Associazione Stalin

Capire Togliatti e il togliattismo

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La via italiana al socialismo

Premessa
Togliatti in mezzo al guado
tra riforme e controrivoluzione

Qual era la prospettiva che Togliatti indicava dopo il XX congresso del PCUS? Quali variazioni strategiche venivano apportate alla linea del PCI? Quali conseguenze ebbero nella situazione interna al partito?

  Su questi tre interrogativi non abbiamo avuto fino ad oggi risposte convincenti da parte di un'area comunista che non sia in modo preconcetto schierata sul versante trotskista o sul suo equivalente emmelle, e che sappia invece mantenere una capacità di analisi oggettiva.

  Quelli che hanno preso posizione hanno spesso risolto le questioni con la logica di chi getta l'acqua sporca col bambino oppure fa l'apologia del vissuto, col risultato che quando il PCI è arrivato al punto del non ritorno ci si è trovati di fronte ai Cossutta, ai Bertinotti e anche peggio. Non solo, ma questo modo di fare ha portato anche a bloccare un'elaborazione politica corretta, condannando i ricostruttori di una ipotetica ripresa comunista in Italia alla completa sterilità, dal momento che, per riprendere un percorso di trasformazione sociale e politica, non si poteva prescindere dall'espe­rienza togliattiana e da una valutazione seria e oggettiva dei risultati ottenuti dal PCI sotto la sua direzione. E questo non solo su singoli punti di programma, ma su questioni epocali, la Resistenza, la Repubblica, la Costituzione, in cui Togliatti ha avuto un ruolo determinante. E, aggiungiamo noi, anche se se ne parla poco o niente, per la vittoria in quella che abbiamo chiamato 'guerra di posizione' nel periodo 1948-1953, la guerra che, nelle intenzioni della DC, del Vaticano e degli americani, avrebbe dovuto liquidare il partito comunista con i suoi milioni di elettori e soprattutto i due milioni e passa di militanti.

   Su tutto ciò non si tratta solo di riconoscere i risultati raggiunti, ma soprattutto di comprendere in che modo, con quale strategia fu possibile farlo. La mancata comprensione di questa questione cruciale si è resa manifesta nei decenni successivi quando le 'rifondazioni' comuniste hanno prodotto un misto di massimalismo parolaio e opportunismo di fatto, senza un riferimento storico alle fasi che i comunisti italiani avevano attraversato nel periodo di ascesa e su cui avevano fondato il loro ruolo storico.

   Ritorno a Togliatti dunque? Non si tratta ovviamente di questo, ma di analizzare e capire in che modo, dal 1943 in poi, si è sviluppato lo scontro politico e di classe e in che modo in un paese come l'Italia, controllato dagli americani e con la potenza della chiesa cattolica schierata con i ceti reazionari, si potesse raggiungere la forza che il PCI ebbe in quegli anni.

   Per questo nei tre fascicoli precedenti ci siamo preoccupati di documentare il modo in cui Togliatti aveva lavorato e i risultati prodotti dalla sua direzione politica. I testi che abbiamo presentato nel primo capitolo sul lavoro di Togliatti all'Internazionale, con gli scritti sul fascismo, sulla guerra di Spagna, sulla Francia del fronte popolare, sull'analisi del nazismo, hanno un'importanza fondamentale per capire lo spessore di Togliatti e la tradizione comunista italiana dovrebbe tenerne debito conto. Con Togliatti bisogna fare i conti se non vogliamo perpetrare, come è avvenuto finora, una sorta di distruzione della ragione storica.

   Questo non significa nascondere i nodi - che cerchiamo invece qui di analizzare - che non furono sciolti da Togliatti già prima del 1956 ed emersero poi nuovamente nel dibattito in occasione del terremoto provocato dal XX congresso. Mentre nei fascicoli precedenti abbiamo cercato di evidenziare le scelte del PCI sotto la direzione di Togliatti nel periodo 1943-1953, respingendo il concetto di rivoluzione mancata e rifiutando di presentarle sotto una luce che ne diminuiva l'importanza storica e oggettiva, entriamo ora nella fase in cui il giudizio si fa più complesso ed emergono una serie di contraddizioni, di nodi non sciolti e di errate valutazioni degli avvenimenti succedutisi a partire dal XX congresso, che avranno poi pesanti riper­cus­sioni nell'orientamento del partito comunista ipotecandone le prospettive.

   Per inquadrare le questioni partiamo dal suo scritto [qui] intitolato 'La via italiana al socialismo' che è poi il rapporto tenuto il 24 giugno 1956 al Comitato centrale del PCI in vista dell'VIII congresso che si tenne nel mese di dicembre.

   In quella relazione Togliatti, di fronte a quello che stava succedendo a Mosca dà una interpretazione centrata su tre punti: le caratteristiche della situazione internazionale, il significato dell'attacco di Krusciov a Stalin e la definizione di una strategia fondata sulla via italiana al socialismo. Togliatti morirà nel 1964, otto anni dopo quella relazione ma, nella sostanza, a partire da allora, i suoi canoni interpretativi non cambieranno. Sulla stessa linea si basano infatti i due testi che hanno fatto epoca, l'intervista, sempre nel 1956, a 'Nuovi argomenti' [qui] e il memoriale di Yalta del 1964 [qui].

   Cominciamo dalla situazione internazionale e dalla chiave di lettura che Togliatti ne dà. “Possiamo dire - scrive Togliatti - che nel mondo di oggi ci troviamo davanti a una svolta o, se si vuole essere più prudenti, a un inizio di svolta tanto nella situazione internazionale quanto nello sviluppo del movimento operaio e del movimento popolare che si orienta verso il socialismo”. E ancora: “E' fuori dubbio che fino ad ora il maggior contributo per determinare che cosa sia questa svolta è stato dato dal XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.” In sostanza, dice Togliatti, il sistema di stati socialisti si è rafforzato nel mondo e una serie di altri popoli coloniali arrivano all'indipendenza e si orientano verso il socialismo.

   Dalla nuova situazione discende “l'affermazione che il metodo democratico, nella lotta per il socialismo e nell'avanzata verso di esso, acquisti oggi quel rilievo che nel passato non potè sempre avere. Si possono cioè ottenere determinati e grandi risultati nella marcia verso il socialismo senza abbandonare questo metodo democratico, seguendo vie diverse da quelle che sono state battute e quasi obbligatorie nel passato, evitando le rotture e le asprezze che allora furono necessarie”. La situazione internazionale dunque è cambiata e cambiate sono le modalità con cui si può arrivare alla trasformazione socialista nei vari paesi del mondo. Diventa logico che anche in Italia si definisca una prospettiva socialista che abbia caratteristiche dello stesso genere e questa è la base per definire la via italiana al socialismo.

   Rimanendo sempre sul terreno della politica internazionale, l'analisi di Togliatti spazia su varie altre questioni. Non si nega che dal punto di vista delle strutture economiche e sociali il capitalismo e l'imperialismo rimangono tali. Infatti Togliatti scrive :

   “Quali conseguenze ricavare da questo nuovo quadro del mondo che sta davanti a noi? Possiamo ricavare la conseguenza che sia finito il capitalismo? No. Sarebbe un grave errore [...] Possiamo ricavare la conseguenza che sia finito l'imperialismo? No non possiamo ricavare questa conseguenza [...] Però, il profondo mutamento di struttura che già è avvenuto ha conseguenze evidenti e sempre più estese sia nel campo dei rapporti tra Stati e tra movimenti e tra movimenti di massa organizzati, sia per quel che riguarda lo sviluppo della coscienza e delle idee, e quindi per quel che riguarda l'avanzata di tutta l'umanità sulla via del progresso”.

   E ancora “Il XX congresso sottolineò particolarmente una di queste conseguenze quando affermò che oggi non sono più inevitabili le guerre. Ma si possono e debbono ricavare anche altre conseguenze che toccano in modo altrettanto diretto noi che viviamo nel mondo capitalistico e combattiamo per la pace e il socialismo.” […]

   “Questa situazione nuova – si chiede Togliatti - e da cui discendono così importanti conseguenze, è stabile, rimarrà, oppure deve considerarsi transitoria? Noi non siamo profeti. Noi vediamo, però, che questa situazione è espressione di trasformazioni di cui alcune definitive e, poi, noi lavoriamo e chiamiamo tutti i popoli a combattere perchè ciò che oggi vi è di nuovo e di buono diventi permanente, non scompaia più.”

   Nel 1956 dunque Togliatti fa proprie le tesi Kruscioviane sulla nuova fase internazionale e sulle conseguenze che ne derivavano sul piano interno di ciascun paese rispetto alle vie nazionali al socialismo e questo avrà una serie di effetti sul PCI e per i problemi che emergeranno successivamente. Due in particolare si pongono immediatamente, lo scontro dei comunisti sovietici coi comunisti cinesi e la contraddizione tra la definizione della nuova fase internazionale e l'agire concreto delle forze imperialiste.

   Già nel 1956 c'è l'aggressione anglo-francese all'Egitto. Le aperture di Krusciov di fatto si dimostreranno non una meditata strategia per impedire nuove guerre e creare schieramenti sempre più ampi per difendere la pace, ma un modo raffazzonato e irresponsabile per mettere in crisi il fronte del socialismo nel mondo e per questo, a otto anni dalla sua avventura, Krusciov viene brutalmente esautorato dalle sue funzioni. Quanto alla questione della Cina, la famosa lettera su “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi”[1] coinvolge direttamente nella polemica il PCI che, pur opponendosi alla divisione dei comunisti, prende posizione contro la linea del PCC.

   Togliatti dunque né su questo né sulle questioni che riguardavano il giudizio su Stalin si differenzia dalle posizioni emerse al XX congresso da cui parte, come sappiamo, la crisi del movimento comunista. Solo su una questione insiste Togliatti, la stessa che illustrerà poi nel memoriale di Yalta, la necessità di realizzare l'autonomia di ogni singolo paese e di ogni partito comunista, pur mantenendo un rapporto unitario, pensando così di sfuggire alla morsa delle contraddizioni che si andavano accumulando e che riguardavano tutto il movimento comunista.

   “L'esperienza compiuta nella costruzione di una società socialista nell'Unione Sovietica - dice infatti Togliatti nella sua relazione - non può contenere direttive per risolvere tutte le questioni che si possono presentare oggi a noi e ai comunisti di altri paesi, siano essi o non siano al potere, e a tutti i partiti di avanguardia della classe operaia e del popolo... si creano così diversi punti o centri di orientamento e di sviluppo... si crea quello che ho chiamato, nell'intervista che avete letto (quella a Nuovi Argomenti) un sistema policentrico, corrispondente alla situazione nuova, al mutamento delle strutture del mondo e delle strutture stesse dei movimenti operai, e a questo sistema corrispondono anche nuove forme di relazioni tra i partiti comunisti stessi.”

   Questo è quindi il punto di differenziazione che Togliatti esprime rispetto allo scontro tra comunisti cinesi (e albanesi) e sovietici all'interno del movimento comunista, ma è anche uno strumento a doppio taglio perchè l'autonomia rivendicata serve successivamente ai 'rinnovatori' del PCI per marcare la 'italianità' del partito e la sua estraniazione dal percorso della rivoluzione russa.

   Posto di fronte alle 'rivelazioni' di Kruscev su Stalin, Togliatti deve anche necessariamente affrontare nella relazione, la questione che era stata posta in modo così improvviso e brutale e lo fa partendo dalle responsabilità che competono al partito e a lui stesso.

  “Per quel che riguarda la nostra 'corresponsabilità', di cui oggi tanto si parla dagli avversari ed è stata uno dei cavalli di battaglia nella lotta elettorale, essa ha un contenuto politico. Esiste perchè noi abbiamo accettato, senza critica, una posizione fondamentalmente falsa circa l'inevitabile inasprimento della lotta di classe con il progresso della società socialista, teoria che era stata enunciata da Stalin e dalla quale derivarono terribili violazioni della legalità socialista. Esiste una nostra responsabilità anche di aver accettato, e introdotto nella nostra propaganda, il culto della persona di Stalin, anche se qui si debba riconoscere che ci siamo guardati dal trasportare quel metodo all'interno del nostro partito”. Rimane il fatto - aggiunge Togliatti - che “Sorge la questione di ciò che ha reso possibili errori così gravi, e soprattutto il fatto che attorno ad essi si creasse un consenso e una connivenza che giungono fino alla corresponsabilità di coloro che oggi li denunciano.”

  
Questa è una vera e propria chiamata di correo, che non mette però Togliatti al riparo rispetto alle gravi dichiarazioni che abbiamo riportato. La domanda difatti che scaturisce, e che tutti i nemici dei comunisti faranno, è: che razza di socialismo avete realizzato in URSS se siete voi stessi a denunciare i misfatti di Stalin?

   E' vero che c'è anche un recupero storico dell'esperienza comunista quando Togliatti afferma: “Non è necessario ripetere che in tutto il periodo storico successivo alla rivoluzione d'Ottobre e fino allo scoppio della guerra mondiale e anche dopo, le posizioni politiche del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, da esso affermate e difese contro ogni sorta di nemici, hanno giustamente orientato, nelle cose essenziali, le avanguardie della classe operaia dell'Europa e del mondo intero.” E aggiunge: “Oggi è facile dimenticare queste cose e rappresentarci la realtà come se ci fossero stati nell'Unione Sovietica soltanto degli assassini e di qua degli agnelli che stessero in adorazione davanti agli ideali della democrazia! Questa rappresentazione non ha niente a che fare con la realtà. L'Unione Sovietica fu in quel terribile decennio (1930-1940) della storia d'Europa, il baluardo più forte, il difensore più conseguente dei principi della democrazia, della libertà e della pace. Per questo trascinò dietro a sé, con una politica giusta, le grandi masse popolari di tutto l'occidente”.

   Togliatti conosceva dunque, per averla anche vissuta direttamente, la storia dell'URSS sotto la direzione di Stalin. Sapeva molto bene, e lo scriveva anche a Gramsci nel 1926, quali erano state le ragioni dello scontro con Trotsky e gli altri e che cosa aveva rappresentato quello scontro per il futuro del socialismo in URSS e per il ruolo che quel paese avrebbe avuto nel mondo. Accettando per buone le affermazioni di Krusciov su Stalin Togliatti si comportava dunque come Galileo di fronte all'Inquisizione, si trattava di una vera e propria abiura rispetto alle convinzioni che aveva sempre avuto su Stalin.

   Ma ormai il dado era tratto, il meccanismo della controrivoluzione si era messo in moto e i fatti di Ungheria e di Polonia, a pochi mesi di distanza, ne furono una dimostrazione.

   Per questo egli cercò di accelerare il discorso sulla via italiana al socialismo che avrebbe dovuto delineare la nuova prospettiva strategica del PCI. Bisognava in qualche modo dimostrare che ciò che stava accadendo nell'Unione Sovietica e nelle democrazie popolari non incideva sul bilancio positivo del PCI, su quello che esso aveva rappresentato per i lavoratori e per le masse popolari italiane.

   Certamente la storia del Partito comunista italiano aveva profonde radici nelle masse popolari italiane per quello che aveva fino ad allora rappresentato, ma essendo un partito comunista, legato alla storia del movimento comunista internazionale, uscendo dal terreno su cui aveva costruito il suo percorso non aveva un futuro. E i fatti lo hanno dimostrato. Anche perchè il PCI, non essendo dichiaratamene un partito socialdemocratico di alternativa elettorale dentro un sistema borghese, non chiarì mai veramente come quell'auspicato passaggio dovesse realizzarsi. Tant'è che Togliatti nella sua relazione ammette che: “La via seguita da noi è stata una via conseguentemente democratica. Nel lavorare e lottare su questa via abbiamo però incontrato aspre resistenze. Abbiamo dovuto combattere a denti stretti per difendere gli interessi dei lavoratori, la loro libertà e la loro vita, per strappare qualche miglioramento e qualche piccola riforma. In certi momenti si è perfino posta la questione di dover combattere per salvare la legalità del nostro movimento, che qualcuno credeva di poter minacciare.” E questa si dimostrerà di fatto una costante dello scontro politico in Italia, dal luglio '60, Togliatti ancora vivente, ai tentativi di golpe all'epoca di Segni e De Lorenzo, alla politica delle stragi dopo il '68.

   Gli antagonisti-interlocutori per cambiare le cose sarebbero dovuti essere, oltre alla DC, un partito ultraconservatore come il PLI, il partito saragattiano nato col sostegno americano e il partito repubblicano di stampo liberal-atlantista. Restava il PSI, ma l'alleanza con questo partito seppure scontata non era sufficiente a cambiare i rapporti di forza. A chi era rivolto dunque il discorso sul cambiamento che la via italiana al socialismo presupponeva? La svolta del 1947, la rottura del governo di unità nazionale e il ruolo della DC come riferimento delle forze conservatrici non lasciava spazio a nuove alleanze in quella direzione. Anzi, seppure con numerose contraddizioni, la DC continuava a lanciare, anche dopo il 1953, segnali inquietanti. Dopo De Gasperi ci fu Scelba che per un anno e mezzo accentuò la linea repressiva del governo e via via con fasi alterne, la DC arrivò anche a dar vita, nel 1960, al governo Tambroni con il suo strascico di morti. Infine ci fu l'epoca delle stragi a chiudere definitivamente ogni interlocuzione verso la DC, se si fa eccezione del sostegno ad Andreotti all'epoca dell'emergenza Moro che rappresentò solo l'atto di capitolazione del PCI.

   Riproponendo la via italiana al socialismo Togliatti lasciava dunque indeterminati i passaggi di quel percorso. E' vero che la questione era stata affrontata nel 1956, l'anno dell'avvenimento eccezionale del XX congresso che aveva coinvolto tutto il movimento comunista, ma nondimeno presentava una sua specificità tutta italiana perchè faceva uscire i discorsi dagli obiettivi tattici sulla realizzazione dei principi costituzionali, su cui il PCI aveva basato la sua politica dal 1948 in poi, e li proiettava sulla questione della marcia verso il socialismo.

   Non vi è dubbio che fu il XX congresso a innescare il discorso da un punto di vista generale sulle vie nazionali e Togliatti riprese questo tema capendo che diventava funzionale ai problemi che i comunisti italiani avevano di fronte per uscire dall'imbuto in cui le dichiarazioni di Krusciov su Stalin li avevano cacciati. Facendo di necessità virtù, la questione della via italiana al socialismo divenne quindi il centro dei ragionamenti di Togliatti. Questo però non servì a chiarire le prospettive, anzi divenne la base di una ambiguità che ebbe effetti devastanti dentro il partito comunista favorendo quelle trasformazioni che portarono alla sua fine.

   In conclusione. La crisi del movimento comunista ha impedito al PCI di portare avanti la sua strategia di trasformazione sociale deviandolo nel vicolo cieco di una subalternità al sistema e ne ha determinato l'implosione, ma le sue premesse furono poste già da Togliatti nel 1956 quando scelse di non contrastare la controrivoluzione Kruscioviana e di guidare il Partito comunista su una prospettiva di autonomia basata su un progetto rivoluzionario adatto, questo sì, alla situazione italiana.

   Sappiamo che i trotskisti e gli emmellisti a prescindere possono sostenere, indebitamente, lo abbiamo sempre detto, che Togliatti fosse un traditore. Noi abbiamo preferito invece analizzare concretamente il suo ruolo per capire e utilizzare gli elementi positivi della sua esperienza senza passare sotto silenzio, nel contempo, le sue responsabilità rispetto agli avvenimenti del 1956.


Nota

[1] Si veda il fascicolo da noi dedicato all'argomento www.associazionestalin.it/divergenze_completo.pdf