esso sia in grado di soddisfarvi sino a che durerà nell'attuale composizione.

  Non voglio addentrarmi, onorevoli colleghi, nell'esame di pro­blemi tecnici. Ritorno quindi subito sul terreno politico per affer­mare che su questo terreno esigenza fondamentale della nostra vita nazionale è che sia mantenuta l'unità della nazione e in prima linea delle masse lavoratrici e di tutte quelle altre forze che possono esplicare un'iniziativa nel campo della produzione. Senza questa unità, impossibile od oltremodo penosa diventa la nostra ricostru­zione. Questa unità è condizione necessaria affinché in tutti sia presente una uguale coscienza dei sacrifici che per la ricostruzione tutti debbono fare. Sì, sacrifici se ne debbono fare: lo sappiamo tutti e il compagno Nenni ce lo ha testé dimostrato; ma solo l'unità che noi auspichiamo deve essere base di tutta la vita nazionale, e la realizzazione di essa è esigenza fondamentale per tutti.

  Ebbene, soddisfa il vostro governo questa esigenza? No, nemmeno questa esigenza soddisfa e perciò io affermo che esso può, forse, restare al potere, ma non può governare.

  Governare infatti non può voler significare semplicemente ri­manere a quel posto: governare non può nemmeno voler dire di­stribuire qualche vantaggio a questo o a quello dei propri clienti; governare vuol dire dare soddisfazione a quelle esigenze fondamen­tali che ho indicato. Ebbene, voi non siete in grado di farlo; voi non lo avete fatto finora e non siete in grado di farlo per il futuro.

  Per la sua origine, per la sua composizione, per la sua natura ed attività, questo governo non può portare ad altro che a un peg­gioramento ed a una acutizzazione continua della situazione del nostro paese.

  Ne abbiamo, del resto, già avuto la prova, come si è visto a proposito degli scioperi. Il numero degli scioperi, è vero, è aumenta­to negli ultimi tempi. Non posso oggi ripetere quello che dissi in questa assemblea più di un anno fa, quando affermai che il nostro paese è quello in cui meno si scioperava. Ma la causa principale, quella anzi su cui proprio noi dobbiamo maggiormente concentrare la nostra attenzione, la causa primissima di tutti questi scioperi, sta precisamente nella composizione del governo.

  È inutile che voi mi diciate che qui il politico si confonde con l'economico. Ma senza dubbio: ciò avviene in modo inesorabile; voi stessi continuamente lo affermate e nessuno lo può negare.

  È bastato che si costituisse questo governo di una sola parte, questo governo che esclude i rappresentanti del movimento operaio socialista nelle sue differenti varietà, e tutti i rappresentanti dei par­titi più avanzatamente democratici e repubblicani, è bastato questo perché nelle classi padronali si facesse sentire un irrigidimento par­ticolarmente pericoloso e quasi una tendenza a provocare e ag­gravare i conflitti del lavoro. Di qui una serie di piccoli scioperi, che sono forse quelli che hanno dato più noia localmente, i quali erano tutti o quasi tutti provocati dal fatto che il padrone pensava tornato il momento in cui comandava lui e lui solo in modo asso­luto, senza tener conto della volontà dei lavoratori, e quindi si attribuiva il potere di licenziare quegli operai che sembrava a lui, unicamente perché militanti del sindacato o di un partito politico a lui avverso. Di qui una serie di scioperi, di carattere non solo economico, ma economico-politico, tutti chiusi, però, con la vitto­ria dei lavoratori. I padroni si erano sbagliati; avevano creduto che bastasse costituire un governo di parte, escludendo i rappresentanti dei partiti di sinistra e del movimento operaio socialista, perché le forze delle classi lavoratrici, scoraggiate, subissero la legge del più forte. No, non è cosi! I più forti sono e continuano a essere i la­voratori e le loro organizzazioni. Tutte le campagne che sono state fatte dalla vostra stampa, dalla stampa «indipendente», liberale e di tutti i colori, fascista e semifascista, per proclamare che oramai noi comunisti eravamo finiti, che il movimento sindacale era ir­rimediabilmente minato dalla secessione di una delle parti che lo compongono, tutte queste chiacchiere hanno dato alla testa di de­terminati gruppi di industriali e di agrari, li hanno incitati alla tracotanza, li hanno spinti a provocare gli scioperi. Ma la risposta è stata dappertutto univoca : la classe operaia non è battuta, la classe operaia non si lascia battere! (vivi applausi a sinistra).

  Non vi è nessuno spirito di sconfitta, oggi, nella classe ope­raia e nelle fondamentali categorie lavoratrici. Al contrario; la classe operaia in questo dopoguerra ha compreso molto bene la via per la quale la conducono i suoi partiti; via di realizzazioni graduali vittoriose, via che evita di cadere nel tranello della provocazione o poliziesca o padronale, e che mantiene compatte le forze del la­voro per le battaglie che devono essere combattute l'una dopo l'al­tra, per creare nel nostro paese un vero, stabile regime di demo­crazia e avviare la soluzione delle più gravi questioni sociali (applausi a sinistra).

  È certo che il pericoloso stato d'animo, che si è diffuso da al­cuni mesi nella classe padronale, è stato da voi inconsapevolmente o consapevol­mente creato quando avete formato il governo. A questo stato d'animo è dovuta anche l'intransigenza di determinate categorie padronali all'inizio di grandi agitazioni, come quelle dei braccianti e dei metallurgici; agitazioni che hanno però anche un altro carattere, sul quale mi soffermerò. Voi stessi l'avete detto, e i colleghi socialisti e anche noi l'abbiamo detto e ripetuto, che l'au­mento salariale puro e semplice non basta più a risolvere il problema del disagio dei lavoratori, oggi. Questa è una verità che sta entrando nella convinzione delle grandi masse. Badate, però, che questo non significa che la lotta del lavoro è terminata; al con­trario: significa che l'operaio, il bracciante, il contadino, l'impie­gato incomincia a comprendere, ben più di quanto non avesse compreso finora, che per lottare contro l'indigenza bisogna af­frontare e risolvere problemi più vasti di quello del puro e semplice livello salariale. È per questo che già nelle rivendica­zioni dello sciopero dei braccianti voi vedete affiorare i problemi della riforma agraria, come li vedete affiorare nelle agitazioni dei contadini del Sud; così come i problemi della riforma industriale affioreranno domani nella lotta dei metallurgici e in tutte le prossime lotte del lavoro.

  Voi avete detto, però, che questi problemi sono rinviati e non se ne deve parlare più. Io non lo credo. Anzi, profondo errore è il vostro! Questi problemi non possono essere rinviati. È la vita stessa che ce li pone davanti, nel momento in cui nella lotta fra il prezzo e il salario, cioè nella lotta puramente economica e sala­riale, non si vede più via di uscita. In questo momento occorre, se si vuole andare avanti, passare ad altre misure necessarie per pia­nificare, per controllare, per limitare i poteri dei monopoli, per lottare efficacemente contro la speculazione. Ecco i prossimi temi della lotta economica e sindacale che inevitabilmente diventa lotta politica, per la legge stessa delle cose.

  Il vostro testardo rifiuto a porvi per questo cammino non fa che render sempre più acuta la situazione.

  L'esistenza di questo governo, la sua composizione, la sua struttura, postulano dunque nel campo economico una accentua­zione dei conflitti sociali.

  I lavoratori hanno offerto la loro collaborazione, hanno offerto tutto quello che potevano offrire, hanno offerto e dato quello che io chiamai altra volta in questa assemblea un contratto assurdo, un patto di lavoro che fissa un massimo di salario anziché un minimo, e ciò nell'interesse della società nazionale e della ricostruzione!

  Ma non crediate che il problema della collaborazione si limiti alle trattative fra gli industriali e i rappresentanti del movimento operaio. No, il problema della collaborazione è un vasto problema generale politico, è un problema sociale. Una politica di collabora­zione allo scopo della ricostruzione del paese, quella che io chiamo una politica di unità, deve prima di tutto la sua espressione al ver­tice, nel governo del paese, il quale deve comprendere i rappresen­tanti di tutti i partiti delle classi lavoratrici, altrimenti è inevitabile l'acutizzazione delle lotte economiche e di tutti i conflitti che ne derivano. L'appello alla lotta discende inevitabile da quella deter­minata composizione del governo. L'inasprimento dei conflitti so­ciali diventa una conseguenza a cui non si può sfuggire.

  Lo stesso avviene nel campo politico. Vi è oggi senza dubbio una accentuazione della lotta politica nel nostro paese, con una certa polarizzazione all'estrema destra di gruppi fascisti i quali cer­cano di seminare la confusione e di approfittare del disordine; e vi son senza dubbio, in seno alle classi capitalistiche, uomini e grup­pi i quali pensano che, attraverso l'accumularsi delle difficoltà, e quindi l'aumento della confusione e del disordine, possa crearsi una situazione in cui un'altra volta essi possano ricorrere al fascismo come al loro salvatore.

  Lascio da parte le accuse e le calunnie che si lanciano contro di noi, anche se esse pure contribuiscono all'accentuazione della lotta politica. Quanta gente ha paura! Che paura, per esempio, quei liberali! Un comunista parla e dice che chiama il popolo alla lotta contro questo governo. Ed ecco il liberale prendere in mano il dizionario dei sinonimi. Lotta? che cosa vuol dire lotta? Togliatti ha detto che vuole combattere! E dove sono le armi? E che cosa vorrà fare quest'uomo?

  Ma guardate come Churchill tratta il governo laburista, le in­vettive che egli scaglia contro di esso, vedrete sino a qual punto si può sviluppare la lotta politica in regime di democrazia.

  Una voce al centro. Anche con la uccisione di Petkov!

  Togliatti. Onorevole collega, perché mi fa questo nome? Per­ché mi induce a dire che io sono convinto che se ci fosse stato nel 1920, nel 1921, nel 1922, un tribunale in Italia che avesse messo al muro Mussolini, l'Italia potrebbe essere oggi un grande paese? (vivi applausi a sinistra). Se Petkov fosse poi un altro Mussolini o meno, è cosa questa che riguarda il popolo bulgaro e che esso solo ha il diritto di giudicare (commenti).

  Sotto a tutte le paure che vengono diffuse ad arte, c'è sempre il medesimo problema: il problema del nostro partito. Occorre af­frontare con sincerità e chiarezza il problema del nostro partito, del partito comunista. So benissimo che la composizione di questo governo forse sarebbe stata diversa se non ci fosse stato questo pro­blema del nostro partito, della sua politica, del suo sviluppo, delle sue posizioni sempre più forti nel paese.

  Onorevole De Gasperi, una volta Ella diceva che bisogna ade­guarsi agli Stati Uniti (lei, onorevole Sforza, se ne è dimenticato), alla loro mentalità, ai loro costumi. Ella dovrebbe invece comin­ciare ad adeguarsi alla realtà del nostro paese, che è l'Italia, e pri­ma di tutto abituarsi a considerare che il Partito comunista italiano è il Partito comunista italiano, che noi siamo figli della storia del nostro paese (commenti al centro), che usciamo dalla storia del mo­vimento operaio e socialista italiano e dalla nostra lotta di libe­razione! (interruzioni al centro). Qui sono le radici della nostra forza e del nostro prestigio. Non serve quindi a nulla il credere di poter risolvere questo problema applicando le leggi o i costumi dell'Ohio o del Missouri!

  Guardate come si schiera la classe operaia italiana nei suoi sindacati, nelle sue organizzazioni originarie, primarie : il 60 per cento dei voti è comunista, più dell'80 per cento è per comunisti e socialisti alleati; se prendete poi le categorie strettamente operaie, salite per il nostro partito a percentuali che superano il 70 per cen­to. Tutto questo vuol dire che non potete più separare il partito comunista dalla classe operaia, e quando fate questa politica di so­spetti, di insinuazioni, di calunnie e di provocazioni contro il par­tito comunista, è contro la classe operaia che la fate. Quando vo­lete mettere al bando noi, è la classe operaia che volete mettere al bando. Ma anche se uscite dalla considerazione esclusiva delle forze operaie, il quadro non è molto diverso. Vedete che cosa avviene nei più grandi comuni, di cui nemmeno uno è amministrato dalla Democrazia cristiana. Genova, Milano, Torino, Livorno, Bologna; chi li amministra? Li amministrano il partito comunista e il partito socialista uniti assieme. Tenete conto infine che in Italia l'unità della classe operaia è qualche cosa contro cui non si può andare, perché anche essa deriva dalla storia d'Italia e dalle tradizioni mi­gliori del nostro movimento operaio. Voi vorreste spezzarle, queste tradizioni, ma non ci riuscirete.

  Rimane il fatto che elemento essenziale di tutta la nostra si­tuazione, della instabilità di essa, del disagio crescente che esiste nel paese, della acutezza dei rapporti economici e dei rapporti so­ciali e quindi dei contrasti politici, è la questione dei rapporti con il nostro partito, e cioè con la parte più avanzata, più compatta, decisa e combattiva della classe operaia e delle classi lavoratrici. Con nuovo spirito dovete affrontare e risolvere questo problema e non con lo spirito con cui l'avete affrontato e risolto fino ad ora, se volete fare il bene del paese, dandogli un governo che lo sappia e possa governare.

  La situazione governativa attuale deve essere modificata, cor­retta, poiché, ripeto, con un governo come questo le esigenze fon­damentali della nazione non possono essere soddisfatte. Occorre ritornare a una formula di governo unitaria, la quale non escluda quei partiti che sono più legati alla classe operaia, e in particolare a quella larghissima parte di essa che è l'espressione del movimento operaio socialista nelle sue diverse correnti. Questo vorrei dire non soltanto al Presidente del consiglio dei ministri e ai colleghi de­mocristiani, ma a tutti i partiti, anche ai partiti di sinistra, ai socia­listi laburisti e ai repubblicani. Contraddire a questa formula uni­taria vuol dire preparare al nostro paese giorni più duri ancora degli attuali.

  Onorevole Saragat, ella sen viene come amore nel sonetto di Guido Cavalcanti, «tenendo tre saette in una mano», con l'una volendo colpire il ceto possidente, con l'altra l'inconcludente poli­tica democristiana, ma rivolgendo la punta della terza1, forse la più acuminata e avvelenata, contro il nostro partito. Questa politica è sbagliata perché non può portare a nessun risultato a favore né della democrazia, né del socialismo, ma solo a loro danno.

  Saragat. Mi pare viceversa.

  Togliatti. E' sbagliata questa politica, onorevole Saragat! Non si introducono misure socialiste, non si introduce in nessuna misura quel tanto di socialismo che può essere introdotto oggi nella nostra vita sociale e che è necessario introdurvi per la soluzione di fondamentali problemi economici e sociali, fino a che si mantiene questa punta avvelenata contro il partito alla classe operaia. Non so se ciò sia possibile in altri paesi: in Italia, no. Noi l'abbiamo capito da tempo; per questo abbiamo proposto alla nazione italiana qualcosa di profondamente nuovo, che nessuno di voi forse si aspettava, proponendo la nostra collaborazione, sul terreno democratico e parlamentare, alla ricostruzione politica, economica e sociale. Abbiamo così proposto qualcosa di profondamente nuovo, una nuova via che riteniamo necessaria, anzi, forse la sola possibile per un paese uscito dalla tragedia fascista e minacciato da altri mali e altre tragedie, minacciato dalla disunione, dall'indigenza dei lavoratori, e dalle tempeste che si addensano all'orizzonte internazionale.

  Abbiamo sentito e sentiamo che è nostro dovere preparare questa soluzione all'Italia e al popolo italiano, e rimaniamo su questo terreno: sul terreno di una fattiva collaborazione di tutte le forze che si richiamano alle classi popolari lavoratrici, di tutte le forze democratiche e repubblicane. Sappiamo tutti però che collaborazione fattiva significa non escludere da nessuna delle attività direttive della vita della nazione il nostro partito, poiché non si può mettere al bando con nessun artificio questa grande forza di operai e di lavoratori.

  Quale sarà la via per la quale la classe operaia affermerà le proprie rivendicazioni e i propri ideali e darà il suo contributo attivo alla ricostruzione del paese, se voi direte: «No; siccome voi, operai italiani, seguite in così gran numero il partito comunista, che è il vostro partito, per voi c'è il bando, l'esclusione dalla direzione politica del paese», quali possono essere le conseguenze di simile posizione, lo lascio dire a voi.

  E vengo alla fine. L'obiettivo di questa discussione, aperta su iniziativa del partito socialista, alla quale noi ci siamo associati, è di cambiare questo governo, dopo aver reso ancora una volta evidente al paese che esso non è costruito e non lavora in modo tale da poter soddisfare le esigenze fondamentali della vita nazionale. Ci hanno chiesto : «Ma volete davvero rovesciare il governo ?» Ma certamente, sì; altrimenti non vorremmo dibattiti, non parle­remmo sulle piazze, non agiteremmo il paese. Non crediate però che per noi, come partito, l'obiettivo di rientrare nel governo possa essere, ripeto, come partito, una così grande attrattiva. L'ho già detto altra volta : l'opposizione tonifica i partiti della classe ope­raia, li rende più forti (approvazioni).

  Quando siamo stati al governo, come ministri abbiamo fatto il nostro dovere, nell'interesse del paese. Ma, e anche questo ve l'ho detto già altre volte, noi non abbiamo fretta. Veniamo da lontano e andiamo lontano! (commenti al centro e a destra). Senza dubbio il nostro obiettivo è la creazione nel nostro paese di una società di liberi e di uguali, nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini. E lo proclamiamo apertamente. Non abbiamo nulla da nascondere. Questo è il nostro programma.

  Ma oggi esistono problemi nazionali che urgono. La democra­zia e la Repubblica devono essere ancora rafforzate (commenti al centro). Vi sono minacce gravi che incombono sulla nostra vita nazionale. Il nostro dovere è dunque di continuare a porre al paese con urgenza il problema della necessità dell'unità di tutte le forze lavoratrici, di tutte le forze repubblicane e democratiche, come base della più larga unità della nazione nell'opera di ricostruzione che deve essere fatta.

  Riusciremo noi ad abbattere questo governo nel corso di questa discussione? Non lo so; non dipende da noi, dipende dalle altre forze, che sono qui rappresentate e schierate.

  Ma se noi parliamo all'assemblea e al governo, nello stesso tempo parliamo al paese, perché sappiamo che domani il paese sarà chiamato a dire la sua parola; verrà consultato in nuove elezioni, in quella che è l'istanza suprema della democrazia. Ebbene, noi vogliamo che il paese sappia meglio qual è l'obiettivo che noi ci proponiamo, che cosa oggi vogliamo fare. Vogliamo che il paese sappia che domani, dando a noi il maggior numero dei propri voti, voterà per un partito il quale, qualunque sia la sua forza in questa assemblea, continuerà a fare una politica di unità o di collabora­zione di tutte le forze democratiche e repubblicane.

  Signori, soltanto in questa politica noi vediamo la salvezza del nostro paese. Voi questa politica non la state facendo e non la po­tete fare. Voi non siete dunque il governo di cui oggi ha bi­sogno l'Italia (vivissimi prolungati applausi all'estrema sinistra; mol­te congratulazioni).