Gli insegnamenti del compagno Mao e la nostra lotta

Dall'editoriale di "Vento dell'Est", n. 44, gennaio 1977, pp. 12-21.

... In ottobre, quando già il numero era stato discusso nelle sue linee di fondo ed era stato avviato il lavoro di redazione, la nuova grave spaccatura rivelatasi ai vertici del P.C.C., la profon­da crisi che essa ha messo in luce, le forme con cui è stata risolta, gli indirizzi che ne sembrano emersi, ci hanno bruscamente riportato agli sviluppi più attuali della lotta politica in Cina.

E' noto come, a seguito delle notizie in precedenza diffu­se dalla stampa occidentale e revisionista, il 24 ottobre sia stata data notizia in Cina dell' "annientamento della banda antipartito dei quattro" e della nomina, avvenuta il 7 ottobre, di Hua Guo-feng, già primo vice presidente, a presidente del Comitato centrale e della Commissione militare del C.C. del P.C.C, in aggiunta agli incarichi di primo ministro e di ministro della sicurezza pubblica che già deteneva. Wang Hongwen, Zhang Chunqiao, Jiang Qing e Yao Wenyuan, accusati di mirare ad "usurpare il potere nel Partito e nello stato" sono stati rimossi dagli alti incari­chi che detenevano nella vicepresidenza, nel Comitato permanen­te dell'U.P. e nello stesso Ufficio politico del Comitato centrale del P.C.C e nel Dipartimento politico dell'E.P.L. e sono stati arrestati con misure definite "drastiche ed eccezionali" al di fuo­ri delle procedure previste dallo Statuto del Partito. A seguito di ciò si è mossa in Cina una gigantesca campagna di denunce e di accuse contro i "quattro", è stata lasciata cadere la campagna contro la "ventata di destra" e di critica di Deng Xiaoping, si sono allargate le misure amministrative nei confronti di una cer­chia sempre più ampia di "complici dei quattro", la tematica del dibattito politico, su cui pareva avviata la lotta di classe e la lotta tra le due linee in Cina soprattutto dall'inizio del '76 è sta­ta in gran parte rovesciata.

Tutto ciò ha creato un grande disorientamento nell'opi­nione pubblica anche nel nostro paese. La stampa borghese e re­visionista ne ha approfittato per interpretare gli avvenimenti nel modo più fosco, come la fine del maoismo, dell' "utopia" rivolu­zionaria e comunista in Cina, collo scopo di dare un nuovo du­rissimo colpo alle speranze di emancipazione di quanti, dal pen­siero di Mao e dalle vittorie della rivoluzione socialista in Cina, hanno tratto ispirazione per le loro lotte. In mezzo alle stesse masse rivoluzionarie che, partendo da opposte posizioni di classe non possono condividere quella prospettiva e che, proprio sulla base dell'insegnamento di Mao hanno assoluta fiducia nella vo­lontà rivoluzionaria del proletariato e del popolo cinese e nelle sue avanguardie politiche, si è diffuso un grave senso di disagio e di preoccupazione.

Sentimenti del genere, con diverse accentuazioni, si sono presentati anche tra di noi, tra i compagni della redazione di Ven­to dell'Est e del nostro Istituto. Infatti i quattro dirigenti arrestati ci sono sempre apparsi come legati ad una linea di sinistra nel Partito, per il ruolo di primo piano svolto soprattutto a partire dalla rivoluzione culturale, per la loro partecipazione, a fianco di Kang Sheng e altri, al gruppo del Comitato centrale incaricato della Rivoluzione culturale, per le cariche a cui erano stati chia­mati al IX e al X Congresso del Partito. In particolare due di essi, Zhang e Yao, nella primavera del 1975 avevano dato un notevole contributo al chiarimento teorico delle direttive del pre­sidente Mao sulla dittatura del proletariato e sulle basi sociali del revisionismo. Il repentino cambiamento di fronte avvenuto in ot­tobre ha quindi creato in noi profonde perplessità. La questione di chiarire fino in fondo a noi stessi la coerenza delle nostre posi­zioni, i metodi di lavoro che abbiamo seguito in tutti questi anni e tutti gli elementi di informazione utili per cogliere il senso e la portata degli attuali avvenimenti in Cina, si è posta in modo vivo.

Noi abbiamo sempre avuto chiara coscienza, fin dalla no­stra prima pubblicazione "Le divergenze tra il compagno To­gliatti e noi" nell'aprile del 1963, e non l'abbiamo mai nasco­sto, che si è trattato per noi di un lavoro militante. La nostra stes­sa rivista è sempre stata di parte, nel senso che fin dalla nascita ci siamo riferiti non genericamente alla Cina, ma alla linea e al pen­siero di Mao, con l'obiettivo esplicito non solo di capirne il valore e stimolare i compagni italiani ad assimilarne gli insegnamenti, ma anche di difenderli contro i numerosi tentativi di attacco e di distorsione, che venissero dall'Italia o dalla stessa Cina. Gli alti e i bassi della lotta di classe in Cina li abbiamo vissuti come contri­buti o detrazioni vive alle lotte rivoluzionarie del proletariato e del popolo italiano. Tutti i documenti, gli articoli, gli scritti della stampa cinese, le inchieste delle nostre delegazioni e i nostri commenti che abbiamo finora pubblicato, sono stati essen­zialmente quelli che via via ci parevano rappresentare meglio le posizioni maoiste e le argomentazioni e le elaborazioni della si­nistra rivoluzionaria, contro la destra revisionista in Cina. Nella complessità e nelle tortuosità della lotta di classe, la nostra pre­occupazione fondamentale è stata quella di analizzare in primo luogo le posizioni ideologiche e la linea politica che vi si esprime­vano e di valutarle in base alla loro coerenza col pensiero di Mao e la loro incidenza nei progressi della società socialista.

E' da questa posizione che noi abbiamo cercato di superare le difficoltà che si presentano per chiunque dall'esterno cerca di comprendere la realtà politica e sociale della Cina. Come è noto non si tratta solo della lingua, non solo del modo allusivo col quale problemi e posizioni sono sovente presentate - questo è forse un residuo confuciano sul quale non sarà male intrattenersi - e della riservatezza - pienamente legittima del resto - che copre una quantità di documenti e di informazioni interne cinesi, ma soprattutto della grande complessità e peculiarità del mondo cinese. Queste difficoltà noi ci siamo sempre sforzati di superarle, cercando di presentare gli avvenimenti in Cina nel quadro di una analisi il più possibile approfondita dell'intero "spaccato" del corpo sociale e con riferimento ai procedimenti storici. Per questo abbiamo combattuto la tendenza imperversante di valutare le cose cinesi unicamente sotto l'aspetto verticistico degli spostamenti di personale politico ai livelli più alti. Se abbiamo dato ampio spa­zio ai pronunciamenti ufficiali e agli scritti di politica generale, abbiamo cercato di renderci conto anche delle misure operative e della pratica concreta in cui queste linee venivano tradotte, inte­grando le informazioni di stampa, ogni volta che ci è stato possi­bile, colle inchieste delle nostre delegazioni, soprattutto a livello intermedio degli enti locali e delle unità produttive e a quello dì base degli operai, contadini e delle loro famìglie.

Questo non significa che siamo stati sempre soddisfatti dei risultati raggiunti. Proprio avendo la pretesa di cogliere tutto lo spessore del corpo sociale della Cina, di rifuggire dalla superficia­lità e dall'apriorismo, è stato per noi forse più difficile esprimere immediatamente valutazioni precise su ogni fase della lotta politi­ca fin dal suo inizio. Senza che questo significhi un accostamento meccanico tra i due avvenimenti, i compagni ricorderanno come anche in occasione del caso, altrettanto traumatico, della caduta di Lin Biao, nonostante allora fosse ancora Mao a dirigere il parti­to comunista cinese, non abbiamo preso una posizione sulla vicen­da finché non ci siamo convinti (dopo oltre due anni) che la linea rivoluzionaria stava andando avanti, e Lin Biao si era effettiva­mente fatto portatore di posizioni antimaoiste, mistificatorie e re­pressive nei confronti delle masse. Nel numero 31-32 della rivi­sta scrivemmo allora alcune osservazioni sulla difficoltà nostra di afferrare immediatamente la sostanza degli scontri politici in Cina, sulla necessità di far sempre riferimento ai loro ter­mini reali, di classe, termini non sempre decifrabili chiaramen­te per le stesse modalità di svolgimento delle lotte interne di partito (che prima di esplodere alla luce del giorno sono tenute rigorosamente nascoste agli stranieri, anche se compagni) e per il linguaggio con cui si riflettono nella stampa. Anche se comporta questo inconveniente, il nostro metodo ci pare l'unico che assicuri una correttezza di giudizio adeguata al nostro impegno politico.

Per quanto riguarda il merito degli avvenimenti di otto­bre, anche dopo gli sviluppi che si sono avuti fino a dicembre, non ci pare che i principali interrogativi di fondo abbiano finora avuto una risposta che consenta di dissipare le generali perplessità.

Misure come quella dell'arresto preventivo dei quattro dirigenti e dell'imposizione del controllo militare su alcune unità e località potrebbero spiegarsi solo in caso di minaccia imminente di un colpo di stato tipo quello tentato da Lin Biao nel settembre '71. Sinora nessuna denuncia concreta e circostanziata è comparsa che renda verosimile questa ipotesi.

Sino ad oggi non sappiamo quale organo dirigente del partito abbia deciso le misure prese contro i quattro, né abbiamo notizia di una riunione del Comitato centrale nella quale siano state discusse e approvate le accuse e ratificate le eventuali deci­sioni organizzative nei loro confronti. Il solo comunicato ufficiale di cui sinora abbiamo potuto prendere visione è stato quello del 7 ottobre, con le decisioni sulla costruzione del mausoleo di Mao e la pubblicazione dei suoi scritti. La stessa nomina da parte del C.C. di Hua Guofeng a presidente del C.C. e della Commissione militare è stata annunciata ufficialmente solo il 24, nel discorso te­nuto da Wu De nel corso delle manifestazioni di Pechino.

Ci troviamo di fronte anche ad una situazione di carenza istituzionale per quanto riguarda i vertici del partito e dello Sta­to. Con l'esclusione dei quattro l'Ufficio politico ha perduto un quarto dei suoi membri effettivi, mentre quelli del suo Comitato permanente sono ridotti a due.

Sia ben chiaro che questi interrogativi sull'aspetto istitu­zionale non sono dettati tanto da preoccupazioni di legalità for­male, ma derivano piuttosto da alcune constatazioni tutt'altro che rassicuranti sul ruolo svolto dalle masse e dalla base stessa del partito in tutta la faccenda. A differenza degli esperti, o sedicenti tali, che scrivono sulla stampa borghese, chiunque abbia un mini­mo di conoscenza diretta della Cina sa bene che contraddizioni come quella che stava maturando ai vertici del partito negli ultimi anni, sono percepite e vissute anche alla base, e anche fuori del partito, sebbene in misura assai diversa nelle varie situazioni. I cinesi "leggono" in modo molto diverso da noi i messaggi che vengono dalla stampa e dagli altri mezzi di informazione; esisto­no canali di comunicazione all'interno del partito o degli organi­smi di massa, attraverso cui vengono diffuse direttive, circolari e altri documenti inaccessibili a noi (ma spesso non alle centrali spionistiche di Hong Kong, Taiwan e Mosca). Gli stessi dirigenti centrali si spostano frequentemente e vanno a fare discorsi e riu­nioni o nelle unità di base, o in assemblee di rappresentanti dì settori o di zona. L'esperienza degli anni scorsi ha dimostrato che quando si creano divisioni al vertice, sia i documenti trasmessi dal centro, sìa gli interventi dei dirigenti hanno toni diversi o ad­dirittura contrastanti. Non dimentichiamo infine che proprio ne­gli ultimi anni il grado di conflittualità nella società cinese è sta­to molto forte, sino alla scoppio di incidenti clamorosi come quelli di aprile, sulla piazza Tien 'Anmen.

Ma il punto è un altro. Sino ai fatti del 6 ottobre, gli er­rori dei quattro non sono mai venuti alla luce nella stampa, sia pure indirettamente, ossia centrando il discorso sui termini ideo­logici e di stile di lavoro della deviazione e tacendo i nomi delle persone, così come avvenne nel '70-'71 per la critica di Chen Boda e Lin Biao. E anche dopo la decisione delle misure repressive, e per tutta la fase della mobilitazione di massa culminata alla fine di ottobre nelle grandi manifestazioni di piazza, abbiamo let­to solo una valanga di accuse riguardanti il comportamento dei quattro sul piano personale, senza reali analisi di lìnea politica. Molte delle accuse, riprese in gran parte anche dalla stampa, sem­brano gonfiate sino all'assurdo, destinate a trovare un'eco nella parte più retriva dell'opinione pubblica, a canalizzare, senza guar­dare per il sottile, un arco assai eterogeneo e spurio di risentimenti e malcontento, per colpire un bersaglio politico che chiedeva un ben diverso livello di critica (e anche di autocritica).

Credevamo che il ricorso alla demonologia nella lotta po­litica fosse ormai un ricordo del passato. La campagna di critica contro Deng Xiaoping ci aveva offerto un ben diverso esempio di analisi storica e materialistica di un processo involutivo. Era stato spiegato in modo assai convincente come uno stesso personaggio, dopo aver svolto un ruolo attivo in una fase precedente della rivo­luzione, possa diventare bersaglio della rivoluzione nel corso del suo approfondimento e del passaggio ad una fase successiva.

Ma queste preoccupazioni sui metodi della lotta potrebbe­ro passare relativamente in secondo piano se non si accompagnas­sero ad altri interrogativi, più inquietanti, sul merito di tutta la vi­cenda. Abbiamo già spiegato parlando del "caso Lin Biao" (cfr. Vento dell'Est, n. 31-32, p. 14) perché, a differenza dei bempensanti di destra e di sinistra, non ci sorprenda e non ci scandalizzi la carica di violenza che assumono a volte le lotte politiche in Ci­na. Ma per quest'ultima lotta non possiamo fare a meno di porci un problema. L'ampiezza e le forme della mobilitazione, l'uso degli appellativi più idonei a screditare totalmente l'avversario, le stesse dichiarazioni ufficiali cinesi, secondo cui questi dirigenti estromessi non sarebbero più recuperabili, significano che la con­traddizione è stata considerata, e trattata, come una contraddizio­ne col nemico. Ben più grave quindi di quella derivante da una comune lotta di linea, più grave di quella con Deng Xiaoping, che pure era accusato di voler rovesciare i verdetti della rivoluzio­ne culturale e di voler restaurare il capitalismo!

Quali erano allora le colpe dei quattro? Le accuse di scis­sionismo e complotto non possono convincere se non ci viene di­mostrato in modo esauriente a favore di quali strati sociali, di quale classe, i quattro intendessero usurpare il potere, e con quali modalità concrete pensassero di instaurare il capitalismo. Definir­li, come a volte fa oggi la stampa cinese, "tipici rappresentanti" della borghesia nel Partito, è un'accusa che francamente non ci persuade. Il concetto di "borghesia nel partito" ha un contenuto scientifico e non propagandistico: è fondato sull'analisi della col­locazione e delle funzioni di un intero gruppo sociale rispetto a rapporti di produzione e di ripartizione storicamente determinati. Non può essere usato a piacimento per definire sìngoli individui dediti - così si è detto - alla deboscia, allo sperpero, alle vessa­zioni e alle calunnie e mossi da ambizioni personali. Sapendo quanto pesi nel processo rivoluzionario - e non solo in Cina - la scientificità dell'analisi e la possibilità per i militanti e per le masse di avere idee chiare sui contenuti politici e di classe della lotta, ci preoccupa vivamente ogni offuscamento dei termini delle con­traddizioni e l'uso strumentale di categorie maoiste che sono frut­to di decenni di bilancio teorico.

Ci chiediamo a questo punto come possa svolgersi, sìa pu­re post factum, un dibattito ampio e approfondito tra le masse sulle radici storiche e ideologiche degli eventuali errori commes­si dai quattro, visto il livello delle accuse e il clima di lotta "col nemico" che ormai si è instaurato. Tanto più che il nodo dello scontro - a quanto ci è dato di capire - non è nuovo, ma risale alle vecchie controversie che divisero le masse in grandi fazioni rivali sin dagli inizi della rivoluzione culturale. Ci sembrava di aver capito che Mao, nonostante le deviazioni di alcuni degli espo­nenti più rappresentativi, desiderasse mantenere aperta la dialetti­ca tra queste correnti, perché le divergenze investivano problemi cruciali, quali la valutazione dei diciassette anni precedenti la RC, quindi dei quadri dirigenti che avevano retto il potere sino al '66, il rapporto tra continuità e trasformazione, l'immissione dì "sangue nuovo" nel partito, ecc. Sarebbe grave se questa dialet­tica venisse soffocata, perché questo significherebbe, almeno ogget­tivamente, ridare fiato alla destra e rendere molto più difficile la crescita delle nuove realtà, e di nuove idee, indispensabili per evi­tare l'arenarsi del processo rivoluzionario.

Sul tema più generale del rapporto partito-masse c'è da rilevare un altro aspetto. Abbiamo già detto come Hua Guofeng accentri un numero di cariche superiore a quelle detenute dallo stesso Mao. Questa situazione probabilmente ha un carattere tran­sitorio e riflette uno stato di emergenza. Ci rendiamo anche conto della necessità di riempire il vuoto immenso lasciato dalla scom­parsa di Mao, e delle gravi difficoltà che presenta un compito del genere. Ma la drammaticità della congiuntura che sta attraversan­do la Cina non giustifica alcune affermazioni contenute in due recenti articoli del "Quotidiano dell'Esercito di Liberazione", che impostano il rapporto tra leader, partito e masse in termini che sembrano prescindere totalmente dalle tesi maoiste e da alcune acquisizioni di fondo della rivoluzione culturale. Ricorrendo a ci­tazioni tratte da "L'estremismo" di Lenin, senza tener conto del contesto storico e del bersaglio specifico di quello scritto, l'organo dell'esercito sposta l'accento del rapporto dialettico partito-masse, solo su uno dei due poli, quello del partito, e nel rapporto tra ba­se e vertice enfatizza il ruolo di quest'ultimo e in particolare del leader, con un'insistenza insolita per la stampa cinese. I due artico­li sono stati ripresi dall'organo ufficiale del PCC, ma c'è perlome­no da chiedersi come mai, su questioni così importanti per definire il ruolo del partito, non siano stati, com'era consueto, i tre organi congiunti («Quotidiano del popolo», «Quotidiano dell'E.P.L.» e «Bandiera rossa») a pronunciarsi.

D'altra parte sorgono anche perplessità riguardo alla linea ed all'attività politica dei quattro dirìgenti. La stessa facilità col­la quale hanno potuto essere spazzati dalla scena politica pone di­verse questioni: esse riguardano, perlomeno, la loro capacità, in una fase estremamente delicata della congiuntura politica in Ci­na, di interpretare correttamente le aspirazioni di fondo e gli stati d'animo presentì nelle masse e nei quadri ai vari livelli, di riu­scire ad unirne la grande maggioranza, dì prendere le misure po­litiche e organizzative idonee a far riuscire vincente quella linea di sinistra che si presuppone essi rappresentassero.

Molti altri interrogativi possono porsi, ai quali per ora non possiamo rispondere che con delle impressioni o delle ipotesi, che restano tutte da verificare nel breve e nel lungo periodo, pri­ma di poter caratterizzare la fase che si è aperta con gli avvenimenti di ottobre e di comprendere se si tratta di un semplice riag­giustamento, di un riflusso temporaneo in una delle tante tempeste della rivoluzione, o di un mutamento di corso più profondo.


A questo lavoro di verifica stiamo già lavorando, per rac­cogliere tutta la documentazione idonea a fornire elementi di giu­dìzio, per tradurre, nella misura in cui verranno, articoli di critica documentata delle posizioni e della linea politica dei quattro, ma anche - per un necessario confronto - testi degli anni scorsi che riflettano le loro posizioni. Stiamo sistemando il materiale di inchiesta raccolto dal compagno Regis in Cina nei mesi di otto­bre e novembre e cercheremo di arricchirlo con altra documenta­zione di prima mano. Con questi materiali e altri dati che ci sem­breranno significativi, cercheremo di verificare soprattutto la linea seguita dal nuovo gruppo dirigente del P.C.C, per trarne un giu­dizio il più possibile corretto e documentato.

Per questo, crediamo che dovremo anche tener conto di alcuni elementi che sono emersi soprattutto negli ultimi anni ed ai quali abbiamo dato forse insufficiente attenzione e che costitui­scono lo sfondo sul quale gli ultimi avvenimenti si sono maturati. Ci riferiamo soprattutto:

Al salto di fase o quantomeno di livello provocato, sulla base degli avanzamenti della costruzione economica in Cina negli ultimi 25 anni, dal varo delle quattro moderniz­zazioni all'Assemblea nazionale dello scorso anno. Abbiamo già scritto, ma vogliamo sottolinearlo di nuovo, che con questo programma lo scontro di linee sul rapporto politica-economia, ri­voluzione-costruzione (e quindi ricerca, gestione, pianificazione, formazione professionale ecc.) ha fatto un salto qualitativo, modi­ficando equilìbri economici e sociali del passato e dislocando i rapporti di forza.

All'alto livello raggiunto dal dibattito teorico su alcuni nodi cruciali della fase di transizione (problemi concernenti l'ac­cumulazione, le funzioni dell'impresa, il rapporto centro-perife­ria e unità produttive, concezione del partito e dello stato), ma anche ad alcune carenze significative. Ad esempio ci è sembrata scarsa o inesistente un'elaborazione su temi non secondari, come il rapporto tra democrazia e dittatura proletaria, il ruolo degli orga­nismi di massa, il problema ricorrente del fazionalismo, il rap­porto tra lotta alla borghesia nel partito e unità del partito. Un problema reale è anche quello di verificare il grado di diffusione e di comprensione di tematiche così complesse e portate alla ribal­ta in una successione incalzante nel giro di tre anni, quando era appena iniziata la difficile operazione di riesame e di critica della tradizione confuciana e di tutta la storia passata.

All'acuta conflittualità e al fazionalismo che hanno carat­terizzato gli ultimi tre o quattro anni con un crescendo, come ab­biamo già detto, che è culminato negli incidenti del mese di apri­le, a Pechino e in molte altre città. La conflittualità non si è ma­nifestata solo nel dibattito e nella polemica, ma anche con il rifor­marsi di fazioni, scioperi anche massicci, manifestazioni di piazza e scontri. L'aumento della tensione nell'ultimo periodo ha avuto come moltiplicatore una diffusa sensazione di incertezza e di an­sia, rilevata da compagni che vivono in Cina da molti anni, per la morte di numerosi esponenti del vecchio gruppo dirigente che costituivano sicuri punti di riferimento per la popolazione. E' inu­tile dire come questo stato d'animo si sia aggravato da giugno, con la diffusione della notizia, di significato inequivocabile, che Mao non poteva più ricevere personalità straniere.

Infine alla questione della successione, che assume un si­gnificato particolare se collocata nel quadro complessivo delineato sopra. Se è infatti vero che, dal punto di vista strategico, l'indiriz­zo era quello di formare milioni di successori di Mao, con la cre­scita politica delle masse, è indubbio che nella congiuntura stori­ca attraversata dal paese con la scomparsa di una guida indiscus­sa, è venuta in primo piano l'importanza di un nucleo dirigente capace di proseguirne l'opera, garantendo la continuità in una situa­zione nuova e densa di contraddizioni e difficoltà. E' assai proba­bile che proprio su questo nodo, e in particolare sulla valutazioni dell'assetto del gruppo dirigente deciso in aprile, si sia verificata l'ultima grave spaccatura.

Come si vede si tratta di un quadro di situazioni e di problemi molto vasto, nel quale la questione di quanto sta a monte degli ultimi avvenimenti è di primaria importanza. Per questo, avendo dovuto lasciare indietro il numero dì "Vento dell'Est" de­dicato a Mao (al quale stiamo comunque lavorando e che vedrà la luce nei prossimi mesi) ed essendo per ora impossibile presentare, coerentemente alle posizioni e al metodo che abbiamo sem­pre cercato di seguire nel nostro lavoro, un quadro documentato, convincente e responsabile della linea politica che si è espressa ne­gli avvenimenti di ottobre, abbiamo ritenuto opportuno dedicare questo numero alla documentazione ulteriore dei termini in cui si presentava lo scontro politico in Cina fino alla scomparsa di Mao.

Essa comprende le inchieste fatte dalla nostra delegazione che è stata in Cina nel mese di luglio, articoli tratti dalla stampa cinese dell'epoca e inoltre la traduzione del testo integrale dei do­cumenti redatti sotto la direzione di Deng Xiaoping, "Il pro­gramma generale" e "I venti punti sull'industria" che erano stati oggetto di critiche della sinistra dalla primavera scorsa. Essi forniscono strumenti interpretativi dei problemi venuti a maturazione dopo dieci anni di rivoluzione culturale e dimo­strano anche come, in una misura notevole, fossero gli stessi operai, coi loro gruppi teorici a maneggiare certi strumenti del marxismo per prepararsi a discernere e respingere eventuali "ven­tate di destra" revisioniste che in ogni momento potevano partire anche dai vertici del Partito.

Noi sappiamo, e lo abbiamo scritto nell'ultimo numero della nostra rivista, che la soluzione di contraddizioni complesse come quelle venute alla luce negli ultimi tempi, e che sono in so­stanza le contraddizioni del passaggio al comunismo, richiede una lotta di lunga durata che sì protrarrà per generazioni con fasi al­terne. Ma sappiamo anche che gli insegnamenti di Mao, il patri­monio ideologico e politico accumulato attraverso le prove più dure nel corso di due generazioni, le novità della rivoluzione culturale, hanno gettato profonde radici, negli operai, nei conta­dini, nei soldati e nei comunisti cinesi. Siamo quindi certi che essi continueranno a lottare per difendere e sviluppare queste con­quiste, fino alla vittoria finale della rivoluzione proletaria.