LA CURVA
DELLA RIVOLUZIONE

  Agli inizi degli anni '90 del secolo scorso ai comunisti di tutto il mondo si sono posti grossi problemi di interpretazione della nuova situazione che derivava dalla dissoluzione dell'URSS, dal rovesciamento del suo sistema socialista, dal crollo del socialismo nell'Europa orientale, dalla crisi e dalla degenerazione di quasi tutti i partiti comunisti europei nonché dall'emergere della grande novità del socialismo con caratteristiche cinesi. Su questi elementi di profonda novità si sarebbe dovuto aprire nel movimento comunista un grande dibattito sulla natura della crisi e sulle prospettive da imboccare e soprattutto, si sarebbe dovuto mettere all’ordine del giorno un aggiornamento del marxismo sulla base delle nuove esperienze storiche.

  E' stato fatto tutto questo? Senza voler trinciare facili giudizi e farsi domande retoriche, già l'esempio dei partiti comunisti europei, la loro sostanziale liquidazione, la dice lunga su ciò che è avvenuto realmente e sul tipo di crisi che si è prodotta dopo che Krusciov nel 1956 aveva aperto la fase controrivoluzionaria in URSS. Pensare a una ripresa senza una sostanziale dialettica di posizioni che facesse emergere l'alternativa non portava, e non ha portato, a una possibilità oggettiva di superamento di una crisi che non poteva essere superata semplicemente con atti volontaristici e senza un profondo travaglio.

  Da allora sono passati circa trenta anni e quindi, sulla base anche degli avvenimenti intervenuti nel frattempo, le condizioni oggettive si sono andate modificando e si sono create le premesse perchè si possa determinare una ripresa teorica e di strategia del movimento comunista. Su queste novità i comunisti devono mettersi al lavoro, superando improvvisazioni e schematismi, e superando anche un certo intellettualismo astratto nel considerare le cose, che, per sua natura, non è in grado di mettere in moto le forze vive che agitano la società e possono dare una prospettiva ai processi di trasformazione.

  In questo IV capitolo riprendiamo alcune considerazioni fatte in epoca non sospetta (non si tratta quindi del senno di poi) pubblicate in un opuscolo intitolato 'Alcuni interrogativi per una discussione sull'89' [qui] [1].

  “A noi - scrivevamo nell’opuscolo - è sembrato, dopo l'89, che coloro i quali si richiamano al comunismo nella loro battaglia quotidiana non potessero evitare di fare i conti con una crisi che metteva a nudo non tanto e non solo la crisi degli altri, bensì le fondamenta stesse del modo di pensare e di agire di coloro che alla crisi stessa erano sopravvissuti.

  “Bisogna invero riconoscere - così proseguivamo - che c'è stato, tra questi sopravvissuti, un modo singolare di reagire agli avvenimenti. In sostanza c'è stata una rimozione teorica e storica dei riferimenti basilari del marxismo, del leninismo, di quello che normalmente viene definito il socialismo scientifico”. La rifondazione del comunismo, una volta annunciata non ha mai preso corpo e per questo aggiungevamo: “Le ragioni di questa rimozione o sono state di natura pragmatica, la realpolitik del programma immediato in nome del quale si supera ogni questione strategica sul comunismo, oppure, apparentemente, di carattere generale sulla rifondazione delle basi del marxismo e del leninismo, senza però fare i conti realmente con essi”. [2]

  Per questi motivi, dopo gli anni '90, abbiamo attraversato una fase di caos dalla quale sono emerse con difficoltà le caratteristiche della nuova epoca con cui i comunisti dovevano fare i conti. Il nostro volume 'Lettere ai compagni' [3] come si vede dalla successione dei capitoli [4] è una testimonianza del tentativo di interpretare i passaggi che stavamo via via attraversando, cercando a volte anche di andare oltre le contingenze e di tentare interpretazioni generali dei fatti che si spingessero più a fondo nelle analisi.

  In una 'Lettera ai compagni' [qui] che riprende il titolo del volume ed è del marzo 1993, indicavamo che “Il punto vero di una possibile ripresa è la costruzione di strumenti di dibattito politico e di orientamento teorico che facciano crescere una nuova leva di comunisti capaci di interpretare correttamente la realtà e di individuare un serio percorso strategico per il futuro. Finchè non si metterà al centro della ripresa - si sottolineava nel testo - l'egemonia teorica del comunismo rivoluzionario, in grado di spostare l'asse di riferimento e di attrazione dei compagni non potremo avere neppure l'ambizione di modificare gli indirizzi pratici del lavoro”.

  Certamente questo spostamento di interessi, questa ripresa di egemonia - aggiungevamo - non può avvenire in astratto, ma è strettamente legata all'evoluzione della situazione generale, al determinarsi di fattori che pongono all'ordine del giorno la ripresa di un'ipotesi comunista di cambiamento del sistema capitalistico”. [5]

  Quelle descritte finora non sono che bozze di un'analisi che oggi va riproposta in termini molto più organici e approfonditi. Il futuro del movimento comunista dipenderà da questa capacità interpretativa.

  Andando per ordine, si tratta di mettere al centro del dibattito le varie questioni che abbiamo di fronte e su quelle, finalmente, andare alla verifica di come vanno definite le cose, per i comunisti, nella fase storica attuale.

  I temi su cui dobbiamo confrontarci possiamo riassumerli così:


1) C'è innanzitutto da chiarire bene la vicenda del crollo dell'URSS, del processo controrivoluzionario nell'Europa dell’est, del crollo e della liquidazione dei grandi partiti europei, l'italiano, lo spagnolo e quello francese. Dietro la parola revisionismo abbiamo pensato di chiudere la partita senza entrare nel merito e senza rispondere alla domanda: perchè è potuto accadere?

2) Il compito dei comunisti peraltro è anche quello di definire gli effetti di ciò che è avvenuto negli anni '90, come si sono ridefiniti i rapporti mondiali tra sistema imperiale a guida americana e forze antimperialiste, in che modo si va delineando lo scontro e su quali necessità obiettive si deve concentrare e coordinare la lotta dei comunisti.

3) Il significato teorico introdotto dal 'socialismo con caratteristiche cinesi', gli effetti concreti che ha prodotto in Cina e a livello internazionale, la sua connessione con la storia del PCC e con quella del movimento comunista internazionale.

4) Su quale previsione si vanno delineando i conflitti sociali e di classe nella presente epoca storica e quindi su quale asse teorico interpretativo è possibile muovere e coordinare le forze comuniste in modo che nel XXI secolo si confermi, come nel passato, il ruolo determinante dei comunisti.


  Sulla prima questione: il crollo dell'URSS e dei paesi socialisti dell'Europa orientale, la liquidazione del PCI e la riduzione a livelli inconsistenti del PCE e del PCF.

  I compagni e le compagne che per molto tempo hanno, giustamente, denunciato lo sviluppo del revisionismo laddove il comunismo è entrato in crisi, allo stesso tempo non hanno però risposto a una domanda che contestualmente si poneva: perchè i paesi socialisti dell'Europa orientale sono entrati in crisi subito dopo la morte di Stalin e ben prima della dissoluzione dell'URSS? Perchè un paese socialista come l'URSS, nato da una rivoluzione diretta da un leader come Lenin, gestita dal 1924 fino alla sua morte da una figura di dimensioni storiche come Stalin che era riuscito a sviluppare con successo le basi del socialismo in Unione Sovietica, a vincere la guerra contro il nazismo, a creare un sistema di stati socialisti dall'Europa all'Oriente e a fronteggiare il blocco occidentale nella guerra fredda è crollato sotto i colpi di Krusciov, di Gorbaciov e di Eltsin? E infine, perchè partiti comunisti come quello italiano, spagnolo e francese, che avevano alle spalle la Resistenza, la guerra civile e un percorso importante come il Fronte popolare e le grandi lotte operaie sono crollati senza un'opposizione interna degna di questo nome?

  E' chiaro, che di fronte a tutto questo, non si può chiudere la partita passando oltre o etichettando il tutto come revisionismo. Certamente il revisionismo è stato anche la base della controrivoluzione, ma è arrivato il momento di andare a fondo delle questioni e spiegare anche il resto. Sappiamo che dare risposte a quanto accaduto non è facile e i problemi che poniamo hanno bisogno di una capacità interpretativa che finora non si è manifestata nel movimento comunista. Qui proviamo ad abbozzare delle ipotesi.

  Alla base di tutto dobbiamo ovviamente mettere gli effetti del XX Congresso del PCUS. Da lì parte il processo di destabilizzazione del campo socialista che investe in primo luogo l'area delle democrazie popolari. Invero c'erano stati precedentemente due casi, la Jugoslavia nel 1948 e la Repubblica Democratica Tedesca nel 1953.

  La rottura della Jugoslavia di Tito con il Cominform avviene in un momento in cui l'URSS è impegnata in uno scontro frontale con l'imperialismo occidentale che comprende anche l'opzione della guerra (nucleare) [6] e Stalin non va per il sottile quando la Jugoslavia cerca una sua autonomia dal blocco socialista. Questa autonomia viene interpretata come un tentativo di sganciarsi da un progetto comune delle democrazie popolari e ciò, in quel preciso momento, nell'ottica di chi deve difendersi dal progetto imperialista contro l'URSS e i paesi socialisti europei non poteva essere consentito. Peraltro la scelta di Tito tendeva a collegarsi a posizioni che si andavano esprimendo anche in altri paesi dell'Europa orientale. In particolare, di queste tendenze venivano investite la Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia. La vicenda di Gomulka e di Slansky come di altri dirigenti comunisti comportò processi e anche esecuzioni per tradimento. Una fase dura questa che lasciò il segno e che verrà riproposta successivamente nel periodo della controrivoluzione, anche a sinistra, estraniadola completamente dal contesto in cui gli avvenimenti si collocavano. E sarà proprio Krusciov al XX Congresso, a sdoganare questa operazione.

  Per quanto riguarda la RDT e i fatti di Berlino del luglio 1953, che assunsero il carattere di una rivolta, aldilà dei fattori scatenanti che erano di natura salariale e su cui nel partito comunista al potere, la SED, fu fatta autocritica, c'è da sottolineare che essi avvennero dopo 4 mesi dalla morte di Stalin. Il che fa supporre che si cercasse di utilizzare la fibrillazione dovuta al cambiamento del clima politico per tentare un assaggio di quelle che potevano essere iniziative successive dello stesso tipo, tenendo conto del fatto che Berlino era all'epoca una città con tutte le quattro zone di occupazione alleata ancora collegate.

  Ma il punto di crisi e di destabilizzazione delle democrazie popolari fu segnato da ciò che Krusciov disse nella relazione al XX congresso denunciando Stalin come un dirigente sanguinario e delegittimandone il ruolo storico che aveva svolto fino alla sua morte.

  Se consideriamo che tutti i paesi socialisti dell'Europa orientale venivano da situazioni politiche profondamente reazionarie e dove la borghesia aveva governato fino all'arrivo delle truppe sovietiche nel 1944-1945, le denunce di Krusciov legittimavano la ripresa di un revanscismo che permeava ancora il tessuto di quelle società. Il loro processo di trasformazione e di stabilizzazione economica era ancora in una fase iniziale. Erano passati appena dieci anni dalla vittoria sul nazismo e le devastazioni che esso aveva provocato nel corso della guerra erano enormi. Questo non giustifica gli errori di direzione politica e di gestione economica, che vanno indagati per una più esatta ricostruzione storica, ma deve indurci a capire su che base oggettiva si andarono aprendo le contraddizioni che sono emerse in seguito e che hanno portato alla sconfitta.

  La correlazione tra gli avvenimenti del 1956, in Polonia e in Ungheria, e l'iniziativa di Krusciov è del tutto evidente. Una volta denunciata la criminalità nella gestione del potere da parte di Stalin, tutti i settori delle vecchie società che stavano subendo il processo di trasformazione socialista hanno ritrovato la forza di rientrare in campo e dietro il discorso della democrazia e della demagogia sociale sulle difficoltà economiche sono riusciti a stabilire la loro egemonia anche sui settori di lavoratori scontenti. La rivolta ungherese del 1956 e gli episodi analoghi di Poznan in Polonia sono stati l'inizio di un percorso che si è concluso col crollo del muro di Berlino.

  Qualcuno, nel caso specifico Gorbaciov, si era illuso che la crisi delle democrazie popolari si fermasse ai confini dell'URSS e su questo c'era stata anche una contrattazione con l'occidente imperialista che premeva ai confini e alimentava la destabilizzazione, e in questo accordo consensuale era compresa la liquidazione della RDT e l'apertura elettorale alle forze controrivoluzionarie, ma tutto questo non è bastato.

  Quanto all'URSS, il processo di decomposizione è durato più di trenta anni a dimostrazione che le basi poste dalla rivoluzione d'Ottobre poggiavano su un terreno solido. La rivoluzione d'Ottobre e il potere sovietico non rappresentavano un episodio, ma avevano radici profonde nella struttura sociale ed economica sovietica. Parlando dunque dell'URSS si ritorna alla questione centrale. Perchè nonostante questo in Unione Sovietica si è passati dal socialismo alla controrivoluzione e alla restaurazione del capitalismo dopo più di settanta anni di regime socialista?

  Il dibattito su questo è ancora aperto e se anche la storia non si fa col senno di poi, è molto importante che si indaghi ancora su ciò che è accaduto perchè da questo dipende il giudizio sulla direzione di Stalin che si conferma storicamente valida e sul punto di rottura che, come crediamo, è da attribuire invece a come la situazione è stata gestita dopo la sua morte.

  Per dare risposta più precisa a questo interrogativo bisogna andare a considerare due questioni: da una parte gli effetti che la guerra fredda stava avendo nelle società a regime socialista, dal punto di vista economico-sociale e in che modo si andava commisurando, in rapporto a questo, lo sviluppo delle forze produttive tra imperialismo e campo socialista e dall'altra considerare non solo l'incapacità del gruppo dirigente del PCUS di affrontare i problemi dello sviluppo del socialismo dopo la morte di Stalin, ma anche il tipo di indirizzo che stava imboccando.

  Si trattava di una duplice incapacità, da un lato di prendere atto che la sfida della guerra fredda imponeva una attenzione particolare al rafforzamento dei rapporti con la società ed escludeva per questo soluzioni amministrative che servivano ad acuire le contraddizioni e dall'altro di mantenere stretto, senza concessioni al liberalismo occidentale, il controllo degli apparati statali contro i tentativi di aprire varchi nel sistema socialista. Krusciov distruggendo la credibilità di Stalin e portando avanti una politica di improvvisazione in economia (con esiti catastrofici) e nelle relazioni internazionali ha aperto la strada a un’agonia durata trenta anni.

  In particolare questa agonia per lungo tempo ha avuto il volto di Breznev che ha avuto il merito di liquidare Krusciov, ma non ha aperto nessuna prospettiva di adeguamento del socialismo alle nuove esigenze. Una gestione del potere sovietico fatta sotto il segno della stagnazione economica, culturale e teorica del PCUS e della società sovietica e segnata anche da scelte come l'intervento in Cecoslovacchia e in Afghanistan destinate ad aumentare le contraddizioni. L'intervento militare fine a se stesso non ha risolto i nodi che si erano accumulati.


  Ma nel momento in cui in URSS e nei paesi socialisti europei andava avanti il processo di disgregazione dei sistemi socialisti, nell'Europa occidentale, in Italia, Francia e Spagna i comunisti subivano un altro pesante scacco. Questi partiti infatti entravano in una fase di fibrillazione che ha portato alla liquidazione del PCI oppure, a causa di una politica sciagurata fatta di opportunismo, di negazione dei riferimenti storici del movimento comunista, di collaborazionismo governativo senza principi, li ha portati a divenire ininfluenti nella loro realtà nazionale. Ancora una volta dobbiamo domandarci: che cosa ha innescato questi processi? Anche qui la risposta non è semplicistica perchè a determinare gli esiti della vicenda hanno concorso diversi fattori.

  Anche in questo caso l'effetto scatenante della crisi è stato il XX Congresso del PCUS. Bisogna tener conto che i partiti comunisti europei che contavano e che avevano un seguito di massa sviluppavano la loro azione in un sistema borghese in cui l'avversario di classe usava tutti i mezzi a disposizione per manipolare l'opinione pubblica. Dire che Stalin era un volgare assassino, come affermava Krusciov nel rapporto segreto al XX congresso, significava non solo dare un'arma formidabile agli anticomunisti storici, ma anche favorire la crescita delle tendenze liquidazioniste dentro i singoli partiti comunisti, i quali, è bene sottolinearlo, non erano sette ideologiche che sopravvivevano dentro la cerchia ristretta dei loro adepti, ma organismi che vivevano in dialettica con settori ampi della società e ne subivano anche il condizionamento. Il PCI, ad esempio, essendo un grande partito di massa che articolava la sua presenza nel paese attraverso strumenti economici, culturali, sindacali di vario genere subiva i contraccolpi di una propaganda feroce che costringeva anche il suo gruppo dirigente a misurarsi con le svolte del movimento comunista che uscivano dall'asse su cui l'azione del partito aveva marciato per decenni. Questo non giustifica affatto il comportamento dei gruppi dirigenti, al contrario, ma spiega i termini oggettivi su cui si è innescata la degenerazione. Si poteva impedire quella degenerazione? Sono i fatti che ci danno la risposta.

  Certamente una direzione politica corretta avrebbe potuto limitare i danni e recuperare una visione di classe e internazionalista anche se gli effetti della crisi non erano comunque prevedibili. Laddove quella linea è stata mantenuta, come in Portogallo e in Grecia, una presenza comunista è rimasta, ma non ha risolto il problema della prospettiva. Perchè, come si è già accennato, in concomitanza con la crisi innescata da Krusciov, l'Europa viveva già dagli anni '60 del secolo scorso, grandi mutamenti economici e di strutturazione sociale. Il combinato disposto della controrivoluzione in URSS e nei paesi dell’Europa dell'Est, della direzione imboccata dai gruppi dirigenti comunisti in Spagna, Francia e Italia, rappresentati in quel periodo da Santiago Carrillo, George Marchais ed Enrico Berlinguer, e dei cambiamenti della situazione sociale ha spianato la strada all'egemonia della socialdemocrazia. Per i liquidatori delle posizioni comuniste è stata una disfatta totale perché, nonostante le loro abiure, non hanno ricevuto la ricompensa che speravano, neanche quando si sono adeguati alla linea dei loro antichi avversari democristiani, come in Italia.

  Bisogna naturalmente discutere di tutto questo, capire meglio le ragioni profonde della sconfitta, ma una cosa è certa: da questa situazione non ci hanno portato fuori né gli anatemi antirevisonisti, nè le teorizzazioni dei cattivi profeti del neocomunismo che, nonostante i ripetuti tentativi, non hanno cambiato finora le cose. La ripresa del movimento comunista in Europa rimane perciò a tutt'oggi un problema aperto.

  “In sostanza - come scrivevamo nell'opuscolo già citato - ci troviamo di fronte a un nuovo revisionismo, diverso da quello della seconda internazionale o da quello filo-occidentale degli anni cinquanta. Il nuovo ‘revisionismo' non abbandona la critica alla società capitalistica, anzi generalmente sottolinea con forza le contraddizioni del presente (dagli effetti dell'economia liberista a quelli del governo unipolare). Quello che manca è però una teoria dei processi rivoluzionari e del loro punto di approdo, cioè proprio quelli che sono i capisaldi del pensiero comunista”. [7]

  Dunque negli anni '90 del secolo scorso in Europa, che era stata la culla del movimento di classe nato dalla prima Internazionale di Marx e di Engels e della rivoluzione socialista in Russia, si è manifestata appieno la svolta della curva della rivoluzione che aveva segnato la sua ascesa fino agli anni '50, alla morte di Stalin.


  Ma, come si è detto, la crisi del movimento comunista, ha interessato non solo l'URSS e i paesi socialisti europei, ma anche la Cina e i grandi partiti comunisti dell’Europa occidentale.

  Per quanto riguarda la Cina, bisogna evidenziare che si tende oggi, anche da parte dei comunisti, a mettere sotto i riflettori solo la parte recente della sua storia, quella legata alla definizione del socialismo con caratteristiche cinesi e del grande ruolo geopolitico che la Cina riveste oggi nel mondo. Ma da marxisti e da materialisti dobbiamo inquadrare la vicenda cinese nel contesto dell'evoluzione del movimento comunista internazionale di cui il PCC è sempre stato una parte importante. In modo particolare occorre considerare le scelte dei comunisti cinesi dopo il XX congresso del PCUS e valutare come essi abbiano reagito nelle varie fasi della crisi e come siano arrivati all'approdo attuale.

  Peraltro, in premessa, c'è da evidenziare il fatto che l'evoluzione delle posizioni cinesi non ha riguardato solo lo scontro politico e ideologico tra partiti comunisti (ricordiamoci tra l'altro del testo 'Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi'[qui] [8], ma questa evoluzione ha fatto emergere che la Cina in realtà si preparava a fare i conti anche con una situazione interna che stava evidenziando contraddizioni che avrebbero portato poi alla rivoluzione culturale e successivamente alla sua sconfitta aprendo la strada al 'socialismo con caratteristiche cinesi'.

  Dunque la questione cinese va studiata nel suo insieme per capire su quali basi oggettive si siano andate definendo le varie fasi di una crisi che seppure non ha avuto lo stesso esito dell'URSS è pur stata anch'essa un elemento di crisi dell'intero movimento comunista che va correttamente interpretato.

  Ricordiamo innanzitutto le posizioni da cui i comunisti cinesi sono partiti nella loro polemica contro il revisionismo sovietico. L'accusa che essi muovevano ai comunisti sovietici era che stavano abbandonando il leninismo. Dietro la condanna di Stalin i cinesi non vedevano solo questioni di violazione della legalità socialista, ma soprattutto la volontà di cambiare le basi socialiste dell'URSS. Su Stalin i comunisti cinesi hanno sempre ribadito un giudizio positivo e certamente non erano dell'idea che bisognasse buttare il bambino con l'acqua sporca.

  E' del 1939 una lettera di Mao diretta a Stalin [9] per il suo sessantesimo compleanno [qui], in cui egli scriveva: “Stalin è l'amico sincero della causa della liberazione del popolo cinese. L'amore e il rispetto del popolo cinese verso Stalin, i suoi sentimenti di amicizia verso l'Unione Sovietica sono profondamente sinceri; nessun tentativo per seminare discordia, nessuna menzogna, nessuna calunnia potranno mai alterarli”.


  Sulle questioni generali oltre allo scritto che abbiamo menzionato, 'Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi', altri testi importanti risalenti agli '60 del secolo scorso avevano come tema il leninismo: 'Avanti lungo la strada indicata da Lenin', 'Viva il Leninismo', 'Uniamoci sotto la bandiera rivoluzionaria di Lenin'. [10]

  Certamente la critica al krusciovismo era nelle cose e nel movimento comunista le scelte del XX Congresso del PCUS andavano contestate. Ma come lo si è fatto? Che peso negativo ha avuto il modo con cui i comunisti cinesi si sono posti rispetto a ciò che stava accadendo? Due le osservazioni da fare a questo proposito: in primo luogo lo scontro non teneva conto che si trattava di portare avanti un lavoro politico di lunga durata dentro tutto il movimento comunista per sconfiggere il krusciovismo e i suoi effetti, mentre, al contrario, i comunisti cinesi portavano avanti uno scissionismo sistematico a livello internazionale, senza basi reali, che ha costituito un fenomeno effimero nei singoli paesi in cui si sono costruiti partiti m-l; in secondo luogo, nella polemica, si è dimenticato di tenere conto che c'era un nemico principale, l'imperialismo occidentale a guida americana. E di questo bisognava assolutamente tenere conto nelle scelte e nei rapporti internazionali. Come si può constatare, la teoria cinese del socialimperialismo esposta nell’articolo 'Leninismo o socialimperialismo' [qui] [11], che riportiamo alle pagine 100-125, non rispondeva a questa necessità. Perchè il PCC, che per decenni era stato guidato da un leader dello spessore politico e teorico di Mao, ha potuto sottovalutare queste questioni? Eppure Mao nella lunga e vittoriosa marcia che ha portato i comunisti al potere in Cina ha sempre dimostrato di saper valutare correttamente le scelte da compiere. Ricordiamoci ancora una volta lo scritto di Mao 'Sulla contraddizione' [12] che pone in maniera scientifica e dialettica la questione.

  In realtà, lo scontro tra comunisti cinesi e sovietici anticipava questioni che erano in maturazione dentro il partito e la società cinesi e che sarebbero emerse dopo la prima fase della polemica cino-sovietica. Difatti dalla polemica coi sovietici si è passati in Cina alla lotta interna contro i dirigenti che 'avevano imboccato la via capitalistica'. Cioè si è scatenata una lotta inversa rispetto a quello che stava accadendo in Unione Sovietica.

  Prima ancora però di andare alla verifica e al significato delle varie svolte nel PCC occorre mettere in relazione la questione sovietica e quella cinese da un altro punto di vista. Se infatti da una parte c'era lo scontro ideologico, dall'altra, da un punto di vista oggettivo, i due paesi socialisti si trovavano di fronte allo stesso problema: come affrontare la nuova fase che caratterizzava gli anni '60 del secolo scorso, non solo nelle relazioni internazionali, ma su come determinare un’avanzata del sistema socialista nell'economia con uno sviluppo delle forze produttive che tenesse testa ai livelli dell'occidente imperialista.

  I sovietici dovevano consolidare le vittorie conseguite fino alla morte di Stalin, i cinesi creare le condizioni per lo sviluppo del socialismo in un paese immenso come la Cina, povero e a forte presenza contadina. I livelli erano differenti, ma da un punto di vista sostanziale avevano in comune il fatto che ciascuno dei due paesi doveva dare risposte concrete alla sua popolazione e parare i colpi del sistema imperiale americano che ne condizionava lo sviluppo con l'accelerazione della corsa agli armamenti, le limitazioni e il blocco dei commerci, lo sviluppo delle forze produttive dentro un'area di relazioni internazionali con cui esso si garantiva la supremazia mondiale facendola pesare anche propagandisticamente sui paesi socialisti. L'occidente come mito del benessere veniva utilizzato come grimaldello per far credere che socialismo significasse miseria.

  Mentre l'URSS, con Krusciov, per risolvere i problemi virava a destra e si apriva incautamente all'occidente, la Cina cercava di assicurarsi una prospettiva socialista accelerando le trasformazioni sociali e combattendo le tendenze interne che si riteneva frenassero questi processi. Mentre l’URSS quindi, con le scelte fatte da Krusciov e dai suoi successori, andava verso la stagnazione e la crisi, in Cina si apriva la fase dello scontro tra le due linee, quella di Mao e quella che veniva identificata nel presidente della Repubblica Liu Shaoqi, il ‘Krusciov cinese’.

  La questione sul tappeto non era dunque solo il revisionismo sovietico, ma anche l'affermarsi della linea di sinistra dentro il PCC e quelle che ne furono le conseguenze. Già in precedenza, a metà degli anni '50, questa linea si era evidenziata con il ‘grande balzo in avanti’ basato sullo sviluppo accelerato con tecniche primitive e sull'istituzione delle comuni agricole che socializzavano totalmente la struttura economica nelle campagne, con l'obiettivo di arrivare a un modello di società che prefigurasse e garantisse un progresso rapido del socialismo.

  Questo tentativo fallì perchè mancava la possibilità, nelle condizioni date, di avere uno sviluppo tecnologico e una accumulazione di risorse adeguate e tali da mettere in moto la macchina economica al livello delle necessità reali. Ma quella sconfitta non modificò l'asse strategico su cui il PCC e Mao si erano posti. La linea di sinistra dentro il partito continuò a mantenere posizioni importanti e, a partire dal 1966, si preparò il terreno per il lancio della Rivoluzione culturale proletaria. Fu Mao a guidarla redigendo il famoso tazebao che ordinava di 'sparare sul quartier generale' cioè contro le stesse strutture del partito che venivano considerate degenerate.

  Nell’agosto del 1966 si riunì l'XI Sessione Plenaria dell'VIII CC del PCC che adottò la decisione di avviare la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria proponendo che 'la campagna vertesse sulla correzione di quanti sono al potere nel Partito e hanno imboccato la via del capitalismo'.

  Su questa fase della vita del PCC nella sua storia ufficiale edita per il centenario del partito [13] (in Italia il volume è stato pubblicato dalle Edizioni Marx Ventuno) il periodo della Rivoluzione culturale proletaria viene definito in questo modo:

  “A partire dal mese di gennaio del 1967, la Rivoluzione Culturale entrò in una fase di vera e propria presa del potere e cominciò rapidamente ad avvicinarsi al momento del 'rovesciamento di tutto' e persino di una guerra civile su larga scala”. Non solo, ma “Tra il 1970 e il 1971 venne portato avanti un complotto per prendere il potere supremo da parte di un gruppo controrivoluzionario guidato da Lin Biao, culminato con l'organizzazione di un colpo di mano armato controrivoluzionario. L'episodio segnò il fallimento della Rivoluzione Culturale in termini teorici e pratici”. [14]

  La ricostruzione di questa fase della storia del PCC, nel testo ufficiale del partito, è ovviamente fatta a posteriori e con l'intento di individuare solo alcuni responsabili senza chiarire realmente come sono andate le cose. Non si chiarisce il ruolo di Mao in queste vicende, né si spiega perché attorno alla Rivoluzione Culturale si fosse sviluppato un movimento di massa e quale fosse la linea politica portata avanti da Lin Biao, di cui riportiamo [qui] la relazione tenuta al IX Congresso del partito). Soprattutto quelle affermazioni non sono in grado di spiegare perchè nel partito comunista e nella società cinese si fosse arrivati a uno scontro di così ampia portata.

  Il nostro compito non è quello di arrivare qui a una ricostruzione dettagliata della vicenda, ma la questione va posta per evitare che in una certa cultura comunista si sostituiscano adesso al libretto rosso i testi di Deng Xiaoping e di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi, mentre è necessario, da un punto di vista storico e di interpretazione teorica, che il movimento comunista maturi una posizione marxista e scientifica su tutta la questione, che non si limita alla sola Rivoluzione Culturale, ma riguarda anche la svolta della Cina nella politica internazionale. Vivo ancora Mao infatti si verifica una inversione a 180 gradi della politica estera della Cina. Dallo slogan: popoli di tutto il mondo unitevi contro l'imperialismo americano, si passa all'apertura del dialogo con Kissiger e Nixon. E parallelamente a questo la Cina apre una fase di competizione con l'URSS sull'Afghanistan, sulla Cambogia, in Africa, sostenendo movimenti armati che erano in conflitto coi sovietici e, in questo contesto si verifica anche un conflitto armato tra Cina e Vietnam.

  Che cosa stava dunque veramente accadendo in Cina?

  In realtà man mano che la linea della Rivoluzione culturale entrava in crisi si determinavano all'interno del gruppo dirigente del PCC orientamenti diversi su come affrontare la situazione. Da una parte si faceva largo la convinzione che con le guardie rosse non si superavano, anzi si acuivano le contraddizioni e questo ripensamento riguardava anche Mao, anche se al suo fianco rimaneva quella che è stata definita dai cinesi la banda dei quattro, di cui faceva parte la stessa moglie di Mao, Jiang Qing. Ma dopo una fase di incertezze, morto Mao, liquidata la banda dei quattro si arrivò con la piena riabilitazione di Deng Xiaoping a una nuova definizione strategica sulle prospettive della Cina, una svolta che pone ai comunisti problemi di aggiornamento teorico non indifferenti rispetto a come l'azione e il processo di trasformazione era stato configurato fino ad allora dal movimento comunista.

  Intanto partiamo dall'analisi dei cambiamenti che sono avvenuti nel momento in cui si è arrivati alla direzione del PCC da parte di Deng Xiaoping.

  Il punto di partenza della nuova linea viene sancito con il XIII Congresso nazionale del partito (Pechino dal 25 ottobre al 1º novembre 1987) dove Zhao Ziyang presentò una relazione intitolata 'Avanzamento sulla strada del socialismo con caratteristiche cinesi'. Nella storia del PCC, a cui abbiamo già fatto riferimento il senso del XIII Congresso viene così riassunto:

  “Il contributo eccezionale di questo Congresso fu costituito dall'esposizione sistematica della teoria della fase primaria del socialismo e della linea di base del Partito in questa fase. Prima del congresso, Deng Xiaoping aveva sottolineato che il compito principale del periodo iniziale del socialismo era lo sviluppo delle forze produttive e per la Cina la prima cosa da fare era eliminare la povertà”. Come Deng aveva detto, “La povertà non è socialismo e nemmeno uno sviluppo troppo lento è socialismo”. E ancora: “Il socialismo stesso è nella prima fase del comunismo, e qui in Cina siamo ancora nella fase primaria del socialismo, cioè nella fase del sottosviluppo. In tutto ciò che facciamo, dobbiamo procedere da questa realtà e tutta la pianificazione deve essere coerente con ciò”. [15]

  Nella storia del PCC si precisa anche che al XIII Congresso fu chiarito che la fase primaria del socialismo non era uguale per tutti i paesi e che la Cina, in rapporto alla sua arretratezza, aveva una caratteristica specifica per il suo percorso socialista.

  “La principale contraddizione della fase primaria del socialismo era quella tra i crescenti bisogni materiali e culturali del popolo e la produzione sociale sottosviluppata. Il compito principale del Partito e dello Stato, quindi, era quello di sviluppare le forze produttive e promuovere la modernizzazione socialista. L'introduzione della teoria della fase primaria del socialismo fornì al Partito un riferimento di base per la formulazione della sua linea, dei suoi principi e delle sue politiche, nonchè una potente arma teorica per sostenere la riforma, l'apertura e lo sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi[16].

  Nell'analizzare concretamente il modo con cui il XIII Congresso del PCC aveva deciso di portare avanti una linea che sviluppasse le forze produttive e la modernizzazione del paese, gli elementi di novità rispetto al modo con cui fino allora i paesi socialisti avevano portato avanti il loro sviluppo economico e sociale erano molti. E le novità riguardavano non solo il rifiuto del modello economico dell'URSS e del Comecon, ma anche i passaggi precedenti della Cina dopo la conquista del potere da parte dei comunisti. La novità sostanziale stava nel fatto che la Cina abbandonava la via 'breve' al socialismo, quella del grande balzo in avanti e dello scontro interno contro i 'fautori del capitalismo' ed esplorava altre vie per uscire dal sottosviluppo e procedere sulla via del socialismo con caratteristiche cinesi.

  Nell'effettuare questa inversione di tendenza si andava innovando la politica dei comunisti cinesi sia nelle relazioni internazionali che nell'impostazione teorica della strategia. Nelle relazioni internazionali si inaugura un nuovo corso e “alla vigilia della terza sessione plenaria dell'XI CC (Pechino 10 novembre- 15 dicembre 1978), vengono intraprese due importanti mosse diplomatiche. Nell'agosto del 1978 la Cina firma il trattato di amicizia e di pace sino-giapponese e nel dicembre dello stesso anno viene approvato il comunicato congiunto Cina-Stati Uniti sull'instaurazione di relazioni diplomatiche”.

  Non si trattava di scelte episodiche perchè, come riferisce la storia citata del PCC, “Sulla base dei cambiamenti della situazione internazionale, il CC iniziò ad apportare rilevanti modifiche alla politica estera della Cina, operando due importanti cambiamenti. Il primo fu il passaggio dalla convinzione dell'inevitabilità dell'imminenza della guerra a nuove valutazioni scientifiche della guerra e della pace”. E nel 1985 Deng Xiaoping si spinse ad affermare che “la pace e lo sviluppo sono le due questioni prevalenti nel mondo di oggi” [17].

  Socialismo con caratteristiche cinesi, apertura delle relazioni internazionali, ridefinizione delle caratteristiche della nuova fase storica che si basava, secondo le dichiarazioni dei comunisti cinesi, sull'avvenuta modificazione dei rapporti di forza, erano dunque le caratteristiche del nuovo corso .

  Se si va a ben guardare il modo di impostare le cose da parte del PCC non era dissimile da ciò che a suo tempo aveva sostenuto Krusciov con le sue aperture all'occidente che, nel modo in cui furono gestite, risultarono disastrose. La domanda è: se i cinesi sono arrivati nel 1978 a queste conclusioni come si spiega il durissimo scontro URSS-Cina e di chi sono le responsabilità?

  Indubbiamente il modo con cui il segretario del PCUS aveva impostato il XX Congresso denunciando Stalin, l'avventurismo nelle sue aperture internazionali, la sconclusionata riforma economica interna avevano stravolto le esigenze giuste di rinnovamento del socialismo e anche reso più difficile utilizzare i nuovi rapporti internazionali per aprire un'era di pace. Se diradiamo però le nebbie della durissima polemica di allora, alla fine di un periodo convulso, troviamo le analogie che abbiamo già messo in evidenza all'inizio. Come abbiamo già sottolineato, lo scontro in Cina tra la sinistra del partito e la corrente che alla fine ha prevalso con Deng non aveva caratteristiche soltanto ideologiche, ma verteva sulla via da imboccare per lo sviluppo del socialismo. Quanto all’URSS, parallelamente, bisogna riconoscere che anche il krusciovismo era nato da questioni oggettive di carattere economico e di gestione del potere. Nell’Unione Sovietica queste controversie si sono risolte col disastro che conosciamo. In Cina il gruppo dirigente che ha sconfitto Lin Biao e la banda dei quattro ha dimostrato invece una capacità straordinaria di tenuta e di adattamento alla nuova situazione.

  Sulla politica internazionale i comunisti cinesi dopo anni di polemiche antimperialiste hanno ritenuto necessario introdurre quella che hanno poi chiamato 'politica di apertura'. Tutto ciò però è avvenuto in un contesto in cui pesanti ripercussioni erano inevitabili. Il movimento comunista internazionale aveva subito un trauma molto forte che aveva fatto saltare la strategia dello sviluppo unitario del campo socialista, attorno a cui ruotavano anche le forze comuniste non al potere e i movimenti di liberazione nazionale e che costituiva il deterrente contro l'imperialismo occidentale a guida americana. Negli anni '80 del secolo scorso la realtà che si era costruita a partire dalla Rivoluzione russa si andava sgretolando.

  Come vedremo però, anche stavolta la ruota della storia non è tornata indietro. Il dopo URSS non è stato un pranzo di gala per l'imperialismo occidentale.

  Ma prima di arrivare alle note conclusive e valutare ciò che è accaduto in seguito, dobbiamo mettere in evidenza un altro fattore che ha reso epocale il passaggio della Cina dal sottosviluppo allo sviluppo e che impone di leggere la storia della trasformazione socialista con paradigmi diversi da quelli a cui ci eravamo abituati.

  La questione dei cambiamenti di linea in Cina non si limitava infatti alla strategia politica e ai rapporti internazionali. La svolta cinese agiva in profondità anche sulle caratteristiche del socialismo e sull'impostazione teorica con cui i comunisti hanno deciso di procedere sulla via del 'socialismo con caratteristiche cinesi'.

  Da un punto di vista strettamente teorico il PCC ha definito la sua leadership, dividendola in due parti. Quella di Mao e quella di Deng Xiaoping. Nel senso che a Mao viene riconosciuta la guida teorica fino al momento in cui è deflagrato lo scontro interno al partito, a Deng viene riconosciuto il ruolo guida dal momento in cui ha preso le redini del processo del 'socialismo con caratteristiche cinesi'.

  I famosi discorsi di Deng pronunciati nel periodo che va dal 18 gennaio al 21 febbraio 1992 in occasione di un suo viaggio nelle regioni meridionali di Wuchang, Shenzhen, Zhuhai e Shanghai (Deng aveva all'epoca 88 anni) rappresentano la base del suo pensiero, su cui si è costruita la Cina che conosciamo. Sosteneva Deng negli incontri del suo lungo viaggio:

  “Rivoluzione significa emancipazione delle forze produttive... dovremmo essere più coraggiosi di prima nel condurre la riforma e l'apertura al mondo esterno e avere il coraggio di sperimentare… Il motivo per cui alcuni esitano a portare avanti la riforma e la politica di apertura e non osano aprire nuove strade è, in sostanza, il timore che ciò significhi introdurre troppi elementi di capitalismo e, di fatto, imboccare una strada capitalistica. Il nocciolo della questione è se la strada sia capitalistica o socialista. Il criterio principale per formulare questo giudizio dovrebbe essere se essa promuove la crescita delle forze produttive in una società socialista, se aumenta la forza complessiva dello stato socialista, e se si innalza il tenore di vita [18].

  In risposta ad alcune critiche e censure nei confronti della riforma e dell'apertura, Deng Xiaoping dichiarò: 'Le tendenze di destra possono distruggere il socialismo, ma anche quelle di sinistra. La Cina dovrebbe mantenere la vigilanza contro la destra, ma soprattutto contro la 'sinistra'. Per quanto riguarda poi il rapporto tra pianificazione e mercato Deng afferma che la proporzione tra pianificazione e forze di mercato non è la differenza essenziale tra socialismo e capitalismo [...] La pianificazione e le forze di mercato sono entrambe mezzi di controllo dell’attività economica”. E soprattutto: “L'essenza del socialismo è la liberazione e lo sviluppo delle forze produttive, l'eliminazione dello sfruttamento e della polarizzazione e il raggiungimento finale della prosperità per tutti” per cui “se vogliamo che il socialismo raggiunga la superiorità sul capitalismo, non dobbiamo esitare ad attingere alle conquiste di tutte le culture e ad apprendere da altri Paesi, compresi i Paesi capitalisti sviluppati, tutti i metodi avanzati di funzionamento e le tecniche di gestione che riflettono le leggi che regolano la moderna produzione socializzata.” E ancora: “se non attuassimo le politiche di riforma e di apertura al mondo esterno, se non sviluppassimo l'economia e non innalzassimo il tenore di vita, ci troveremmo in un vicolo cieco” [19].

  E' su queste basi che nella storia del PCC si sostiene che “i discorsi del Sud rappresentarono un nuovo punto culminante nei già gloriosi risultati di Deng Xiaoping. Deng era un dirigente eccezionale, stimato in tutto il Partito, dalle forze armate e dal popolo cinese di tutti i gruppi etnici. Fu un grande marxista, rivoluzionario proletario, statista, stratega militare e diplomatico; il principale architetto della riforma socialista, dell'apertura e della modernizzazione della Cina; il creatore del socialismo con caratteristiche cinesi” [20].


CONSIDERAZIONI FINALI
sulle prospettive del socialismo
nel XXI secolo


  Abbiamo inquadrato in 4 capitoli i passaggi storici dello sviluppo del movimento comunista a partire dal XIX secolo. I capitoli corrispondono ad altrettante tappe storiche che hanno avuto caratteristiche diverse essendo diverso il contesto a cui si riferivano. Con questo abbiamo soprattutto cercato di mettere in evidenza come le varie esperienze rivoluzionarie e di classe dei comunisti hanno seguito un percorso certamente non rettilineo e - come è necessario comprendere se si parte da una visione materialistica dei processi storici - hanno dovuto fare i conti con la situazione oggettiva.

  In tempi come questi, di grandi cambiamenti epocali, bisogna in effetti far diradare la nebbia che si è diffusa intorno alla storia del movimento comunista e cercare, col dibattito, con le verifiche storiche e con la definizione di ipotesi teoriche adeguate, di riappropriarci del marxismo e di una strategia di trasformazione sociale adeguata alla nuova fase. Se vogliamo sciogliere i nodi che abbiamo di fronte siamo quindi costretti ad andare fino in fondo. Per questo inquadrare i passaggi storici del movimento comunista dal 1848 ad oggi consente di capire come si è evoluta la situazione e come si è andato dislocando il rapporto tra comunisti e dinamica storica.

  Molti compagni ritengono irrilevante il fatto che ci si misuri con questo tipo di problemi e si concentrano prevalentemente sull'analisi del 'socialismo con caratteristiche cinesi', ma questo modo di fare limita la comprensione delle questioni di fondo che hanno determinato le scelte storiche del movimento comunista e l'elaborazione teorica dei suoi maestri. Del processo storico complessivo a partire dal XIX secolo non si può avere una visione parziale, anche se questa corrisponde alle condizioni della nuova fase. L'orizzonte non è la singola fase storica, ma l'intero ciclo del passaggio dal capitalismo al socialismo dove vanno collocate e valutate le singole esperienze del movimento comunista e il loro peso nella storia. E quella attuale non rappresenta che una delle fasi di un processo complessivo di cui ovviamente bisogna individuare caratteristiche e sbocchi.

  Nella storia del movimento comunista c'è stato sempre, in ogni epoca, un punto di sintesi dell'agire collettivo su cui si sono concentrate le forze in campo, dall'indicazione 'proletari di tutto il mondo unitevi', alla trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, al fronte antifascista mondiale e alla difesa del campo socialista, ma il quadro generale di sviluppo del movimento contro il sistema capitalistico è rimasto sempre il punto di riferimento.

  Oggi i comunisti, per assolvere alla loro funzione, che è sempre stata internazionale e internazionalista, devono quindi impegnarsi nuovamente a ridefinire il loro ruolo attraverso un dibattito chiaro e conclusioni convincenti.


  Per quanto riguarda la situazione odierna, per tracciare una prospettiva si tratta di capire il punto d'arrivo di un processo storico costituito da tre elementi convergenti: l'esperienza dei comunisti cinesi, le caratteristiche della crisi del sistema imperiale occidentale, l’emergere di un sistema economico internazionale basato su relazioni paritarie, che sta aiutando molti paesi ad uscire dalle difficoltà e dal ricatto imperialista.

  Il nuovo protagonismo comunista diventa essenziale per dare un indirizzo strategico alla nuova fase. Non solo utilizzando gli strumenti teorici del marxismo e l'esperienza storica del movimento comunista, ma anche individuando i passaggi concreti rispetto alla lotta contro l'imperialismo, alla crescita dell'indipendenza economica e politica dei popoli di tutto il mondo, alla determinazione di un nuovo ordine mondiale che sottragga l'umanità alle guerre, alla povertà, al degrado ambientale.

  I tre punti summenzionati diventano quindi altrettanti campi di azione per le organizzazioni comuniste che devono collegarsi ai processi reali in corso e alle contraddizioni emergenti, unendo la strategia generale alle realtà politiche e sociali di ogni singolo paese.

  Entrando nel dettaglio delle tre questioni che abbiamo messo alla base di una strategia di fase del movimento comunista, sappiamo, riferendoci alla prima delle questioni, che il ruolo che la Cina ricopre nel mondo e all'interno del movimento comunista è decisivo in questa fase storica. Ormai gli effetti del crollo dell'URSS e dei paesi socialisti dell’Europa dell'Est sono stati ampiamente superati sia nei rapporti di forza mondiali che rispetto alle modalità di ripresa del dibattito nel movimento comunista. La Cina non è solo un paese che sta alla pari con gli USA quanto a sviluppo economico e tecnologico, ma ha anche determinato lo sviluppo di relazioni economiche con una serie di altri paesi creando un circuito indipendente, a partire da quello finanziario e monetario, che consente di eliminare o ridurre fortemente il condizionamento dell'occidente capitalistico e in particolare degli USA.

  Ma si tratta anche di capire rispetto alla Cina il ruolo che essa gioca nella ripresa del movimento comunista internazionale dopo la crisi degli anni'90 del secolo scorso. Anche qui non si tratta solo del peso oggettivo del PCC alla guida di un paese decisivo per le sorti dell'umanità, ma anche del fatto che la leadership di Xi Jinping punta a una rivitalizzazione delle relazioni coi partiti comunisti e operai a livello mondiale. Rinviamo al riguardo allo scritto di Pan Jin'è Il socialismo mondiale e i movimenti comunisti internazionali vanno avanti [qui] [21].

  Anche sul piano della teoria, la posizione dei comunisti cinesi è di continuità con il marxismo e il leninismo in quanto al riconoscimento storico della loro funzione e pone insieme l’accento sulle caratteristiche del pensiero di Deng Xiaoping e di Xi Jinping come sviluppo teorico ulteriore del marxismo nella realtà odierna, distinguendo anche due fasi nella storia della rivoluzione cinese, quella guidata dal pensiero di Mao Zedong e quella di Deng Xiaoping che ha determinato il 'socialismo con caratteristiche cinesi'. Si veda Gong Yun, Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era ha realizzato un nuovo balzo nella sinizzazione del marxismo [qui] [22].

  Qual è il significato del 'socialismo con caratteristiche cinesi? I comunisti cinesi hanno introdotto non poche novità nell'uso dell'analisi marxista, sullo sviluppo, sulle caratteristiche del socialismo e nel disegno generale di sviluppo delle forze produttive come obiettivo principale per uscire dalla povertà e su queste basi hanno organizzato un'economia mista che ha portato a risultati sorprendenti e innegabili. Basandosi, come diceva Deng Xiaoping, sui fatti che devono essere la base delle scelte. Non si tratta di eclettismo, ma del rapporto tra teoria e dinamica concreta dello sviluppo economico e sociale in una determinata fase storica che viene messo al centro della situazione.

  Ma non è solo questo che caratterizza i comunisti cinesi. Essi si sono dati una visione globale del loro percorso che non è dato solo dall'equilibrio tra il settore pubblico e quello privato dell'economia, ma anche dal rapporto tra la Cina e il resto del mondo per quanto riguarda le relazioni internazionali in tutti i campi. Attraverso il peso che il Paese ha assunto in campo economico, finanziario e tecnologico, la leadership cinese si è assunta il ruolo di condizionare la situazione internazionale sui problemi della pace, dello sviluppo economico condiviso e sulle questioni essenziali che gravano sull'umanità, costituendo un fattore fondamentale di stabilità nell'equilibrio mondiale. Rinviamo al riguardo al contributo di Chen Airu al seminario citato: Costruire una comunità con un futuro condiviso, responsabilità e missione dei marxisti di tutto il mondo [qui] [23]. Nell’attuale epoca storica il PCC esprime concretamente un nuovo internazionalismo legato alle sorti dell'umanità.


  La questione Cina non è però l'unico punto con cui valutare i rapporti di forza internazionali e le prospettive. Difatti, mentre l'imperialismo occidentale si era preparato a liquidare con le guerre 'umanitarie' i bastioni di resistenza sparsi nel mondo, la Russia ha deluso le sue aspettative rifiutando il ruolo di vittima sacrificale del governo unipolare. Con Putin che ha scompigliato i giochi americani e UE, la Russia si è imposta come protagonista internazionale e ha creato con la Cina un fronte mondiale economicamente e militarmente inattaccabile.

  La Russia non è, come sappiamo, un sistema socialista. “Nell’ordine mondiale globalista, - scriveva Gennady Zyuganov, presidente del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa nel maggio 2020 [24] - anche i paesi più sviluppati, di fronte a sfide su larga scala, si rivelano impotenti e scivolano nell’abisso del male sociale. Ma i processi di crisi planetaria sono doppiamente dolorosi per la Russia che, come all’inizio del secolo scorso, rappresenta un anello debole e periferico del capitalismo mondiale [25]. Sono particolarmente distruttivi per il popolo russo che forma lo Stato. Sono le persone che subiscono i costi e le perdite maggiori a causa degli esperimenti sociali disumani degli ultimi decenni”. Come il PCFR non si è mai stancato di denunciare, la controrivoluzione kruscioviana e gorbacioviana ha riconsegnato agli speculatori e agli oligarchi il patrimonio materiale e ideale accumulato dal sistema sovietico. Negli ultimi due anni però, come spiega il vicepresidente del partito Yuri Afonin in un’intervista dal titolo ‘Gennady Zyuganov e il PCFR credono nella vittoria e fanno di tutto per avvicinarla’ [26] [qui] ci sono stati cambiamenti positivi nello Stato e nella società e i comunisti si battono per accelerarli. Per questo propongono il programma per la vittoria, con cui il partito si presenta alle elezioni presidenziali, non tanto per sfidare il presidente Putin quanto per cambiare la squadra di governo nella direzione richiesta dalla situazione di guerra, dalla frivolezza e dal tradimento degli oligarchi e dei ricchi, dall'appello al popolo patriottico e dalla prospettiva di imboccare una strada simile a quella intrapresa con successo dal partito comunista cinese, con il quale i rapporti sono molto stretti.

  Nonostante il regresso, l'imperialismo occidentale non è riuscito a distruggere la Russia come paese indipendente e come potenza mondiale e questo ha comportato un aggravamento delle difficoltà che si trova oggi di fronte. E la guerra in Ucraina è il banco di prova dell'impossibilità americana e NATO di riportare indietro la situazione.

  Siamo dunque a un sistema mondiale di fatto multipolare, anche se la coalizione a guida americana cerca disperatamente di non perdere la partita definitivamente. Sarà dunque ancora un periodo di transizione, in cui le guerre sono all'ordine del giorno e con caratteristiche di fatto globali come ci insegnano l'Ucraina e la Palestina.

  All'orizzonte non è da escludere che lo schieramento occidentale tenti la soluzione totale, ma i rapporti di forza non gli danno la possibilità di uscirne con una effettiva vittoria. Sarà, nel caso, un destino da Terzo Reich.

  Nello sviluppo degli avvenimenti mondiali di questa fase storica bisogna quindi disegnare con precisione i punti di una strategia che si occupi contemporaneamente della guerra, dello sviluppo e delle trasformazioni economiche, sociali e ambientali con cui il capitalismo, nella sua fase di maggiore sviluppo imperialista globale, sta condizionando l'umanità e ipotecando il futuro.

  Sul fronte della guerra si capisce che il sistema imperiale americano non è in grado di reggere efficacemente lo scontro attuale. Lo ha dimostrato l'Ucraina, ma anche Israele, nonostante la carneficina di Gaza non è in grado di prevedere l'esito del conflitto. Hamas sia dal punto di vista militare che su quello delle alleanze internazionali si dimostra un avversario solido. Se dipendesse quindi da queste due guerre si potrebbe dire che gli americani subiranno altre sconfitte. Ma non bisogna abbassare la guardia. Il ciclo della guerra mondiale 'a pezzi' non è ancora esaurito con l'Ucraina e la Palestina.

  Per questo diventa essenziale per i comunisti sostenere il fronte antimperialista e non solo dove il conflitto è diretto e più aspro, ma anche laddove i governi dei paesi imperialisti cercano di coinvolgere le loro popolazioni nella guerra.

  Stati Uniti, Europa, Medio Oriente diventano determinanti per far capire che non è solo la tecnologia militare che decide, ma anche i popoli. Ricordiamoci del Vietnam quando, nonostante i 600.000 militari in campo, gli USA vennero sconfitti anche con il concorso del movimento mondiale contro la guerra, a partire dagli stessi Stati Uniti.

  E' chiaro che la conflittualità con l'imperialismo condiziona tutto il quadro della situazione mondiale e anzi, molti dei conflitti interni ai vari paesi dipendono dal blocco imperialista a guida americana. Il suo indebolimento, in questi casi, diventa la base per il rinnovamento di quei paesi che si liberano dal gioco neocoloniale.

  Ma se vogliamo individuare un modello, una tendenza su cui si muovono i processi di cambiamento dobbiamo constatare che nella fase storica attuale si stanno delineando alcuni fattori nuovi. Il primo di questi fattori consiste nel fatto che in virtù della modificazione dei rapporti di forza che rendono la Cina, e con essa la Russia e i BRICS, capace di relazionarsi con tutti i paesi che vogliono sviluppare relazioni indipendenti, emerge un forte movimento di rifiuto del sistema imperiale americano. Questo avviene, anche se in modo diverso, in Africa, in America Latina, in Medio Oriente in particolare. In tempi non molto lunghi avremo perciò un panorama mondiale completamente cambiato e con un sistema di multilateralità si potrà aprire una fase nuova per l'intera umanità. Lo dobbiamo considerare però non un futuro idilliaco, ma un passaggio storico in cui opereranno le nuove contraddizioni. Una cosa però è certa: quella che sembrava negli anni '90 del secolo scorso, dopo il crollo dell'URSS, la prateria dove gli americani pensavano di creare un mondo a loro somiglianza, è invece diventata una palude da dove è difficile che possano riemergere.

  Quella attuale comunque è da considerare come una fase di passaggio rispetto alla quale bisogna ancora impegnarsi e concentrare le forze, combattendo tra l’altro, anche nel movimento comunista, quelle posizioni neotrotskiste che interpretano gli avvenimenti attuali in chiave di conflitto interimperialista (tra Cina, Russia e blocco occidentale). In grande maggioranza si tratta di partitini che hanno poca o nulla influenza nei loro paesi, ma tra di essi, purtroppo, ci sono il KKE greco e il partito comunista di Turchia che hanno una storia importante alle loro spalle. Si ripete la storia degli inizi della III Internazionale che dovette fare i conti, Lenin ancora vivo, con le posizioni estremiste di tedeschi, olandesi e del bordighismo italiano. Sulla definizione di imperialismo e per inquadrare la questione anche dal punto di vista teorico rinviamo allo scritto di Jana Zavatskaya, La moderna teoria dell'imperialismo e la scissione del movimento comunista, che riportiamo [qui] [27]

  Il movimento comunista e antimperialista si ritrova dunque in una fase che somiglia a quella della seconda guerra mondiale qundo il fronte antifascista aveva davanti un nemico feroce che però riuscì a sconfiggere con una convergenza unitarie delle forze antinaziste. La questione si ripropone oggi, anche se in altra forma e per questo è bene avere coscienza della posta in gioco.

  Ma c'è un'altra domanda da fare ed è questa: in che situazione ci troviamo oggi rispetto alla capacità di procedere verso un sistema che superi i rapporti di produzione capitalistici nella presente fase storica? Ebbene, per rispondere dobbiamo ancora riferirci a Marx quando scrive che la storia si pone i problemi che può risolvere e quindi, se consideriamo le cose da un punto materialistico e considerando il quadro storico dal 1848 ad oggi, ci rendiamo conto che lo sviluppo rivoluzionario per il superamento del sistema capitalistico ha costretto i comunisti ad aggiornare tempi e forme della loro azione. Questo ha scandalizzato coloro che la rivoluzione l'hanno solamente immaginata. Per i comunisti, che sanno trarre dalla loro storia gli insegnamenti necessari, appare invece che ancora una volta bisogna fare i conti con la realtà, tenendo presente però che la ruota della storia non può girare all'indietro. E infatti se oggi tutto appare frammentato in realtà c'è un filo rosso che sta legando tutte le spinte e le contraddizioni che sono maturate o stanno maturando nel mondo, nel senso che che le esigenze dei popoli si vanno unificando e pongono all'ordine del giorno i grandi processi di trasformazione sociali, ambientali, politici e nelle relazioni internazionali.

  Possiamo dire che dal passo indietro degli anni '90 del secolo scorso siamo in procinto di farne due in avanti? Noi riteniamo di sì, ma bisogna tener conto che non siamo usciti ancora dal tunnel e che vanno valutati bene e discussi gli obiettivi di fase e come impegnarsi per realizzarli.

  In primo luogo dobbiamo prendere atto che si deve raggiungere ancora l'obiettivo principale, che è quello di sconfiggere definitivamente l'imperialismo a guida americana, e dobbiamo continuare a combatterlo finchè continuerà a minacciare i paesi che si ribellano al suo dominio. E come comunisti dobbiamo, in primo luogo, considerarci avanguardia della lotta e combattere, allo stesso tempo, tutti i tentativi di dividere il fronte antimperialista.

  Ma c'è anche un altro compito che spetta ai comunisti. La lotta in corso non ha solo aspetti geopolitici e di creazione di un mondo multipolare. La lotta per sconfiggere l'occidente capitalistico sta dentro anche alla necessità di combattere le basi strutturali e sociali che lo esprimono. Difatti, se andiamo a vedere come si sta dislocando la conflittualità nelle varie scacchiere del mondo possiamo renderci conto che i governi dei paesi che vogliono rendersi indipendenti esprimono anche esigenze di rinnovamento politico- sociale. Quindi l'avanzata del fronte antimperialista è anche prospettiva di cambiamento, ma non siamo nel 1917 e neppure nel 1919, anno di fondazione dell'Internazionale Comunista. Il processo di trasformazione sociale in atto nel mondo segue percorsi che devono essere compresi dai comunisti nella loro specificità e che corrispondono ai passaggi storici di ogni paese e di ogni area del mondo così come si sono configurati in questi decenni. In America Latina, dove lo scontro attiene alla divisione tra l'ala reazionaria legata all'imperialismo USA e lo schieramento progressista che sta guadagnando forza e spazio. In Africa, dove esistono punte dichiaratamente antimperialiste a partire dal Sud Africa e si è aperto uno scontro col neocolonialismo francese che sta subendo una cocente sconfitta che modifica gli equilibri continentali. In Medio Oriente, dove tutto passa attraverso l'esito della guerra contro i nazisti israeliani, che però va considerata anche una guerra regionale con gli USA che tirano le fila.


  Per concludere sulle prospettive e capire quindi i passaggi futuri dobbiamo tener conto delle due linee convergenti che agiscono oggi per la trasformazione a livello mondiale: il blocco cinese, russo, mediorientale che mette in crisi l'occidente imperialista e la spinta alla liberazione del sud del mondo dai vecchi sistemi neocoloniali. Entro queste due linee parallele, che sono quelle principali e determinanti, va collocata la capacità delle organizzazioni comuniste di fare la loro parte.


  Per quanto riguarda l'Italia, ciò che è avvenuto dagli anni '90 del secolo scorso ha sostanzialmente azzerato la presenza comunista nella dialettica sociale e politica del nostro paese. Anche qui bisogna saper aggiornare l'analisi e definire le prospettive. Al di fuori del romanticismo e del volontarismo. Rimanendo sul terreno del materialismo e del marxismo come eredità imprescindibili del pensiero comunista, per noi rimane la necessità, che esprimiamo da lungo tempo, di recuperare un terreno da cui la distruzione della ragione conseguente alla mutazione genetica del PCI e all'opera dei cattivi maestri della 'rivoluzione qui e subito' ci hanno allontanati.


POST SCRIPTUM

Come è possibile
sciogliere in questa fase il nodo
della questione comunista in Italia?

3 gennaio 2024


  L'interrogativo va posto in modo assolutamente onesto e oggettivo, non solo valutando i risultati dei 'comunismi' che si sono espressi nel nostro paese dopo lo scioglimento del PCI, che sono quelli che conosciamo, ma partendo dal dato degli effetti nella società italiana, e in particolare sui ceti di riferimento del partito comunista. Questo non vuol dire abbandonarsi a un pessimismo senza sbocchi, ma prendere atto della realtà e partire da questa per capire il Che fare?

  In una società come quella italiana, in cui l'egemonia del PCI sul movimento dei lavoratori e sui ceti democratici e di sinistra è stata costante per decenni, la mutazione genetica del partito ha prodotto effetti devastanti. Per milioni di uomini e donne che avevano il partito come riferimento, la denuncia degli 'errori ed orrori' del comunismo, l'azione propagandistica della borghesia e dei suoi organi di informazione, il venir meno del ruolo di difesa sociale del sindacato di classe, hanno fatto sì che la parola ‘comunista’ sia diventata qualcosa di estraneo. Se non si fanno i conti con questa realtà, che pesa come un macigno, si riesce solo a smuovere i cocci dei fallimenti registrati finora, ma non si fanno passi in avanti.

  Una riprova di questo è stato anche il fallimento del tentativo di promuovere la 'rifondazione comunista' con cui si è cercato di utilizzare a fini elettoralistici il bacino di voti del PCI, tentativo rapidamente naufragato e non solo per l'inconsistenza strategica e le ambiguità di chi, nella sostanza, pretendeva di rinnovare il comunismo contrapponendosi alla storia del movimento comunista, ma anche perchè la crisi comunista non consentiva nessuna rapida ripresa. Ricordiamoci che la posizione di Cossutta dentro il partito era assolutamente minoritaria e variegata.

  Certamente sulla scena sono rimasti i resti di un'epoca che fu, che hanno alimentato gruppi identitaristi e nicchie culturali, ma tutto questo non ha significato la ripresa di un vero movimento comunista basato sul consenso popolare e su una chiara prospettiva politica. Al suo posto si è andato invece sviluppando un radicalismo politico che, in contrapposizione alla cultura dei comunisti italiani, ha assorbito ideologie massimaliste, neotrotskiste e movimentiste e sono state proprio queste correnti di pensiero che hanno egemonizzato le aree di quello che è rimasto di una opposizione politica che si esprime con caratteristiche fortemente minoritarie.

  Le due condizioni necessarie per ritrovare un percorso politicamente rilevante per i comunisti avrebbero dovuto basarsi su una ripresa della capacità teorica accompagnata da una definizione del percorso strategico con cui dimostrare la validità delle nuove ipotesi. Ma nessuna di queste due condizioni si è realizzata. Bisogna anche ammettere che rispetto a tutte le questioni poste dal crollo dell'URSS e dalla crisi del movimento comunista non si poteva improvvisare anche perché dentro il PCI non si è mai contrapposta una vera alternativa alla mutazione genetica che andava maturando. Il cossuttismo è stata una risposta debole e ambigua. La ripartenza non era dunque a portata di mano e quelli che si sono misurati con la questione comunista in Italia l'hanno fatto improvvisando e pensando più a un ritorno politico di bottega che a una prospettiva di ripresa effettiva e tutto quello che si è creato di 'comunista' dopo lo scioglimento del PCI è rimasto in effetti su quel terreno.

  Qualche furbo, nel frattempo, fiutando l'aria che tira, ha abbandonato la barca 'comunista' che faceva acqua da tutte le parti e si è spostato verso lidi sovranisti considerati più redditizi per nuove avventure politiche.

  La questione oggi non è però tanto giudicare queste scelte, ma capire in termini oggettivi il problema che si ha di fronte rispetto alle ipotesi di ripresa. Se si vuole andare in questa direzione, bisogna misurarsi con un’analisi delle caratteristiche odierne della società italiana, delle potenzialità concrete che esistono di rompere gli schemi su cui è impantanata oggi l'Italia con il suo il sistema liberista legato alla UE e da lì partire per riavviare un rapporto dialettico tra sviluppo delle contraddizioni e ripresa organizzativa dei comunisti. Soprattutto si tratta di capire il livello vero delle contraddizioni e il modo di gestirle in una prospettiva strategica.

  Partiamo dunque da questo per arrivare poi a ipotesi conclusive sul piano politico e organizzativo. Se consideriamo la situazione da un punto di vista generale dobbiamo constatare che nei tre decenni che ci separano dagli anni '90 del secolo scorso, c’è stato in Italia il capovolgimento completo del panorama politico-sindacale e dei rapporti tra le forze borghesi e una sinistra con basi di classe. Quest'ultima è ormai ridotta a tentativi minoritari e massimalisti che non hanno sostanziale incidenza sullo sviluppo della situazione italiana. Soprattutto quello che risulta evidente nella situazione odierna è il consolidamento della rottura del rapporto tra una posizione politica organizzata comunista e di classe e i milioni di lavoratori privi di punti di riferimento.

  Nel considerare quindi la questione della riorganizzazione dei comunisti dobbiamo domandarci quali sono gli ostacoli da superare e anche se in questa fase essi siano tutti soggettivamente superabili o ciò dipenderà dallo sviluppo delle nuove contraddizioni da cui si potrà generare un nuovo ciclo organizzativo e politico.

  Ovviamente questo problema può non interessare coloro che fino ad oggi si sono trastullati con ipotesi 'comuniste' immaginarie rifiutando di vedere che il re è nudo. Con una presenza politica distorta costoro certamente non facilitano la soluzione dei compiti che abbiamo di fronte, ma contro di loro non bisogna farsi coinvolgere in guerre di religione. Semmai si tratta di aiutare un processo di trasformazione politica e di impostazione teorica che riporti l'azione dei comunisti sul terreno della concretezza e della razionalità. In questo rientra anche il lavoro culturale che si sviluppa attorno alla questione comunista, rispetto al quale bisogna constatare purtroppo che esso si ferma spesso all'informazione internazionale o ad una saggistica che non entra mai nell'ambito di una analisi teorica delle contraddizioni e di come esse vadano sfruttate concretamente. Si tratta di un lavoro prepolitico che spesso e volentieri viene scambiato per altra cosa e tiene vivo l'immaginario per nascondere una desolante situazione di fatto del movimento reale.

  L'errore che si compie in questo caso è pensare che si possa fare un passo avanti nella direzione giusta senza prendere il toro per le corna e continuando a pestare l'acqua nel mortaio. Eppure basterebbe ricordare che la teoria scientifica dei comunisti, come ci hanno insegnato quelli che consideriamo i nostri maestri, si è sempre basata su un rapporto stretto tra analisi e pratica rivoluzionaria.

  Cerchiamo di rispondere alla prima delle domande che ci siamo posti, gli ostacoli cioè alla riorganizzazione dei comunisti che dipendono dalla situazione politica esistente oggi nell'area comunista.

  In via preliminare, bisogna mettere al centro del dibattito la questione delle 'fonti' di riferimento di quelli che si dichiarano comunisti e su questo stabilire anche una discriminante. Non si tratta di un ostracismo pregiudiziale, ma di una necessaria depurazione di contenuti per evitare confusione sul concetto di comunismo e sugli interlocutori possibili. Per noi il punto di riferimento sono coloro che hanno una cultura legata alla storia del movimento comunista italiano e mondiale. E' con questo settore, utilizzando dunque il marxismo e l'esperienza teorica e il metodo del movimento comunista che riteniamo prioritario interloquire e creare una prospettiva comune che si confronti anche con gli altri 'comunismi' che hanno tenuto banco finora. Finora il mancato adeguamento del marxismo e del suo collegamento con la storia e l'elaborazione dei comunisti italiani e l'accettazione di una vulgata radicaleggiante a anarco-sindacalista come base dell'azione politica hanno favorito una deriva che di fatto ha reso impossibile qualsiasi ripresa e uscita dalla crisi. Abbiamo vissuto per decenni con una rappresentazione ideologica e romantica del comunismo scambiandola per una possibilità effettiva.

  Questa situazione sussiste ancora, anche se in forma molto più logora e meno credibile. Da questa condizione però bisogna emanciparsi per rimettere le cose sui binari giusti e questo non può avvenire in una condizione di stagnazione come l'attuale. Ritorniamo così al punto di partenza, al discorso dell'uovo e della gallina. Da dove può nascere il soggetto che sia in grado di rimettere le cose a posto e riaprire un discorso corretto per cambiare rotta se manca ancora un brodo di cultura adeguato?

  A portata di mano, in verità, non vediamo soluzioni immediate.

  A nostro parere non c’è stato infatti finora nessun avanzamento nel dibattito e nella crescita di forze comuniste per cui ciò che si può intravedere, stando in questa situazione, è tentare una sia pur lenta opera di recupero di potenzialità attraverso la critica dell'esistente, l'unica cosa che potrà in seguito, dislocare in avanti un progetto nuovo. Ed è quello appunto che ci siamo riproposti con il Forum dei comunisti italiani, il quale si propone di aprire una strada nuova valutando i passaggi concreti, in termini organizzativi e di contenuti.

  A volte per nascondere le difficoltà si tira in ballo la Cina. E' vero che c'è il peso della Cina nel nostro futuro, ma appoggiarsi essenzialmente a questo non può risolvere i nostri problemi. Diciamo ciò a tutti i compagni e le compagne che, trovando arduo affrontare le cose da noi, sperano che gli avvenimenti mondiali ci aiutino a levare le castagne dal fuoco. Anche questa è una illusione di cui dobbiamo liberarci perchè in realtà dobbiamo sempre fare i conti con la condizione reale esistente in Italia e quindi non possiamo dimenticare che c'è una destra al potere, una UE che tenta un rilancio imperialista e di guerra e un’assenza di forze politiche con cui questa realtà debba effettivamente fare i conti.

  In attesa che questo nodo si sciolga, che avanzi la possibilità di rompere le mistificazioni esistenti sui 'comunismi' italiani, ci limitiamo in questo inizio del 2024 a due considerazioni che vanno comunque fatte e che sono in parallelo con ciò che abbiamo scritto finora. In realtà potrebbero sembrare in contraddizione col punto di vista espresso finora in quanto, richiamando ad una difficoltà oggettiva per una ricostruzione organizzativa, andare oltre può sembrare un'ipotesi per ora astratta. Eppure una riflessione in tal senso va fatta comunque perchè contribuisce a far crescere un pensiero dialettico con la situazione reale e nei rapporti con la società.

  Le questioni da considerare sono:

  a) di quale organizzazione abbiamo bisogno quando pensiamo alla ripresa comunista?

  b) come andrebbe reimpostato il lavoro di intervento dei comunisti nella società italiana che non sia solo di tipo ideologico e propagandistico ma consenta un recupero di influenza politica di massa?

  Sul punto a).

  Anche se ci rendiamo conto che definire i caratteri di una ripresa organizzativa in una condizione come l'attuale è assolutamente prematuro, nelle discussioni va comunque sottolineato che ogni tipo di ripartenza deve prevedere una militanza operativa che si basi su un metodo comunista. Il che significa, in sostanza, che per i comunisti ogni progetto deve essere suffragato da un impegno strategico dei componenti dell'organizzazione in rapporto appunto alla sua finalità. Che non è quella di rappresentare sul piano politico interessi transitori, ma qualcosa di completamente diverso. Si tratterà di riproporre una capacità di tenuta strategica e di elaborazione teorica che solo un'organizzazione comunista può possedere.

  Il che non significa riproporre metodi bordighisti o da setta, ma essere coscienti che un'organizzazione comunista è uno strumento di trasformazione sociale che può realizzarsi solo con un'assunzione di responsabilità storiche di chi la dirige e una visione corretta delle prospettive, frutto di una elaborazione scientifica.

  Dire questo sembra una banalità, ma visto come sono andate lo cose in area 'comunista' non è male includere questo concetto nelle considerazioni da fare. Mettiamo in chiaro perciò ancora una volta che non abbiamo bisogno di politici 'comunisti', ma di militanti, a ogni livello, che abbiano chiaro l'obiettivo da perseguire e siano in grado di rapportare le parole ai fatti.

  Ma da dove nascono questi militanti? Certamente non possono essere, com'è oggi, residui di vecchie esperienze storiche. C'è bisogno di un innesto tra un'ipotesi di trasformazione sociale adeguata alla fase e le esigenze di massa che emergono dalla società. Solo questo può superare il dilemma dell'uovo e della gallina, il rapporto dialettico tra realtà e sviluppo dell'organizzazione.

  Sul punto b).

  La pratica politica dei comunisti prescinde da ogni forma di radicalismo e di movimentismo. Essa deve necessariamente essere interna alle esigenze reali che si esprimono in una determinata situazione storica e capace di analizzare il carattere delle contraddizioni e saperle utilizzare in un progetto di trasformazione dell'esistente.

  Questo modo di pensare implica innanzitutto capire come il progetto strategico si rapporta alla fase storica di un determinato paese in cui l'organizzazione comunista opera. Nel caso dell'Italia, se non vogliamo abbandonare il patrimonio di lotte e di idee che hanno caratterizzato a suo tempo l'opera dei comunisti, dobbiamo considerare qual era il punto a cui era arrivata la situazione nei rapporti di forza tra forze progressiste e rappresentanti delle forze padronali e sfruttatrici al momento della liquidazione del PCI e se la ripresa politica deve ripartire da questo considerando, come pensiamo noi, che seppure il partito comunista si è suicidato, la società italiana ha assorbito gli anticorpi del periodo Resistenza-Costituente-Repubblica e quindi sussiste una aspettativa. Se riteniamo valido questo presupposto, esso va sfruttato per una nuova fase di avanzamento delle forze popolari e progressiste collegato all'azione dei comunisti.

  Su questo bisogna passare dalle parole ai fatti. In che modo devono agire i comunisti perchè questo progetto si realizzi? Questa è una discussione importante da aprire, perchè la vulgata corrente è che basti decidere di fondare un'organizzazione comunista e il rapporto di massa diventa conseguenziale. Basta distribuire volantini e fare qualche convegno. Questo è un punto di vista non materialistico ed estraneo al pensiero comunista. Si confonde, in questo caso, l'analisi marxista con il processo reale e il risultato che si può ottenere è un'organizzazione ossificata e fuori dal processo storico.

  Noi pensiamo dunque, su questa base, che il progetto di riorganizzazione dei comunisti non può essere scollegato dalle potenzialità che la situazione esprime e, per non cadere nel velleitarismo, dobbiamo individuare correttamente il punto di partenza.

  Da tempo stiamo ragionando sul Fronte politico costituzionale come motore di una ripresa possibile. Non si tratta, scegliendo questa strada, di misurarsi con una soluzione 'istituzionale' delle contraddizioni esistenti in Italia, ma di puntare a quella trasformazione dell'Italia che la Costituzione prevede e che rappresenta un passaggio storico che darebbe continuità e credibilità alla ripresa dell'iniziativa comunista.

  La discussione su questo è aperta e serve comunque ad entrare nel merito di un progetto di ripresa che ancora molti comunisti ritengono collegato essenzialmente a una base storico-ideologica.

  Un programma costituzionale implica anche riproporre, di conseguenza, un progetto di riforme di struttura, di conservazione e ampliamento del settore pubblico e funzionale all'interesse generale della società, non solo come obiettivo politico, ma come azione quotidiana di lotta per conseguirle.

  Queste nostre sono ovviamente ipotesi e valutazioni da verificare nelle discussioni che verranno. Non abbiamo fretta, ma neppure vogliamo essere complici delle mistificazioni che hanno portato al blocco dell'analisi concreta della situazione concreta e alla dispersione delle forze.


Note


[1] Edizioni Laboratorio Politico, Med Invest, Napoli, luglio 1994.
[2] Vedi il fascicolo pdf alla pagina 43.
[3] Roberto Gabriele e Paolo Pioppi, Lettere ai compagni, una traversata del deserto durata trent’anni, Edizioni Aginform, giugno 2020, pp. 44-50.
[4] Dall’indice del libro: I. Dopo il crollo dell’URSS “essere più comunisti”- II. Perchè l’Associazione Stalin, un metodo dialettico e materialistico per analizzare vittorie e sconfitte del movimento comunista rivoluzionario - III. In Europa torna la guerra, l’Italia partecipa zelante, la sinistra si adegua e spesso collabora - IV. Imperialisti scatenati, ma i paesi aggrediti resistono - V. Sionismo e imperialismo, un solo nemico - VI. La disfatta di Bertinotti e della sinistra arcobaleno, tra le macerie può nascere una vera opposizione? - VII. Guerra, sempre più guerra e sempre più globale, La sinistra imperialista arruolata in servizio permanente. La situazione però sta cambiando e non nel senso voluto dall’imperialismo - VIII. Il sistema mostra le prime crepe, Liberisti di destra e di sinistra uniti nel discredito. Riusciranno i comunisti a uscire dalle loro nicchie? - IX. Il terremoto del 4 marzo 2018 - X. Alcune conclusioni sul presente.
[5] Vedi il fascicolo pdf pag. 60.
[6] Per un’accurata ricostruzione dei piani americani di distruzione atomica dell’URSS elaborati subito dopo il bombardamento nucleare del Giappone nel 1945 e delle loro conseguenze sugli avvenimenti in Europa e in Asia si veda l’opera preziosa di Filippo Gaja, Il secolo corto. La filosofia del bombardamento. La storia da riscrivere, Maquis Editore, aprile 1994.
[7] Vedi il fascicolo pdf pag. 47.
[8] Editoriale pubblicato il 31 dicembre 1962 sul Renmin Ribao (Il Quotidiano del Popolo, organo del CC del PCC). La traduzione, effettuata dal testo inglese della Peking Review del 7 gennaio 1963, è stata pubblicata in "Dossier dei comunisti cinesi", edizioni Avanti!, 1963, a cura di Roberto Gabriele, Nicola Gallerano, Giulio Savelli, prefazione di Lucio Libertini. Il testo è disponibile insieme a una nostra premessa anche [qui]
[9] Stalin Amico del popolo cinese, 20 dicembre 1939, in Mao Zedong, Opere scelte, vol. II, pp. 349-350.
[10] Si vedano a questo proposito i testi nel già citato 'Dossier dei comunisti cinesi'. Viva il leninismo, dell’aprile 1960 è disponibile anche sul sito dell’Associazione Stalin [qui].
[11] Articolo pubblicato dal Quotidiano del Popolo, da Bandiera Rossa e dal Quotidiano dell’Esercito Popolare di Liberazione il 22 aprile 1970 nel centenario della nascita di Lenin, a dieci anni da Viva il Leninismo. Il testo pubblicato in Italia dalle Edizioni Rapporti Sociali è disponibile anche sul sito dell’Associazione Stalin al capitolo V del fascicolo “Il rilancio cinese e il suo esito”, vedi indice dettagliato [qui].
[12] Si veda il testo al capitolo III, [qui].
[13] Comitato editoriale di redazione della Breve Storia del Partito Comunista Cinese, La lunga marcia del Partito Comunista Cinese, Storia del PCC a 100 anni dalla sua fondazione, La lunga marcia del Partito comunista cinese, Marx Ventuno Edizioni, Bari, maggio 2023.
[14] Ibidem pp.226-227.
[15] Ibidem pag.277.
[16] Ibidem pag.278.
[17] Ibidem pp 286-287.
[18] Ibidem pag.299.
[19] Ibidem pag.300.
[20] Ibidem pag.302.
[21] Da LA NUOVA ERA. Atti del seminario sull'innovazione marxista organizzato dalla CASS, (Chinese Academy of Social Studies). Marx Ventuno Edizioni 3/2022, pp. 111-132.
[22] Ibidem pp. 26-31.
[23] Ibidem pp.186-191.
[24] Gennady Zyuganov, Il nucleo russo del potere, importante saggio in quattro parti pubblicato nel 2020 in cui Zyuganov passa in rassegna la storia e la cultura russa, il posto che in essa ha avuto l’esperienza sovietica, le radici della russofobia dell’Occidente e l’abisso (anche demografico) in cui la Russia è precipitata negli anni di Eltsin.
[25] Si noti la coincidenza di questa definizione con quella del saggio di Jana Zavatskaya che riportiamo alle pagine 203 ss. del fascicolo pdf e [qui]
[26] Intervista di Yuri Afonin a Radio Komsomolskaya Pravda, 28 dicembre 2023. Da https://PCFR.ru/party-live/cknews/223414.html.
[27] Pubblicato il 18 febbraio 2023 sul sito del Partito comunista operaio russo (PCOR), il testo è stato tradotto in italiano da Aginform e pubblicato il 12 dicembre 2023 da Marx XXI.