Associazione Stalin

Capire Togliatti e il togliattismo

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RESISTENZA, REPUBBLICA COSTITUZIONE
direttive ai comunisti italiani dopo la caduta del fascismo

Premessa

Per valutare le questioni poste da Togliatti al suo arrivo in Italia e, successivamente, fino alla Costituente dobbiamo uscire dalla retorica resistenziale e analizzare le questioni essenziali con cui i comunisti italiani si sono misurati a partire dall' 8 settembre 1943. Anche perchè è su quel momento storico che si accentrano la discussione sulle scelte fatte e gli attacchi da 'sinistra' che vengono mossi a Togliatti. Abbiamo messo le virgolette sulla parola 'sinistra' perchè è nostra intenzione andare a una verifica della giustezza delle critiche e rendere oggettive le analisi a partire dalla documentazione che alleghiamo a questo capitolo. In altri termini si tratta di fare i conti col concetto di rivoluzione mancata, la cui responsabilità viene ovviamente attribuita al leader del PCI, e di capire quanto questa accusa corrisponda in realtà a un'impostazione che potremmo definire trotsko-emmellista e quindi velleitaria e puramente ideologica.

  Per giudicare abbiamo però bisogno innanzitutto di valutare il contesto storico e porci una prima domanda: quali erano i compiti che i comunisti si erano dati nel quadro della seconda guerra mondiale? Già dal VII congresso dell'Internazionale si era detto che il fascismo era il nemico principale da battere e quindi in quel contesto andavano misurate le alleanze e determinati i rapporti di forza.

  Quando Togliatti arriva in Italia la guerra durava da alcuni anni e le forze in campo erano già da tempo dislocate anche sul teatro delle operazioni militari. Nel caso dei comunisti italiani si trattava di tener conto di due cose: da una parte bisognava guidare lo scontro armato contro il fascismo in modo da dimostrare ai lavoratori e agli italiani il ruolo del Partito comunista nella liquidazione del fascismo e della presenza nazista nella penisola e dall'altra bisognava determinare, nel nuovo scenario, gli obiettivi politici dopo la vittoria.

  Per far questo c'era bisogno di partecipare alla guerra di liberazione nelle migliori condizioni politiche, creando una unità nazionale antifascista che ne fosse la premessa. Questo viene spiegato da Togliatti nell'assemblea dei quadri comunisti riunitasi l'11 aprile 1944 a Napoli (La politica di unità nazionale dei comunisti, [qui]) in cui egli dice appunto: “Ultimamente, dopo la riunione del nostro Consiglio naziona­le, che ha avuto luogo qui in Napoli una settimana fa, abbiamo preso una iniziativa politica. Nelle sue grandi linee voi la conoscete. Essa si è concretata in una nostra risoluzione, che abbiamo pre­sentata alla discussione ed alla approvazione degli altri partiti politici democratici e antifascisti che si raccolgono nel movimento dei Comitati di liberazione e sono rappresentati nella Giunta eletta dal Congresso di Bari. Questa iniziativa politica ha già suscitato vasta eco di commenti e, in un certo senso ha già contribuito a cambiare la situazione del nostro paese o per lo meno ha iniziato un cambiamento, che noi speriamo possa continuare e compiersi in modo felice. Siamo dunque venuti qui oggi, com'era nostro dovere, a spiegare a voi militanti del partito qual è il contenuto di questa nostra azione politica; quali sono i motivi che ce l'hanno dettata; e qual è il modo come intendiamo svilupparla.” “La nostra politica - aggiunge Togliatti - è una politica di massa; essa è, e vuole esse­re, una politica popolare: e popolare e di massa deve essere il metodo col quale la traduciamo in pratica. Rivolgendoci direttamente all'opinione pubblica e alle masse popolari noi ci siamo assunte tutte le nostre responsabilità, come non avremmo potuto fare se il nostro pensiero e le nostre proposte fossero andate disperse in una serie di conversazioni e trattative non sempre feconde. Un altro metodo, il quale ci impegnasse in trattative più o meno segrete, (il segreto, in questi casi, è sempre di quelli che tutti conoscono, perché se ne parla in tutti i caffè e in tutti i ritrovi, e persino nelle strade e nelle piazze) non si adattava non solo alla nostra politica, ma alla stessa situazione in cui ci troviamo, perché avrebbe con­tribuito non a risolverla ma, forse, ad aggravarla”.

  E più avanti: “Ma possiamo noi oggi limitarci a una posizione di questo genere? Al popolo italiano, ai trenta e più milioni che soffrono e gemono sotto il tallone tedesco e agli altri dieci milioni che qui nelle zone libere si trovano di fronte a così gravi problemi, possiamo noi limitarci a ripetere che la colpa non è nostra e che se la prendano coi responsabili?”

  ”Se ci limitassimo a prendere una posizione simile, sbaglierem­mo radicalmente: ci taglieremmo, di fatto, dalla vita della nazio­ne. La nazione non si può limitare a prendere atto della catastrofe e a precisarne i responsabili. Essa cerca una via di salvezza, una via per uscire dal baratro in cui si trova. Il nostro dovere è di indicare concretamente questa via e di dirigere il popolo verso di essa e su di essa, a passo a passo, partendo dalle condizioni precise del mo­mento presente. Se ci rifiutassimo di farlo o non fossimo capaci di farlo se ci riducessimo ancora una volta alla funzione di un'as­sociazione di propagandisti che maledicono il passato, sognano un avvenire lontano, ma non sanno né consigliare né fare nulla nel presente, non soltanto condanneremmo il partito stesso a una vita stentata e grama, priva di rapidi e sicuri sviluppi. Se facessimo una cosa simile, - e questo è assai più grave, - verrebbe meno alla clas­se operaia, verrebbe meno al popolo e a tutta la nazione quella guida di cui essi hanno bisogno, - una organizzazione d'avanguar­dia, cioè, che sia capace di esaminare con freddezza e con serenità tutte le situazioni e che a tutte le situazioni sappia indicare una via di uscita e dirigere il popolo verso di essa, senza mai perdere di vista gli obiettivi finali della rinascita del paese e della realizzazione delle più profonde aspirazioni popolari”[...]

  “Oggi che il problema dell'unità, della libertà e dell'indipenden­za d'Italia è di nuovo in giuoco, oggi che i gruppi dirigenti reazio­nari hanno fatto fallimento, perché la storia stessa ha dimostrato che la loro politica di rapina imperialista e di guerra non poteva portare l'Italia altro che ad una catastrofe; oggi la classe operaia si fa avanti col suo passo sicuro, e conscia di tutti i suoi doveri riven­dica il proprio diritto, come dirigente di tutto il popolo, di dare la sua impronta a tutta la vita della nazione.” “La bandiera degli interessi nazionali, che il fascismo ha trasci­nato nel fango e tradito, noi la raccogliamo e la facciamo nostra; liquidando per sempre la ideologia da criminali del fascismo e i suoi piani funesti di brigantaggio imperialista, tagliando tutte le radici della tirannide mussoliniana, noi daremo alla vita della nazione un contenuto nuovo, che corrisponda ai bisogni, agli interessi, alle aspirazioni delle masse del popolo”.


  Questo è lo spirito con cui Togliatti affronta la discussione coi quadri comunisti a Napoli e dietro questa linea non solo trascina il partito, ma rende possibile anche il compattamento delle forze presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale.

  Ma fin dove spaziava la strategia di Togliatti a partire da queste premesse?

  

  Per definire i nuovi compiti storici del partito e del movimento di liberazione nazionale dopo la liquidazione del fascismo, la valutazione che egli fa, assieme a tutti i partiti comunisti europei (e con l'URSS di Stalin) è che nel contesto internazionale determinato dalle alleanze militari realizzate bisognasse lavorare per creare in ciascun paese impegnato nella guerra contro il fascismo una forma di governo che apportasse profonde riforme sociali e istituzionali.

  In Italia questa linea di azione prende corpo già nel corso della Resistenza con un accordo tra i partiti in base al quale la questione istituzionale sarebbe stata affrontata una volta liberata l'Italia e la trasformazione istituzionale e sociale sarebbe stata affidata a una assemblea costituente.

  Ragionandoci oggi tutto questo viene fatto apparire quasi scontato o affidato alla retorica resistenziale. E la stessa cosa vogliono far credere i critici di 'sinistra' i quali ignorano che la storia si pone i problemi che può risolvere, e non segue la logica di chi prescinde dalla valutazione concreta delle condizioni oggettive e da quello che bisogna fare in un dato momento. E queste condizioni non prevedevano allora il passaggio dalla Resistenza alla rivoluzione socialista, ma dalla Resistenza a un sistema istituzionale il più possibile avanzato. Bastava analizzare perciò il contesto storico e i rapporti di forza per capire il che fare? di allora, ma tutto questo non può interessare i fautori delle rivoluzioni virtuali.

  Togliatti invece insiste, dal primo momento della ripresa della sua attività in Italia, su come va affrontata la situazione. Dopo l'assemblea dei quadri del partito dell'11 aprile a Napoli, il 3 ottobre 1944 si tiene un importante incontro a Firenze, poco dopo la liberazione della città, e in quella sede Togliatti tiene un discorso ai comunisti fiorentini in cui riassume e illustra le più importanti questioni di linea politica: I compiti del partito nella situazione attuale, [qui]). In particolare egli sottolinea due aspetti: il carattere del partito e la funzione che esso era chiamato a svolgere.

  “Quindi, per riassumere e precisare bene - dice Togliatti - noi partecipiamo al governo, ma in pari tempo, noi ci riserviamo tutto il diritto di criticare l'azione del governo, quando essa non corrisponda al nostro programma ed alle necessità del popolo e alle aspirazioni delle grandi masse.

  Naturalmente questa critica, data la presenza della commissione e dell'amministrazione alleate, la dobbiamo fare, e la facciamo, in maniera che non possa creare situazioni che non siano ammissibili finchè c'è la guerra, che viene condotta nell'interesse di tutto il popolo italiano, fino alla vittoria ed allo schiacciamento completo della Germania. Naturalmente noi cerchiamo di far avanzare il più rapidamente possibile la soluzione dei vari problemi.”


  Certamente, conclude Togliatti, inquadrando le questioni generali sul tappeto “noi ci troviamo oggi veramente in un momento critico della storia mondiale, europea, della storia del nostro paese. Noi dobbiamo saper comprendere qual è l'obiettivo che oggi si propone il popolo italiano. L'obiettivo è quello di distruggere completamente il fascismo […] Voi dovete essere sicuri che combattere per il raggiungimento di questo obiettivo significa lavorare oggi per la realizzazione di quello che è stato sempre il nostro programma.”

   L'appuntamento con il referendum su repubblica o monarchia del 2 giugno 1946, che avrebbe anche visto la sua elezione alla Costituente, diventava il passaggio necessario, il banco di prova di ciò che Togliatti andava ripetendo dal suo arrivo in Italia e cioè che, una volta sconfitto militarmente il fascismo, bisognava modificare profondamente le strutture dello stato. Intanto bisognava liquidare la monarchia, e il risultato fu raggiunto anche se i numeri del referendum dimostrarono che l'area conservatrice della società italiana che andava dalla destra alla DC aveva già nel 1946 un peso notevole (solo un milione di scarto tra repubblicani e monarchici).

  La Costituente fu poi il terreno su cui si andarono misurando concretamente dopo la Liberazione i rapporti di forza tra il blocco conservatore e i comunisti e l'area della sinistra dentro cui, è bene ricordare, anche il PSI aveva un ruolo importante. Il dibattito e le decisioni della Costituente riflettevano l'andamento della situazione che vedeva, in modo prevalente, il lavorio del blocco conservatore che voleva limitare i danni per i ceti possidenti e preparare anche il terreno per il rovesciamento delle alleanze. L'operazione indubbiamente riuscì ai partiti della conservazione e del clericalismo, in particolare nel corso dell'approvazione di vari articoli della Costituzione.

  Le questioni più note - e anche quelle su cui più si concentra l'attacco da 'sinistra' - si riferiscono all'amnistia concessa da Togliatti ai fascisti e all'approvazione dell'art.7 con l'inclusione dei Patti lateranensi nella Costituzione. Queste due scelte, attribuibili direttamente a Togliatti che in quel periodo ricopriva la carica di guardasigilli, indubbiamente costituirono il grimaldello per permettere a molti fascisti di scampare a un giusto e necessario verdetto (soprattutto attraverso le interpretazioni che ne dettero i magistrati ereditati dal fascismo), mentre l'art.7 rimise al centro della scena la chiesa cattolica che costituì la base sui cui la DC costruì le sue fortune e il suo potere in Italia.

  Certamente Togliatti, che non era uno sprovveduto, e con lui il partito comunista, non poteva non aver valutato quelle scelte. A posteriori si può ritenere che nel momento in cui fu concessa l'amnistia ai fascisti e approvato l'art.7 si voleva sgombrare il terreno da due trappole che secondo le previsioni potevano far saltare il banco della politica di collaborazione nazionale e dare alla DC la possibilità di anticipare la resa dei conti coi comunisti prima della conclusione dei lavori della Costituente e della definizione della parte che riguardava i principi essenziali dell'architettura costituzionale.

  Ha avuto successo la condotta di Togliatti? Se oggi si parla molto a sinistra di difesa dei principi costituzionali, dall'art.11 sul ripudio della guerra, alla difesa dei diritti sociali dei lavoratori e dei cittadini, alla funzione sociale dell'economia e così via, dobbiamo ritenere che Togliatti e il PCI qualche idea su come fronteggiare la situazione, resa difficile dalla presenza americana e dall'azione del Vaticano, a livello tattico l'avevano elaborata.


   Fu proprio Togliatti che presentò la relazione sui diritti e i rapporti sociali alla prima sottocommissione per la elaborazione della nuova Costituzione. Questa relazione (che riportiamo [qui]) culmina con la proposta di articoli, molti dei quali si ritrovano pari pari nel testo finale della Costituzione. Mancano però gli ultimi due, e non a caso: quello che istituiva i consigli di gestione nelle fabbriche e quello sui principi generali della riforma agraria. DC e liberali non erano disponibili a ingoiare il rospo. E anche qui si dovette scegliere un compromesso.

  Le manovre generali per riportare indietro la situazione del resto erano iniziate ben prima della conclusione dei lavori della Costituente. Prima che si arrivasse alla firma, nel dicembre 1947, c'era stata la scissione del PSI e la nascita del partito di Saragat sostenuto e foraggiato dagli americani e la caduta, di conseguenza, del governo di collaborazione nazionale diretto da Alcide De Gasperi.

  La resa dei conti era dunque arrivata e americani, Vaticano e blocco conservatore erano pronti non solo al cambio della maggioranza, ma a fare qualcosa di molto più definitivo, la liquidazione del PCI e per questo erano pronti anche a scatenare una guerra civile.

  Già nella fase finale dei lavori della Costituente, nella seduta del 26 settembre 1947, Togliatti interviene a illustrare una mozione di sfiducia contro quello che definisce 'il governo della discordia' ([qui]) che si era formato con l'esclusione dei comunisti e dei socialisti. La mozione di sfiducia riguardava non tanto le questioni di ordine generale, che pure c'erano, quanto il fatto che - siamo solo nel settembre 1947 - contro il PCI era già stata scatenata una campagna repressiva per le manifestazioni promosse per impedire un governo di destra a guida DC.

  “L'Assemblea costituente, - così recitava la mozione - di fronte alle misure delle autorità di pubblica sicurezza e prefettizie che limitano la libertà di propaganda e agitazione, e le libertà democratiche in generale, nega la sua fiducia al governo e passa all'ordine del giorno.” Ovviamente la mozione non fu approvata ma essa mostra chiaramente che il PCI si trovava nuovamente in trincea. Togliatti, illustrando la mozione di sfiducia, denunciava infatti a che punto era arrivata la situazione nel paese:

  “Incomincio dunque da questi atti... ordini severi, ripeto, vennero dati a tutte le autorità di tutta la Repubblica di non permettere l'affissione di questi manifesti; vennero mobilitate le forze di polizia, motorizzate con jeep, mitragliatrici etc, non soltanto per impedire l'affissione - e di qui una serie di incidenti - ma per lacerare perfino i manifesti già affissi servendosi di soldati delle forze di polizia adibiti a questa poco eroica funzione”.

  Ma la denuncia di Togliatti non si limitava a questo. Nel corso del suo intervento egli sottolinea altri fatti molto gravi di neosquadrismo in una parte del paese, il Friuli-Venezia Giulia, dove si era scatenata una vera e propria caccia ai comunisti e alla minoranza slovena.

  Tutto questo però, dice Togliatti, trova il PCI capace di affrontare la nuova situazione. “Non vi è nessuno spirito di sconfitta, oggi, nella classe operaia e nelle fondamentali categorie lavoratrici. Al contrario; la classe operaia in questo dopoguerra ha compreso molto bene la via per la quale la conducono i suoi partiti; via di realizzazioni graduali vittoriose, via che evita di cadere nel tranello della provocazione o poliziesca o padronale, e che mantiene compatte le forze del lavoro per le battaglie che devono essere combattute l'una dopo l'altra, per creare nel nostro paese un vero, stabile regime di democrazia e avviare la soluzione delle più gravi questioni sociali.”

  In questo clima, il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione Repubblicana e si apre lo scontro per applicarla.